Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-12-30, n. 201107005

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-12-30, n. 201107005
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201107005
Data del deposito : 30 dicembre 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05611/2011 REG.RIC.

N. 07005/2011REG.PROV.COLL.

N. 05611/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5611 del 2011, proposto dai signori F G d L, N G e S G, rappresentati e difesi dagli avvocati G L, R N e M E C, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Costabella 23;

contro

il Ministero per i beni e le attivita' culturali - Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici per il Lazio - Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il Comune di Roma, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Regione Lazio, non costituita nel presente grado del giudizio;
Roma Capitale, non costituita nel presente grado del giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II QUATER n. 01041/2011, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attivita' culturali - Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici per il Lazio - Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il Comune di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2011 il consigliere di Stato Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati, Lavitola, Nania, Cavalli e l’avvocato dello Stato Palmieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con decreto del Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, in data 25 gennaio 2010, è stato dichiarato il notevole interesse pubblico dell’area sita nel Comune di Roma, Municipio XII, qualificata “Ambito Meridionale dell’Agro Romano compreso tra le Vie Laurentina ed Ardeatina”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 141, comma 2, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modifiche (“ Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi della legge 6 luglio 2002, n. 137 ”;
in prosieguo “Codice”).

2. I signori F G d L, N G e S G, proprietari di aree interessate dal suddetto decreto ministeriale, con il ricorso n. 3020 del 2010 proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, hanno chiesto l’annullamento: del citato Decreto del Ministero per i beni e le attività Culturali – Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio del 25 gennaio 2010, ivi compresi la relazione illustrativa, la cartografia, la descrizione dei confini e le prescrizioni d’uso del compendio di beni paesistici (allegato 1 al sopra menzionato decreto), le controdeduzioni al parere della Regione e a tutte le osservazioni presentate (allegato 2 del decreto), nonché la relazione di sintesi dell’istruttoria predisposta dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il Comune di Roma (allegato 3 del decreto);
di ogni altro atto, presupposto, connesso e conseguente, ancorché sconosciuto.

3. Nel ricorso si indica che per le aree di proprietà i ricorrenti hanno individuato, in relazione al decreto di vincolo, una sostanziale identità di previsioni rispetto a quelle già stabilite in sede di Piano Territoriale Paesistico Regionale (in prosieguo “PTPR”), adottato ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. c), del Codice (con deliberazioni della Giunta della Regione Lazio, n. 556 del 25 luglio 2007 e n. 1025 del 21 dicembre 2007).

In particolare il “paesaggio agrario di valore” ricopre un’area di circa 287.85 mq e rappresenta il 95,18% dell’intera proprietà, su cui, secondo l’art. 13 delle N.T.A. del decreto impugnato (che ricalca l’art. 25 delle N.T.A. del PTPR) sono consentiti soltanto interventi limitati al miglioramento dell’efficienza dell’attività agricola;
il “paesaggio naturale” ricopre un’area di circa 12.387 mq e rappresenta il 4,24% della intera proprietà, su cui, secondo l’art. 9 delle N.T.A. del decreto impugnato (che ricalca l’art. 21 delle N.T.A. del PTPR) è inibita integralmente la trasformabilità dei suoli, salvo limitati interventi per il miglioramento dell’efficienza dell’attività agricola e di recupero di manufatti;
restano confermate le norme per la protezione dei beni di interesse archeologico e delle aree boscate ai sensi sia del decreto impugnato che del PTPR.

I ricorrenti hanno anche rilevato che, comunque, il decreto ministeriale impugnato ha esteso a 5.400 ha. la superficie dell’area già individuata in sede di PTPR come area agricola identitaria della campagna romana e pari a 2.700 ha .

4. Il TAR, con la sentenza n. 1041 del 2011, ha respinto il ricorso, disponendo la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

5. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado e, per l’effetto, l’annullamento del provvedimento impugnato, previa rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di illegittimità costituzionale proposte nell’appello riguardo a diverse norme del Codice.

6. All’udienza del 6 dicembre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Con la sentenza gravata, n. 1041 del 2011, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione seconda quater , ha respinto il ricorso, n. 3020 del 2010, proposto avverso il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali del 25 gennaio 2010 con il quale è stata dichiarata di notevole interesse pubblico un’area, sita nel Comune di Roma, in cui sono compresi terreni di proprietà dei ricorrenti.

2. Nell’appello si richiama, anzitutto, che i terreni di cui si tratta, ricadenti in zona H” – Agro Romano vincolato nel Piano regolatore Generale del 1965, erano stati poi nuovamente destinati a zona agricola con la variante generale al detto PRG (così detto “Piano delle certezze” adottata con delibera del Consiglio comunale n. 92 del 1997);
i terreni, non qualificati di rilevanza ambientale nell’ambito della “Rete ecologica” del nuovo Piano Regolatore Generale (P.R.G.), sono stati successivamente ricompresi nel PTPR come ambito tipizzato della campagna romana ed ivi classificati nei sistemi di paesaggio “paesaggio agrario di valore ” e “paesaggio naturale” ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. c) del Codice, al cui riguardo il Comune di Roma ha valutato favorevolmente le osservazioni proposte al detto PTPR dai medesimi ricorrenti (delibera del Consiglio Comunale n. 32 del 2008) che hanno quindi partecipato all’invito pubblico indetto dal Comune per l’attuazione del piano di “ Housing sociale ” (delibera della Giunta del Comune di Roma n. 315 del 2008).

Si censura quindi la sentenza di primo grado per i motivi che seguono:

-a) in quanto elusiva della censura di incostituzionalità proposta per vizio di eccesso di delega della parte del Codice in cui, in particolare con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 (recante “ Ulteriori disposizioni integrative e correttive ” del Codice “ in materia di paesaggio ”) in vigore all’adozione del decreto ministeriale impugnato, è stata introdotta una “terza” categoria di beni paesaggistici;
sono stati infatti qualificati come assoggettabili a tutela “ ulteriori immobili ed aree di notevole interesse pubblico ” ovvero “ ulteriori contesti ” (articoli: 134, comma 1, lett. c);
135, comma 1, terzo periodo;
143, comma 1, lett. d), in aggiunta alle due sole categorie di beni paesaggistici previste rispettivamente dalle leggi n. 1497 del 1939 (oggi art. 136 del Codice) e n. 431 del 1985 (oggi art. 142 del Codice), riguardanti, l’una, bellezze individue e di insieme, e, l’altra, aree individuate in via generale, violando con ciò l’art. 10, comma 2, della legge di delega n. 137 del 2002 in quanto recante il divieto per la normativa delegata di “ determinare ulteriori restrizioni alla proprietà privata ”e di abrogare gli “ strumenti attuali ”, con l’obbligo di conformarsi comunque “ al puntuale rispetto degli accordi internazionali ” (stante la rigorosa giurisprudenza della CEDU in materia di tutela della proprietà privata);

-b) poiché altresì omissiva delle ulteriori censure di incostituzionalità proposte avverso gli articoli 131, comma 1, 134, comma 1, lett. c) e 135, comma 1, del Codice;
tali disposizioni infatti, andando oltre la limitazione della qualificazione paesaggistica a singole porzioni del territorio propria delle leggi n. 1497 del 1939 e n. 431 del 1985, recano la identificazione del paesaggio come “ territorio espressivo di identità” (art. 131) ovvero in riferimento a “ tutto il territorio ” (art. 135) e portano perciò alla potenziale coincidenza del bene paesaggistico con l’intero territorio, come avvenuto nella specie in cui il vincolo apposto è di dimensione quantitativa tale da far smarrire la sua identificazione qualitativa;
si incorre con ciò non soltanto nel vizio di eccesso di delega, ma anche di contrasto con gli articoli 3, 4, 41, 42, 47 e 97 della Costituzione e con l’art. 1 del 1° Protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per irragionevole lesione della proprietà privata, che può essere sacrificata soltanto a ragione della individuazione di una valenza paesaggistica specifica e non generica di singole aree, e per contrasto con gli ulteriori valori costituzionali sanciti dagli articoli citati, dovendo essere bilanciato con la loro salvaguardia quello della tutela del paesaggio di cui all’art. 9 della Costituzione;
in questo quadro anche la legge di delega (art. 10, comma 2, lett. d), della legge n. 137 del 2002) risulterebbe viziata, per mancata definizione dei principi e criteri direttivi, se la si ritenesse idonea a legittimare un indeterminato ampliamento dei condizionamenti a carico della proprietà privata;

-c) per avere affermato che il decreto ministeriale impugnato reca soltanto il riconoscimento del notevole interesse pubblico dell’Agro Romano e non un intervento di pianificazione paesaggistica, avendo invece proceduto il Ministero ai sensi dell’art. 138, comma 3, del Codice, con conseguenti prescrizioni che, ai sensi e nel quadro di quanto previsto dagli articoli 140, 141 e 143 del Codice, si incorporano nel Piano paesaggistico, il quale, a sua volta, è oggetto di disposizioni (articoli 135 e 143) orientate non alla disciplina della edificabilità nel limite della salvaguardia del bene tutelato ma ad una generalizzata inedificabilità nell’area, al contrario di quanto stabilito per i piani paesistici dall’art. 23 del regio decreto n. 1357 del 1940;
ciò che configura, anche in tale caso, il vizio dell’eccesso di delega non essendo previsto nella legge di delega lo stravolgimento degli strumenti di pianificazione esistenti ma soltanto il loro aggiornamento, ferma restando la compatibilità con la tutela del paesaggio dell’intervento umano se controllato, come affermato dalla giurisprudenza anche costituzionale;

d) essendo altresì viziati per incostituzionalità i seguenti articoli del Codice: art. 135, in quanto include nei piani paesaggistici i paesaggi rurali mai riconosciuti meritevoli di tutela, con conseguente eccesso di delega;
articoli 135 e 143, poiché includono nei detti piani le aree degradate al fine del loro recupero, in contrasto con gli articoli 3 e 42 della Costituzione, avendo sancito la Corte Costituzionale che meritevole di tutela è soltanto l’immobile originariamente e sempre bello e che è violato il principio di legalità dell’azione amministrativa se il piano paesistico non si limita alla disciplina delle sole zone elencate nelle leggi n. 1497 del 1939 e n. 431 del 1985 (Sentenze n. 56 del 1968 e n. 327 del 1990);
art. 136, a seguito della eliminazione dal testo, con il d.lgs. n. 63 del 2008, della espressione “ quadri naturali ”, ciò che illegittimamente consente la sottoposizione della proprietà privata a vincoli estesi e generici;
art. 158, in quanto, rimettendo all’emanazione di normative regionali la cessazione della vigenza della disciplina di fonte statale (regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357) viola la riserva di legislazione esclusiva di cui all’art. 117, comma 1, lett. s), della Costituzione;

-e) per avere respinto la censura della mancanza, nel caso di specie, dei presupposti e dei requisiti per la dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 del Codice;
la sentenza gravata ha infatti trascurato che: le aree in questione hanno esclusivo carattere e conformazione agricola senza alcuna diversa caratteristica, sicché, applicando il criterio alla base del provvedimento impugnato, dovrebbe essere vincolata, di per sé, ogni area di campagna: non vi rientrano aree boscate, invece vincolate;
impropriamente vi sono state individuate aree di interesse archeologico, tutelabili soltanto ai sensi della legge n. 1089 del 1939 ovvero per la previsione di cui alla lettera m ) del comma 1 del vigente art. 142 del Codice;
l’illegittimità del provvedimento impugnato risulta palese, infine, anche in quanto espressamente volto allo scopo di assicurare il minor consumo del territorio, che non è tra i fini propri della normativa applicata nella specie ma di quella in materia urbanistica;

-f) per avere respinto le censure dedotte riguardo alla posizione tutelabile formatasi in capo ai ricorrenti per aver partecipato all’avviso pubblico del Comune di Roma per l’attuazione del piano di “ housing sociale ” ed alla violazione del principio di proporzionalità tra l’estensione dell’area vincolata (30 ettari) e il sacrificio imposto ai privati, affermandosi, con sommarie valutazioni, quanto alla prima censura, che la posizione suddetta sarebbe di mera aspettativa e, quanto alla seconda, che l’interesse pubblico alla tutela del paesaggio sarebbe comunque e sempre preminente indipendentemente dalle modalità della sua applicazione in concreto.

3. Le censure così riassunte non possono essere accolte.

Si esaminano anzitutto le questioni di legittimità costituzionale proposte avverso la normativa del Codice esposte nei precedenti punti 2.a (eccesso di delega per la introduzione di una terza categoria di beni paesaggistici), 2.b (eccesso di delega e contrasto, anche della legge delega, con norme costituzionali di tutela della proprietà privata, stante la identificazione del paesaggio con il territorio), 2.c (eccesso di delega a causa della indiscriminata valenza pianificatoria assunta dal provvedimento impugnato) e 2.d (eccesso di delega e contrasto con diverse norme costituzionali) che risultano non rilevanti per il presente giudizio ovvero manifestamente infondate.

3.1.

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