Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-04-23, n. 201402040
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N. 02040/2014REG.PROV.COLL.
N. 10199/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10199 del 2011, proposto da:
Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Gs Costruzioni Srl;
nei confronti di
Comune di Vibo Valentia, Impresa Lecogen Letizia Costruzioni Generali Srl;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00658/2011, resa tra le parti, concernente INFORMATIVA ANTIMAFIA E REVOCA AGGIUDICAZIONE APPALTO.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 marzo 2014 il Cons. Michele Corradino e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Santoro;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Comune di Vibo Valentia, acquisita un’informativa antimafia positiva dalla Prefettura di Reggio Calabria, procedeva alla revoca dell’aggiudicazione, in favore della G.S. costruzioni s.r.l., odierna appellata, ed aggiudicava l’appalto de quo all’impresa classificatasi seconda in graduatoria.
La G.S. costruzioni s.r.l., pertanto, impugnava innanzi al T.A.R. per la Calabria il provvedimento (7 luglio 2010 n. 44118), emesso dalla Prefettura di Reggio Calabria ed avente per oggetto “informazione ex art. 10 D.P.R. n. 252/1998” e le note ( prot. N. 33166 del 19/07/2010 e N. 43008 del 29/09/2010) con cui il dirigente del settore I-Affari Generali del Comune di Vibo Valentia comunicava alla stessa, rispettivamente, l’avvio del procedimento di revoca dell’aggiudicazione e la nuova aggiudicazione dei lavori all’Impresa LE.CO.GEN., seconda in graduatoria.
Con la sentenza 11 agosto 2011 n. 658, il T.A.R. per la Calabria, sezione di Reggio Calabria, accoglieva il ricorso, proposto da G.S. costruzioni s.r.l., contro l’U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria e contro il Comune di Vibo Valentia.
Il Tar, in particolare, basava la propria decisione su un duplice ordine di considerazioni.
In primo luogo, argomentando a contrario, dall'art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, che sancisce l’obbligo di acquisire le informazioni esclusivamente per importi di gara d’appalto superiori alla soglia di rilevanza comunitaria ricavava il principio secondo cui, nel caso di specie, fosse esclusa la possibilità di acquisire l’informativa interdittiva, trattandosi di appalto di lavori con importo a base d’asta pari a 133.000 mila euro e, pertanto, inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria.
In secondo luogo, riteneva gli elementi, fondanti l’informativa antimafia positiva, non sufficientemente rilevanti e, pertanto, non idonei a sostenere il rischio di infiltrazione mafiosa.
Propone appello, avverso detta decisione, il Ministero dell’Interno.
Alla camera di Consiglio del 13/03/2014 il ricorso viene trattenuto per la decisione come da verbale.
DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Il Ministero dell’Interno, appellante, contesta le conclusioni cui è pervenuto il T.A.R., nella sentenza oggetto di ricorso, prospettando due ordini di censure, concernenti, rispettivamente, l’una, l’illegittimità della condotta della stazione appaltante che ha richiesto l’informazione antimafia di cui all'art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 in ipotesi di appalto sotto soglia, l’altra, il contenuto delle informazioni prefettizie e, in particolare, la loro asserita irrilevanza causale in ordine al fenomeno delle infiltrazioni mafiose.
In ordine al primo motivo di censura, l’appellante assume, in particolare, l’erroneità delle conclusioni del giudice di prime cure per aver lo stesso omesso di considerare la circostanza che, pur non prevedendo la sopra citata disposizione un obbligo per la stazione appaltante di richiedere l’informazione di cui è causa nei casi di appalti sotto soglia, una facoltà in tal senso sia riconosciuta nella lex specialis .
La facoltà di richiedere l’informativa antimafia, osserva l’appellante, risponde allo scopo di attuare gli obblighi derivanti dalla sottoscrizione di un protocollo di legalità stipulato, ai sensi dell’art. 15 l.241/90, tra Comuni della Provincia di Vibo Valentia in data 05/04/2004.
Il motivo è fondato.
Sembra opportuno al Collegio, sul punto, ricordare, in via preliminare, quale fosse la ratio dell’ormai abrogato D.P.R. 252/1998. Ratio , si noti, rimasta immutata anche in seguito all’abrogazione del citato decreto, avvenuta ad opera del d.lgs. 159/2011, che, introducendo il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, ha modificato, aggiornato ed integrato la disciplina della documentazione antimafia, frutto di una stratificazione normativa intervenuta negli anni.
In particolare, la ratio, che caratterizza tutta la normativa vigente in subiecta materia, è quella della lotta alla criminalità mafiosa, interesse quest’ultimo preminente e prevalente nei confronti di qualsiasi altro interesse, sia esso pubblico o privato.
Ed è, proprio, in virtù di questa ratio che deve ritenersi la piena ed assoluta legittimità delle previsioni contenute nel bando e nel disciplinare di gara.
Previsioni quest’ultime, come già correttamente evidenziata dall’Amministrazione appellante, perfettamente in linea con il citato protocollo che, expressis verbis, prevede che il rilascio delle informazioni antimafia di cui all'art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 debba avvenire anche al di fuori dai casi previsti nel medesimo e, pertanto, anche nei casi di appalti di valori inferiori alla soglia di rilevanza comunitaria.
Tale conclusione sembra, peraltro, all’odierno Collegio dovuta anche in considerazione della previsione di cui all’art. 2 del protocollo medesimo che sancisce l’obbligo delle stazioni appaltanti di inserire nel bando o direttamente nel contratto, in caso di gara già espletata, la clausola seguente: “ la stazione appaltante si riserva di acquisire (…) le informazioni di cui all'art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 e, qualora risultassero a carico dei soggetti interessati tentativi o elementi di infiltrazioni mafiose, la stazione stessa procede all’esclusione del concorrente dalla gara …”.
In ordine all’altra censura, formulata in via subordinata e relativa alla validità di un’informazione antimafia nell’ambito di appalti sotto soglia, pur dovendosi ritenere la stessa assorbita, si rende necessaria una precisazione.
In particolare, la circostanza che la normativa de qua sancisca l’obbligo di acquisire l’informazione esclusivamente nel caso di appalti di importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria non vale a fondare la tesi contraria relativamente agli appalti sotto soglia, per i quali, pertanto, l’informazione deve ritenersi valida.
E, d’altronde, non è dato opinare diversamente anche per la presenza di un indice in tal senso nell’ordinamento giuridico, dal quale deriva, quale corollario, che, a prescindere dalla legittimità della richiesta d’informazione, il contenuto positivo della stessa valga a precludere la nascita di un rapporto contrattuale tra la stazione appaltante ed i soggetti coinvolti dall’informativa o, ancora, a paralizzare le sorti di un rapporto già sorto tra le stesse.
In particolare, l’art. 4, comma 6, del d. lgs. 8 agosto 1994, n. 490, recante disposizioni attuative in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia, prevede che: “ Quando, a seguito delle verifiche disposte a norma del comma 4, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle societa' o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni dal prefetto, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, ne' autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni. Nel caso di lavori o forniture di somma urgenza di cui al comma 5, qualora la sussistenza di una causa di divieto indicata nell'allegato 1 o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all'autorizzazione del subcontratto, l'amministrazione interessata puo' revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere gia' eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilita' conseguite”.
Con la seconda censura, l’appellante contesta le conclusioni del T.A.R. in ordine al contenuto delle informazioni prefettizie, ritenute, irrilevanti, e, pertanto, non idonee a fondare la tesi della presenza di infiltrazioni mafiose nel caso di specie.
Anche tale motivo di ricorso è fondato.
Il quadro di riferimento, infatti, caratterizzato dalla presenza di una condanna per estorsione di uno dei soci, da frequentazioni con persone ritenute appartenenti alle cosche mafiose, dalla coabitazione di uno dei soci con il padre, già socio del figlio in altre operazioni imprenditoriali e condannato per estorsione continuata in concorso, truffa continuata ed appropriazione indebita in concorso (nello stesso processo in cui veniva condannato il figlio), può certamente ritenersi corredato da elementi sufficienti ed idonei a fondare il pericolo di infiltrazioni mafiose.
Peraltro, in ordine alla valutazione del Prefetto, sembra opportuno all’odierno Collegio sottolineare come lo stesso goda di ampi margini di discrezionalità, potendo, tra l’altro, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa anche da circostanze ex se prive di certezza assoluta, quali, ad esempio, sentenze di condanna, anche non definitive, o collegamenti parentali con soggetti malavitosi.
Sul punto, infatti, la giurisprudenza, ritenendo che si tratti di un giudizio di probabilità, elaborato alla stregua della nozione di pericolo, ha costantemente sottolineato, al fine dell’efficacia preclusiva dell’informazione de qua, la necessità che gli elementi fondanti la stessa siano, nel loro complesso, tali da ingenerare il serio pericolo che l’attività d’impresa possa in qualche modo agevolare le attività criminali o esserne, comunque, condizionata.
Estremi questi tutti ricorrenti nel caso in decisione
In considerazione della natura della questione sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese tra le parti.