Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-05-26, n. 202204211
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Testo completo
Pubblicato il 26/05/2022
N. 04211/2022REG.PROV.COLL.
N. 08071/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8071 del 2018, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati W S e S E, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
il Ministero dell’Interno e la Questura di Piacenza, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
per la riforma
della sentenza, resa in forma semplificata, del Tar Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, n. -OMISSIS-, non notificata, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso il decreto della Questura di Piacenza, che ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione del Ministero dell’Interno e della Questura di Piacenza;
Vista la nota del Ministero dell’Interno depositata in data 13 maggio 2022;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 maggio 2022 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. In data 7 maggio 2018 il Questore di Piacenza, con provvedimento prot. n. -OMISSIS-, ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, presentata dal cittadino marocchino -OMISSIS-.
Il provvedimento ha tratto fondamento dalla circostanza che lo straniero è stato condannato, in data 21 giugno 2013, con sentenza del GIP del Tribunale di Piacenza, riformata parzialmente dalla sentenza della Corte di Appello di Bologna, divenuta irrevocabile il 22 dicembre 2015, in quanto riconosciuto colpevole del reato continuato di atti sessuali con minori degli anni quattordici ex artt. 81, 609-quater, comma 1, n. 1, c.p. (commesso dal 1° settembre 2012 e fino al 28 febbraio 2013 in -OMISSIS-), circostanza di cui all’art. 609-septies, comma 4, n. 2, c.p., alla pena di 2 anni e 8 mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie.
2. Con ricorso proposto innanzi al Tar Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, il signor -OMISSIS-, previa richiesta di sospensiva, ha impugnato tale provvedimento, deducendone l’illegittimità perché fondato esclusivamente sulla condanna subita.
3. Con sentenza, resa ex art. 60, c.p.a., n. -OMISSIS-, il Tar Parma, sez. I, ha respinto il ricorso, evidenziando, in particolare, come il Questore non si sia limitato alla presa d’atto della condanna riportata dal ricorrente, ma abbia valutato l’intera personalità del soggetto, le modalità di compimento dei fatti contestati e il rilevante allarme sociale che essi destano. Per tali ragioni, la valutazione effettuata dall’amministrazione è risultata esente da vizi di irragionevolezza e illogicità.
4. La citata sentenza n. -OMISSIS- è stata impugnata con appello notificato il 13 settembre 2018 e depositato il successivo 12 ottobre, riproducendo sostanzialmente le censure non accolte in primo grado e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata.
In particolare, il Tar avrebbe errato nel dare rilevanza al meccanismo di automaticità operante tra la condanna ostativa e il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno. Al contrario, la condanna non sarebbe stata bilanciata con l’interesse dello straniero al mantenimento dei legami familiari (moglie e due figli minori), nonché con lo svolgimento della regolare attività lavorativa presso -OMISSIS-Inoltre, il reato commesso rappresenterebbe un unicum nella vita dello straniero e, peraltro, sarebbe risalente nel tempo.
5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e la Questura di Piacenza, senza espletare difese scritte.
6. Con ordinanza cautelare n. -OMISSIS-è stata respinta la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza del Tar Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, sez. I, n. -OMISSIS-.
7. Alla pubblica udienza del 19 maggio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Come esposto in narrativa, oggetto della controversia è il provvedimento del Questore di Piacenza, che ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, presentata dal cittadino marocchino -OMISSIS-, in considerazione della circostanza che lo stesso è stato condannato, in data 21 giugno 2013, con sentenza del GIP del Tribunale di Piacenza, riformata parzialmente dalla sentenza della Corte di Appello di Bologna, divenuta irrevocabile il 22 dicembre 2015, in quanto riconosciuto colpevole del reato continuato di atti sessuali con minori degli anni quattordici ex artt. 81, 609-quater, comma 1, n. 1, c.p. (commesso dal 1° settembre 2012 e fino al 28 febbraio 2013 in -OMISSIS-), circostanza di cui all’art. 609-septies, comma 4, n. 2, c.p., alla pena di 2 anni e 8 mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie.
2. L’appello è infondato.
Al fine del decidere giova richiamare il quadro normativo di riferimento.
L’art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dall’art. 4, comma 1, lettera b), l. 30 luglio 2002, n. 189 stabilisce che non è ammesso in Italia lo straniero: “...che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato (...) o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380 commi 1 e 2 del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale (...)”;l’art. 5, comma 5, dello stesso decreto prevede che “il permesso di soggiorno o suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’art. 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili”.
La giurisprudenza della Sezione (Cons. Stato, sez. III, 26 giugno 2015, n. 3210) è consolidata nel giudicare legittimo il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per la pregressa condanna per reati ostativi – qual è quella che ha raggiunto l’appellante – e la norma del T.U. sull’immigrazione ha superato il vaglio di legittimità costituzionale in quanto la valutazione sulla pericolosità sociale è stata eseguita “a monte” dallo stesso legislatore: ne consegue che nelle ipotesi tipizzate non è necessaria alcuna autonoma valutazione da parte del Questore sulla pericolosità sociale del cittadino straniero.
Solo se sussistono vincoli familiari il Questore deve operare il bilanciamento tra gli opposti interessi alla tutela della pubblica sicurezza e alla vita familiare del cittadino straniero, ai sensi dell’art. 5, comma 5, ultimo periodo, d.lgs. n. 286 del 1998. Invero, nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, del familiare ricongiunto, ovvero dello straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato (sul punto, Corte cost. n. 202 del 2013), “si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.
Applicando tali coordinate ermeneutiche nel caso all’esame, il provvedimento questorile risulta sufficientemente motivato e indenne dalle censure dedotte dall’appellante.
Invero, il Questore, come correttamente già rilevato dal primo giudice, ha valutato l’intera personalità del soggetto;le modalità delle gravissime condotte tenute dal medesimo nel compimento del reato ascrittogli e il particolare disvalore e allarme sociale che esso desta, hanno indotto a formulare un giudizio di grave pericolosità sociale in capo all’appellante e a dedurre la probabile commissione di altri e nuovi reati, anche della stessa specie.
Anche il bilanciamento della condanna penale con l’interesse all’unità del nucleo familiare dell’appellante risulta adeguatamente effettuato. Invero, nel provvedimento questorile è puntualmente richiamata la normativa che impone il suddetto bilanciamento di interessi e, nello specifico, l’art. 5, comma 5, del T.U. immigrazione, come modificato a seguito dell’intervento della Corte costituzionale. Ad ulteriore specificazione del giudizio comparativo già effettuato in sede procedimentale ed esplicitato, sia pure attraverso il mero richiamo della normativa rilevante, nell’atto impugnato, la difesa erariale ha depositato in prime cure una relazione della Questura (prot. n. 26159 del 3 luglio 2018), dalla quale emerge un approfondimento della situazione familiare dell’interessato.
La Questura ha rilevato che l’odierno appellante ha fatto ingresso in Italia ancora minorenne ed è stato iscritto sul permesso di soggiorno della madre. Successivamente, ha contratto matrimonio nel suo Paese d’origine e, nell’anno 2007, ha richiesto ed ottenuto il nulla osta all’ingresso in Italia per ricongiungimento familiare in favore della moglie. Dalla loro unione sono nati due figli e attualmente l’intero nucleo familiare del signor -OMISSIS- è residente ad -OMISSIS-, in provincia di Piacenza.
Ragionevolmente e con un giudizio pienamente condivisibile, la Questura ha ritenuto l’interesse familiare del signor -OMISSIS- e la durata del soggiorno in Italia recessivi nel bilanciamento con la condanna penale che lo ha raggiunto e con la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, anche alla luce della considerazione che il reato è stato commesso quando la moglie era già da tanti anni in Italia e anche i figli erano già nati, sicché il nucleo familiare e, in particolare, la presenza di minori, non ha agito da deterrente al gravissimo e odioso reato commesso ai danni di una persona ancora in tenera età.
Aggiungasi che la giurisprudenza di questa Sezione (4 maggio 2018, n. 2654) è pacifica nel ritenere che la formazione di una famiglia sul territorio italiano non può costituire scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, ossia del titolo in base al quale lo straniero può trattenersi sul territorio italiano. Piuttosto, in casi speciali e situazioni peculiari, che eventualmente espongano i figli minori del reo a imminente e serio pregiudizio, l’ordinamento – ferma la valutazione amministrativa in punto di pericolosità e diniego di uno stabile titolo di soggiorno – offre, in via eccezionale, e a precipua tutela dei minori, uno specifico strumento di tutela, affidato al giudice specializzato dei minori. In forza del disposto dell’art. 31, comma 3, del TU immigrazione, infatti “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge”.
Del resto, il Collegio condivide l’orientamento già espresso dalla Sezione che ritiene legittimo il provvedimento di diniego del Questore che, in presenza di condanne per reati di particolare gravità, ai fini della pericolosità sociale, si sia limitato a sottolineare, ai fini del diniego, la particolare gravità dei reati senza spiegare perché gli interessi familiari fossero stati considerati subvalenti rispetto alla sicurezza dello Stato. In particolari casi, connotati da condanne penali per reati di notevole gravità ed allarme sociale, l’obbligo di motivazione sul bilanciamento (con i legami familiari) può essere basato anche sulla gravità del reato, sussistendo una soglia di gravità oltre la quale il comportamento criminale, essendo oggettivamente intollerabile per il paese ospitante, non può mai bilanciarsi con quello privato alla vita familiare. Infatti, la valutazione di pericolosità sociale in concreto è implicitamente ma univocamente riferita alla condanna definitiva per fatti incompatibili con i principi costituzionali che impongono alla Repubblica di garantire la libertà, la dignità e l’integrità fisica di ogni persona (cfr. 26 febbraio 2020, n. 1415;29 novembre 2019, n. 8175;29 marzo 2019, n. 2083;19 febbraio 2019, n. 1161;4 maggio 2018 n. 2654).
Per tali motivi, anche l’attività lavorativa svolta dall’appellante non è in grado di modificare le sorti del giudizio espresso dalla Questura.
Infine, è irrilevante la circostanza, più volte richiamata dall’appellante a supporto del proprio argomentare, di aver subito una unica condanna risalente nel tempo, essendo la stessa sufficiente a dimostrare la pericolosità del soggetto se di particolare gravità, quale è quella del signor -OMISSIS-.
3. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere respinto.
Le spese possono essere compensate stante l’assenza di difese scritte da parte delle amministrazioni appellate.