Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-06-25, n. 201403208
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N. 03208/2014REG.PROV.COLL.
N. 08871/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8871 del 2013, proposto da:
Ministero dell'Interno in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
U.T.G. - Prefettura di Caserta, in persona del Prefetto
pro tempore
rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
contro
Calcestruzzi Volturnia Inerti Srl in persona del legale rappresentante
pro tempore
, A C, rappresentati e difesi dall'avv. Luigi Ricciardelli, con domicilio eletto presso Renato Pedicini in Roma, via F. D'Ovidio, 83;
nei confronti di
Italferr Spa;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI SEZIONE I n. 01901/2013, resa tra le parti, concernente informativa interdittiva antimafia
Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Calcestruzzi Volturnia Inerti Srl e di A C;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2014 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Ricciardelli e dello Stato Saulino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’atto introduttivo del giudizio, notificato il 22.8.2012 e depositato il 6.9.2012, la Calcestruzzi Volturnia Inerti S.r.l. ed il sig. C A, che rivestiva la carica di amministratore unico della stessa società fino all’11.7.2012, avevano impugnato davanti al T Campania, sede di Napoli, l’informativa antimafia prot. n. 702/12b/ANT/Area 1^ del 17.7.2012 emessa dal Prefetto di Caserta, comunicata in data 1.8.2012 dalla s.p.a. Società Italiana per Condotte d’Acqua, su segnalazione della s.p.a. Italferr.
A sostegno della domanda di annullamento del provvedimento lesivo venivano dedotti vizi di violazione dell’art.4 del d.lgs. 8.8.1994, n. 490 e di eccesso di potere per errore di fatto, carenza di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà ed ingiustizia manifesta.
Il Ministero dell’Interno si costituiva in giudizio depositando documenti e concludendo con richiesta di reiezione del ricorso per l’infondatezza delle censure.
Gli atti posti a base del provvedimento ed in particolare, il verbale del GIA di Caserta del 13.7.2012, contenente la proposta dell’interdittiva, nonché la relazione della stessa Prefettura del 4.9.2012, venivano gravati con motivi aggiunti depositati il 31.10.2012.
Nella camera di consiglio del 7 novembre 2012, con ordinanza n.1513, il T accoglieva la domanda cautelare ai fini del riesame del provvedimento impugnato.
A seguito del deposito della nota prefettizia del 13.12.2012, con cui l’autorità di pubblica sicurezza confermava le precedenti determinazioni, e dell’allegata relazione informativa del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta del 28.11.2012, la società ricorrente proponeva ulteriori motivi aggiunti depositati il 6.3.2013.
Alla pubblica udienza del 20.3.2013 la causa veniva trattenuta per la decisione.
Il T, dopo avere ricostruito i tratti distintivi della informativa prefettizia antimafia di cui agli artt. 4 del d.lgs. n. 490/1994 e 10 del d.P.R. n. 252/1998, come delineati dalla giurisprudenza amministrativa, riteneva che meritassero accoglimento le censure di difetto dei presupposti, carenza di istruttoria e di motivazione dedotte nei due ricorsi per motivi aggiunti, mosse nei confronti dell’operato della Prefettura di Caserta.
Infatti, per il T, l’istruttoria svolta dalla amministrazione aveva mancato di rilevare che il suindicato C A, dopo essere stato tratto in arresto, era stato scarcerato con ordinanza di riesame pronunciata in data 15.7.2011 (dunque antecedentemente al verbale del Gruppo Ispettivo Antimafia del 13.7.2012, ove non si fa alcuna menzione del detto provvedimento).
L’organo del riesame, nell’annullare la misura cautelare in precedenza adottata, aveva ritenuto insufficienti gli elementi raccolti a supporto del quadro indiziario posto a base dell’accusa per il mancato riscontro dei fatti denunciati, anche in relazione al grado di attendibilità del denunciante, tale M. P., coindagato in procedimento connesso. Neppure risultava valutato il fatto che quest’ultimo M.P. era stato rinviato a giudizio con decreto del GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in data 7.2.2012, in relazione al delitto di cui all’art.368 c.p., per avere falsamente denunziato lo smarrimento di due assegni, per un importo complessivo di € 11.000,00, ed incolpato il giratario (ossia il già nominato C A) pur sapendolo innocente.
Per il T, i rilevati vizi istruttori non erano stati superati neppure dopo l’ordinanza di riesame pronunciata dalla Sezione in sede cautelare in quanto anche l’ultima nota prefettizia (del 13.12.2012) gravata con l’ultima serie di motivi aggiunti, lungi dall’operare un’effettiva rivalutazione degli elementi sopra segnalati si era limitata a confermare il precedente esito, valorizzando fatti non attuali (accaduti nel periodo 1999-2003), riferiti a soggetto diverso (C P, padre di C A) e privi, pertanto, di concreta significatività circa possibili tentativi di infiltrazione della criminalità aventi lo scopo di condizionare le scelte dell'impresa.
In conclusione, ritenendo la informativa impugnata affetta dai denunciati vizi di carenza di istruttoria e di motivazione, il T annullava gli atti impugnati compensando le spese del giudizio.
Nell’atto di appello il Ministero evidenzia che :
-permaneva nei confronti del signor C A la contestazione dei reati di cui agli artt. 81 cpv, 110, 629 in relazione all’art.628 n.1 e 3 c.p., art.7 legge 203/90, commesso al fine di favorire il “clan dei casalesi”;
- C P, padre di C A, come era emerso dalle indagini nel procedimento penale n.36856/2001 del Tribunale di Napoli, risultava contiguo alla sopradetta associazione malavitosa “clan dei casalesi”, tale elemento, sia pure risalente, non era stato in un primo momento evidenziato nel provvedimento impugnato per rispetto del segreto istruttorio;
-la contiguità con il sopradetto “clan dei casalesi” investiva la intera famiglia di C A, circostanza riferita anche dal giudice del riesame nell’ordinanza del Tribunale di Napoli del 15.7.2011 in relazione alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia;
-il consiglio di amministrazione della società, sino ad aprile 2004 era composto dal C A in qualità di presidente e C P (padre) in qualità di consigliere e sino al maggio 2004 il capitale sociale era ripartito tra C P e Aniello;dal luglio 2004 la compagine sociale era costituita da C A. e sua madre.
Il quadro indiziario presentava quindi elementi di una qualificata probabilità di pericolo di infiltrazione mafiosa tale da giustificare i provvedimenti interdittivi impugnati.
Si sono costituiti la s.r.l. Calcestruzzi Volturnia Inerti e il sig. C A per resistere all’appello evidenziando che la interdittiva antimafia impugnata con il ricorso principale si fondava solo sulla esistenza della ordinanza di custodia cautelare a carico di C A nell’ambito del procedimento penale 20550/2010 RN e che anche la difesa dell’amministrazione, negli scritti difensivi, aveva evidenziato che, caduta la misura di custodia cautelare, veniva a cadere l’unico presupposto sul quale la informativa si fondava.
Inoltre per gli appellati l’appello del Ministero dell’Interno sarebbe inammissibile perché non esisterebbe affatto una seconda informativa antimafia e quella impugnata con il primo ricorso è stata annullata per una illegittimità cui l’appellante non muove alcuna contestazione;a tale fine i resistenti eccepiscono la formazione del giudicato.
Gli appellati sostengono poi che nessuno degli asseriti elementi ulteriori che, a dire del Ministero appellante non sarebbero stati esaminati dal T e quindi vizierebbero la sentenza appellata, in realtà sarebbero da porsi a carico di C A e della società Calcestruzzi Volturnia Inerti.
Non avrebbe alcun supporto probatorio il fatto che, nell’ambito di un procedimento penale del 2001, un collaboratore di giustizia avrebbe riferito che nel corso di un colloquio, un capoclan della zona avrebbe definito il padre del signor C A “proprio compare”, trattandosi di notizia senza peso indiziario.
Quanto alla denunzia della Digos di Frosinone, nei confronti dell’appellato e dei suoi familiari, alla Procura della Repubblica di Roma, per vicinanza a sodalizi malavitosi, il Prefetto non avrebbe dato conto della archiviazione della denunzia su iniziativa del PM e della ordinanza cautelare n.797/2001 con cui la Sezione VI° del Consiglio di Stato ha preso atto della nota prefettizia che evidenziava la insussistenza di cause interdittive ed accolto l’appello cautelare.
Nella memoria da ultimo depositata la società appellata e il signor C A evidenziano che nelle more del giudizio, il GIP presso il Tribunale di Napoli, su conforme istanza del PM, ha disposto, in data 17.2.2014, l’archiviazione del procedimento n.12366/12 GIP.
Alla pubblica udienza del 5 giugno 2014 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. La Sezione ritiene di richiamare, sia pure brevemente, gli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza in materia di interdittive antimafia.
Con riferimento alla cd. interdittiva antimafia "tipica", prevista dall’art. 4 del D. Lgs. n. 490 del 1994 e dall’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (ed oggi dagli articoli 91 e segg. del D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) questa Sezione (sentenze n. 5995 del 12 novembre 2011 e n. 5130 del 14 settembre 2011) ha affermato:
- che l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;
- che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l’interdittiva prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;
- che tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
- che, essendo il potere esercitato, espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;
- che anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;
- che di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti;
- che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.
2. Ciò premesso occorre verificare se, tenute presenti le sopra esposte coordinate interpretative, l’interdittiva oggetto del presente giudizio risulti giustificata dagli elementi indiziari che erano stati indicati nel relativo provvedimento dal Prefetto di Caserta e nei successivi atti depositati.
Il T Campania ha ritenuto che gli elementi indicati nella interdittiva fossero privi di concreta significatività circa possibili tentativi di infiltrazione della criminalità aventi lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa, trattandosi di fatti non attuali e perché riferiti a soggetto diverso, in specie a C P, padre dell’odierno appellato A C.
3. Tali conclusioni del T non vengono condivise dalla Sezione e la sentenza deve essere riformata.
A tale fine occorre avere riguardo, contrariamene a quanto sostenuto dagli appellati, alle risultanze della istruttoria considerate unitariamente e, conseguentemente, non solo a quanto dichiarato nella interdittiva del 17.7.2012, ma anche agli elementi indiziari di cui il Prefetto ha potuto tenere conto al momento della sua adozione, sia pure nella stessa interdittiva non evidenziati per esigenze di segretezza o di segreto istruttorio. In concreto, tralasciando il procedimento penale instaurato nei confronti di C A e risoltosi con l’archiviazione, a torto il giudice di prime cure non ha attribuito rilievo a quanto emerso nel corso delle indagini relative al procedimento penale n.36856/2001 R.G.N.R., mod. 21 della D.D.A del Tribunale di Napoli, in cui era emersa la contiguità di C P, padre di C A, con il “clan dei casalesi” in relazione ai rapporti intercorsi con P A, capo zona nel comune di Recale e zone limitrofe.
Tale elemento, pure preso in considerazione dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta ai fini della emissione della informativa di cui è causa, veniva rivelato solo con la nota del 28.11.2011, redatta all’esito della ordinanza cautelare del T, pure riguardando, si ripete, fatti antecedenti alla emissione del provvedimento interdittivo impugnato.
Nella nota del 28.11.2012 il Comando Provinciale di Caserta dei Carabinieri evidenzia che:
- C A, figlio di C P veniva sottoposto il 24.11.2003 al regime detentivo degli arresti domiciliari per il reato di associazione a delinquere in concorso, finalizzata alla perpetrazione di reati connessi al settore dei rifiuti;
-il collaboratore di giustizia Piero Amodio, affiliato al “clan camorristico dei casalesi”, fazione Schiavone, aveva riferito che Antonio Perreca, capo dell’omonimo clan camorristico operante a Recale (condannato nel processo penale c.d. Spartacus II) aveva definito C P “proprio compare”;
-il collaboratore di giustizia Carmine Schiavone aveva dichiarato che in seno ai consorzi Cedic e Covin operavano soggetti contigui al “clan dei casalesi”;la società Calcestruzzi Volturnia Inerti s.r.l. aveva aderito al consorzio Cedic sin dal 1991 ed il suo cda era composto da C P e da suo figlio Antonio mentre l’altro figlio Aniello, odierno appellato, ne era il presidente.
-quanto al consorzio Covin, ad essa aveva aderito la D’Agostino s.r.l il cui cda era composto sempre da C P insieme a suo cognato Verone Luciano;
- C P, insieme ai figli Antonio, Aniello e Luigi, erano stati denunziati dalla Digos di Frosinone alla Procura della Repubblica di Roma per “ l’acquisizione e consolidamento del controllo egemonico del territorio da parte della associazione di tipo mafioso denominata “clan dei casalesi” . Dall’aprile 2004 il cda della società ricorrente era formato da C A (presidente), P e A (consiglieri) e sino al maggio 2004 la compagine sociale era costituita da C A (amministratore unico) e V G (madre).
Gli appellati contestano tali circostanze ed in specie si soffermano sulla risalenza nel tempo delle indagini, contestano il valore da attribuire alla affermazione del collaboratore di giustizia che il signor C P fosse un “ compare“ del capo clan locale sostenendo che trattasi di informazioni “ di terza mano” , prive di peso indiziario, contestano il valore da attribuire alla denunzia alla Digos di Frosinone alla Procura della Repubblica di Roma, in quanto in quella vicenda la denunzia era stata archiviata su richiesta dello stesso PM e del Questore di Caserta. Gli appellati evidenziano ancora che i rapporti con i Consorzi di cui sopra erano stati approfonditi e ritenuti di nessun peso indiziario, mentre il provvedimento di custodia cautelare nei confronti di C A non aveva alcuna relazione con l’attività della società appellata e di C A. Mancherebbe quindi il requisito dell’attualità e della riferibilità dei fatti contestati alle parti attinte dalla informativa interdittiva.
4. Rileva tuttavia la Sezione che per quanto emerga da elementi di carattere meramente indiziario, la famiglia C, nel corso di tutta la sua vita imprenditoriale, risulta in vario modo accomunata, vicina, se non contigua, con la realtà criminale gravitante nell’orbita di controllo del “ clan dei casalesi ” e che tali indizi provengono da elementi diversificati ed etrogenei, comunque concordanti.
Si tenga conto che per la natura degli intrecci del fenomeno mafioso nel contesto geografico particolarmente difficile in cui opera la società, il semplice decorso del tempo non assume un ruolo significativo e determinante per ritenere risolto ogni collegamento con ambienti malavitosi, tanto più tenuto conto dei legami di sangue con soggetti pregiudicati o inseriti nella medesima consorteria camorristica .
Quanto al fatto che gli elementi indiziari non avrebbero colpito direttamente C A ma il di lui padre Pietro, il T ha del tutto obliterato il fatto che la impresa Calcestruzzi Volturnia Inerti, in precedenza, era di proprietà degli unici soci Pietro ed Antonio C e che il collaboratore di giustizia Carmine Schiavone avesse dichiarato che in seno al consorzio Cedic in cui era presente la stessa impresa operavano soggetti contigui al “clan dei casalesi”.
Se è pacifico in giurisprudenza, che l’elemento parentale non possa da solo essere indice di influenza mafiosa, per cui le responsabilità penali di parenti non possono ricadere su un soggetto esente da mende, deve osservarsi che nel caso di specie la famiglia C era ed è legata da un intreccio continuo di affari che ha avuto per oggetto la attività imprenditoriale della Calcestruzzi Volturnia Inerti nel suo complesso, impresa che è rimasta, al di là delle vicende societarie che l’hanno riguardata ed in specie della donazione di P e A ad A C, sempre di proprietà della famiglia C.
Per cui in presenza di una società su base sociale esclusivamente familiare, non pare illogico presumere che i vincoli di sangue costituiscano il tessuto stesso della vita della impresa e per la costante contiguità con ambienti della malavita organizzata nel corso degli anni, il quadro indiziario presentava elementi di una qualificata probabilità di pericolo di infiltrazione malavitosa tale da giustificare i provvedimenti interdittivi impugnati.
5. In conclusione l’appello merita accoglimento e per l’effetto, in riforma della sentenza del T, il ricorso di primo grado ed i successivi motivi aggiunti devono essere respinti.
6. Attesa l’andamento e la peculiarità della vicenda contenziosa spese ed onorari possono essere compensati.