Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-01-11, n. 201600038

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-01-11, n. 201600038
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201600038
Data del deposito : 11 gennaio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03405/2011 REG.RIC.

N. 00038/2016REG.PROV.COLL.

N. 03405/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3405 del 2011, proposto da
Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12

contro

G.R.E. - Grossisti Riuniti Elettrodomestici S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati L M, L M, P P e P T, con domicilio eletto presso L M in Roma, Via Panama 58

per la riforma della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione I, n. 1733/2011


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della G.R.E. - Grossisti Riuniti Elettrodomestici s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2015 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato dello Stato D'Avanzo e l’avvocato Mazzarelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO

Le circostanze all’origine della presente controversia vengono definite nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio e del provvedimento impugnato in primo grado.

Nei mesi di febbraio, marzo e aprile 2008 pervenivano all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in poi: “l’Autorità appellante” o: “l’AGCM”) diverse segnalazioni con cui alcuni consumatori contestavano ( inter alia ) alla società G.R.E. (la quale opera nel settore del commercio al dettaglio di articoli casalinghi, elettrodomestici e di elettronica di consumo attraverso il marchio “Trony”) l'esistenza di informazioni incomplete o di omissioni informative, sia nella fase promozionale che in quelle precontrattuale e di conclusione del contratto, nell'ambito della concessione di finanziamenti “ a tasso zero ” (e/o “ a interessi zero ”) finalizzati all'acquisto di prodotti in vendita, tra l’altro, presso i propri punti vendita.

In particolare, nelle segnalazioni i consumatori lamentano la presunta scorrettezza della condotta posta in essere dalla società finanziaria che, a fronte di quanto affermato nell’ambito di diverse campagne pubblicitarie e promozionali volte a pubblicizzare la possibilità di finanziare a tasso zero la spesa prevista per l’acquisto dei prodotti in vendita presso centri appartenenti alla catena “Trony”, avrebbe richiesto ai consumatori oneri economici aggiuntivi con contestuale emissione di una carta di credito a loro intestata.

Dai contratti Findomestic allegati alle denunce si evinceva che all’atto della concessione del finanziamento i consumatori avessero richiesto l’apertura di una linea di credito con carta “Aura” su conto corrente bancario e l’utilizzo della stessa per il pagamento del bene di consumo acquistato presso i centri commerciali “Trony”, con addebito delle rate del finanziamento pattuite sulla linea di credito e con conseguente pagamento di oneri economici aggiuntivi.

Con ulteriori denunce era stata segnalata la circostanza dell’invio da parte di Findomestic della carta “Aura” in assenza di qualsiasi rapporto contrattuale in essere con la società finanziaria.

In data 17 settembre 2008 veniva avviato il procedimento istruttorio PS/612 e, nella medesima data, vista la comunicazione di avvio del procedimento, l’Autorità deliberava di autorizzare ispezioni, ai sensi dell’articolo 27, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 206 del 2005, presso le sedi delle società Findomestic Banca S.p.A. e G.R.E. S.p.A.

All’esito dell’istruttoria l’Autorità appellante adottava il provvedimento in data 12 marzo 2009 con il quale (ai fini che rilevano) deliberava che:

a) la pratica commerciale descritta al punto II, lettere b), e d) posta in essere dalle società Findomestic Banca S.p.A. e G.R.E. S.p.A., costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 20, 21, 22, 24, 25, lettera a), del Codice del consumo , e ne vietava l’ulteriore diffusione;

b) la pratica commerciale descritta al punto II, lettere e) ed f), del provvedimento, posta in essere dalle società Findomestic Banca S.p.A. e G.R.E. S.p.A., costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21, 22, 24, 25, lettera a), del Codice del consumo , e ne vietava l’ulteriore diffusione;

c) alla società Findomestic Banca S.p.A. fosse irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria di 215mila euro (duecentoquindicimila euro) per la pratica commerciale di cui alle lettere a), b), c) e d) del punto II e una sanzione amministrativa pecuniaria di 215mila euro (duecentoquindicimila euro) per la pratica commerciale di cui alle lettere e) ed f) del punto II;

d) ( omissis );

e) alla società G.R.E. S.p.A. fosse irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria di 95mila euro per la pratica commerciale di cui alle lettere b) e d) del punto II e una sanzione amministrativa pecuniaria di 95mila euro per la pratica commerciale di cui alle lettere e) ed f) del punto II.

Il provvedimento sanzionatorio veniva impugnato dalla società G.R.E. dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio (ricorso n. 4695/2009) il quale accoglieva in parte il ricorso e rideterminava nella più favorevole misura di 95mila euro la sanzione complessiva da irrogare alla medesima società.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dall’AGCM la quale ne ha lamentato l’erroneità sotto diversi profili.

Con un primo motivo (“ Sulla discrepanza tra atto di avvio e provvedimento di chiusura dell’istruttoria ”) l’Autorità chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno ravvisato la discrasia che sussisterebbe fra: i ) le contestazioni formulate in sede di avvio del procedimento per ciò che riguarda l’“Offerta B / Condotta B” (avente ad oggetto l’apertura di una linea di credito utilizzabile con carta di credito e inizialmente configurata solo come pratica commerciale scorretta) e ii ) le determinazioni finali inerenti tale offerta / condotta (nel cui ambito l’Autorità avrebbe contraddittoriamente rilevato anche l’esistenza di una condotta commerciale aggressiva).

Al riguardo l’Autorità osserva che, se i primi Giudici avessero esaminato in modo adeguato la documentazione in atti, avrebbero necessariamente dovuto concludere nel senso che la condotta oggetto di contestazione avesse riguardo sin dall’inizio a profili di ingannevolezza e di aggressività;

Con il secondo motivo (“ Sull’individuazione di due autonome pratiche commerciali scorrette ”) l’Autorità chiede la riforma della sentenza in epigrafe:

- sia per la parte in cui (e da un punto di vista procedurale) ha contestato all’Autorità di non aver rilevato sin dall’avvio del procedimento la presunta esistenza di due distinte pratiche commerciali;

- sia per la parte in cui (e dal punto di vista del merito della questione) ha contestato la stessa scelta di individuare due distinte pratiche commerciali (in assenza di indici effettivi che deponessero in questo senso).

Si è costituita in giudizio la società G.R.E. la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

La società in questione ha altresì proposto appello incidentale per ottenere la riforma del capo della sentenza con cui è stata comunque confermata la sussistenza di una pratica commerciale scorretta in relazione alle condotte dinanzi richiamate.

I motivi in questione sono sostanzialmente reiterativi dei motivi del ricorso principale già articolati in primo grado e dichiarati (parzialmente) infondati dal primo giudice.

Alla pubblica udienza del 20 ottobre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in poi: “l’Autorità appellante” o: “l’AGCM”) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio con cui è stato accolto in parte il ricorso di G.R.E. - Grossisti Riuniti Elettrodomestici S.p.a., società attiva nel settore della distribuzione di elettrodomestici e di elettronica di consumo e, per l’effetto, è stata rideterminata la sanzione irrogata alla stessa con provvedimento in data 12 marzo 2009 a fronte di alcune pratiche commerciali ritenute scorrette e aggressive aventi ad oggetto: i ) le campagne pubblicitarie inerenti il finanziamento “ a tasso zero ” per l’acquisto di prodotti presso i punti vendita a marchio “Trony”; ii ) l’apertura di linee di credito con carta per i medesimi acquisti; iii ) la concessione di crediti ‘classici’ finalizzati, con contestuale concessione di una linea di credito, per le medesime finalità.

2. Il Collegio rileva che ragioni di preminenza logica richiedono di esaminare in via prioritaria l’appello incidentale articolato dalla società G.R.E. al fine di ottenere, in parziale riforma della sentenza di primo grado, l’integrale annullamento del provvedimento sanzionatorio in data 12 marzo 2009.

E’ evidente al riguardo che l’eventuale accoglimento dell’appello incidentale, comportando l’integrale caducazione della determinazione sanzionatoria, assorbirebbe la questione relativa alla determinazione del quantum ( i.e .: la questione sulla quale si incentra l’appello principale proposto dall’AGCM).

3. L’appello incidentale è infondato.

3.1. Al riguardo il Collegio premette che l’impianto accusatorio trasfuso nel provvedimento impugnato in primo grado (e fatto salvo nelle sue linee generali dall’Autorità con il provvedimento sanzionatorio del 12 marzo 2009) risulti nel su complesso persuasivo e adeguatamente supportato dalle risultanze in atti.

Ed infatti, sulla base degli atti dell’istruttoria l’Autorità ha condivisibilmente statuito che alla società G.R.E. (in quanto responsabile del marchio commerciale ‘Trony’) fossero addebitabili in qualità di coautrice (articolo 5 della legge 24 novembre 1981, n. 689, recante ‘ Modifiche al sistema penale ’) una serie di condotte ascrivibili al genus delle pratiche commerciali scorrette di cui al Titolo III, Capo II del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 106 (‘ Codice del consumo ’) e segnatamente:

1) l’aver contribuito alla conclusione di contratti di finanziamento senza informare adeguatamente i consumatori sulla circostanza che l’importo del finanziamento richiesto per l’acquisto di specifici prodotti in vendita presso i punti vendita Trony sarebbe stato addebitato, come primo utilizzo, su una linea di credito contestualmente aperta utilizzabile mediante carta di credito, per la quale sono previsti oneri economici aggiuntivi rispetto al credito finalizzato classico (emissione e invio estratto conto, quota associativa ecc.), secondo quanto previsto alle lettere a), b), c) e d) del punto II del provvedimento in data 12 marzo 2009;

2) l’aver contribuito alla conclusione di contratti di finanziamento finalizzato classico senza informare adeguatamente i consumatori che la sottoscrizione del contratto avrebbe comportato la contestuale richiesta di concessione di una linea di credito c.d. ‘ revolving’ a tempo indeterminato, utilizzabile anche mediante carta, e senza aver preventivamente acquisito, in modo chiaro e inequivocabile, il consenso del consumatore all’apertura della linea di credito stessa (secondo quanto previsto alle lettere e) ed f) del medesimo punto II).

Nel prosieguo della presente decisione si esaminerà la questione se il complesso delle condotte dinanzi richiamate sub 1) e 2) fosse riconducibile a due distinte pratiche commerciali (come ritenuto dall’Autorità) ovvero a una sola pratica (come ritenuto dal primo giudice).

3.2. Tanto premesso dal punto di vista generale, il Collegio considera che non può essere condiviso il primo motivo dell’appello incidentale (reiterativo di analogo motivo già articolato con il primo ricorso e accolto solo parzialmente dal Tribunale amministrativo regionale).

Con il motivo in questione la società G.R.E. ha osservato che il Tribunale amministrativo non avrebbe dovuto limitarsi ad accogliere solo in parte il primo motivo del ricorso di primo grado (sulla rilevata sussistenza di un vizio di carattere procedimentale inerente il contenuto della comunicazione di avvio), ma avrebbe dovuto accoglierlo in toto .

In particolare, il primo giudice avrebbe erroneamente respinto l’argomento basato sulla violazione delle prerogative procedimentali del professionista sottoposto al procedimento istruttorio in ragione del fatto che allo stesso non viene reso noto il contenuto della comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI) prima che la stessa sia portata all’esame del Collegio per le determinazioni sanzionatorie finali.

3.2.1. Il motivo, nel suo complesso, non può trovare accoglimento.

3.2.1.1. Si osserva in primo luogo al riguardo che gli articoli 6 e 16 del Regolamento dell’AGCM sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette (approvato con delibera dell’Autorità 15 novembre 2007 n. 17589 e ratione temporis rilevante nella presente vicenda contenziosa) neppure prevede in via necessaria la predisposizione di una comunicazione delle risultanze istruttorie (diversamente da quanto previsto in materia Antitrust dall’articolo 14 del d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217 – ‘ Regolamento recante norme in materia di procedure istruttorie di competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ’ – secondo cui la predisposizione di tale documento è resa obbligatoria, così come la sua trasmissione all’incolpato).

Occorre al riguardo verificare:

i ) se la mancata previsione, nell’ambito del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, della predisposizione e comunicazione all’interessato della comunicazione delle risultanze istruttorie, implichi una violazione dell’articolo 27, comma 11 del ‘ Codice del comsumo ’ (secondo cui “ [l’Autorità], con proprio regolamento disciplina la procedura istruttoria, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione ”);

ii ) se, a prescindere dalla legittimità in parte qua del Regolamento del 15 novembre 2007, laddove nei procedimenti istruttori in tema di pratiche commerciali scorrette la CRI sia stata comunque predisposta, la sua mancata comunicazione al professionista incolpato comporti comunque una violazione delle generali prerogative partecipative di cui alla l. 7 agosto 1990, n. 241.

Al quesito sub i ) deve essere fornita risposta negativa.

Al riguardo il Collegio richiama il condiviso orientamento formulato in relazione a procedimenti in tema di abuso di mercato ( market abuse) , le cui statuizioni di principio possono trovare applicazione anche nella presente vicenda Quell’orientamento rileva il carattere polisemico della nozione di “contraddittorio”, che in sé può riferirsi a una pluralità di livelli, più o meno intensi, di garanzie e che non è riconducibile a un modello costante e uniforme.

In ogni ambito, le garanzie del contraddittorio non costituiscono un insieme predefinito e costante di poteri, doveri e facoltà attribuiti alle parti all’interno del procedimento amministrativo. Esse sono invece suscettibili di variazioni e adattamenti, in funzione del tipo di procedimento e degli interessi in gioco (in tal senso: Cons. Stato, VI, 26 marzo 2015, n. 1596).

Diverse sono anche le funzioni generali del contraddittorio: funzione di garanzia del diritto di difesa, di partecipazione in funzione collaborativa, di rappresentanza degli interessi ( ivi ).

Il più intenso livello di contraddittorio è quello previsto dalla legge processuale: il contraddittorio ‘orizzontale e paritario’ (contraddittorio tra due parti in posizioni di parità rispetto ad un decidente terzo e imparziale), con il diritto, in capo a ogni soggetto interessato, di interloquire in ogni fase del procedimento.

La sentenza da ultimo richiamata ha condivisibilmente statuito che il contraddittorio procedimentale (quello che si svolge nell’ambito dei procedimenti amministrativi) è, invece, normalmente di tipo verticale (contraddittorio tra l’interessato sottoposto e l’Amministrazione titolare del potere e collocata, quindi, su un piano non paritario) ed ha essenzialmente una funzione collaborativa e partecipativa, piuttosto che difensiva.

Ha prevalentemente queste caratteristiche (più partecipativa che difensiva) il contraddittorio della legge 7 agosto 1990, n. 241 (“ Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi ”), la quale detta una disciplina generale destinata ad applicarsi, salvo discipline speciali, ad ogni procedimento amministrativo.

Ritiene il Collegio che non vi sono dati o ragioni per ritenere che (in assenza di univoci indici normativi in senso contrario) la tipologia di contraddittorio richiamata dall’articolo 27, comma 11 del Codice del consumo sia caratterizzata da presidi procedimentali ulteriori e diversi rispetto a quelli ‘di tipo verticale’ della l. n. 241 del 1990;
e che, in particolare, la mancata previsione regolamentare dello strumento della CRI (e della sua necessaria comunicazione al professionista incolpato) costituisca indice di violazione di ineludibili prerogative procedimentali.

3.2.1.2. Per ragioni analoghe deve rispondersi negativamente anche al quesito sub ii ) (relativo al se la mancata comunicazione delle CRI che siano state comunque predisposte, pur nel silenzio sul punto da parte del Regolamento del novembre 2007, comporti un error in procedendo tale da determinare l’integrale caducazione della serie procedimentale).

Si osserva al riguardo che le prerogative procedimentali comunque assicurate dal richiamato Regolamento (nonché l’ampia garanzia del contraddittorio ivi assicurata, al pari della piena conoscenza della pertinente documentazione istruttoria) sono comunque idonee ad assicurare in modo adeguato le garanzie procedimentali proprie di un contraddittorio di carattere verticale, senza che la mancata previa trasmissione delle CRI possa determinare effetti vizianti o caducanti.

3.2.2. Si osserva, poi, che è priva di fondamento la tesi dell’appellante incidentale secondo cui l’obbligo di comunicare al professionista incolpato la CRI sarebbe desumibile in via sistematica dalla previsione di cui all’articolo 10- bis della l. n. 241 del 1990 in tema di c.d. ‘preavviso di rigetto’.

Al riguardo ci si limita ad osservare (come già condivisibilmente rilevato dal primo giudice) che l’applicazione della previsione in tema di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza trova applicazione (per espressa previsione di legge) solo “ nei procedimenti ad istanza di parte ” e che non si rinvengono ragioni per predicarne l’applicazione anche nell’ambito dei procedimenti sanzionatori, i quali restano assoggettati a una disciplina di specie anche per ciò che concerne il (pur necessario) rispetto delle garanzie procedimentali e partecipative dell’incolpato: tanto indipendentemente da ogni ulteriore considerazione sulle esigenze di speditezza ed immediatezza dell’esercizio della funzione sanzionatoria e dalla specifica funzione dell’eventuale, apposita opposizione davanti al giudice.

3.3. Con il secondo motivo (anch’esso sostanzialmente reiterativo di analogo motivo già articolato in primo grado e respinto dal Tribunale amministrativo) la società G.R.E. chiede la riforma della sentenza per la parte in cui è stata omessa qualunque valutazione in ordine (quanto meno) all’idoneità delle condotte contestate in relazione a entrambe le pratiche commerciali scorrette a falsare il comportamento economico del consumatore, inducendolo ad assumere decisioni di natura commerciale che non avrebbe assunto in assenza della pratica in contestazione.

Secondo l’appellante incidentale, il primo giudice avrebbe omesso di considerare che il provvedimento sanzionatorio fosse in parte qua affetto da profili di carenza di motivazione e di difetto di istruttoria, per non avere in particolare osservato:

- che (nell’ambito della prima pratica commerciale) le ulteriori spese connesse all’apertura di una linea di credito da utilizzarsi mediante carta di credito presentano comunque un carattere “ meramente accessori[o] ”;

- che (nell’ambito della seconda pratica commerciale in contestazione) l’effettiva apertura di una linea di credito ‘ revolving’ a tempo indeterminato fosse comunque soggetta a una previa espressione di volontà in tal senso da parte del consumatore, il cui comportamento commerciale non avrebbe in alcun caso potuto essere coartato.

3.3.1. Il motivo nel suo complesso è infondato.

3.3.2. Al riguardo il primo giudice ha condivisibilmente affermato che la struttura delle pratiche commerciali in contestazione ( rectius : dell’unica pratica commerciale, secondo quanto fra breve si dirà) fosse davvero idonea ad alterare il libero convincimento del consumatore di riferimento e ad indurlo a decisioni commerciali che non avrebbe verosimilmente assunto laddove fosse stato correttamente informato dal professionista.

In particolare:

- per quanto riguarda la prima pratica ( rectius : il primo aspetto della pratica unitaria), l’Autorità (e in seguito il primo giudice) ha condivisibilmente contestato la conclusione di contratti di finanziamento senza che i consumatori fossero previamente e debitamente informati sulla circostanza che l’importo del finanziamento richiesto per l’acquisto sarebbe stato addebitato, come primo utilizzo, su una linea di credito contestualmente aperta utilizzabile mediante carta di credito, per la quale erano previsti oneri economici aggiuntivi rispetto al credito finalizzato classico (emissione e invio estratto conto, quota associativa ecc.);

- per quanto riguarda la seconda pratica, l’Autorità ha - del pari condivisibilmente – contestato che i contratti di finanziamento finalizzato classico fossero stati conclusi senza che i consumatori fossero previamente e adeguatamente informati che la sottoscrizione del contratto avrebbe comportato la contestuale richiesta di concessione di una linea di credito revolving a tempo indeterminato, utilizzabile anche mediante la carta di credito rotativo, e senza aver preventivamente acquisito, in modo chiaro e inequivocabile, il consenso del consumatore all’apertura della linea di credito stessa.

Contrariamente a quanto dedotto dall’appellante incidentale, l’Autorità ha adeguatamente esposto le ragioni per cui le richiamate condotte fossero idonee ad alterare il comportamento economico dei consumatori di riferimento.

In particolare, per quanto riguarda il complesso di condotte richiamate alle lettere b) e d) del punto II del provvedimento sanzionatorio (si tratta, in particolare, dell’‘offerta B’ di cui alla modulistica della società G.R.E.), l’Autorità ha correttamente rilevato che l’aver utilizzato espressioni decettive (quali “ interessi zero ” e “ vero tasso zero ”) riferite alla collocazione di prodotti finanziari i quali presentavano invece spese vive e sostanzialmente occulte (in quanto non evidenziate nel computo del TAEG) rappresentasse di per sé una circostanza idonea a falsare i convincimenti dei consumatori e ad indurli ad assumere comportamenti commerciali diversi da quelli che avrebbero verosimilmente assunto se fossero stati correttamente informati (in tal senso i punti da 27 a 31 e il punto 37 del provvedimento sanzionatorio impugnato in primo grado).

Per quanto riguarda, poi, il complesso di condotte richiamate alle lettere e) ed f) del punto II del provvedimento sanzionatorio (si tratta, in particolare, dell’‘offerta A’ di cui alla modulistica della società G.R.E.), l’Autorità ha del pari correttamente rilevato che le omissioni informative relative al fatto che la richiesta di credito finalizzato ‘classico’ comportasse la contestuale richiesta di concessione di una linea di credito ‘ revolving’ a tempo indeterminato (utilizzabile anche mediante carta), rappresentasse a sua volta un’omissione informativa rilevante (in quanto relativa all’oggetto stesso del contratto) e pertanto idonea a far assumere al consumatore una decisione che non avrebbe preso in assenza della contestata omissione informativa (in tal senso, i punti 32 e 37 del medesimo provvedimento sanzionatorio).

3.3.3. Anche per tale ragione il secondo motivo di appello non può trovare accoglimento.

3.4. Con il terzo motivo dell’appello incidentale la società G.R.E. lamenta che il primo giudice abbia erroneamente respinto il motivo con cui si era censurata la mancata valutazione, da parte dell’Autorità, dell’effettivo rispetto dell’obbligo di diligenza in concreto esigibile in capo all’impresa titolare del marchio ‘Trony’ ai sensi dell’articolo 1176, cpv., Cod. civ.

In particolare il primo giudice avrebbe erroneamente affermato che l’appellante non avesse operato secondo il grado di diligenza in concreto esigibile, ma che avesse attivamente concorso alla diffusione della pratica commerciale scorretta.

In tal modo decidendo il primo giudice avrebbe omesso di considerare che, al contrario, la società G.R.E. aveva sempre operato in modo corretto e diligente nell’ambito dei rapporti commerciali che la legavano alla società finanziaria Findomestic, restando correttamente nell’ambito dell’attività commerciale esercitata (di commercializzazione e vendita di prodotti) e pubblicizzando anche i servizi finanziari offerti da Findomestic solo dopo aver sottoposto all’approvazione della stessa Findomestic il contenuto di ogni singolo messaggio pubblicitario per ciò che riguarda i servizi finanziari espletati.

3.4.1. Il motivo è infondato in quanto, contrariamente a quanto affermato dall’appellante incidentale, l’Autorità prima e il primo giudice poi hanno correttamente individuato e valutato le circostanze che inducevano a individuare nella società G.R.E. il soggetto ‘coautore’ dell’illecito oggetto di sanzione.

In particolare, l’Autorità ha motivatamente osservato che l’operato della società G.R.E. (nella sua veste di coautore delle pratiche in contestazione) non palesasse “ il normale grado della specifica competenza ed attenzione ” che ragionevolmente ci si può attendere nei rispettivi settori di attività, con riferimento alla commercializzazione di prodotti finanziari (punto 36 del provvedimento sanzionatorio).

L’Autorità ha del pari motivatamente soggiunto al riguardo che “ con particolare riferimento alle società convenzionate [fra cui l’appellante incidentale, n.d.E.], la violazione della diligenza professionale appare acclarata dalla piena consapevolezza del tipo di prodotti finanziari che queste sono chiamate a proporre ai propri clienti ” (tale piena consapevolezza risultava confermata dalla circostanza per cui erano proprio gli addetti alla vendita del gruppo ‘Trony’ a gestire in concreto le procedure di finanziamento, conformemente agli accordi-quadro e alle altre pattuizioni stipulati con Findomestic).

Dal canto suo (e contrariamente a quanto affermato dall’appellante incidentale), il primo giudice ha correttamente individuato ed apprezzato il complesso delle circostanze che inducevano ad individuare in capo alla G.R.E. la qualifica di soggetto ‘coautore’ della pratica scorretta, anche sotto il profilo soggettivo.

In particolare, il Tribunale amministrativo ha osservato:

- che la qualificazione come soggetto ‘coautore’ (in quanto tale responsabile dell’illecito) discendeva dall’essere la G.R.E. committente dei messaggi pubblicitari oggetto di contestazione e dalla sicura conoscenza che essa aveva del contenuto e della natura delle operazioni finanziarie commercializzate presso i propri punti vendita;

- dalla circostanza per cui il contenuto specifico dei contratti di finanziamento era noto alla società G.R.E. in base agli accordi di collaborazione intercorsi con Findomestic e alla circostanza per cui la stessa appellante incidentale percepisse talune provvigioni in relazione al numero e alle caratteristiche dei contratti di finanziamento conclusi con la propria clientela e in favore della società finanziaria;

- dalla circostanza per cui in capo all’appellante incidentale fossero configurabili entrambi gli elementi che, in base a un condiviso orientamento, configurano una responsabilità in capo al soggetto coautore dell’illecito (si tratta: i ) della c.d. ‘responsabilità editoriale’ per il contenuto della pratica oggetto di contestazione; ii ) del diretto vantaggio economico connesso alla diffusione della pratica commerciale)

Al riguardo può essere pienamente condivisa l’affermazione del primo giudice secondo cui “ quand’anche volesse ritenersi che la ricorrente, pur a conoscenza, non avesse contezza degli esatti termini delle operazioni di finanziamento proposte, occorre rilevare che l’obbligo di diligenza (…)richiede che, in presenza di vantaggi economici derivanti dalla pratica commerciale, il soggetto che consegue comunque un vantaggio, come nel caso di specie il titolare dei punti commerciali dove sono effettuate le vendite e sottoscritti i contratti di finanziamento, si attivi concretamente e ponga in essere misure idonee per comprendere appieno le modalità ed il contenuto delle operazioni proposte ai consumatori, solo in presenza delle quali la responsabilità editoriale può essere esclusa essendosi l’operatore economico diligentemente attivato ” (pagina 19 della sentenza in epigrafe).

Concludendo sul punto, il motivo di appello in esame deve essere respinto in quanto il primo giudice ha correttamente individuato ed esaminato le ragioni in fatto e in diritto che inducevano ad individuare in capo alla società G.R.E. il soggetto ‘coautore’ della pratica contestata.

E, una volta individuata in capo all’appellante incidentale la qualifica di ‘coautore’ dell’illecito (in quanto tale, pienamente consapevole del contenuto e degli effetti della pratica commerciale che contribuiva ad eseguire e a diffondere), non può giungersi a conclusioni diverse da quelle sin qui rassegnate in relazione alla circostanza per cui le condizioni dei contratti di finanziamento fossero concretamente predisposte da altro coautore dell’illecito (la società Findomestic) e che l’appellante incidentale si limitasse ad eseguirne puntualmente il contenuto.

Al riguardo ci si limita a considerare che tali circostanze avvalorano la tesi dell’illecito in concorso e si limitano a confermare che, pur nell’ambito dell’unitarietà della fattispecie, i soggetti coinvolti vi contribuissero con apporti diversi, ma nondimeno finalizzati al conseguimento del medesimo risultato finale.

3.4.2. Anche per questo motivo il terzo motivo di appello non può trovare accoglimento.

3.5. Con il quarto motivo dell’appello incidentale la G.R.E. lamenta che il primo giudice, pur avendo in parte rideterminato l’importo della sanzione (riducendola dagli originari 190mila euro complessivi a 95mila euro), avrebbe erroneamente omesso di valutare le ulteriori circostanze che, ove adeguatamente apprezzate, avrebbero indotto ad irrogare alla stessa G.R.E. una sanzione ulteriormente ridotta.

In particolare, l’appellante incidentale lamenta che l’Autorità (e in seguito il primo giudice) avrebbero omesso di considerare:

- che, per quanto riguarda l’elemento della durata, la condotta imputabile alla G.R.E. non si fosse protratta per “ un periodo complessivo di un anno e mezzo ” (come contestato dall’AGCM), ma per un più beve periodo di circa sei mesi;

- che, per quanto riguarda l’elemento della gravità della violazione in relazione alle condizioni economiche degli operatori coinvolti, non era possibile assoggettare alla medesima sanzione di base la G.R.E. e la Mediamarket (titolare del marchio ‘MediaWorld’), stante la dimensione di impresa ben maggiore vantata da quest’ultima. Sotto questo aspetto, la scelta di assoggettare al medesimo trattamento sanzionatorio due entità imprenditoriali così differenziate presenterebbe ex se profili di contraddittorietà e disparità di trattamento.

3.5.1. Il motivo è infondato.

3.5.2. Va premesso al riguardo che (come correttamente stabilito dall’Autorità), ai sensi dell’articolo 27, comma 9, del Codice del consumo, con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da cinquemila a cinquecentomila euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione.

In ordine alla quantificazione della sanzione deve tenersi conto, in quanto applicabili, dei criteri individuati dall’articolo 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in virtù del richiamo previsto all’articolo 27, comma 13, del medesimo Codice: in particolare, del criterio della gravità della violazione (anche in relazione alla sua durata complessiva), dell’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione, della personalità dell’agente, nonché delle condizioni economiche dell’impresa stessa.

3.5.3. Tanto premesso dal punto di vista generale, si osserva che le deduzioni dell’appellante incidentale in relazione alla durata dell’illecito non possono essere condivise, dovendosi comunque confermare la correttezza dell’operato dell’Autorità la quale ha ritenuto che la pratica in questione fosse stata realizzata “ per un periodo prolungato ”.

3.5.3.1. Al riguardo è appena il caso di sottolineare che, nel periodo compreso fra agosto 2007 e settembre 2008 (pari, quindi, a circa tredici mesi), l’odierna appellante aveva effettuato e pubblicizzato sei promozioni nel cui ambito erano state pubblicizzate le pratiche commerciali oggetto di contestazione (punto 22 del provvedimento impugnato in primo grado).

Il che conferma puntualmente che anche per la società G.R.E. fosse corretto parlare di una condotta protrattasi per “ un periodo prolungato ”.

3.5.3.2. Per quanto riguarda, poi, i lamentati profili di illegittimità relativi alla quantificazione della sanzione per ciò che riguarda la diversa consistenza d’impresa rispetto all’altro operatore coinvolto (si tratta della società Mediamarket, titolare del marchio ‘Media World’), non possono parimenti essere condivisi.

Ed infatti, pur non potendosi sottacere la diversità dimensionale dei due operatori coinvolti, devono nondimeno essere considerati, ai fini del giudizio di congruità sanzionatoria:

- l’oggettiva gravità della condotta contestata a entrambi gli operatori (si tratta del parametro espressamente richiamato dall’articolo 27, comma 9 del Codice del consumo );

- la circostanza per cui, comunque, la sanzione infine irrogata all’appellante risulta di per sé congrua in termini assoluti, essendosi comunque attestata su un importo pari a meno di un quinto rispetto a quello della sanzione massima;

- l’oggettiva difficoltà di applicare il parametro della disparità di trattamento in relazione a determinazioni sanzionatorie il cui quantum deve comunque essere parametrato alle caratteristiche e alla condizioni di ciascuno degli operatori coinvolti.

3.6. Per le ragioni sin qui esposte l’appello incidentale della società G.R.E. deve essere respinto.

4. Può a questo punto essere esaminato l’appello principale proposto dall’AGCM.

4.1. L’appello è infondato.

Si osserva al riguardo che, anche a prescindere dalla fondatezza del primo motivo di appello (sul quale, comunque, si tornerà fra breve), l’avversata decisione del primo giudice di dimidiare il quantum della sanzione risulta adeguatamente fondata sulla base delle ragioni puntualmente esaminate nell’ambito del secondo motivo ( i.e .: sulla base della ravvisata sussistenza di un’unica condotta a fronte delle due distinte condotte ritenute sussistenti dall’Autorità).

4.1.1. In particolare (e anche a non sottolineare le violazioni di carattere procedimentale, pure efficacemente rilevate dal primo giudice in relazione al contenuto della comunicazione di avvio), la sentenza in epigrafe è meritevole di puntuale conferma per la parte in cui ha ritenuto

- che non fossero individuabili nel caso in esame due distinte pratiche commerciali scorrette (ciascuna delle quali riferibile a una singola offerta commerciale e a un singolo prodotto finanziario), tali da giustificare l’applicazione del c.d. ‘cumulo materiale’ delle sanzioni;

- ma che fosse individuabile una pratica commerciale di carattere unitario, la quale avrebbe giustificato l’irrogazione di una sola sanzione (nell’importo complessivo pari ad euro 95mila).

Sotto tale aspetto il primo giudice ha condivisibilmente stabilito che tutti i messaggi pubblicitari oggetto di contestazione erano indistintamente volti ad incentivare l’acquisto di prodotti presso i negozi a marchio ‘Trony’ approfittando delle condizioni di finanziamento asseritamente favorevoli (ma decettivamente rappresentate) di cui sarebbe stato possibile fruire attivando una delle due forme di finanziamento dinanzi descritte come ‘Offerta A’ e ‘Offerta B’.

Allo stesso modo, la sentenza in epigrafe è meritevole di puntuale conferma per la parte in cui il primo giudice ha stabilito che entrambe le forme di finanziamento (l’‘Offerta A’ consistente in un credito finalizzato ‘classico’ e l’‘Offerta B’ consistente nell’apertura di una linea di credito con carta) fossero egualmente finalizzate – sotto il profilo teleologico - al conseguimento di un medesimo obiettivo: quello di sollecitare l’acquisto di prodotti presso i punti vendita a marchio ‘Trony’ potendo avvantaggiarsi di favorevoli condizioni di finanziamento (che, tuttavia, venivano rappresentate in modo decettivo ai potenziali clienti).

Ed invero, la diversità fra le due forme di finanziamento non rappresenta (in relazione al complessivo atteggiarsi della vicenda e alle altre circostanze rilevanti nel caso di specie) un elemento tale da giustificare l’individuazione di due distinte pratiche commerciali, dovendosi – piuttosto – sottolineare il carattere funzionalmente e teleologicamente unitario dell’insieme delle attività prese in considerazione.

In definitiva, la circostanza secondo cui i due prodotti finanziari proposti in alternativa per l’acquisto dei prodotti venduti presso la società appellante presentassero caratteristiche e condizioni di fruizione diversi fra loro non costituisce ex se un elemento tale da giustificare l’enucleazione di due distinte pratiche commerciali laddove – come nel caso di specie – le ulteriori circostanze rilevanti deponessero in modo univoco nel senso del carattere unitario, benché complesso, della condotta posta in essere.

4.1.2. Né a conclusioni diverse da quelle appena rassegnate può giungersi in relazione alla circostanza (evidenziata dall’Autorità alla pagina 19 dell’appello) secondo cui alla società G.R.E. sia stato attribuito il ruolo di soggetto ‘coautore’ dell’illecito.

Tale circostanza, di per sé sola, non vale affatto a destituire di fondamento l’individuazione di una condotta nel suo complesso unitaria (con quanto ne consegue ai fini della determinazione del quantum sanzionatorio).

4.1.3. Allo stesso modo le richiamate conclusioni non possono essere revocate in dubbio in relazione alla scelta del primo giudice (invero, non del tutto persuasiva) di correlare il proprium della condotta vietata alla vendita di elettrodomestici (e non alla collocazione dei prodotti finanziari funzionale a tale vendita).

Ma, al di là della maggiore o minore persuasività della prospettazione offerta dal primo giudice, non ne viene comunque compromessa la correttezza delle valutazioni finali per ciò che riguarda l’individuabilità di una sola pratica commerciale scorretta oggetto possibile di sanzione.

4.2. Le osservazioni svolte sub 4.1. sono di per sé idonee a comportare la reiezione dell’appello dell’Autorità in relazione alla disposta dimidiazione del quantum sanzionatorio.

4.2.1. Ai limitati fini che qui rilevano si osserva, comunque, che è parimenti infondato il primo motivo dell’appello principale (con il quale, come anticipato in narrativa, si è contestato il parziale accoglimento del motivo di ricorso con il quale si era lamentata la discrasia fra il contenuto della comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio e quello della determinazione sanzionatoria conclusiva).

4.2.2. Al riguardo il primo giudice ha osservato (in modo correttamente fondato sulle risultanze in atti) che:

- mentre il carattere potenzialmente aggressivo e ingannevole della pratica commerciale sub d) (apertura di una linea di credito con carta) era stato contestato già in sede di comunicazione di avvio (per poi essere coerentemente confermato in sede di provvedimento conclusivo);

- al contrario, per quanto riguarda l’attività di contenuto sostanzialmente pubblicitario di cui al punto b), in sede di comunicazione di avvio ne era stato ravvisato soltanto il carattere potenzialmente ingannevole, mentre soltanto con il provvedimento sanzionatorio finale vi era stato ravvisato anche il carattere dell’aggressività.

Sotto tale aspetto, non può essere condivisa la tesi dell’Autorità appellante la quale:

- per un verso conferma (in via sostanzialmente confessoria) che in sede di comunicazione di avvio, per ciò che riguarda la condotta b), ne era stata contestata solo la potenziale ingannevolezza, mentre

- per altro verso tenta di giustificare ex post l’incongrua impostazione del provvedimento conclusivo, affermando che sia la condotta – per così dire – ‘pubblicitaria’ richiamata sub b ), sia la condotta più strettamente contrattuale richiamata sub d ) “ confluissero a costituire un’unica pratica commerciale scorretta sia ingannevole che aggressiva ” (pagina 11 del ricorso in appello).

A tacere d’altro, tale prospettazione non dà adeguatamente conto delle ragioni che avevano indotto (il che è pacifico in atti) l’Autorità a formulare inizialmente due contestazioni e due qualificazioni giuridiche differenziate in relazione alle due richiamate condotte.

5. Per le ragioni dinanzi esposte l’appello principale dell’AGCM e l’appello incidentale della società G.R.E. devono essere respinti.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del doppio grado fra le parti, anche in considerazione della reciproca soccombenza (art. 92, cpv., Cod. proc. civ.).

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