Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-07-13, n. 201004544
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N. 04544/2010 REG.DEC.
N. 02472/2010 REG.RIC.
N. 03852/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 2472 del 2010, proposto dal Comune di Roma, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti N S, A R e Luigi D’Ottavi, ed elettivamente domiciliato presso l’avvocatura comunale in Roma, via del Tempio di Giove n. 21, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;
contro
Pisana s.r.l. e Parsitalia s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’avv. G V, ed elettivamente domiciliate, unitamente al difensore, presso lo Studio Amministrativisti in Roma, viale Mazzini n. 11, come da mandato a margine della comparsa di costituzione;
nei confronti di
Regione Lazio, in persona del presidente legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
Provincia di Roma, in persona del presidente legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Giovagnoli e Massimiliano Sieni, ed elettivamente domiciliata, unitamente ai difensori, presso l’avvocatura provinciale in Roma, via IV novembre n. 119/A, come da mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta;
sul ricorso in appello n. 3852 del 2010, proposto dalla Regione Lazio, in persona del presidente legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Enrico Lorusso, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, via Sicilia n. 203, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;
contro
Pisana s.r.l. e Parsitalia s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’avv. G V, ed elettivamente domiciliate, unitamente al difensore, presso lo Studio Amministrativisti in Roma, viale Mazzini n. 11, come da mandato a margine della comparsa di costituzione;
nei confronti di
Comune di Roma, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
Provincia di Roma, in persona del presidente legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
quanto al ricorso n. 2472 del 2010:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda bis, n. 3053 del 25 febbraio 2010;
quanto al ricorso n. 3852 del 2010:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda bis, n. 3053 del 25 febbraio 2010;
visto il ricorso in appello, con i relativi allegati,
visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
relatore all’udienza pubblica del giorno 8 giugno 2010 il consigliere Diego Sabatino;
uditi per le parti gli avvocati Luigi D'Ottavi, A R, N S e G V;
considerato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 2472 del 2010, il Comune di Roma proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda bis, n. 3053 del 25 febbraio 2010 con la quale era stato accolto in parte il ricorso proposto da Pisana s.r.l. e Parsitalia s.p.a. per l'annullamento delle deliberazioni recanti l'approvazione del nuovo piano regolatore generale del Comune di Roma.
La stessa sentenza veniva inoltre gravata dalla Regione Lazio, con ricorso iscritto al n. 3852 del 2010.
A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, le ricorrenti avevano illustrato la propria legittimazione ad agire evidenziando come, con delibera C.C. Roma n. 261 del 21/22.12.2006, fossero stati formulati indirizzi al Sindaco per la sottoscrizione dell'Accordo di programma, ex art. 34 D. Lgs. 267/2000, concernente il programma di Trasformazione Urbanistica "Pescaccio" con compensazione edificatoria del comprensorio “Tormarancia". La Pisana srl era il soggetto proponente attuatore del suindicato programma di interventi, mentre la Parsitalia Costruzioni spa era la titolare dei diritti edificatori (volumetrie) rivenienti dalla menzionata compensazione.
Le ricorrenti riferivano, poi, che con delibera C.C. 18/2008 era stato approvato il Nuovo PRG di Roma, all'esito della procedura di copianificazione ex art. 66 bis I. r. 80/98, e che però, nel Nuovo PRG, il suindicato programma di interventi -sebbene già adottato dal Consiglio e dunque "recepito" ex art. 62 NTA -non risultava graficizzato. Secondo le stesse ricorrenti, erano inoltre presenti nelle N.T.A. disposizioni illegittime e gravemente lesive dei loro diritti ed interessi.
Veniva quindi richiesto l'annullamento in parte qua del Nuovo PRG di Roma in base a tre motivi di diritto:
I) Violazione e falsa applicazione dell'art. 10 I. n. 1150 del 1942 e dell'art. 66 bis I. reg. Lazio n. 38 del 1999. Violazione del principio di buon andamento dell'azione amministrativa, in quanto con avviso pubblicato sul B.U.R.L. n. 10 del 14.3.2008, il Comune di Roma aveeva comunicato che il Nuovo P.R.G. era stato approvato con la delibera C.C. n. 18 del 12.2.2008, e con successivo avviso pubblicato sui quotidiani locali il 31.3.2008 l'Amministrazione aveva comunicato l'avvenuto deposito degli elaborati del Nuovo Piano presso gli Uffici Comunali. Peraltro, evidenziano le ricorrenti, dall'esame della documentazione del Nuovo PRG depositata in visione degli interessati emergeva che mancano gli elaborati prescrittivi "sistemi e regole 1:5000, 1:10.000" e "Rete Ecologica 1:10.000",oltre agli elaborati geologici e vegetazionali. Lo stesso Comune, nel dare comunicazione dell'avvenuta approvazione del Nuovo Piano, confermava che "gli oltre 280 elaborati del Piano adottato dovranno essere corretti secondo quanto definitivamente approvato. Tali correzioni comporteranno un lavoro di parecchi mesi. Tanto più che rispetto al Piano adottato gli elaborati sarebbero aumentati diventando oltre 360.
Al riguardo, le ricorrenti deducevano che ai sensi dell'art. 10 comma 6, l. urb. "il piano approvato" -e cioè l'insieme dei documenti (provvedimentali, normativi e grafici) che lo compongono - deve essere depositato presso gli uffici comunali sì da renderne possibile agli interessati di verificarne il contenuto. Pertanto, sarebbe del tutto evidente che l'incompletezza della documentazione mancanza di tavole "aggiornate" ed altro) vizierebbe il PRG ed in particolare l'avviso della sua intervenuta approvazione, per difetto delle condizioni di pubblicazione ed efficacia. Ricorrerebbe inoltre la violazione del principio di buon andamento poiché l'Amministrazione, per la dovuta correttezza dell'azione amministrativa, avrebbe dovuto procedere alla rielaborazione completa delle tavole prima di pubblicare il Nuovo PRG.
Il) Violazione e falsa applicazione degli artt. 66 bis I. reg. Lazio n. 38 del 1999 e 10 I. n. 1150 del 1942, in quanto il piano approvato all'esito della conferenza di copianificazione ex art. 66 bis I. reg. 38/99 differiva sostanzialmente da quello adottato e controdedotto, configurandosi come un nuovo strumento rispetto alle precedenti versioni, conseguendone che le Amministrazioni partecipanti alla Conferenza di copianificazione avrebbero dovuto restituire il piano al Comune, per la sua formale riadozione;
III) Violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 10 della legge n. 1150/1942 e dell'art. 66 bis legge reg. n. 38/1999. Violazione e falsa applicazione degli artt. 23-117 e 119 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 legge n. 212/2000. Violazione e falsa applicazione dell'art. 16 del T .U. Edilizia (D.P.R. n. 380/2001). Eccesso di potere nei profili di illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione, sviamento. Violazione e falsa applicazione degli articoli 7 e sego legge n. 1150/1942. Violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 42 cost., degli artt. 39 e ss. TCE, Il -76 e Il -77 del Trattato del 29.10.04, e dell'art. 1 del IO Protocollo addizionale della CEDU del 20.03.52. Disparità di trattamento, in relazione all’art. 20 delle N.T.A. del nuovo PRG, che disciplina un "contributo straordinario di urbanizzazione" ritenuto dalle ricorrenti del tutto e radicalmente illegittimo.
Costituitosi il Comune di Roma, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le censure, superando le eccezioni preliminari di inammissibilità e ritenendo illegittima la predisposizione degli strumenti perequativi adottati nel piano.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la amministrazioni appellanti evidenziavano l’erroneità della sentenza, reiterando l’eccezione di inammissibilità del ricorso e ribadendo la correttezza delle scelte perequative effettuate.
In entrambi i giudizi di appello, si costituivano Pisana s.r.l. e Parsitalia s.p.a. nonché, nel solo ricorso n. 2472 del 2010, anche la Provincia di Roma, riproponendo le proprie deduzioni.
All’udienza del 13 aprile 2010, l’istanza cautelare prodotta all’interno del ricorso n. 2472 del 2010 veniva accolta con ordinanza n. 1656/2010.
All’udienza del giorno 8 giugno 2010, entrambi i ricorsi venivano trattati congiuntamente ed assunti in decisione.
DIRITTO
1. - Va disposta la riunione dei due appelli, in quanto proposti contro la stessa sentenza.
2. - Venendo alle questioni preliminari, deve essere prioritariamente affrontata l’eccezione proposta principalmente dall’appellante Comune di Roma ed avente riguardo all’ammissibilità stessa del ricorso in primo grado. Trattandosi di censura che attiene al fondamento stesso dell’azione proposta, questa deve essere esaminata immediatamente.
Nella difesa, si evidenzia come le attuali appellate e ricorrenti in primo grado non avessero alcun interesse a dolersi degli atti pianificatori oggetto di contestazione. In particolare, osserva il Comune di Roma, l’istituto ritenuto illegittimo dal giudice di prime cure, ossia il cd. contributo straordinario, e che ha fondato la pronuncia di accoglimento da parte del T.A.R., era invece una fattispecie non applicabile neppure in via astratta alla configurazione urbanistica dell’area in contestazione.
Per altro verso, appare perplessa anche la ricostruzione operata dalla decisione di primo grado, che ha individuato un interesse strumentale, del tutto omologo a quello rinvenibile in sede di procedure concorsuali, alla riedizione dell’attività pianificatoria, così che, sebbene mancante una lesione diretta della parte ricorrente, questa potesse comunque dolersi degli atti gravati, benché non fossero direttamente lesivi.
2.1. - L’eccezione è fondata e va accolta per i motivi di seguito precisati.
In via di fatto, non vi è dubbio sulla circostanza che l’area di proprietà delle appellate ed originarie ricorrenti Pisana s.r.l. e Parsitalia Costruzioni s.r.l. non sia stata incisa dalle innovative previsioni del Nuovo piano regolatore di Roma.
Occorre, infatti, ricordare che, a norma dell’art. 17 delle norme tecniche attuative, le pregresse capacità edificatorie delle singole aree sono tendenzialmente fatte salve, per cui ex se non si riscontra una capacità lesiva dello strumento ove non si accerti che esso abbia direttamente intaccato la situazione preesistente.
Nel caso delle appellate, l’area è ricompresa nell’ambito denominato Agro Romano e soggetta alla disciplina propria delle aree agricole, non fatta oggetto di censura. Pertanto, la questione principale, ossia l’applicabilità del meccanismo compensatorio del cd. contributo straordinario, è esclusa a monte, per la mancata inclusione della zona in esame tra quelle rientranti nella previsione de qua.
Il giudice di prime cure ha peraltro ritenuto, sulla base di un’implicita ed identica ricostruzione in fatto, che potesse sussistere comunque un interesse al ricorso in relazione alla possibilità di conseguire comunque una migliore qualificazione dell’area, ciò in quanto “la più autorevole giurisprudenza amministrativa riconosce ormai l’azionabilità in giudizio dell’interesse indiretto e strumentale, ma al tempo stesso specifico, concreto ed attuale, del ricorrente a veder annullare l’intero provvedimento al fine di ottenere, in sede di riedizione del procedimento amministrativo, un contenuto a lui più favorevole. Ed invero, se tale facoltà è ormai unanimemente riconosciuta per il concorso pubblico e la pubblica gara, non si intravedono ragioni ostative all’estensione alla materia urbanistica, nella quale la rivalutazione dell’interesse del ricorrente, in sede di riedizione del potere amministravo di adozione del PRG, è espressamente garantita mediante le garanzie procedimentali che caratterizzano lo specifico procedimento, in particolare mediante la presentazione di “Osservazioni” sulle quali il Comune deve pronunciarsi”.
L’osservazione del giudice di prime cure, il suo criterio metodologico ed il risultato a cui perviene devono essere oggetto di un’attenta valutazione, che ne evidenzi i profili che rendono necessaria la sua correzione.
Va innanzi tutto rilevato che l’affermazione dell’esistenza di un interesse strumentale e generalizzato alla mera riedizione dell’attività amministrativa non fa parte del bagaglio della più consolidata giurisprudenza amministrativa, ma è anzi oggetto di un annoso dibattito. Si vuole qui segnalare, in particolare, che l’orientamento della Sezione è quello di considerare con molta attenzione possibili fughe dallo stretto collegamento al criterio dell’interesse. Si è così osservato (Consiglio di Stato, sez. IV, 26 novembre 2009, n. 7441) “che il c.d. interesse strumentale alla rinnovazione della gara, riguardato nella sua oggettività, non è altro che un interesse al rispetto della legalità, che viene paludato da riferimenti soggettivi (utilità di ripetere la procedura che il ricorrente si propone di conseguire con la deduzione di vizi che, ove fondati, sono in grado di travolgere l'intera gara), al fine di accreditarne la valenza personale, che è un requisito necessario per poter promuovere un ricorso giurisdizionale”.
Deve, infatti, rimarcarsi, come fa la decisione citata, “che provare di essere in condizione di trarre dall'esito favorevole del giudizio un'utilità non significa per nulla provare di essere titolari di una posizione legittimante. La verifica della sussistenza di una posizione legittimante, ai fini del preliminare accertamento della ammissibilità del ricorso, è in altri termini un'operazione che precede e per certi versi è indipendente dalla stima della utilità che il processo è in grado di assicurare.”
Ciò che quindi va ben tenuto presente è lo stretto legame tra l'utilità che si vuole conseguire con il processo e la legittimazione del soggetto ricorrente, al fine di evitare che siano ammessi come parti processuali anche i portatori di un interesse di mero fatto.
In questi termini si colloca la lettura datane dal giudice di prime cure, la cui nozione di interesse strumentale appare estesa e suscettibile di applicazioni difformi. Deve, infatti, rimarcarsi che, quand’anche si voglia ammettere la figura in questione, essa va raccordata con i principi processuali vigenti, primo tra i quali quello dell’esistenza dell’interesse a ricorrere. Pertanto, se l’introduzione del concetto di interesse strumentale si colloca come tendenziale superamento degli stretti requisiti di attualità e concretezza dell’interesse al ricorso, permettendo cioè di estendere la pretesa del ricorrente anche al fatto futuro dell’amministrazione, è del pari evidente che questa particolarissima situazione va valutata in concreto, ossia in relazione all’effettiva possibilità o alla stretta doverosità di riedizione dell’attività stessa. In questo senso è possibile cogliere un collegamento tra interesse alla demolizione del provvedimento gravato e soddisfazione futura della pretesa tramite un altro e diverso iter procedimentale.
Le considerazioni pregresse conducono pertanto a rigettare le conclusioni a cui è pervenuto il T.A.R. romano.
In primo luogo, non può ammettersi ex se che qualsiasi proprietario di suoli ricompresi nel perimetro del Comune interessato dal P.R.G. abbia interesse a impugnare le prescrizioni del piano medesimo, indipendentemente dalla loro concreta incidenza sul suolo in sua proprietà, in vista dell’ottenimento del risultato utile consistente nella ripetizione dell’attività pianificatoria, dalla quale potrebbero discendere determinazioni a lui più favorevoli. Si tratterebbe di una soluzione che incide sui consolidati principi in tema di attualità e concretezza dell’interesse che deve fondare l’impugnazione, autorizzando una sorta di legittimazione generalizzata all’impugnazione del P.R.G., legata alla semplice qualità di proprietari di suoli compresi nel territorio comunale, ad onta della natura di atto generale dello strumento urbanistico e indipendentemente da un’immediata lesività delle sue prescrizioni.
In secondo luogo, non paiono direttamente trasferibili le ricostruzioni sulla natura dell’interesse strumentale svolte nell’ambito delle questioni riguardanti gli atti di una procedura concorsuale o selettiva. Si tratta di situazioni profondamente differenti, in quanto, in queste ultime fattispecie, il ricorrente mira al perseguimento di un’utilità (aggiudicazione dell’appalto o posizionamento utile in graduatoria) che l’Amministrazione ha attribuito ad altro soggetto o ad altri soggetti specificamente individuati, nell’ambito di una procedura competitiva la cui ripetizione è ex se suscettibile di formare oggetto di un interesse giuridicamente qualificato e differenziato, mentre tali considerazioni non possono estendersi alle pianificazione urbanistica che, nel caso in specie, potrebbe anche non essere ripetuta.
L’inesistenza di un interesse all’eliminazione dell’atto gravato, neppure nella forma dell’interesse strumentale, nei limiti di quanto sopra osservato, rende il ricorso proposto in primo grado inammissibile.
La sentenza appellata va quindi annullata per l’assenza di una posizione giuridica tutelabile in capo ai ricorrenti in primo grado e quindi per inammissibilità del ricorso introduttivo.
3. - Stante l’importanza della questione proposta, ritiene peraltro la Sezione di doversi soffermare anche sulla principale questione di merito proposta, al fine di evidenziarne la sua infondatezza. Si tratta di valutare la ritenuta illegittimità degli istituti perequativi della cessione di aree e del contributo straordinario, per come disciplinati dalle N.T.A. del nuovo P.R.G. capitolino.
Il T.A.R. ha ritenuto che i predetti istituti, pur perseguendo finalità perequative apprezzabili anche sotto il profilo dell’interesse pubblico a una più completa ed equilibrata gestione del territorio, violassero il principio di legalità in quanto non supportati da specifica e adeguata previsione normativa: in particolare, la cessione di aree realizzerebbe una sottrazione forzosa di edificabilità ai suoli privati al di fuori degli schemi tipici delle procedure ablatorie, mentre il contributo straordinario integrerebbe un’imposizione patrimoniale, sia pure di natura corrispettiva e non tributaria, anch’essa in difetto di espressa previsione di legge.
Tuttavia, la Sezione reputa fondati gli argomenti svolti dalle parti appellanti a confutazione di tale conclusione, e conseguentemente meritevoli di accoglimento gli appelli proposti dalle Amministrazioni resistenti in primo grado.
Al riguardo, può fin d’ora anticiparsi che la legittimità della censurata disciplina perequativa delle N.T.A. si regge su due pilastri fondamentali, entrambi ben noti al nostro ordinamento: da un lato, la potestà conformativa del territorio di cui l’Amministrazione è titolare nell’esercizio della propria attività di pianificazione;dall’altro, la possibilità di ricorrere a modelli privatistici e consensuali per il perseguimento di finalità di pubblico interesse.
Per chiarire le ragioni che inducono la Sezione a tale conclusione, conviene muovere da un esatto inquadramento del contenuto e della portata delle prescrizioni urbanistiche de quibus, al fine di verificare la condivisibilità delle sopra riassunte affermazioni del primo giudice in ordine alla non riconducibilità delle stesse a istituti o previsioni già noti al nostro ordinamento.
Tuttavia, un accorto esame del concreto meccanismo d’operatività dell’istituto in questione consente di escludere che con lo stesso il Comune abbia introdotto prescrizioni idonee a incidere direttamente e immediatamente sullo statuto della proprietà, in modo da realizzare l’ipotizzata violazione dell’art. 42 Cost.
Sul punto, è importante sottolineare la circostanza su cui insistono le Amministrazioni appellanti, e che non risulta contestata né smentita ex adverso, secondo cui il nuovo P.R.G., nel procedere alla ricognizione delle aree la cui destinazione comporterà l’applicabilità dei nuovi istituti perequativi, ha in partenza confermato gli indici di fabbricabilità previsti per le stesse in base alla disciplina urbanistica previgente, di tal che le nuove previsioni vanno ad affiancarsi, integrandolo, a un assetto sostanzialmente confermativo di quello preesistente.
In siffatta situazione appare evidente che, laddove l’Amministrazione avesse omesso di introdurre tali innovative prescrizioni e si fosse limitata a confermare gli indici preesistenti, i proprietari interessati non avrebbero potuto eccepire alcunché a fronte di una tale modalità di esercizio dell’ampia discrezionalità che – come è noto – connota le scelte in materia di pianificazione del territorio, non potendo certo vantare alcuna legittima aspettativa a un regime più favorevole (è discutibile, invero, che un’aspettativa del genere sarebbe sussistita anche in caso di modifica in pejus rispetto agli indici preesistenti, ma trattasi di ipotesi che in questa sede non è necessario esaminare).
Nel caso di specie, la previsione della cessione al Comune di una quota di edificabilità viene introdotta de futuro, in stretta correlazione con la previsione di una quota di edificabilità aggiuntiva di cui il proprietario potrà fruire consentendo alla cessione di parte di essa;analogamente, a norma dell’art. 20 delle N.T.A., il proprietario del suolo potrà fruire di ulteriore edificabilità corrispondendo un contributo straordinario predeterminato ex ante.
In altri termini, il pianificatore in questo caso, dopo aver proceduto alla fase statica dell’assegnazione a ciascuna zona della propria destinazione urbanistica e dei relativi indici di edificabilità, ha inteso conferire al P.R.G. anche una dimensione dinamica, idonea a prevedere la possibile evoluzione futura dell’assetto del territorio comunale: in tali prospettive, per quanto concerne la realizzazione di opere pubbliche, urbanizzazioni e infrastrutture, in aggiunta e in alternativa all’imposizione di vincoli su specifici suoli finalizzati a future espropriazioni, per il reperimento dei suoli e delle risorse necessarie sono stati introdotti i meccanismi appena descritti.
Incidentalmente, il fatto che le innovative prescrizioni oggetto del presente contenzioso incidano non su edificabilità riconosciuta ai titolari dei suoli, ma su una quota di edificabilità futura ed eventuale rispetto a quella immediatamente e attualmente attribuita ai suoli stessi dallo strumento urbanistico, conferma la valutazione di carenza di interesse all’impugnazione, sopra già espressa. Infatti, una volta acclarato che l’odierno appellato non ha subito alcuna menomazione rispetto alla destinazione impressa al suolo in sua proprietà dal previgente P.R.G., non si comprende quale utilità egli si riprometta di conseguire con l’annullamento di prescrizioni destinate a incidere su una edificabilità aggiuntiva futura ed eventuale: perché se l’utilità auspicata consistesse nel riconoscimento illico et immediate di tale edificabilità aggiuntiva, e quindi nell’aumento sic et simpliciter dell’indice di edificabilità del suolo, è evidente che tale pretesa si scontrerebbe con i poteri, riconosciuti da pacifica giurisprudenza, in ordine all’ampia discrezionalità che connota le scelte pianificatorie, a fronte delle quali il privato non può mai vantare (salvo ipotesi eccezionali che in questo caso non ricorrono) un’aspettativa giuridicamente qualificata a un regime urbanistico più favorevole.
Così correttamente ricostruita la portata delle previsioni urbanistiche oggetto di censura nel presente giudizio, occorre ora verificare se le stesse esorbitino i limiti del potere conformativo spettante all’Amministrazione nella propria attività di pianificazione del territorio.
Con riguardo a tale potere, è noto che esso è stato da tempo individuato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale come espressione della potestà amministrativa di governo del territorio, alla quale è connaturata la facoltà di porre condizioni e limiti al godimento del diritto di proprietà non di singoli individui, ma di intere categorie e tipologie di immobili identificati in termini generali e astratti;in particolare, la Corte ha escluso che potessero qualificarsi in termini di vincolo espropriativo tutte le condizioni e i limiti che possono essere imposti ai suoli in conseguenza della loro specifica destinazione (ivi compresi i limiti di cubatura connessi agli indici di fabbricabilità previsti dal P.R.G. per le varie categorie di zone in cui il territorio viene suddiviso) e, a maggior ragione, ha negato carattere ablatorio a quei vincoli (c.d. conformativi) attraverso i quali, seppure la proprietà viene asservita al perseguimento di obiettivi di interesse generale quali la realizzazione di opere pubbliche o infrastrutture, non è escluso che la realizzazione di tali interventi possa avvenire ad iniziativa privata o mista pubblico-privata, e comunque la concreta disciplina impressa al suolo non comporti il totale svuotamento di ogni sua vocazione edificatoria (fra le tante, si veda la sentenza n. 179 del 20 maggio 1999).
Se tutto questo è vero, non occorre approfondire la questione teorica del rapporto fra il governo del territorio (nel senso appena precisato) e lo statuto civilistico del diritto di proprietà, per rendersi conto di come l’operazione condotta dal Comune di Roma attraverso i ricordati meccanismi perequativi connessi all’attribuzione de futuro ai suoli di una cubatura aggiuntiva, lungi dal costituire un anomalo ibrido tra conformazione ed espropriazione come ritenuto dal primo giudice, rientri a pieno titolo nel legittimo esercizio della potestà pianificatoria e conformativa del territorio.
Ciò che l’Amministrazione ha fatto, in sostanza, è in primo luogo attribuire ai suoli un determinato indice di edificabilità (nella specie corrispondente a quello già posseduto sotto il vigore del precedente P.R.G.), ciò che pacificamente non travalica l’ordinario esercizio del potere di pianificazione;di poi, nella già evidenziata prospettiva dinamica, ha proceduto a porre le basi per possibili incrementi futuri della cubatura edificabile, predisponendo i meccanismi con i quali questa potrà essere riconosciuta ai vari suoli, in ragione della loro zonizzazione e tipologia.
La disciplina impressa ai suoli attraverso i due momenti pianificatori testé indicati, con tutta evidenza, non può in alcun modo essere ritenuta tale da integrare una sostanziale ablazione della proprietà né una surrettizia sottrazione di volumetrie le quali, in assenza delle previsioni perequative, sarebbero state edificabili: al riguardo la Sezione, pur concordando con quanto rilevato dal giudice di prime cure circa la non necessità, ai fini che qui interessano, di approfondire l’ulteriore questione teorica dell’immanenza o meno dello jus aedificandi al diritto di proprietà, non può esimersi dall’osservare come sia proprio l’impostazione data nel ricorso di primo grado a risentire di una concezione che presuppone tale immanenza in termini così radicali da risultare inaccettabili.
È lì e negli scritti difensivi che pare emergere come la previsione della cessione al Comune di una quota della cubatura aggiuntiva attribuita dal Piano integrerebbe una forma larvata di esproprio, in quanto intaccherebbe la vocazione edificatoria che è connaturata e immanente al diritto di proprietà;tuttavia l’argomento prova troppo, atteso che, se lo statuto della proprietà dovesse considerarsi leso dalla limitazione dello jus aedificandi su una cubatura la cui edificabilità è prevista dal P.R.G. solo in via futura ed eventuale, a fortiori ciò dovrebbe ritenersi per le limitazioni immediate e attuali discendenti dalle prescrizioni del Piano, col risultato di considerare inammissibili le stesse previsioni di indici di edificabilità e le connesse limitazioni della volumetria edificabile rispetto all’estensione dei suoli: ciò che, comportando il sostanziale svuotamento della potestà conformativa del territorio in capo all’Amministrazione, non appare certamente in linea con gli arresti giurisprudenziali, anche costituzionali, che si sono più sopra richiamati.
Una volta evidenziato come le prescrizioni urbanistiche all’esame risultino in linea con una moderna concezione della potestà conformativa riconosciuta all’Amministrazione nella propria attività di pianificazione del territorio, occorre soffermarsi sulle particolari modalità con le quali le N.T.A. dispongono debba avvenire la perequazione urbanistica e finanziaria, allorquando troveranno applicazione i richiamati istituti della cessione di volumetrie al Comune e del contributo straordinario: al riguardo, viene in rilievo quello che si è anticipato essere il secondo dei pilastri su cui si reggono le innovative previsioni del P.R.G. capitolino, e cioè il ricorso a strumenti negoziali e consensuali per il perseguimento di obiettivi di pubblico interesse.
Sul punto, occorre preliminarmente sgombrare il campo da un equivoco interpretativo, in base al quale, stante l’art. 13 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ed assumendo l’inapplicabilità agli atti generali e di pianificazione della disciplina generale in materia di partecipazione del privato all’attività procedimentale (ivi compresa quella in tema di accordi ex art. 11 della stessa legge n. 241 del 1990), sarebbe parimenti esclusa la praticabilità dei meccanismi consensuali predisposti dalle N.T.A.
Al contrario, alla Sezione appare evidente che la fattispecie qui all’esame non è connotata affatto da una sostituzione della pianificazione generale con moduli convenzionali e autoritativi: infatti, il P.R.G. del Comune di Roma esiste certamente come atto provvedimentale e autoritativo, essendo stato approvato all’esito di un procedimento di carattere pubblicistico interamente promosso e gestito dall’Amministrazione pianificatrice (ancorché soggetto a disciplina speciale sulla base del già citato art. 66 bis della legge regionale n. 22 del 1997);mentre gli strumenti privatistici e consensuali sono destinati a intervenire nella fase attuativa delle prescrizioni poste dal Piano e anzi, a ben vedere, la previsione di un ulteriore strumento attuativo rimesso alla responsabilità (se non all’iniziativa) pubblica, ossia il P.R.I.N.T., garantisce che i predetti strumenti convenzionali sopravverrano nella fase strettamente esecutiva, al livello delle singole specifiche aree, sostituendosi semmai a procedure espropriative o comunque realizzative di singole opere pubbliche, piuttosto che a una vera e propria attività pianificatoria.
D’altra parte, il ricorso a moduli convenzionali nella fase della pianificazione attuativa del P.R.G. non è certo ignoto all’esperienza del nostro ordinamento (basti pensare alle convenzioni di lottizzazione);e d’altra parte si è visto come lo stesso odierno appellato abbia lamentato, seppur infondatamente, l’illegittimità della disciplina del P.R.I.N.T. in quanto a suo dire limitatrice dell’iniziativa privata nell’adozione del programma integrato d’intervento.
Tuttavia, nel caso di specie il richiamo più pertinente è forse quello agli accordi sostitutivi dell’espropriazione di cui all’art. 45 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, che costituiscono proprio un’applicazione, alla particolare materia dell’ablazione della proprietà privata per la realizzazione di opere pubbliche, del generale principio dell’utilizzabilità di modelli negoziali per il perseguimento di scopi di pubblico interesse.
Più in generale, la Sezione reputa che la copertura normativa alla previsione dei più volte richiamati strumenti consensuali per il perseguimento di finalità perequative (e ciò vale sia per la cessione di aree che per il contributo straordinario) vada individuata, come correttamente evidenziato in sede di appello, nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 bis, e 11 della già citata legge n. 241 del 1990.
Ed invero, ad avviso della dottrina e della giurisprudenza maggioritarie, con la novella del 2005 il legislatore ha optato per una piena e assoluta fungibilità dello strumento consensuale rispetto a quello autoritativo, sul presupposto della maggiore idoneità del primo al perseguimento degli obiettivi di pubblico interesse.
Non è certo questa la sede per verificare la validità e la condivisibilità di siffatto assunto teorico: ciò che conta è che oggi, essendo venuta meno la previgente riserva alla legge dei casi in cui alle amministrazioni è consentito ricorrere ad accordi in sostituzione di provvedimenti autoritativi, tale possibilità deve ritenersi sempre e comunque sussistente (salvi i casi di espresso divieto normativo);col che, secondo l’opinione preferibile, non è stato affatto introdotto il principio dell’atipicità degli strumenti consensuali in contrapposizione a quello di tipicità e nominatività dei provvedimenti, atteso che lo strumento convenzionale dovrà pur sempre prendere il posto di un provvedimento autoritativo individuato fra quelli tipici disciplinati dalla legge: a garanzia del rispetto di tale limite, lo stesso art. 11 innanzi citato prevede l’obbligo di una previa determinazione amministrativa che anticipi e legittimi il ricorso allo strumento dell’accordo.
Pertanto, nel caso di specie l’Amministrazione altro non ha fatto che predeterminare le condizioni alle quali potranno attivarsi i ridetti meccanismi convenzionali, solo se e quando i proprietari interessati ritengano di voler avvalersi degli incentivi cui sono collegati (e, cioè, di voler fruire della volumetria aggiuntiva assegnata ai loro suoli dal P.R.G.);ove ciò non avvenga, il Comune che fosse interessato alla realizzazione di opere di urbanizzazione e infrastrutture dovrà attivarsi con gli strumenti tradizionali all’uopo predisposti dall’ordinamento, in primis le procedure espropriative (naturalmente, se del caso, previa localizzazione delle aree su cui operare gli interventi e formale imposizione di vincoli preordinati all’esproprio con apposita variante urbanistica).
È proprio la natura facoltativa degli istituti perequativi de quibus, nel senso che la loro applicazione è rimessa a una libera scelta degli interessati, a escludere che negli stessi possa ravvisarsi una forzosa ablazione della proprietà nonché, nel caso del contributo straordinario, che si tratti di prestazione patrimoniale imposta in violazione della riserva di legge ex art. 23 Cost.
Tale rilievo non è scalfito del fatto che la detta facoltatività dovrebbe essere esclusa, a cagione della predeterminazione autoritativa, a livello delle stesse N.T.A. del P.R.G. e quindi in via generale e astratta, dei contenuti essenziali degli accordi che l’Amministrazione e i privati andranno a concludere (e, segnatamente, dell’entità delle cubature da cedere al Comune e della misura del contributo straordinario).
A tale rilievo, è agevole replicare che siffatta predeterminazione è coerente con l’interesse pubblico al cui perseguimento, giusta il citato art. 11 della legge nr. 241 del 1990, gli accordi in questione sono finalizzati: a tale interesse invero, proprio in quanto ricomprende gli obiettivi perequativi più volte richiamati, è intrinsecamente connessa l’esigenza di garantire la par condicio fra i privati proprietari di suoli soggetti a eguale disciplina urbanistica, esigenza che all’evidenza sarebbe frustrata qualora fosse rimesso integralmente al momento della contrattazione privata – quasi che questa fosse espressione di mera autonomia privata, e non coinvolgesse invece interessi di rilevanza pubblicistica - la definizione dei termini e delle modalità della “contropartita” che ciascun privato dovrà assicurare all’Amministrazione in cambio della volumetria edificabile aggiuntiva riconosciutagli dal Piano.
Dalle considerazioni fin qui svolte risulta anche alquanto ridimensionata l’ulteriore questione di quali siano le specifiche disposizioni di legge (nazionale o regionale) individuabili quale copertura legislativa delle prescrizioni urbanistiche oggetto del presente contenzioso: si è visto, infatti, che queste ultime trovano il proprio fondamento in principi ben radicati nel nostro ordinamento, con riguardo da un lato al potere pianificatorio e di governo del territorio (quale disciplinato dalla legislazione urbanistica fin dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150) e dall’altro alla facoltà di stipulare accordi sostitutivi di provvedimenti.
Il fatto, poi, che si tratti di principi affermati nella legislazione nazionale consente di escludere in radice ogni lesione – pure ipotizzata dall’odierno appellato – delle prerogative statali in materia: infatti, è evidente che l’intera operazione posta in essere dal Comune di Roma con il varo del nuovo P.R.G. appare rispettosa dei limiti posti dalla legislazione statale (sia esclusiva ex art. 117, comma 2, lettera m), Cost. che concorrente in materia di governo del territorio) alla potestà regolamentare riconosciuta ai Comuni nelle materia di propria competenza dall’ultimo comma dello stesso art. 117 Cost.
Con ciò non si intende disconoscere l’opportunità che lo Stato intervenga a disciplinare in maniera chiara ed esaustiva la perequazione urbanistica, nell’ambito di una legge generale sul governo del territorio la cui adozione appare quanto mai auspicabile alla luce dell’inadeguatezza della normativa pregressa a fronte delle profonde innovazioni conosciute negli ultimi decenni dal diritto amministrativo e da quello urbanistico;tale auspicio va certamente condiviso proprio al fine di evitare l’insorgere di problemi di inquadramento quali quelli affrontati nel presente giudizio, aggravati dal fatto che nella specie trattasi di perequazione di secondo grado, ossia attuata non già mediante trasferimento di cubature edificabili da un suolo all’altro tra privati, bensì a favore dell’Amministrazione in vista della realizzazione di interventi di interesse pubblico.
Tuttavia, la perdurante assenza di una tale normativa statale non può impedire da un lato che le Regioni esercitino la propria potestà legislativa in materia nel rispetto dei principi generali della legislazione statale, per altro verso che tali ultimi principi vadano individuati sulla base del quadro normativo attuale, quale risultante dal complesso della legislazione urbanistica stratificatasi sul ceppo dell’originaria legge n. 1150 del 1942 e dell’applicazione fattane dalla giurisprudenza (anche costituzionale): è in questo modo che può pervenirsi alla conclusione secondo cui tutte le specifiche disposizioni, le quali di volta in volta e per singoli profili potrebbero venire intese quali copertura legislativa degli istituti in contestazione, costituiscono in realtà espressione dei superiori e generali principi che si sono richiamati.
Ciò vale, invero, per i commi 258 e 259 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, su cui si può dibattere se essi legittimino il meccanismo di cessione delle aree al Comune previsto in termini generali dall’art. 18 delle N.T.A., ma anche per il recentissimo art. 14, comma 16, lettera f), del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, apparentemente emanato al preciso scopo di legittimare ex post (se ve ne fosse bisogno) la previsione del contributo straordinario da parte del Comune di Roma.
4. - In conclusione, gli argomenti fin qui svolti, in larga parte in condivisione delle tesi sviluppate dalle Amministrazioni appellanti, persuadono la Sezione della fondatezza dei relativi appelli, dei quali pertanto s’impone l’accoglimento con la consequenziale riforma della sentenza impugnata per quanto di ragione. La complessità e la novità delle questioni affrontate giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio.