Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-05-03, n. 201202535

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-05-03, n. 201202535
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201202535
Data del deposito : 3 maggio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09341/2002 REG.RIC.

N. 02535/2012REG.PROV.COLL.

N. 09341/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9341 del 2002, proposto da C M, rappresentato e difeso dall'avv. V G, con domicilio originariamente eletto presso il medesimo in Roma, via Federico Cesi 21;
quali eredi del sig. M C, gli sono subentrati M R C, A C e M L, rappresentati e difesi dall'avv. A P, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Roma, via Ennio Quirino Visconti 99;

contro

Comune di Baiano, rappresentato e difeso dall'avv. D V, con domicilio eletto presso Luigi Napolitano in Roma, via Sicilia 50;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE IV, n. 4807/2002, resa tra le parti, concernente CONCESSIONE EDILIZIA PER REALIZZAZIONE FABBRICATO AD USO RESIDENZIALE

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2012 il Cons. N G e uditi per le parti gli avvocati Palma e Vitale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il sig. M C, proprietario di un’area dell’estensione di mq 24096 nel territorio del Comune di Baiano (Provincia di Avellino), impugnava dinanzi al T.A.R. per la Campania il provvedimento del 6/11/2001 con il quale il locale Ufficio Tecnico comunale, pronunziandosi sull’istanza di concessione edilizia da lui avanzata il precedente 19 aprile per la realizzazione di un fabbricato residenziale, gli aveva comunicato la sospensione del relativo esame in applicazione delle misure di salvaguardia. Venivano contestualmente gravate la deliberazione consiliare n. 13 del 4 luglio 2001 e la delibera di Giunta n. 115 del 1° ottobre 2001, con le quali l’Amministrazione comunale aveva approvato sullo stesso fondo il progetto, rispettivamente, preliminare e definitivo, per la costruzione di un campo da calcio e di una pista di atletica.

Il ricorrente proponeva, altresì, domanda di accertamento del proprio diritto al rilascio della concessione edilizia richiesta, nonché al risarcimento dei danni patiti a causa del mancato riconoscimento del suddetto titolo edilizio, danni identificati nei maggiori oneri da affrontare per la realizzazione dell’immobile e nel mancato godimento dei vantaggi economici che sarebbero scaturiti dalla sua edificazione.

Con successivi motivi aggiunti parte ricorrente estendeva la propria impugnativa alla sopravvenuta delibera consiliare n. 6 dell’8 marzo 2002, con la quale il progetto dell’opera pubblica era stato nuovamente approvato.

Il ricorrente premetteva che l’Amministrazione già nel 1998 aveva approvato un simile progetto, con delibera di cui egli aveva però ottenuto l’annullamento il 14 aprile 1999 con il vittorioso esperimento di un ricorso straordinario al Capo dello Stato;
e che anche la delibera di variante del p.r.g. del 9 dicembre 1996, recante reiterazione dei vincoli gravanti sull’area sin dal 1978, aveva seguito la stessa sorte, siccome annullata dal T.A.R. Campania con la sentenza n. 1863/2000.

Tanto premesso, a sostegno delle proprie ragioni l’interessato articolava quattro mezzi di gravame, deducendo in sostanza:

1) la violazione delle norme sulla partecipazione del privato interessato al procedimento;

2) la mancanza di un’adeguata motivazione giustificativa della scelta di reiterare il vincolo decaduto;

3) la mancata previsione della corresponsione di un indennizzo, dovuto, quando i vincoli sono rinnovati, in forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 1999;

4) il mancato rispetto dei termini prescritti per l’esame della domanda di concessione edilizia.

Resisteva al gravame il Comune di Baiano, assumendone l’infondatezza.

Il Tribunale adìto con la sentenza n. 4807/2002 in epigrafe respingeva il ricorso, reputandolo infondato.

Avverso tale decisione il sig. C proponeva indi il presente appello, sostanzialmente riproponendo –con le eccezioni di cui si dirà- le proprie domande, censure ed argomentazioni svolte in prime cure, e dolendosi che la pronuncia le avesse disattese.

Nel prosieguo della causa, deceduto l’appellante, si costituivano in giudizio i suoi eredi legittimi M R e A C nonché M L, che si riportavano alle conclusioni dell’atto di appello.

Il Comune di Baiano si costituiva in giudizio anche in questo grado, senza però svolgere difese.

Con decreto del 5-27 luglio 2011 l’appello veniva dichiarato perento;
con successiva ordinanza collegiale del 15-18 novembre 2011, tuttavia, in accoglimento dell’opposizione proposta al riguardo dall’appellante, il decreto veniva revocato, e fissata per il 13 aprile 2012 la data dell’udienza pubblica di discussione della controversia.

Con successiva memoria gli eredi C riprendevano e sviluppavano i propri motivi d’impugnativa, insistendo per il suo accoglimento.

Alla pubblica udienza del 13 aprile 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

In via preliminare la Sezione deve prendere atto del fatto che, secondo quanto si legge nella memoria di parte appellante del 13 marzo 2012, i lavori per la realizzazione dell’opera pubblica in discussione non sono mai stati, nelle more del giudizio, neppure avviati, non essendo stata nemmeno approvata dalla Regione la conferente, apposita variante di p.r.g.. Il punto, per quanto non privo di rilievo giuridico, non elide, peraltro, l’interesse di parte ricorrente allo scrutinio del merito del presente gravame, sindacato al quale si deve quindi senz’altro ugualmente procedere.

L’appello è infondato.

1 Con il primo motivo di appello si torna a lamentare la mancata comunicazione di avvio del procedimento antecedentemente all’approvazione del progetto preliminare avvenuta da parte del C.C. di Baiano con la delibera n. 13/2001, reputandosi insufficiente che l’adempimento abbia preceduto l’approvazione del successivo progetto definitivo (delibera n. 115/2001).

L’appellante, dopo avere rammentato che il fondo interessato era divenuto edificabile (quale zona c.d. bianca), e pur dando atto che sotto l’impero dell’art. 1, comma 5, della legge n. 1/1978, nel testo modificato dalla legge n. 415/1998, l’adozione della variante di piano regolatore avrebbe potuto dirsi intervenuta solo con il concorso delle delibere di approvazione tanto del progetto preliminare quanto di quello definitivo ed esecutivo, insiste sull’efficacia particolare della variante di cui si tratta, nel senso della specificità del suo oggetto (la singola opera pubblica) e della sua incidenza, ed assume che l’approvazione del progetto preliminare in discorso doveva intendersi già di per se stessa lesiva, in quanto valeva ad individuare l’area destinata a subire l’insorgenza del vincolo.

Da qui la tesi che la partecipazione degli interessati alla procedura sarebbe occorsa sin dal momento iniziale del procedimento diretto all’approvazione del progetto preliminare. Questo anche perché, ove confinata in un momento successivo, la partecipazione non avrebbe più avuto la possibilità di influire sulla localizzazione dell’intervento, il che è quanto prioritariamente interessava.

Osserva la Sezione che la problematica così sollevata è stata da tempo risolta dalla giurisprudenza, che con orientamento consolidato –dal quale non si rinvengono ragioni per discostarsi- ha chiarito che la comunicazione dell'avvio del procedimento prevista dall'art. 7, L. 7 agosto 1990 n. 241, non è necessaria nel caso di approvazione del progetto preliminare di un'opera pubblica, atteso che tale comunicazione occorre solo nel caso in cui sia stato approvato il progetto definitivo dell’opera, al quale è riconnessa per implicito anche la dichiarazione di pubblica utilità, come previsto dall'art. 14, comma 13, L. 11 febbraio 1994 n. 109 (C.d.S., IV, 29 maggio 2009, n. 3364;
11 aprile 2007, n. 1668;
14 dicembre 2002, n. 6917;
26 settembre 2001 , n. 5070).

Non sussiste, quindi, alcun obbligo dell'Amministrazione di comunicare l'avvio del procedimento ex art. 7 L. n. 241/1990 relativamente all'approvazione del progetto preliminare (IV, 3 agosto 2010, n. 5155), il quale non è nemmeno di per sé un atto autonomamente impugnabile, in quanto solo endoprocedimentale, diversamente dai progetti definitivo ed esecutivo, impugnabili poiché in grado di ledere la posizione giuridica soggettiva del singolo (IV, 22 giugno 2006, n. 3949).

Non guasta peraltro soggiungere che quando l’interessato ha poi ricevuto, nel luglio 2001, in vista dell’approvazione del progetto definitivo dell’opera, la comunicazione di avvio del procedimento, egli non risulta avere fatto pervenire alcuna osservazione, controdeduzione o memoria (ciò che nei provvedimenti impugnati è stato, del resto, puntualmente rimarcato). Donde la possibilità di ritenere che nella specie sarebbe comunque applicabile la previsione dell’art. 21 octies , cpv., secondo periodo, della legge n. 241/1990: possibilità che verrà di qui a poco confermata dal fatto che nessuna delle ragioni addotte dall’appellante risulterà suscettibile di potenziale influenza sul contenuto del provvedimento (cfr. sul tema C.d.S., VI, 29 luglio 2008, n. 3786).

2 L’appellante ripropone, altresì, la tesi della mancanza di un’adeguata motivazione giustificativa della scelta comunale di reiterare il vincolo di cui si tratta, e critica la decisione con cui il primo Giudice ha disatteso la doglianza.

La Sezione ritiene, però, che la deliberazione consiliare n. 13/2001 rechi una motivazione che, per quanto sintetica, risulta sufficiente a far reputare assolto il relativo obbligo di legge.

Non vi è ragione, infatti, diversamente da quanto opina l’appellante, per non considerare come parte integrante della motivazione del provvedimento la relazione del Sindaco illustrativa della proposta di deliberazione, relazione che del resto figura inequivocabilmente trascritta nel corpo della delibera;
oltretutto, il preambolo di quest’ultima reca un preciso rinvio alla stessa fonte, con la clausola “ Sentita la relazione del Sindaco-Presidente che qui si ha per riportata integralmente ”.

E le relative considerazioni, come ha già correttamente osservato il primo Giudice, toccano ogni aspetto rilevante dell’obbligo motivatorio esistente in concreto, investendo sia la persistenza ed attualità dello specifico interesse pubblico cui l’opera era preordinata, sia, per quanto concerne la localizzazione della medesima, “ l’insostituibilità della scelta per l’insussistenza, all’attualità, di soluzioni alternative ” (le quali non sono state prospettate né, allora, dalla esigua minoranza consiliare dissenziente, né nell’ambito del presente giudizio).

Ne consegue l’infondatezza anche di questo mezzo.

3 L’appellante non ha invece contestato il capo della sentenza in epigrafe (pagg. 13-15, paragrr. 7-8) reiettivo della doglianza circa la mancata previsione di un indennizzo alla proprietà a fronte della rinnovazione del vincolo. Tale capo di decisione esula, quindi, dal perimetro del presente giudizio, essendo già passato in giudicato.

4 L’infondatezza, così già emersa, delle critiche mosse alla sentenza in epigrafe nella parte in cui confermativa delle delibere originariamente avversate in primo grado, vale anche per le analoghe contestazioni che sono state veicolate, in prime cure, dai motivi aggiunti proposti contro la delibera consiliare n. 6 dell’8 marzo 2002, con la quale il progetto preliminare dell’opera era stato nuovamente approvato.

La stessa appellante, peraltro, deduce che tale atto avrebbe realizzato una “incomprensibile” riapprovazione del progetto preliminare, dal momento che questo era stato già approvato (delibera di C.C. n. 13/2001), nonché portato ad esecuzione con la successiva approvazione del progetto definitivo (delibera di G.M. n. 115/2001). Sicché, alla stregua della stessa impostazione di parte, l’impugnativa del predetto provvedimento del 2002 risulterebbe, a monte, addirittura sprovvista di un sottostante interesse concreto che possa giustificarla (anche perché la motivazione della delibera n. 12/2001 era, come si è visto, già sufficiente, e perciò non bisognosa di integrazioni).

5 In questa sede viene poi proposta (pag. 23 dell’appello) una censura sull’applicazione della misura di salvaguardia. Per l’appellante non vi sarebbe stato titolo a procedere in tal senso, in quanto la nuova variante di piano riflettente la localizzazione dell’opera non poteva dirsi ancora “adottata”, per il che sarebbe stata necessaria anche l’approvazione del suo progetto esecutivo (non bastando quella dei progetti preliminare e definitivo).

Questo è però un inammissibile motivo nuovo, introdotto per la prima volta in appello in violazione dell’art. 104 CPA.

In prime cure, infatti, pur formalmente impugnandosi anche la misura di salvaguardia, se ne faceva derivare l’illegittimità solo dalla dedotta invalidità degli atti della (presupposta) serie ablatoria. Per il resto, nel primo ricorso ci si limitava a parlare, immotivatamente, di “ presunta adozione della variante”, senza tuttavia articolare in proposito una compiuta doglianza, illustrando le ragioni occorrenti a far comprendere perché la nuova variante non avrebbe potuto dirsi “adottata”.

Non è quindi un caso che il motivo non sia stato colto dal TAR.

Parimenti inammissibile, quantomeno per le stesse ragioni, è il motivo che affiora nella memoria di appello (pag. 3) circa l’ontologica inidoneità di varianti come quella in esame a giustificare il ricorso alle misure di salvaguardia.

6 Viene anche qui lamentato, infine, il superamento dei termini entro i quali il procedimento di rilascio della concessione edilizia avrebbe dovuto concludersi.

Dalle precisazioni fornite alla pag. 24 dell’atto di appello si comprende, peraltro, che la deduzione non è intesa a fondare una domanda invalidatoria, bensì solo un profilo della -pure spiegata- richiesta risarcitoria.

Non resta, allora, che occuparsi di quest’ultima.

La domanda risarcitoria, in relazione agli specifici fatti allegati a suo fondamento, va respinta.

Nelle pagine precedenti sono state disattese le impugnative qui riproposte avverso l’approvazione del progetto dell’opera pubblica e l’adozione della misura di salvaguardia correlata alla sua localizzazione.

Ora, l’accertata legittimità dell’operato dell’Amministrazione appellata comporta logicamente, con la conferma del rigetto dell’azione impugnatoria di parte ricorrente, anche quella della reiezione della domanda di risarcimento del danno del pari introdotta in causa.

In altre parole, poiché sono state disattese le critiche mosse sulla legittimità degli atti gravati in prime cure, l’emersa conformità a diritto dei medesimi non può non incidere inesorabilmente sulla fondatezza della presente richiesta risarcitoria. La presenza di un provvedimento amministrativo rivelatosi immune dai vizi dedotti impedisce, infatti, la qualificazione come ingiusti dei pregiudizi ad esso (solo) astrattamente ricollegabili.

Ne consegue, nello specifico contesto di causa, che il mero ritardo del Comune, rispetto al termine all’uopo previsto dalla legge, nel concludere il procedimento attivato con la domanda di concessione edilizia, si sottrae ad una possibilità di valutazione in termini di sostanziale “ ingiustizia ” ai fini risarcitori.

Il regolare formarsi della concessione edilizia è stato impedito, invero, da un comportamento amministrativo che, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, non si connotava come illegittimo: ed esso era incompatibile con il riconoscimento di uno jus aedificandi del privato.

Va d’altra parte ricordato come l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (15 settembre 2005 n. 7) abbia chiarito che il G.A. riconosce il risarcimento del danno causato al privato dal comportamento dell'Amministrazione solo quando sia stata accertata la spettanza del c.d. bene della vita: non è invece risarcibile il danno da ritardo provvedimentale c.d. «mero», occorrendo appunto verificare se il bene della vita finale sotteso all'interesse legittimo azionato sia, o meno, dovuto. (la ricorrente non è in condizione, ratione temporis , di invocare la nuova previsione di cui all’articolo 2 bis della legge n. 241\1990 introdotta dall'articolo 7, comma 1, lettera c), della legge 18 giugno 2009, n. 69).

7 Per le ragioni esposte, in conclusione, l’appello deve essere respinto.

Si ravvisano, tuttavia, ragioni tali da giustificare anche per questo grado di giudizio la compensazione delle spese processuali tra le parti.

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