Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-02-25, n. 201901304

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-02-25, n. 201901304
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201901304
Data del deposito : 25 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/02/2019

N. 01304/2019REG.PROV.COLL.

N. 08577/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sull’appello n. 8577 del 2018, proposto da Top Ten House S.r.l. in liquidazione (Tth S.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G M F e G G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G M F in Roma, corso Trieste, n. 87;

contro

Il Comune di Gaiola (Cn), non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), n. 342/2018, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2019 il pres. Luigi Maruotti e udito l’avvocato G M F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello in esame, la società ricorrente in primo grado ha impugnato la sentenza del TAR per il Piemonte, che ha respinto il suo ricorso di primo grado n. 663 del 2013, volta ad ottenere un risarcimento del danno, con condanna del Comune di Gaiola.

In particolare, il TAR ha dichiarato in parte irricevibile ed in parte inammissibile il ricorso.

1.2. In punto di fatto, dalla sentenza di primo grado e dall’atto d’appello si evince che:

a) la società in data 16 aprile 2010 ha stipulato un contratto preliminare con i signori Col., avente per oggetto un terreno edificabile di superficie di circa 5.058 mq (v. le particelle nn. 163, 164 e 165 del foglio n. 3 catasto terreni), situato in zona urbanistica ZC5 del piano regolatore comunale;

b) in data 22 settembre 2010, i signori Col. hanno presentato al Comune una istanza di approvazione di un piano esecutivo convenzionato, per la costruzione di un nuovo complesso a schiera, a prevalente destinazione residenziale (per sette unità immobiliari) ed in parte commerciale (per due nuovi locali al piano terreno);

c) il piano attuativo è stato approvato dal consiglio comunale con la delibera 8 aprile 2011, n. 13, cui è seguita la convenzione con i signori Colombo in data 13 maggio 2011;

d) con atto notarile di compravendita del 31 maggio 2011, la società ha acquistato i terreni dai signori Col.;

e) la società ha poi chiesto al Comune il rilascio di permessi di costruire per la realizzazione degli immobili residenziali;

f) il Comune con il permesso gratuito n. 22 del 14 ottobre 2011 ha autorizzato la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria nel comparto e poi con i permessi onerosi nn. 13, 14 e 15 del 4 novembre 2011 ha autorizzato (sui lotti C - D - E) la costruzione di ville residenziali e la realizzazione della strada privata di collegamento con la viabilità pubblica;

g) i lavori sono cominciati il 2 gennaio 2012, ma sono stati sospesi lo stesso giorno per segnalazione di un ordine verbale del Capo Cantoniere, cui è seguito l’atto dell’A.N.A.S. di data 29 marzo 2012, che ha rimarcato l’impossibilità di assentire l’avvio delle opere, in quanto “per la sistemazione dell’innesto della strada comunale con la S.S. 231, dovrà essere predisposta relativa istanza tesa all’ottenimento di autorizzazione, previa sottoscrizione di convenzione ANAS / Comune”;

h) il Comune ha trasmesso all’A.N.A.S. l’istanza di nulla-osta in data 11 maggio 2012, cui è seguita in data 7 febbraio 2013 la sottoscrizione della convenzione tra l’A.N.A.S. ed il Comune, trasmessa in copia alla società in data 24 aprile 2013;

1.3. Con il ricorso di primo grado (notificato in data 11 luglio 2013), la società ha chiesto la condanna del Comune al risarcimento dei danni, deducendo che:

- i lavori di costruzione degli immobili residenziali non hanno mai più avuto inizio;

- la medesima società è stata posta in liquidazione dal 19 giugno 2013;

- sarebbe illegittimo il permesso di costruire n. 22 del 2011 per violazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 380 del 2001, per la mancanza del preventivo parere obbligatorio dell’A.N.A.S. sull’allargamento della strada comunale sfociante sulla S.S. n. 231 (al km 7+200);

- tale illegittimità avrebbe concretamente impedito l’avvio dei lavori per più di un anno, fino al momento della sottoscrizione della convenzione tra A.N.A.S. e Comune;

- per di più, vi sarebbe stato il ritardo della approvazione in data 8 aprile 2011 del piano esecutivo convenzionato, del rilascio dei permessi di costruire del 2011 dei tempi per il rilascio ‘postumo’ del nulla-osta dell’A.N.A.S., pervenuto il 24 aprile 2013;

- i danni ammonterebbero ad euro 136.877,35 per costi di progettazione e danno emergente e ad euro 520.000,00 di mancati ricavi dalle vendite delle unità immobiliari, per lucro cessante, dovendosi altresì considerare il riconoscimento del danno all’immagine e per la perdita di chances contrattuali.

1.4. Nel corso del giudizio di primo grado, il TAR per il Piemonte ha sollevato la questione di costituzionalità dell’art. 30, comma 3, del cod. proc. amm., nella parte in cui esso ha disposto che la domanda di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi deve essere proposta “ entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal momento in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo ”.

La questione è stata dichiarata infondata dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 94 del 4 maggio 2017.

1.5. La sentenza impugnata:

- ha richiamato le disposizioni dell’art. 30, commi 3 e 4, del c.p.a. riguardanti la risarcibilità della lesione arrecata all’interesse legittimo;

- ha constatato che il ricorso di primo grado è stato notificato al Comune in data 11 luglio 2013;

- ha ritenuto che ‘il pregiudizio patrimoniale deve essere causalmente ricollegato ai titoli abilitativi illegittimi, rilasciati dal Comune in difetto del preventivo parere favorevole dell’A.N.A.S. sulla viabilità di collegamento con i lotti edificatori, in violazione dell’art. 20, terzo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 (ai cui sensi compete al responsabile del procedimento l’acquisizione degli eventuali pareri ed assensi di altre Amministrazioni)’;

- ha rilevato che ‘il danno, nei suoi elementi essenziali, si è già prodotto e manifestato all’atto della sospensione dei lavori del 2 gennaio 2012 ovvero, al più tardi, con la nota confermativa del 29 marzo 2012 inviata dall’A.N.A.S. alla Top Ten House s.r.l. ed al Comune)’;

- di conseguenza – per il decorso del termine di centoventi giorni previsto dall’art. 30, comma 3 - ha dichiarato l’irricevibilità della domanda risarcitoria, nella parte basata sulla illegittimità dei permessi di costruire nn. 13, 14 e 15 del 4 novembre 2011 (la cui illegittimità è stata conosciuta al più tardi il 29 marzo 2012);

- ha anche dichiarato irricevibile, per il decorso del termine di centoventi giorni previsto dall’art. 30, comma 4 – la domanda risarcitoria basata sul ‘danno da ritardo’ nel rilascio dei permessi di data 4 novembre 2011, ritenendo che il danno – contrariamente a quanto prospettato dalla società - non si è perfezionato con la convenzione tra l’A.N.A.S ed il Comune, stipulata il 7 febbraio 2013 e comunicata il 24 aprile 2013;

- ha dichiarato ‘inammissibile per difetto di legittimazione’, e anche ‘manifestamente tardiva’, la domanda risarcitoria basata sul ‘ritardo nell’approvazione del piano esecutivo convenzionato’, perché esso è stato a suo tempo proposto dai precedenti proprietari signori Colombo ed è stato dal Comune in data 8 aprile 2011, prima del trasferimento dei terreni alla società;

- ha dichiarato ‘sotto altro profilo inammissibile’ la domanda risarcitoria, ‘in quanto il rilascio da parte del Comune di un titolo edilizio viziato (per carenza del preventivo nulla-osta spettante ad altra Amministrazione) non può essere assimilato al mero ritardo nella conclusione del procedimento, sulla base di un’indebita fictio sostanziale e processuale volta ad eludere il termine decadenziale’;

- nel premettere che è stato prospettato un ‘evento dannoso, consistente nel definitivo fallimento dell’operazione immobiliare intrapresa dalla società ricorrente’, ha osservato che tale evento ìsi è verificato allorquando l’A.N.A.S. ha vietato l’inizio dei lavori, indipendentemente dal ritardo procedimentale che era maturato fino a quel momento’;

- ha ritenuto ammissibile la domanda risarcitoria ‘nella sola parte in cui verte sull’illegittimità dei permessi di costruire nn. 13, 14 e 15 del 2011, provvedimenti ampliativi della sfera giuridica della società ricorrente, la quale non li ha impugnati ma lamenta un rilevante danno patrimoniale scaturito proprio dal vizio che ha attinto quei permessi e che ha impedito, per oltre un anno, l’esecuzione delle opere di urbanizzazione previste nel comparto edificatorio’;

- ha dichiarato irricevibile tale specifica domanda ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.è.a. ‘poiché proposta oltre il termine decadenziale di centoventi giorni’.

2. Con l’appello in esame, la società ha chiesto che - in riforma della sentenza del TAR – sia accolta la domanda risarcitoria formulata in primo grado.

La società ha proposto quattro motivi d’appello, di cui i primi tre (v. pp. 7-21) hanno contestato le rationes decidendi della sentenza del TAR, mentre il quarto (v. pp. 21-24) ha specificato la domanda risarcitoria, quantificata in euro 948.530.

2. Col primo motivo, è lamentato che il TAR avrebbe erroneamente valutato i fatti causativi dell’evento dannoso.

Nel riportarsi a quanto riferito nella esposizione in fatto, l’appellante ha dedotto che il TAR:

- non avrebbe tenuto conto degli ‘accordi tra le parti e della descritta condotta del Comune nell’assolvere all’impegno assunto di sanare il procedimento’;

- non avrebbe valutato ‘nel suo complesso il comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione’, poiché la ricorrente avrebbe ‘legittimamente posto legittimo affidamento nella volontà manifestata dal Comune di sanare il procedimento mediante l’acquisizione dell’autorizzazione dell’A.N.A.S.previa stipula della convenzione’;

- qualora avesse così valutato il ‘comportamento’ del Comune, il TAR avrebbe dovuto ravvisare l’applicabilità dell’art. 30, comma 4, del c.p.a., per il quale il termine di centoventi giorni ‘non decorre fintanto che perdura l’inadempimento’ e comunque esso ‘inizia a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere’;

- quanto alla conclusione del procedimento, rileverebbe il fatto che il Comune con la nota n. 653 del 24 aprile 2013 ha trasmesso l’autorizzazione dell’A.N.A.S. e che con la stessa nota il tecnico comunale abbia rilevato come – con tale ‘atto postumo’ si sia inteso concludere il procedimento, inizialmente considerato concluso in data 2 settembre 2011, quasi un anno e sette mesi dopo l’atto abilitativo all’inizio dei lavori, con la conseguente stipula del contratto d’appalto;

- vi sarebbe stato dunque il legittimo affidamento della società sulla ‘volontà più volte manifestata di voler sanare la situazione’;

- in realtà, l’evento dannoso – consistente nel ‘fallimento dell’operazione immobiliare’ - si è verificato solo quando la società ‘è stata posta in liquidazione ben oltre un atto dopo il divieto dell’A.N.A.S.’, il cui atto dovrebbe essere considerato come ‘evento interruttivo non quello definitivo di causazione del danno’

Col secondo motivo, l’appellante ha lamentato che il TAR avrebbe errato nel valutare i fatti ‘rispetto alla produzione del danno e alla volontà delle parti’, prospettando anche la violazione degli articoli 1175 e 1176 del codice civile, dell’art. 97 Cost. e dell’art. 30, commi 3 e 4 del c.p.a.

La società ha ulteriormente rimarcato come il TAR non abbia attribuito rilievo al suo affidamento riposto ‘nell’impegno assunto dal Comune di effettuare la sanatoria’.

Inoltre, la società ha segnalato le originarie difficoltà di interpretazione dell’art. 30 del c.p.a. ed ha lamentato che le statuizioni della sentenza impugnata avrebbero ‘di fatto escluso la ricorrente da una qualsiasi tutela’.

L’appellante aggiunge che:

- gli ‘accordi già presi dal Comune’ non giustificavano all’epoca una immediata azione nel termine previsto dall’art. 30 del c.p.a.;

- rilevato che ‘la causa di primo grado è durata dal 7 luglio 2013 al 21 marzo 2018’, l’agire prima con la domanda risarcitoria avrebbe esposto la ricorrente ‘al concorso del fatto colposo del creditore ai sensi dell’art. 1227 del codice civile, poiché il Comune aveva a sua volta posto affidamento nella volontà della ricorrente di attendere l’esito della sanatoria del procedimento concordemente avviata, proprio rassicurato sul fatto che fosse ancora possibile avviare l’esecuzione dei lavori e procedere con le vendite degli immobili”;

- su ‘tale reciproco affidamento, e sulle conseguenze in termini di illecito permanente e di percezione reale dell’irreparabilità del danno, che sola determina il dies a quo , nulla è stato detto in sentenza’;

- poiché il Comune si era impegnato a sanare il procedimento, ‘non vi era ancora nessun interesse ad agire per la ricorrente’;

- ‘il danno non deriva direttamente dal provvedimento dell’A.N.A.S., come richiederebbe l’art. 30, terzo comma, al fine della decorrenza del termine decadenziale’, ‘ma è stato causato solamente dalla condotta del Comune che non ha ottemperato alla obbligazione assunta nei confronti della ricorrente di definirne in tempi brevi l sanatoria, anzi ritardando di oltre un anno l’esito favorevole della sanatoria stessa’;

- considerato che il progetto in questione ‘costituiva il principale e fondamentale investimento della società’ e che la sua realizzazione era ancora possibile ‘se l’autorizzazione mancante … fosse giunta nell’arco di tempo previsto per la sanatoria o, al massimo, in pochi ulteriori mesi’, la società aveva ‘reso pubblica la questione a mezzo stampa a novembre del 2012 ovvero circa otto mesi dopo la predetta nota dell’A.N.A.S., quando ormai le difficoltà causate dal trascorrere del tempo iniziavano ad essere insostenibili’;

- l’evento dannoso – cioè ‘il definitivo fallimento dell’operazione immobiliare’ – non sarebbe riferibile alla data dell’originario divieto dell’A.N.A.S., ma solo quando ‘il ritardo nell’acquisizione della convenzione non poteva essere più tollerato e la società veniva posta in liquidazione’;

- la società ha ben potuto interpretare l’art. 30, comma 4, nel senso che si doveva tener conto della sussistenza, nella specie, di un ‘permanente illecito amministrativo’, dovendosi escludere l’applicabilità dell’art. 30, comma 3, ‘sia per carenza di interesse ad agire in concreto, sia per la fiducia riposta dalla società nell’impegno del Comune al fine di una rapida sanatoria e del perfezionamento del procedimento’;

- andrebbero valutate le condotte delle parti ai sensi degli articoli 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 97 Cost. e si dovrebbe attribuire valore decisivo al fatto che la convenzione tra il Comune e l’A.N.A.S. è stata sottoscritta ‘con gravissimo ritardo di oltre un anno soltanto il 24 aprile 2013, ormai troppo tardi’.

Col terzo motivo, la società ha lamentato che il TAR avrebbe travisato i ‘’fatti circa la produzione del danno ed il procedimento di sanatoria in relazione al termine decadenziale di cui all’art. 30, terzo e quarto comma’, con ‘omessa ed errata valutazione dei termini per l’impugnazione del permesso di costruire’.

La società ha ulteriormente dedotto che nella specie vi è stato ‘un evento a formazione plurima, cui hanno concorso più cause e più comportamenti che vanno esaminati nel complesso: il Comune, infatti, dopo aver emesso un provvedimento viziato, ha colposamente inosservato il termine di conclusione del procedimento di sanatoria’.

Il termine di centoventi giorni non poteva dunque cominciare a decorrere prima della nota del 24 aprile 2013, come anche il Comune avrebbe rilevato: il Comune ha infatti comunicato la volontà di sanare il procedimento, con la nota n. 734 dell’11 maggio 2012 (inviata all’A.N.AS. e ‘redatta concordemente con la società’) e con la nota n. 653 del 24 aprile 2013 ed avrebbe ammesso la sua responsabilità con una ‘nota diffusa a mezzo’ stampa su un quotidiano.

Pertanto, si dovrebbe ritenere che il danno si sarebbe concretizzato ‘al momento della tardiva conclusione della sanatoria protrattasi illegittimamente per oltre un anno e tre mesi invece che nei termini previsti: sarebbe stato sufficiente anche il rispetto di un termine ragionevolmente tollerabile per evitare la presente causa’.

Quando alla domanda risarcitoria dal TAR ritenuta ammissibile, ma irricevibile, la società ha poi dedotto che il termine di centoventi giorni non poteva decorrere dalla data del rilascio dei permessi di costruire, da considerare però ‘del tutto legittimi’.

Pertanto, la produzione del danno:

- sarebbe riferibile ad un fattispecie a formazione progressiva, con inizio della nota dell’A.N.A.S. del 29 marzo 2012 e ‘sino alla data della nota del Comune n. 653 del 24 aprile 2013’.

- non sarebbe stata ‘percepibile’ fino a tale data, ‘posto che la ricorrente era fiduciosa in un sollecito e risolutore intervento del Comune’.

La società, nel rilevare che il danno non è derivato da provvedimenti, avrebbe dovuto considerare che esso era ‘evitabile’, qualora il Comune ‘avesse rispettato i tempi ordinari della sanatoria’, senza incorrere in una ‘negligenza che si è protratta per oltre un anno, finendo sia col causare il danno che il suo massimo aggravamento’.

Vi sarebbe stato dunque un ‘grave ritardo col quale colpevolmente il Comune ha sanato quei permessi di costruire, tradendo l’affidamento reciproco esistente tra esso e la ricorrente’.

3. Così riportate le doglianze contenute nei primi tre motivi d’appello, ritiene la Sezione che esse vadano decise congiuntamente, sia perché unitariamente volte a far ravvisare la responsabilità del Comune appellato in ragione della complessiva ‘condotta’ dell’Amministrazione, sia perché le relative deduzioni hanno più volte richiamato le medesime circostanze di fatto e i medesimi atti emanati in sede amministrativa.

4. Ritiene la Sezione che:

a) debbano essere confermate le contestate statuizioni del TAR, sulla irricevibilità della domanda risarcitoria;

b) risultano comunque palesemente infondate le deduzioni dell’appellante, sulla sussistenza della colpa dell’Amministrazione e di un danno risarcibile.

5. Contrariamente a quanto ha lamentato l’appellante, le statuizioni del TAR sulla complessiva irricevibilità della domanda risarcitoria si sono basate su una adeguata lettura delle risultanze processuali e su una corretta interpretazione dell’art. 30, commi 3 e 4, del codice del processo amministrativo.

Il TAR ha rilevato che, in sostanza, la domanda della società si può intendere proposta ai sensi di entrambi tali commi, poiché riferita alla dedotta illegittimità di atti comunali e alla dedotta eccessiva tardività del procedimento ‘di sanatoria’, attivato dal Comune.

Anche dall’atto d’appello (che ha rimarcato come la responsabilità del Comune discenderebbe anche da una valutazione in termini di illiceità del suo complessivo ‘comportamento’), si desume che la società ha prospettato che il danno – derivante dalla impossibilità di realizzare le opere previste nei suoi progetti - si è verificato a causa della illegittimità della autorizzazione n. 22 del 14 ottobre 2011 e dei permessi nn. 13, 14 e 15 del 4 novembre 2011 e del ritardo nel rilascio dei permessi di data 4 novembre 2011.

Poiché il ricorso di primo grado è stato notificato al Comune in data 11 luglio 2013, rispetto a tali provvedimenti il ricorso di primo grado è stato proposto oltre i termini previsti dall’art. 30, commi 3 e 4, del c.p.a.

Come ha evidenziato il TAR, il ricorso è stato proposto ben oltre il termine di centoventi giorni (di cui al comma 3), decorrente dalla conoscenza dei titoli rilasciati il 24 ottobre e il 4 novembre 2011 e, inoltre, ben oltre il termine di centoventi giorni (di cui al comma 4), rilevante per il prospettato ‘danno da ritardo’, quanto ai procedimenti di emanazione dei titoli rilasciati il 4 novembre 2011.

Quanto a questo secondo specifico profilo, non essendo neppure prospettabile nel presente giudizio un ritardo giuridicamente rilevante dell’A.N.A.S. (che neppure ne è parte processuale), del tutto correttamente il TAR ha tenuto conto del segmento procedimentale riguardante il rilascio di tali titoli, rispetto ai quali è stata lamentata la sussistenza del ritardo.

6. Ritiene peraltro la Sezione che la domanda risarcitoria riproposta in questa sede vada comunque respinta per distinte ed autonome ragioni di carattere sostanziale.

6.1. In primo luogo, si deve ritenere decisiva l’assenza della prospettata rimproverabilità dell’Amministrazione comunale, la quale ha improntato la propria attività all’esigenza di venire incontro alle posizioni ed alle esigenze della società appellante.

Tale complessiva valutazione della Sezione si basa sulle seguenti osservazioni:

a) la originaria illegittimità dell’atto comunale n. 22 del 24 ottobre 2011 e, di conseguenza, dei titoli edilizi di data 4 novembre 2011 – rilevata dall’A.N.A.S. con un atto non impugnato, neanche nel presente giudizio – è riferibile anche alla stessa società appellante, la quale ha evidentemente sottoposto all’esame dell’Amministrazione un progetto di per sé non accoglibile, quanto agli aspetti poi posti in evidenza dall’A.N.A.S.;

b) una volta giunta a conoscenza della questione sollevata dall’A.N.A.S., il Comune in tempi più che ragionevoli ha attivato il procedimento ‘di sanatoria’ ed ha poi sottoscritto la convenzione con l’A.N.A.S. in data 7 febbraio 2013;

c) la società non ha proposto alcun ricorso avverso l’ipotizzato ritardo con cui il Comune avrebbe prima rilasciato i titoli edilizi, nonché avverso l’ipotizzato ritardo dei tempi di sottoscrizione della convenzione (peraltro, avente un contenuto discrezionale) di data 7 febbraio 2013.

Contrariamente a quanto dedotto dall’appellante:

- non vi è stato alcun atteggiamento ‘lesivo’, perché vi è stata invece una collaborativa azione amministrativa, volta alla definizione della situazione venutasi a verificare;

- neppure è prospettabile un affidamento ‘incolpevole’, giacché l’illegittimità dei titoli sotto il profilo causale è riferibile al contenuto degli originari progetti, predisposti dalla società (che neppure dopo il loro rilascio ha segnalato che occorreva il nulla osta dell’A.N.A.S.).

6.2. Inoltre, sotto il profilo causale va rimarcato come l’impedimento alla effettuazione dei lavori è sostanzialmente venuto meno a seguito della stipula della convenzione tra l’A.N.A.S. ed il Comune, trasmessa alla società in data 24 aprile 2013 (come essa stessa ha segnalato nell’atto d’appello).

La società è poi stata posta in liquidazione dal 19 giugno 2013.

Si deve pertanto ritenere che il dedotto ‘definitivo fallimento dell’operazione immobiliare intrapresa dalla società’ va considerato come la conseguenza della avvenuta liquidazione della società, che è stata disposta proprio quando tale operazione era divenuta ‘fattibile’ con il consenso dell’A.N.A.S. (con una fattibilità che poteva, se del caso, anche essere oggetto di possibili contrattazioni sul mercato).

D’altra parte, non risulta che il Comune abbia mai disposto la decadenza dei titoli edilizi (né è stato dedotto che tale decadenza vi sia stata e che, in ipotesi, sia stata oggetto di una impugnativa), sicché anche sotto tale profilo si deve ritenere che il ‘definitivo fallimento dell’operazione immobiliare’ – una volta sbloccatasi la situazione con l’assenso dell’A.N.A.S. – si è in realtà verificato con la liquidazione della società.

7. Una volta rilevato che la reiezione del ricorso di primo grado si giustifica sia per le ragioni processuali già rilevate dal TAR, sia per le ragioni sostanziali sopra evidenziate, per completezza si devono respingere, perché infondate, anche le ulteriori specifiche doglianze dell’appellante:

- il pregiudizio patrimoniale non è causalmente riconducibile ai titoli abilitativi, ma alla disposta liquidazione della società, quando ormai da tempo era stato attivato e si era anche concluso il procedimento volto ad acquisire il consenso dell’A.N.A.S.;

- l’infondatezza della domanda risarcitoria emerge anche sulla base dell’esame del ‘complessivo comportamento’ delle parti (non avendo il Comune violato neanche i principi di buona fede e correttezza, pur a volerli considerare rilevanti nella fattispecie in esame, caratterizzata dal susseguirsi di atti e provvedimenti);

- eventuali ritardi del procedimento che ha preceduto la convenzione tra il Comune e l’A.N.A.S. non possono essere considerati sussistenti ovvero giuridicamente rilevanti nel giudizio, poiché non ne è parte l’A.N.A.S., sicché non si può neanche verificare se la lamentata eccessiva durata sia imputabile in tutto o in parte all’A.N.A.S. o sia dipesa dalla complessità delle questioni giuridiche e fattuali, oggettivamente esistenti;

- non risulta applicabile nella specie l’art. 30, comma 4, del c.p.a. (sul risarcimento del danno per il caso ‘ dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento ’), poiché nella specie nessuna colpa del Comune è in concreto ravvisabile, né quanto alla fase del rilascio dei titoli del 2011, né quanto alla fase della interlocuzione con l’A.N.A.S. (perché non è stato neppure prospettato dall’appellante il perché sarebbe ravvisabile la colpa del Comune, al di là del dedotto superamento del termine di conclusione del procedimento, peraltro neppure precisato quanto alla sua durata, con cui confrontare quanto accaduto);

- non è fondata la tesi secondo cui un ‘inadempimento’ del Comune sarebbe conseguito a seguito della attivazione del ‘procedimento di sanatoria’, poiché né risulta esservi stata una sollecitazione della società, né comunque si è trattata di una fase dell’originario procedimento di rilascio dei titoli (per di più avendo attivato il Comune l’ulteriore fase pur non essendovi obbligato, in un’ottica di fattiva comprensione per le esigenze della società);

- all’evento dannoso segnalato dall’appellante - consistente nel ‘fallimento dell’operazione immobiliare’, derivante dalla liquidazione della società – va attribuito rilievo non per far ritenere decorrente il termine per agire in giudizio, ma per constatare come tale ‘fallimento’ sia stata la ragione che ha impedito la realizzazione delle opere (in un contesto nel quale il Comune non aveva dichiarato la decadenza dei titoli edilizi e comunque, una volta risoltesi le questioni con l’A.N.AS., comunque il Comune ben avrebbe potuto esaminare favorevolmente ulteriori analoghe istanze della società);

- valutate le circostanze, è improprio il richiamo sulla sussistenza di un ‘illecito permanente’, giacché – innanzitutto - non vi è mai stata la rituale contestazione, nella sede propria, di un silenzio del Comune, il quale, al contrario, si è anche attivato per venire incontro alle esigenze della società, e – inoltre – non si può ravviare la sussistenza di una ‘obbligazione assunta nei confronti della ricorrente di definirne in tempi brevi la sanatoria’, avendo per di più il Comune attivato il procedimento volto all’acquisizione del consenso da parte dell’A.N.A.S.

8. I primi tre motivi d’appello pertanto risultano infondati e vanno respinti.

Di conseguenza, va respinto anche il quarto motivo, con cui è stato quantificato il danno, che in realtà non è risarcibile.

9. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

Nulla per le spese del secondo grado del giudizio.

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