Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-01-20, n. 202300719
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Pubblicato il 20/01/2023
N. 00719/2023REG.PROV.COLL.
N. 04149/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4149 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato M L F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Fratelli Bronzetti 3;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Questura di Milano, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il signor -OMISSIS-, cittadino -OMISSIS-, ha presentato in data 26 novembre 2016 istanza volta ad ottenere l’aggiornamento del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo n. -OMISSIS-, che gli era stato rilasciato dalla Questura di Milano il 25 luglio 2006.
2. Con decreto del 21 giugno 2017, notificato il 30 giugno 2017, la Questura di Milano ha rigettato l’istanza di aggiornamento ed ha revocato il predetto permesso di soggiorno, a causa delle sentenze di condanna dello straniero, dalle quali ha desunto la pericolosità sociale e sulla scorta delle quali, tenuto conto anche degli elementi indicati nell’articolo 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, ha formulato un giudizio prognostico di reiterazione delle condotte criminose.
Nello specifico, il ricorrente è stato condannato l’11 aprile 2012, dalla Corte d’Appello di Milano, ad 11 mesi di reclusione per il reato di maltrattamenti in famiglia, perpetrato nei confronti della coniuge, da cui è attualmente separato di fatto. Tale pena è stata ricalcolata in seguito ad una ulteriore sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 572 cp., sempre nei confronti della moglie, emessa dal Tribunale di Lodi in data 2 dicembre 2014 e passata in giudicato il 12 aprile 2016, per un totale di 1 anno e 3 mesi di reclusione.
A carico dello straniero vi è inoltre un’ulteriore condanna della Corte d’Appello di Milano, risalente all’11 aprile 2016, a 5 mesi di reclusione per il reato di cui agli artt. 337 e 82 cp e per il delitto di cui all’art. 582 aggravato ai sensi dell’art. 585 cp.
Il giudizio di pericolosità sociale infine non consentirebbe il rilascio di un differente titolo di soggiorno, secondo quanto previsto dall’art. 4 comma 3 D. Lgs 286/98.
3. Il ricorrente ha impugnato il diniego dinanzi al TAR Milano, con contestuale istanza cautelare sospensiva, lamentando la errata ed incompleta valutazione in punto di pericolosità sociale effettuata dall’amministrazione, nonché la violazione di legge per mancata comunicazione del preavviso di rigetto.
4. Con ordinanza n.-OMISSIS- l’istanza è stata rigettata.
5. Con sentenza n. -OMISSIS- il TAR Milano ha respinto il ricorso, sostenendo la correttezza e la completezza della valutazione e del bilanciamento effettuato dalla Questura nonché, in punto di violazione dell’art. 10 bis, la constatata impossibilità di addivenire ad una decisione sostanzialmente diversa.
6. Avverso tale pronuncia ha proposto appello lo straniero, con due distinti motivi di ricorso che ricalcano sostanzialmente le censure mosse nel primo grado di giudizio.
Col primo motivo lamenta il difetto di motivazione e di istruttoria in punto di pericolosità sociale, in quanto la valutazione sulla natura e la durata dei vincoli familiari e sociali, la situazione lavorativa e la durata del soggiorno non sarebbe stata in alcun modo operata dalla Questura.
Con il secondo motivo di ricorso lo straniero si duole della violazione dell'obbligo di comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento ex art. 10 bis l. 241/90.
7. Con ordinanza n.-OMISSIS- l’istanza cautelare è stata rigettata.
8. In data 6 giugno 2022, avendo depositato istanza di riabilitazione per i reati commessi al Tribunale di Sorveglianza di Milano, lo straniero ha chiesto il rinvio della trattazione della causa per attendere la pronuncia del Tribunale penale.
9. Con ordinanza n.-OMISSIS- l’istanza di rinvio è stata accolta, e all’appellante è stato intimato di produrre in giudizio la documentazione sul giudizio di riabilitazione.
10. In ottemperanza alla predetta ordinanza, lo straniero ha depositato, in data 7 luglio 2022, l’ordinanza n.-OMISSIS- del Tribunale di Sorveglianza di Milano, che dispone la riabilitazione;il 20 luglio 2022 ha depositato una documentazione riepilogativa sulla propria situazione lavorativa;in data 2 agosto 2022 ha presentato memoria integrativa chiedendo, nella valutazione in punto di pericolosità sociale, di tener conto anche della sopravvenuta pronuncia di riabilitazione.
11. Alla pubblica udienza del 10 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
1. Con il primo motivo, l’appellante deduce, tra l’altro, che, nelle more tra la definizione del procedimento amministrativo, culminato con il rigetto dell’istanza di aggiornamento e la contestuale revoca del permesso di soggiorno, e l’instaurazione del processo dinanzi a questa Sezione del Consiglio di Stato è intervenuta l’ordinanza n.-OMISSIS-, emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, che ha accolto l’istanza di riabilitazione da lui avanzata in data 6 giugno 2022.
Il Collegio ritiene che le citate circostanze, allegate dall’appellante, non comportano l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto lo stesso è il risultato di una decisione maturata sulla base della valutazione delle circostanze di fatto e di diritto esistenti nel momento della sua adozione, sulla scorta del principio del tempus regit actum. L’amministrazione non poteva che determinarsi in quel modo specifico, stante la natura violenta ed odiosa dei reati commessi dall’odierno appellante, con particolare riferimento al delitto di maltrattamenti in famiglia e pertanto, sotto tale profilo, l’appello non può trovare accoglimento.
Tuttavia, la specificità della questione al vaglio, impone una valutazione più ampia sulla possibile rilevanza delle circostanze maturate successivamente all’adozione del provvedimento che, se pur non idonee ad intaccare sfavorevolmente la valutazione amministrativa, tuttavia incidono significativamente sull’attuale situazione giuridica dell’appellante.
La giurisprudenza amministrativa, in materia di immigrazione, ha talvolta ritenuto irrilevanti le sopravvenienze. Questa posizione trova conforto in una prospettiva del processo amministrativo inteso come giudizio meramente impugnatorio in cui al centro della valutazione del Giudice sta solo la legittimità dell’atto al momento della sua adozione. In questa prospettiva, il sindacato di legittimità dell’atto si limita alla verifica della ragionevolezza e della proporzionalità della decisione amministrativa, secondo quanto conosciuto dalla stessa al momento in cui aveva maturato la propria determinazione.
Questa impostazione, tuttavia, legata alla qualificazione del giudizio amministrativo come meramente impugnatorio, non sempre risulta adeguata alla funzione assegnata al Giudice amministrativo dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo e alla luce della successiva giurisprudenza sovranazionale e interna.
Ciò tanto più nelle ipotesi in cui oggetto del giudizio sono diritti fondamentali della persona umana che possono trovare tutela nel quadro di un idoneo bilanciamento con i valori essenziali della sicurezza e della sostenibilità dei flussi migratori.
Da tempo la giurisprudenza ha dato atto della trasformazione del processo amministrativo “da giudizio amministrativo sull’atto, teso a vagliarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati in sede di ricorso e con salvezza del riesercizio del potere amministrativo, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata.” (Adunanza Plenaria, 2011, n. 3).
È proprio in questi casi in cui il bene della vita da tutelare ha natura personale che oggetto della valutazione giudiziale non può essere solo il provvedimento in sé poiché essa deve necessariamente avvolgere la situazione giuridica soggettiva che fa da sfondo alla vicenda procedimentale.
Se a ciò si aggiungono gli ultimi approdi sull’inesauribilità del potere amministrativo e la specifica funzione riconosciuta al giudicato amministrativo e al giudizio di ottemperanza, diventa chiaro che il giudice amministrativo non può più limitarsi ad una valutazione di tipo statico, ancorata al provvedimento impugnato ma dovrà operare una valutazione di tipo dinamico – fermi restando il potere discrezionale dell’amministrazione competente e il divieto assoluto di sindacato esteso al merito – al fine di evitare il concretizzarsi di un pregiudizio per la situazione giuridica sostanziale.
È in questo quadro che si collocano del resto le ordinanze propulsive a mezzo delle quali il giudice amministrativo, in sede cautelare, ricorre chiedendo all’amministrazione competente di riesaminare la situazione giuridica del ricorrente. Nella specifica materia dell’immigrazione, il giudizio amministrativo come giudizio sulla situazione giuridica soggettiva e non solo sull’atto impugnato, impone dunque la valutazione degli elementi che si sono effettivamente concretizzati nelle more tra l’istanza presentata, il suo esame da parte dell’amministrazione e il giudizio dinanzi al Giudice, specie quando ci sono gli elementi per il riconoscimento di altro titolo di soggiorno perché, se è vero che questi non potevano incidere sull’atto, incidono sulla situazione giuridica dell’appellante e la loro mancata valutazione può comprometterla irrimediabilmente, arrecando un pregiudizio a diritti fondamentali della persona umana.
Nel caso di specie, il provvedimento di diniego appare fondato, sostanzialmente, sulla natura odiosa del delitto di maltrattamenti in famiglia per il quale l’appellante aveva subito condanna, che ad avviso dell’amministrazione denoterebbe un’indole aggressiva, violenta e prevaricatoria, nonché sarebbe indice di grave disvalore sociale. Sicché, la sopravvenuta riabilitazione impone all’amministrazione un giudizio in concreto sulla pericolosità sociale del predetto, da effettuarsi anche in ottica prognostica, che tenga, altresì, conto: che le condotte afferenti ai maltrattamenti si riferivano ad un arco temporale di soli sette mesi, a fronte dei 23 anni trascorsi in Italia;che la moglie ha ristretto l'arco temporale dei maltrattamenti rispetto al capo di imputazione ed ha dichiarato di non essere mai stata picchiata, ha rimesso la querela e dichiarato di essere stata risarcita per i danni materiali arrecati dallo straniero alla sua autovettura. A ciò si aggiunga che, dalla documentazione prodotta in primo grado, risulta che attualmente i rapporti con la moglie e madre dei suoi figli non presentano criticità di sorta, tanto che a far data dalla sentenza di condanna i coniugi hanno assunto un comportamento di reciproco rispetto anche in funzione delle scelte nell'interesse dei figli che sono state sempre prese di comune accordo.
Con riferimento all’intervenuta riabilitazione, infatti, questa Sezione ha già comunque avuto modo di chiarire che non si possa prescindere dal tener conto “ dell’intervento di altro giudice che, operando lo stesso tipo di valutazione [di pericolosità sociale], in base ad indici simili, cancella gli effetti penali della condanna. Il termine “riabilitazione” interviene proprio nel campo della rilegittimazione sociale dell’interessato, modificando il modo in cui la precedente condanna si iscrive nell’ordinamento giuridico, nel senso di attenuarne il peso nella valutazione di pericolosità sociale .” (Cons. St., sez. III, n. 2467 del 2021;n. 6781 del 2020;n. 23 del 2016;n. 4685 del 2013).
Tale mutamento non può dunque non essere preso in considerazione ai fini di una più compiuta e attuale valutazione sulla pericolosità sociale del ricorrente, soprattutto qualora si consideri che il giudice della riabilitazione è un giudice specializzato in materia di recupero sociale come finalità costituzionale che ispira l’intero sistema penale.
Siffatta nuova valutazione dovrà essere compiuta tenendo conto anche di altri requisiti quali il periodo di permanenza in Italia dello straniero, lo svolgimento di una regolare attività lavorativa e lo stato di integrazione sociale raggiunto.
Sotto questo limitato profilo, può dunque essere accolta l’istanza di tutela dell’appellante, ai soli fini della rivalutazione sulla sua posizione giuridica.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio.
2. Data la fondatezza del primo motivo, nei sensi e nei termini poco sopra esplicitati, il secondo motivo può essere assorbito.
3. Tutto quanto premesso, può essere accolta l’istanza di tutela dell’appellante, ai soli fini della rivalutazione sulla sua posizione giuridica.
In considerazione della particolarità della vicenda le spese di entrambi i gradi di giudizio possono essere compensate.