Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-03-17, n. 201701221

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-03-17, n. 201701221
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201701221
Data del deposito : 17 marzo 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/03/2017

N. 01221/2017REG.PROV.COLL.

N. 08425/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8425 del 2016, proposto da:
Ministero dell'Interno, Questura di Roma, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Associazione Comitato per il Si nei due referendum abrogativi della L.

6.5.2015 n. 52, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato P A, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Corso d'Italia, n. 97;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, Sezione Prima Ter, n. 7336 del 2016, resa tra le parti, concernente il divieto di raccolta delle firme per i quesiti referendari relativi all'abrogazione della legge elettorale;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Associazione comitato per il Si nei due referendum abrogativi della L.

6.5.2015 n. 52;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2017 il Cons. S S e uditi per le parti l’avvocato P A e l'avvocato dello Stato Agnese Soldani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con il ricorso di primo grado proposto dinanzi al TAR per il Lazio, l’Associazione ricorrente (in seguito il Comitato), ha chiesto l’annullamento del provvedimento della Questura di Roma, in data 14.4.2016, con il quale le era stata vietata, nei giorni 16 e 17 aprile 2016, la raccolta di firme per i quesiti referendari relativi all’abrogazione di alcune parti della legge 6 maggio 2015 n. 52 (riguardante il referendum elettorale), in quanto in quei giorni doveva tenersi la consultazione elettorale relativa al referendum sulle c.d. “trivelle”.

Secondo la Questura, infatti, l’iniziativa - sia per la denominazione del Comitato promotore della raccolta delle firme, che per la tematica promossa -, avrebbe potuto costituire una forma di propaganda indiretta per le consultazioni elettorali che avrebbero dovuto tenersi in quei giorni, per i quali sussisteva il ‘silenzio elettorale’.

Essa, inoltre, avrebbe potuto condurre a delle

contro

-iniziative da parte di gruppi contrapposti, con possibili ricadute sull’ordine e la sicurezza pubblica.

2. - Con decreto presidenziale n. 1808 del 15.4.2016, ravvisate le ragioni di estrema gravità ed urgenza previste dall’art. 56 c.p.a., è stata accolta la domanda cautelare e fissata la camera di consiglio collegiale per il 17.5.2016 nella quale è stata adottata la sentenza in forma semplificata con la quale è stato accolto il ricorso, oggetto del presente gravame.

3.- Avverso tale sentenza ha proposto appello l’Amministrazione dell’Interno chiedendone la riforma.

3.1 - Si è costituito in giudizio il Comitato che ha controdedotto in merito alle doglianze proposte, chiedendo l’integrale conferma della sentenza appellata.

4. - All’udienza pubblica del 2 febbraio 2017 l’appello è stato trattenuto in decisione.

5. - L’appello è infondato e va, dunque, respinto.

5.1 - E’ opportuno riportare – in estrema sintesi – le motivazioni della sentenza di primo grado.

Il TAR ha ritenuto che nessuno dei motivi che avevano indotto la Questura ad adottare il provvedimento impugnato fosse idoneo a legittimarlo, in quanto:

- tra i due eventi (quello relativo al voto per il referendum c.d. sulle “trivelle”, e quello relativo alla contestuale raccolta di firme per il referendum sulla legge elettorale) non potevano esservi ragionevoli margini di confusione reciproca, tenuto conto – da un lato -, della loro oggettiva diversità, e - dall’altro -, della maturità del corpo elettorale;

- non poteva ritenersi sussistente il rischio di disordini per l’ordine e la sicurezza pubblica, in quanto il precedente citato dalla difesa dell’Amministrazione (relativo all’attività di gazebi autorizzati in favore del movimento “Noi con Salvini”, in occasione dei quali si erano verificati disordini tra contrapposte fazioni), doveva ritenersi inconferente, atteso che, nel caso di specie, si trattava della mera raccolta di firme senza riferimento ad alcuna specifica parte politica;

- ex post , si era constatata l’insussistenza dei timori per l’ordine e la sicurezza pubblica avvertiti dall’Amministrazione, tenuto conto che nessun evento pregiudizievole si era verificato a seguito della sospensione dell’efficacia del decreto impugnato, e della conseguente raccolta di firme in quei due giorni.

5.2 - Con l’unico articolato motivo di appello, l’Amministrazione, dopo aver rilevato che il provvedimento impugnato non intendeva negare il diritto alla raccolta delle firme, ma indurre soltanto lo spostamento delle date di raccolta delle sottoscrizioni, ha ribadito che le esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica erano ipotizzabili ex ante, come già chiarito in primo grado.

Infatti:

- il diniego opposto ai sensi dell’art. 17 Cost., dell’art. 18 del TULPS e dell’art. 19 del Regolamento di esecuzione dello stesso TULPS, risultava giustificato dalla necessità di tutelare le persone e le cose dal rischio di possibili aggressioni e violenze, sia nei confronti dei partecipanti al banchetto di raccolta delle firme, sia degli elettori che si sarebbero recati ai seggi elettorali;
il provvedimento sarebbe stato disposto anche a tutela dei beni che avrebbero potuto rimanere coinvolti in caso di eventuali disordini;

- si erano, infatti, verificati in precedenza disordini in relazione dei banchetti allestiti dal movimento “Noi con Salvini” che avevano comportato l’impiego della Forza Pubblica al fine di evitare possibili danni a persone e cose;

- il Comitato avrebbe potuto raccogliere le firme in altre date (non di sabato e domenica) come già effettuato in precedenza, ed avrebbe potuto utilizzare anche i fine settimana successivi senza interferire con la data delle votazioni;

- la raccolta di sottoscrizioni avrebbe costituito una forma di ‘propaganda indiretta’ per le prossime consultazioni elettorali poiché riferita non solo alla legge elettorale, ma anche ad “altri quesiti referendari”;
avrebbe potuto indurre in confusione gli elettori e concretizzarsi – quindi – in una forma di propaganda indiretta vietata dalla legge (art. 9 della L. n. 212/1956).

6. - Le doglianze non possono essere condivise.

6.1 - Occorre innanzitutto precisare che l’Amministrazione ha chiaramente manifestato la persistenza dell’interesse all’appello, sebbene ormai la questione oggetto del contendere (legittimità del divieto di raccolta delle firme nei giorni 16 e 17 aprile 2016) sia stata superata in via di fatto.

Dopo il provvedimento monocratico reso in primo grado, la raccolta di firme si è tenuta senza alcun problema di ordine e sicurezza pubblica, ed alcuna interferenza si è verificata con il voto referendario, conclusosi – come è noto – con il mancato raggiungimento del quorum.

Alla luce dei disordini che si erano verificati in precedenza con i banchetti di “Noi per Salvini”, si appalesa comprensibile - sotto l’aspetto dell’opportunità – la scelta della Questura la chiedere la ‘collaborazione’ del Comitato affinché spostasse le date previste per la raccolta delle firme;
nondimeno, è altrettanto comprensibile la ferma opposizione da parte del Comitato (dovuta – probabilmente – non soltanto alla necessità di raccogliere le sottoscrizioni nei giorni di sabato e domenica, ma anche alla asserita disparità di trattamento alla quale si fa cenno in memoria alla pag. 6), in quanto tali banchetti erano stati comunque autorizzati, sebbene avessero dato origine per ben tre volte a problemi di ordine e sicurezza pubblica.

In ogni caso, le valutazioni di tipo soggettivo, che attengono al profilo dell’opportunità e non della legittimità, non possono assumere rilievo nella sede processuale, nella quale il giudice deve limitarsi ad accertare se le norme richiamate a sostegno del provvedimento del Questore di Roma, e cioè gli artt. 17 Cost., 18 del TULPS e 9 della L. n. 212 del 1956 potessero consentire di vietare la raccolta di firme nei giorni 16 e 17 aprile 2016.

6.2 - Come è noto l’art. 17 Cost. 3° comma Cost. consente all'autorità di pubblica sicurezza di vietare le riunioni in luogo pubblico per “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.

Per quanto attiene alla latitudine dei "motivi di sicurezza o di incolumità pubblica" essi sono sostanzialmente riconducibili alla "pacificità", e quindi alla tutela dell'ordine pubblico c.d. "materiale" di cui al 1° comma dello stesso art. 17 Cost. A questi si possono aggiungere la possibilità di divieto per motivi inerenti alla tutela della salute collettiva (concetto riconducibile alla "incolumità pubblica") o del buon costume (ai sensi dell' art. 21, 6° comma, Cost.): a queste condizioni si deve affermare la perdurante legittimità costituzionale dell' art. 18, 4° comma, del TULPS che prevede la possibilità di divieto delle riunioni "per ragioni di ordine pubblico, di moralità o di sanità pubblica".

Tenuto conto del rango costituzionale di tale diritto, deve ritenersi che la riunione in luogo pubblico possa essere vietata quando vi sia un pericolo notevolmente probabile (comprovato) di incisione sulla sicurezza o sull'incolumità pubblica (Cass. pen. Sez. I, 13-06-1994 Leitner e altri).

6.3 - Ritiene il Collegio, conformemente a quanto già affermato dal primo giudice, che la raccolta delle firme per l’abrogazione del referendum elettorale non potesse realisticamente costituire una propaganda indiretta per il voto referendario, né generare disordini tanto da richiedere l’uso della Forza Pubblica, e che quindi non ricorressero – secondo una valutazione prognostica sulla base del principio dell ’id quod plerumque accidit – sufficienti elementi dai quali desumere l’esistenza di un reale e concreto rischio di disordini, tale da comportare il sacrificio del diritto di riunione, avente rilevanza costituzionale.

Correttamente il TAR ha escluso tale rischio: non vi è, infatti, alcuna analogia tra le due situazioni di fatto alle quali si è richiamata la difesa dell’Amministrazione;
nel primo caso si trattava di banchetti riconducibili ad una specifica forza politica (la Lega Nord) radicata territorialmente;
nell’altro caso di una semplice raccolta di firme per la proposizione di un referendum, istituto di rilevanza costituzionale, come correttamente rilevato dall’appellato.

Il divieto presupponeva, quindi l’esistenza di seri elementi dai quali desumere il rischio di pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, che non potevano identificarsi con mere scelte cautelative motivate dall’opportunità e non dalla necessità.

Il divieto deve essere infatti proporzionato al fine perseguito: solo in presenza di effettivi rischi di pericolo può essere leso il diritto di riunione, circostanza che – realisticamente – doveva ritenersi assai poco probabile in base ad una valutazione ex ante , che ha poi trovato conferma ex post.

Né la raccolta di firme poteva ragionevolmente costituire ‘propaganda indiretta’, in quanto – come ha correttamente rilevato il primo giudice -, si trattava chiaramente di due referendum aventi ben differente oggetto, e dunque non confondibili tra loro, tenuto conto della maturità degli elettori abituati da anni a votare per i quesiti referendari.

Né il generico riferimento ad “altri quesiti referendari” poteva ragionevolmente trarre in inganno, atteso che si trattava della raccolta di sottoscrizioni, attività che viene eseguita a distanza di mesi dalla data in cui gli elettori si recano alle urne per esercitare il loro diritto di voto.

Inoltre, l’art. 9, comma 2, della legge 212 del 1956 dispone che: “Nei giorni destinati alla votazione altresì è vietata ogni forma di propaganda elettorale entro il raggio di 200 metri dall’ingresso delle sezioni elettorali”, sicché oltre i 200 metri dai seggi è possibile la propaganda elettorale anche il giorno delle elezioni, tanto è vero che viene comunemente ammesso il ‘volantinaggio’, purché a distanza superiore ai 200 metri dai seggi.

Ne consegue che la ratio del divieto – evitare la coartazione della volontà dell’elettore – non era chiaramente sussistente nel caso di specie, tenuto conto della oggettiva diversità dei due referendum.

7. - L’appello va dunque respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza di primo grado che ha accolto il ricorso di primo grado.

8. - Le spese del grado di appello seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi