Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-02-04, n. 201900842

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-02-04, n. 201900842
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201900842
Data del deposito : 4 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/02/2019

N. 00842/2019REG.PROV.COLL.

N. 00147/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 147 del 2018, proposto da
G P, rappresentata e difesa dagli avvocati M B e S D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio S D e Bonetti in Roma, via S. Tommaso D’Aquino n. 47;

contro

Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato R P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Ufficio di Rappresentanza della Regione Campania in Roma, via Poli n. 29;

nei confronti

Adele Stornaiuolo, rappresentata e difesa dall'avvocato Aldo Starace, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Claudia De Curtis in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 142;
Luigi Pezzella e Stefano Pomicino, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio, sede di Roma, sezione III quater, n. 12041/2017, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Salute, della Regione Campania e di Adele Stornaiuolo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2019 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli Avvocati Cantelli su delega dichiarata di M B, R P, Bruno Ricciardelli su delega dichiarata di Aldo Starace e l'Avvocato dello Stato Attilio Barbieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

Con la sentenza appellata, il T.A.R. Lazio ha respinto il ricorso proposto dall’odierna appellante - prima in sede straordinaria, quindi trasposto in sede giudiziale - avverso la graduatoria conclusiva del concorso svoltosi presso la Regione Campania per l’ammissione al corso di formazione specifica in Medicina Generale per il triennio 2016/2019, nell’ambito della quale la suddetta si collocava alla posizione 101 con 59 punti, ovvero a soli 2 punti dall’ultimo candidato ammesso.

L’originaria causa petendi , incentrata sulla dedotta necessità di predisporre una graduatoria nazionale e finalizzata quindi a conseguire la caducazione integrale della graduatoria regionale impugnata, veniva ampliata - successivamente alla trasposizione - con i motivi aggiunti notificati il 15 marzo 2017 e depositati dinanzi al T.A.R. il successivo 22 marzo, conseguenti all’evasione, in data 16 novembre 2016, di una istanza di accesso, che consentiva alla ricorrente di apprendere che il punteggio alla stessa assegnato era scaturito dall’attribuzione di 0 punti (e non di 1 punto) alla risposta da lei data al quesito n. 23.

Con i motivi aggiunti, quindi, la ricorrente contestava la correttezza della suddetta penalizzante valutazione, in vista del miglioramento della sua posizione nella graduatoria originariamente impugnata: in particolare, l’interesse alla loro proposizione, ella deduceva, scaturiva dal fatto che, per effetto dello scorrimento della graduatoria - verificatosi nelle more - fino alla posizione n. 93, corrispondente al punteggio di 60, ella, qualora le fosse stato attribuito il punto ingiustamente non assegnatole, si sarebbe classificata in utile posizione.

Il T.A.R., respinte le censure formulate con il ricorso introduttivo e focalizzato l’oggetto del contendere sulla individuazione della risposta corretta - “viremia quantitativa”, come ritenuto dalla ricorrente, o “viremia qualitativa”, come sostenuto dall’Amministrazione - al quesito n. 23 (così formulato: “qual è il test più utile per valutare la risposta alla terapia antivirale per l’epatite cronica da HCV”), concludeva, sulla scorta della relazione istruttoria del Ministero della Salute, a sua volta fondata sui chiarimenti resi dalla commissione redattrice dei quesiti del concorso, in senso sfavorevole alla ricorrente.

Mediante i motivi di appello, ella censura la sentenza appellata anche deducendo, sulla scorta di plurimi argomenti tecnico-scientifici, che la determinazione dell’HCV-RNA (viremia quantitativa) risulta nella pratica clinica il test più utile per il monitoraggio della risposta al trattamento antivirale.

Si sono costituiti in giudizio, per resistere all’appello, il Ministero della Salute, la Regione Campania e la controinteressata dott.ssa Stornaiuolo Adele, la quale ha anche riproposto le eccezioni di inammissibilità del ricorso non esaminate dal T.A.R., allegando in particolare quanto segue: 1) premesso che i motivi aggiunti notificati il 15 marzo 2017 non hanno ad oggetto nuovi provvedimenti, ma si rivolgono avverso la stessa graduatoria regionale originariamente impugnata, la loro proposizione viola la regola di esatta corrispondenza tra il contenuto del ricorso straordinario e quello del giudizio veicolato dalla trasposizione;
2) i medesimi motivi aggiunti introducono un petitum , inteso alla ammissione della ricorrente alla graduatoria regionale, contraddittorio rispetto a quello originario, rivolto alla caducazione integrale della medesima graduatoria;
3) i medesimi motivi aggiunti sono stati tardivamente proposti, attesa la lesività intrinseca della graduatoria regionale, con la conseguente immediata insorgenza dell’interesse della ricorrente alla migliore collocazione nella stessa in funzione di tutte le utilità che sarebbero potute scaturirne, anche in vista di futuri scorrimenti;
4) l’irricevibilità dei motivi aggiunti consegue anche al fatto che, per effetto della trasposizione, il termine per proporli era di 60 e non di 120 giorni;
5) essendo stata omessa la notifica del ricorso introduttivo nei confronti della controinteressata, nei suoi confronti avrebbe dovuto quantomeno disporsi l’integrazione del contraddittorio;
6) essendo i motivi aggiunti del tutto sganciati dal ricorso introduttivo, la competenza a conoscerli spettava al T.A.R. Campania.

Con successiva memoria, la controinteressata ha chiesto disporsi l’integrazione del contraddittorio nei confronti di coloro che, per effetto della diversa valutazione della risposta al quesito n. 23, subirebbero un decremento del punteggio.

Tanto premesso, le (riproposte) eccezioni di inammissibilità della controinteressata devono essere subito complessivamente esaminate.

Può muoversi dal pacifico presupposto secondo cui il termine per l’impugnazione di una graduatoria concorsuale coincide con la data in cui l’interessato ha conoscenza del suo perfezionamento, della sua lesività e dei vizi che la inficiano: con riguardo agli ulteriori vizi che siano conosciuti sulla base di documenti acquisiti successivamente alla introduzione del giudizio, invece, la loro rappresentazione apud iudicem (nella forma dei motivi aggiunti) non può che avvenire nel rispetto del termine all’uopo prescritto, decorrente dalla data di effettivo esercizio del diritto di accesso.

Può altresì convenirsi sul fatto che, sia che si tratti della delimitazione della materia del contendere operata con il ricorso introduttivo o con i motivi aggiunti, non incidono sul termine per la loro proposizione, come dianzi determinato, eventi che, come lo scorrimento della graduatoria, siano suscettibili di concretizzare a posteriori , da un punto di vista squisitamente pratico, l’interesse a ricorrere, per ipotesi non sussistente al momento della formazione (e della conoscenza) della graduatoria: invero, così come l’ipotetico (ma imprevedibile) scorrimento non vale a materializzare l’interesse al ricorso per un candidato non utilmente collocato in graduatoria (a meno che non faccia valere vizi di carattere interamente caducante), allo stesso modo il successivo ricorso allo scorrimento da parte dell’Amministrazione non vale a legittimare la tardiva proposizione del ricorso (o dei motivi aggiunti), una volta decorso il termine per la loro proposizione, decorrente dalla conoscenza della graduatoria (o dalla successiva acquisizione dei documenti da cui siano emersi vizi ulteriori a carico della stessa).

Gli eventi successivi alla formazione della graduatoria, quindi, a cominciare dall’eventuale scorrimento, attengono alla sfera volitiva interna della parte, quali fattori giustificativi - anche da un punto di vista temporale - delle sue insindacabili scelte processuali, ma restano del tutto irrilevanti ai fini della verifica del rispetto degli oneri processuali sulla stessa incombenti.

Prima di applicare le suindicate coordinate interpretative alla fattispecie oggetto di giudizio, deve escludersi che tra il petitum formulato con l’originario ricorso straordinario e quello articolato con i motivi aggiunti, nei termini innanzi precisati, sia ravvisabile la contraddittorietà ipotizzata dalla controinteressata: deve infatti osservarsi che tra i due petita (e gli interessi con essi rispettivamente perseguiti) sussiste piuttosto un rapporto di continenza, il primo mirando alla caducazione integrale della graduatoria impugnata ed il secondo al miglioramento della posizione nella stessa occupata dalla dott.ssa Palladino, restando devoluta al giudice adito l’individuazione del corretto ordine di esame delle rispettive domande, in funzione della loro idoneità al raggiungimento del maggior grado di satisfattività per la parte ricorrente.

Sempre in via preliminare, non potrebbe sostenersi che l’originaria ricorrente, per effetto della opzione da lei manifestata per l’impugnazione straordinaria, e per il solo fatto di averla attuata, abbia consumato la facoltà di ampliare il thema decidendum , anche indipendentemente dalla impugnazione di nuovi provvedimenti: non può infatti negarsi che, così come è consentito proporre motivi aggiunti quando la conoscenza dei documenti rilevanti per l’individuazione dei vizi con essi dedotti sia successiva alla introduzione della controversia, così è possibile frazionare l’allegazione dei vizi, pur interamente conosciuti all’atto della instaurazione del giudizio (o della pregressa fase giustiziale), mediante la proposizione di semplici cd. motivi nuovi o integrativi, ove non siano superate le relative preclusioni processuali, nei termini dianzi precisati.

Né la proposizione di motivi ulteriori, intesi a contestare la posizione attribuita alla ricorrente nella graduatoria conclusiva successivamente alla trasposizione del ricorso straordinario in sede giudiziale, può ritenersi confliggente con la necessaria corrispondenza tra l’oggetto della fase giustiziale e di quella processuale: non vi è dubbio, infatti, che una volta che la suddetta regola sia stata rispettata in sede di trasposizione, la parte ricorrente possa avvalersi degli strumenti processuali volti ad ampliare il thema decidendum già devoluto al giudice, ove - si ripete - non siano maturate preclusioni processuali, tenuto conto che la ratio sottesa alla regola suindicata è connessa all’esigenza di evitare che la proposizione di motivi ulteriori sia utilizzato come espediente per eludere l’originario termine di impugnazione.

Ebbene, venendo al cuore delle eccezioni della parte controinteressata ed iniziando dalla individuazione del dies a quo per la proposizione dei suddetti motivi aggiunti (ma in realtà meramente nuovi o integrativi, essendo basati su documenti conosciuti dalla ricorrente, per effetto della presentazione della suddetta istanza di accesso, prima della proposizione del ricorso straordinario), lo stesso non può essere individuato nella data (16 novembre 2016) in cui la parte appellante ha esercitato il diritto di accesso avente ad oggetto la documentazione (ovvero: scheda delle risposte date al test e griglia valutativa elaborata dalla commissione) da cui era possibile evincere il vizio con gli stessi dedotto, relativo alla asseritamente erronea valutazione della risposta da lei data al quesito n. 23: deve infatti ribadirsi che, nell’ipotesi in cui i vizi ulteriori siano conosciuti in una fase temporale antecedente alla introduzione del giudizio (o della fase impugnatoria straordinaria), la riconosciuta discrezionale facoltà di frazionare l’allegazione dei vizi, pur conosciuti una tantum , deve avvenire assumendo come insuperabile dies a quo la data in cui la parte ha acquisito conoscenza del provvedimento lesivo (nella specie, la graduatoria concorsuale regionale).

Invero, la postergazione del termine per effetto della conoscenza di nuovi documenti atti a rivelare vizi ulteriori può operare quando il giudizio (o la fase decisoria giustiziale) sia già stato instaurato, mentre, quando si tratti, come nella specie, di semplici motivi nuovi (cioè basati su documenti precedentemente acquisiti), il termine per la loro proposizione non può che essere unico e decorrere dalla originaria conoscenza del provvedimento lesivo: ciò alla luce della finalità dello strumento dei motivi aggiunti di garantire la parità processuale delle armi tra il cittadino e l’Amministrazione, la quale non viene evidentemente in rilievo quando la conoscenza dei documenti sia anteriore alla instaurazione della controversia.

Escluso, quindi, che il dies a quo per la proposizione dei motivi (non aggiunti, ma) integrativi, nel senso illustrato, possa farsi coincidere con la data di esercizio del diritto di accesso, non risulta tuttavia dagli atti del giudizio, né viene dedotto dalla parte resistente all’appello (al fine di corroborare la sua eccezione di tardività), il dies a quo per l’impugnazione della graduatoria, rispetto al quale verificare la tempestività dei motivi predetti: invero, se il D.D. n. 82 del 3 novembre 2016, di approvazione della graduatoria, è stato pubblicato sul B.U.R.C. in data 7 novembre 2016, non risultano posti in essere gli altri adempimenti per far decorrere il termine da data, per ipotesi, antecedente alla data - 16 novembre 2016 - di esercizio del diritto di accesso da parte della appellante (l’art. 8, punto 6, del bando di concorso prevede infatti che la graduatoria, oltre che essere pubblicata sul B.U.R.C., venga affissa presso gli Ordini provinciali dei Medici Chirurghi della Regione Campania).

Né la fissazione del dies a quo del termine di impugnazione della graduatoria in coincidenza con la data della sua pubblicazione, per effetto della ipotetica conoscenza della stessa acquisita dalla appellante nella suddetta data, ovvero con data anteriore a quella di esperimento dell’accesso, avvenuto il 16 novembre 2016, potrebbe farsi discendere dalle sue dichiarazioni, contenute nel ricorso di primo grado e nell’atto di appello, laddove afferma che “a differenza di altre procedure concorsuali, la gestione della prova che ci occupa non consente di vedere, immediatamente, il proprio compito così da comprendere e verificare a quali domande si è risposto correttamente o meno, non esistendo, soprattutto, un correttore ufficiale e pubblico reso noto contestualmente alla pubblicazione della graduatoria. Solo con la proposizione dell’istanza d’accesso agli atti evasa in data 16 novembre 2016, infatti, è stato possibile apprendere che parte ricorrente aveva ottenuto il punteggio di 59 anche in quanto alla domanda n. 23 della sua prova venivano attribuiti zero punti e non 1 come, invece, le spetterebbe…”: invero, dalle suddette dichiarazioni è dato evincere esclusivamente che l’accesso si è reso indispensabile al fine di comprendere le ragioni del punteggio, ma non la data di conoscenza effettiva della graduatoria da parte della appellante.

Occorre a questo punto verificare, però, se, una volta verificatasi la trasposizione, il termine per la proposizione dei motivi nuovi fosse quello (lungo) originario, proprio del ricorso straordinario, o quello ordinario processuale.

Ebbene, deve ritenersi che, una volta introdotto il giudizio, il regime dei termini non possa che essere quello processuale: con la precisazione, tuttavia, che, dipendendo la trasposizione da una scelta della controparte, il termine di 60 giorni non potrebbe che farsi decorrere dalla notifica dell’atto di opposizione, sempre che il termine lungo, a tale data, non fosse spirato (non potendo l’atto di opposizione risolversi nella rimessione in termini della parte ricorrente).

In concreto, poiché l’opposizione è stata notificata il 25 gennaio 2017, i motivi nuovi sono stati tempestivamente notificati in data 15 marzo 2017, mentre non risulta consumato, a quella data, il suddetto termine lungo (anche assumendo, contrariamente al vero, che la decorrenza del termine per l’impugnazione della graduatoria coincidesse con il 7 novembre 2016, data di pubblicazione della stessa sul B.U.R.C.).

Che poi la sommatoria dei due termini ( ergo di quello lungo, nella misura in cui era già decorso alla data della proposizione del ricorso straordinario, e di quello ordinario processuale) non debba superare il termine previsto per il gravame straordinario, è circostanza non rilevante ai fini del decidere, non essendo dimostrato né eccepito che, alla data di proposizione dei motivi aggiunti (ma in realtà, come si è detto, meramente integrativi), il termine lungo fosse decorso (in mancanza di univoci elementi atti a far retroagire il dies a quo per l’impugnazione della graduatoria a data antecedente al 16 novembre 2016: in proposito, deve sottolinearsi che, affinché possa predicarsi la tardività dei motivi aggiunti, occorrerebbe dimostrare che la conoscenza della graduatoria sia avvenuta, quantomeno, il 14 novembre 2016).

In conclusione, l’eccezione di tardività dei motivi aggiunti deve essere respinta.

Alla conclusione reiettiva deve pervenirsi anche con riguardo all’eccezione di mancata integrazione del contraddittorio mediante la notifica del ricorso introduttivo del giudizio, già per il fatto che le censure con esso articolate, e respinte dal T.A.R., sono state abbandonate dalla stessa appellante.

E’ infondata ( recte , inammissibile) anche l’eccezione di incompetenza del T.A.R. Lazio in relazione ai motivi aggiunti, atteso che la questione avrebbe dovuto essere sollevata mediante rituale impugnazione, nella specie preclusa dal fatto che la sentenza appellata non aveva contenuto lesivo per la parte appellata.

Infine, non sussistono i presupposti per disporre l’integrazione del contraddittorio nel presente giudizio di appello, non rilevando, ai fini della individuazione dei controinteressati, la perdita di punti che non si traduca nella estromissione dal novero dei vincitori della selezione.

Nel merito, è fondata la censura intesa a contestare la correttezza della valutazione fatta dalla commissione della risposta data dalla appellante al quesito n. 23.

Il prof. G A, Ordinario di Microbioloia e Microbiologia clinica - Dipartimento di Medicina molecolare - presso l’Università Sapienza di Roma e Direttore del Dipartimento ad attività integrata dei Servizi Diagnostici AOU Policlinico Umberto I, sub-delegato per l’esecuzione dell’attività istruttoria disposta da questa Sezione con l’ordinanza n. 3747/2018, ha così, tra l’altro, relazionato, dopo aver espressamente esaminato (con la relazione depositata in via definitiva in data 8 ottobre 2018) le osservazioni delle parti: “il saggio di viremia quantitativa deve essere considerato più completo e quindi più utile rispetto a quello della viremia qualitativa. Esso in effetti permette sia di monitorare la risposta alla terapia sin dalle prime settimane di terapia sia di verificarne l’efficacia nell’eradicare l’infezione…peraltro, il test quantitativo è quello che veniva (già nel 2016) e viene ormai usato di routine nella quasi totalità dei centri di monitoraggio e valutazione dell’efficacia terapeutica dei nuovi trattamenti anti-HCV...entrambe le risposte sono corrette se si considera “valutare” l’esito finale della terapia...solo la risposta viremia quantitativa è corretta se si considera valutare l’esito e il monitoraggio della terapia”.

Il verificatore ha quindi chiarito che, indipendentemente dalla lettura che si ritenga di dare al quesito (se cioè inteso a richiedere quale test sia più efficace per verificare la risposta finale alla terapia – ergo , la permanenza o meno del virus al di sopra della soglia di rilevabilità – o la risposta in progress alla terapia medesima – ovvero durante la sua somministrazione al paziente), il saggio di “viremia quantitativa” ha raggiunto standards di sensibilità ed efficacia pari a quello di “viremia qualitativa”.

Il verificatore, inoltre, ha evidenziato che dal 2016 in poi il saggio di “viremia quantitativa” è quello più utilizzato ai fini della esecuzione del test: circostanza che non può non corroborare la fondatezza delle deduzioni attoree, tenuto conto dell’epoca di formulazione del quesito e del fatto che la maggiore diffusione di una determinata metodologia di test non può non essere sintomo della sua maggiore (o, quantomeno, pari rispetto a quella/e concorrente/i) efficacia.

I rilievi svolti consentono quindi di superare le osservazioni critiche formulate dalla controinteressata (con la memoria del 17 dicembre 2018, di cui la parte appellante contesta peraltro la tempestività) in ordine al rispetto del contraddittorio nella esecuzione della verificazione ed alla coerenza della relazione di verificazione con l’unico significato logicamente attribuibile al quesito de quo (nel senso, secondo la controinteressata, della sua finalizzazione a richiedere quale sia il test più utile al fine di verificare la risposta finale al trattamento anti-virale).

Le considerazioni del verificatore, promanando da un organo terzo rispetto alla elaborazione del test sottoposto ai candidati (e delle relative risposte corrette), dimostrano quantomeno la non univoca qualificabilità come errata della risposta data dalla appellante al quesito n. 23: né tale conclusione travalica i confini posti al sindacato del giudice amministrativo in materia di discrezionalità tecnica, atteso che le stesse, non tanto confutano la correttezza delle valutazioni della preposta commissione di concorso, quanto piuttosto minano l’univocità del quesito e dello stesso contesto tecnico-scientifico di fondo, dal quale sono desumibili argomenti a favore della correttezza dell’una o dell’altra possibile risposta, a seconda del periodo di riferimento e (in parte) dello scopo del test, non consentendo di qualificare come errata la risposta data dalla appellante al quesito n. 23, con la conseguente spettanza alla stessa, in relazione a tale risposta, di 1 punto e non di 0 punti, che nella univoca erroneità della risposta troverebbero il loro necessario presupposto.

L’appello, in conclusione, deve essere accolto così come, in riforma della sentenza appellata, i motivi aggiunti notificati in data 15 marzo 2017.

L’originalità dell’oggetto della controversia giustifica infine la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio.

Il compenso del verificatore, da liquidare dietro presentazione da parte sua di apposita richiesta, deve essere invece posto a carico di tutte le parti del giudizio, nella misura di ¼ per ciascuna di esse.

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