Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-09-16, n. 202208033

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-09-16, n. 202208033
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202208033
Data del deposito : 16 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/09/2022

N. 08033/2022REG.PROV.COLL.

N. 07339/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7339 del 2019, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato N M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Filippo Narbone in Roma, viale Libia n. 174;

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza del Tar Lazio, sede di Roma, sez. I-ter, n. -OMISSIS-, non notificata, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento del Ministero dell’Interno che ha rigettato la richiesta di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91 del 1992.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2022 il Cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con provvedimento del Ministero dell’Interno del 27 gennaio 2012 è stata respinta la richiesta di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91 del 1992, presentata dal cittadino marocchino -OMISSIS-.

Il provvedimento ha tratto fondamento dalla circostanza che a carico dello straniero è emerso un procedimento penale per i reati di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, (commesso il 17 ottobre 2002) e di cui agli artt. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 e 81, c.p. (commesso fino al 26 novembre 2003), conclusosi con decreto di archiviazione del 31 agosto 2011 del GIP presso il Tribunale di Torino in quanto i reati sopra indicati si sono estinti per intervenuta prescrizione.

2. Con ricorso proposto dinanzi al Tar Lazio, sede di Roma, il cittadino marocchino ha impugnato tale provvedimento contestandone l’illegittimità per eccesso di potere e per violazione dell’art. 27 Cost. in quanto l’Amministrazione avrebbe dovuto considerare l’intervenuta prescrizione come equivalente all’innocenza e valutare la condotta di vita dello straniero.

3. Con sentenza n. -OMISSIS-, il Tar Lazio ha respinto il ricorso ritenendo che l’Amministrazione avesse valutato in maniera corretta e non manifestamente illogica la situazione dell’istante, dando rilievo al procedimento penale che lo ha coinvolto, archiviato non per l’insussistenza degli elementi di accusa, ma per la prescrizione del reato.

4. La citata sentenza n. -OMISSIS- è stata impugnata con appello notificato il 9 luglio 2019 e depositato il successivo 3 settembre, riproducendo sostanzialmente le censure non accolte in primo grado e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata.

5. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, depositando documentazione già acquisita in prime cure.

6. Alla pubblica udienza del 14 luglio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, oggetto della presente controversia è il provvedimento del Ministero dell’Interno con il quale è stata respinta la richiesta di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91 del 1992, presentata dal cittadino marocchino -OMISSIS-, in considerazione della circostanza che a carico dello straniero è emerso un procedimento penale per i reati di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 (commesso il 17 ottobre 2002) e agli artt. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 e 81 c.p. (commesso fino al 26 novembre 2003), conclusosi con decreto di archiviazione del 31 agosto 2011 del GIP presso il Tribunale di Torino in quanto i reati sopra indicati si sono estinti per intervenuta prescrizione.

2. L’appello è infondato, potendo richiamarsi integralmente le considerazioni già espresse dalla Sezione (22 luglio 2022, n. 6437) e dalle quali il Collegio non ritiene di doversi discostare.

Occorre anzitutto premettere che l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione costituisce oggetto di un provvedimento di concessione che presuppone l’esplicarsi di un’ampia discrezionalità dell’amministrazione, come si desume dall’art. 9, comma 1, l. n. 91 del 1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa. Ne deriva che l’autorità, accertati i presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, deve effettuare una valutazione discrezionale delle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che incombono sugli appartenenti alla comunità nazionale, compresi quelli di solidarietà economica e sociale, operando altresì una verifica di conformità dell’interesse dell’istante ad ottenere la particolare capacità giuridica legata allo status di cittadino con l’interesse pubblico all’accoglimento di un nuovo componente dello Stato-comunità. Lo straniero, con il provvedimento di concessione della cittadinanza, è infatti inserito a pieno titolo nella collettività nazionale, acquisendo tutti i diritti e doveri che competono ai suoi membri (Cons. St., sez. III, 23 dicembre 2019, n. 8734).

Tenuto conto che il conseguimento della cittadinanza italiana non costituisce un diritto soggettivo per il richiedente, l’inserimento nella comunità statale può avvenire soltanto quando l’amministrazione ritenga che il cittadino straniero possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di stabile integrazione nella collettività nazionale, mediante un giudizio prognostico che escluda ogni sua possibile azione in contrasto con l’ordine e la sicurezza nazionale e che possa disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (Cons. St., sez. III, n. 4121 del 2021;
n. 8233 del 2020;
n. 7122 del 2019;
n. 7036 del 2020;
n. 2131 del 2019;
n. 1930 del 2019).

In proposito, la giurisprudenza della Sezione (14 febbraio 2022, n. 1057;
23 dicembre 2019, n. 8734), ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino.

Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, si rileva come l’amministrazione abbia legittimamente fondato il proprio giudizio sul procedimento penale che ha interessato l’appellante e, in particolare, sulle circostanze storiche e fattuali che ne erano alla base, idonee a supportare la reiezione dell’istanza di cittadinanza stante il particolare disvalore inerente ai reati in materia di stupefacenti e alla loro intrinseca pericolosità.

La valutazione discrezionale condotta dall’amministrazione – che può essere scrutinata in questa sede nei ristretti ambiti del controllo estrinseco e formale – appare pertanto idonea, in astratto, a rendere non irragionevole il mancato rilascio della cittadinanza in ragione del principio di cautela che impone di valutare “qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale” (Cons. St., sez. III, n. 3421 del 2021 e n. 7122 del 2019).

Nel caso sottoposto all’esame del Collegio, la circostanza dell’intervenuta prescrizione dei reati di cui al procedimento penale non scalfisce il potere dell’amministrazione di porre comunque lo stesso alla base della propria determinazione negativa, valutando il fatto storico come indice di un mancato inserimento sociale da parte dell’aspirante cittadino. In tal caso, il Ministero dell’Interno deve valutare se il comportamento del soggetto interessato, per le concrete modalità del fatto, sia indice di un suo mancato pieno inserimento sociale e, quindi, di una mancata integrazione nella comunità nazionale, tenendo conto nel complesso della sua condotta di vita, della permanenza nel territorio nazionale, dei legami familiari, dell’attività lavorativa e di tutti gli elementi ritenuti rilevanti (Cons. St., sez. III, n. 1837 del 2019).

Nella fattispecie di giudizio, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, il Ministero dell’Interno, lungi dall’operare un mero automatismo preclusivo in relazione alla notizie richiamate, ha discrezionalmente valutato i fatti come indice di inaffidabilità del richiedente e di una sua mancata integrazione nella comunità nazionale, tenendo conto dei vari elementi acquisiti nell’istruttoria procedimentale, effettuando una scelta di merito non sindacabile in questa sede in quanto non manifestamente illogica.

Come già correttamente evidenziato dal primo giudice, l’estinzione dei reati per prescrizione è dichiarata in conseguenza del mero decorso del tempo e, dunque, nulla attesta in ordine alla non colpevolezza dei fatti contestati. Inoltre, le valutazioni finalizzate all’accertamento di una responsabilità penale si pongono su un piano diverso ed autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo. Le risultanze penali infatti ben si possono valutare negativamente sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali, e dunque anche ad avvenuta estinzione del reato per prescrizione in quanto il comportamento non è valutato ai fini dell’irrogazione di una sanzione, bensì al fine di formulare un giudizio sul grado di assimilazione dei valori e sulla futura integrazione (Cons. St., sez. III, n. 1057 del 2022;
n. 4122 del 2021;
n. 470 del 2021;
n. 7036 del 2020;
n. 5638 del 2019;
n. 802 del 2019).

Per analoghe ragioni non risulta condivisibile nemmeno l’ulteriore rilievo dell’appellante secondo il quale solo un provvedimento definitivo di condanna potrebbe motivare un provvedimento di diniego della cittadinanza. La giurisprudenza di questa Sezione ha costantemente affermato che ai fini della concessione della cittadinanza non si deve tenere conto solamente dei fatti penalmente rilevanti, ma si deve valutare anche l’area della prevenzione dei reati e di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale, con accurati apprezzamenti sulla personalità e sulla condotta di vita del naturalizzando, al fine di valutare quale sia la probabilità che questi possa arrecare in futuro pregiudizio alla sicurezza dello Stato (Cons. St., sez. III, nn. 1390 e 3121 del 2019).

Infine, non può trovare accoglimento la censura con la quale l’appellante ha dedotto un’ingiustificata disparità di trattamento in quanto, qualora l’Autorità Giudiziaria avesse agito con la dovuta tempestività, e nella deteriore ipotesi in cui fosse stata pronunciata sentenza di condanna, il signor N avrebbe già potuto usufruire della riabilitazione, ottenendo poi la concessione della cittadinanza, essendo cessato l’effetto preclusivo della condanna ai sensi dell’art. 6, comma 3, l. n. 91 del 1992.

Anzitutto, va rilevato che la riabilitazione non può essere considerata fungibile, a tali fini, con altre cause di estinzione del reato, dalle quali differisce, secondo la giurisprudenza penale di legittimità, per la peculiarità di presupporre – essa soltanto – l’accertamento di un completo ravvedimento del reo (v., in questo senso, Cons. St., sez. III, 30 luglio 2018, n. 4686).

In secondo luogo, questa Sezione (26 aprile 2022, n. 3117) ha chiarito che la riabilitazione da parte del giudice penale, pur eliminando quell’elemento ostativo previsto dall’art. 6 della l. n. 91 del 1992, non comporta, per altro verso, alcun automatismo circa l’ottenimento della cittadinanza, poiché lascia sempre in capo alla pubblica amministrazione la decisione discrezionale inerente alla concessione della cittadinanza. Ciò in quanto il mutamento dello status civitatis è un fatto di rilevante importanza pubblica e, pertanto, i requisiti di cui all’art. 9 della l. n. 91 del 1992, da leggere in combinato con gli elementi ostativi dell’art. 6, per quanto necessari, non risultano tuttavia da soli sono sufficienti. Detti requisiti infatti, oltre a non essere sufficienti, non costituiscono nemmeno una presunzione di idoneità al conseguimento dell’invocato status.

3. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere respinto, non essendo sindacabile da parte di questo giudice, perché non affetta da manifesta illogicità o irragionevolezza, la decisione impugnata di non riconoscere all’appellante lo status di cittadino italiano.

L’assenza di difese scritte da parte dell’appellata amministrazione giustifica la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio.

Si conferma l’ammissione dell’appellante al gratuito patrocinio, disposta in via provvisoria dalla competente Commissione di questo Consiglio di Stato con decreto n. 168 del 2019.

Visto l’art. 130, d.P.R. n. 115 del 2002 che, in relazione al patrocinio a spese dello Stato nel processo amministrativo dimezza i compensi spettanti ai difensori, il Collegio - rilevato che nella propria richiesta di liquidazione l’avvocato N M ha già provveduto ad applicare la prevista dimidiazione del compenso - considera che, avuto riguardo alla natura della controversia e all’impegno professionale richiesto, la somma congrua da liquidare è pari ad € 2.000,00 (euro duemila).

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