Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-21, n. 202301787

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-21, n. 202301787
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301787
Data del deposito : 21 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/02/2023

N. 01787/2023REG.PROV.COLL.

N. 02941/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2941 del 2019, proposto da
Immobiliare Pirozzi S.r.l., in persona del Legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato E R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Giugliano in Campania, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocato G R, con domicilio eletto presso lo Studio Luigi Napolitano, in Roma, via Girolamo Da Carpi n.6;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Seconda) n. 05627/2018, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Giugliano in Campania;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2023 il Cons. Marco Poppi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

In data 31 dicembre 1986, il dante causa dell’odierna appellante presentava istanza condono ai sensi della L. n. 47/1985 relativamente ad un immobile con destinazione ad « Attività commerciale ».

Il Comune di Giugliano in Campania, con determinazione del 30 marzo 2009, negava il condono « essendo il manufatto non presente nel rilievo aerofotogrammetrico dell’anno 1996 e del 2003 ».

Detto diniego veniva impugnato con ricorso iscritto al n. 3854/2009 R.R che il Tar Campania, disattese le censure di ordine procedimentale, respingeva con sentenza n. 5627 del 27 settembre 2018 sul rilievo della mancata prova tanto della « perdurante esistenza delle opere oggetto della domanda di sanatoria straordinaria », quanto delle « eventuale ricostruzione delle stesse successivamente alla demolizione conformemente alla originaria consistenza ».

L’appellante, che si dichiara proprietaria dell’immobile a far data dal 16 giugno 2005, impugnava la sentenza con appello depositato il 4 aprile 2019 deducendone l’erroneità sotto plurimi profili.

Il Comune si costituiva formalmente in giudizio il 31 ottobre 2019 confutando le avverse censure con memoria depositata il 9 gennaio 2023.

L’appellante depositava memoria conclusionale il 13 gennaio 2023.

All’esito della pubblica udienza del 16 febbraio 2023, la causa veniva decisa.

Con il primo capo di impugnazione l’appellante afferma l’irrilevanza, ai fini in esame, dei rilievi aerofotogrammetrici richiamati dall’amministrazione avendo comprovato, mediante perizia di parte corredata da rilievo aereo del 17 giugno 1984, l’esistenza a tale data di un complesso immobiliare composto da otto corpi di fabbrica e la corrispondenza di quanto rilevato a quanto acquistato con atto notarile: « 8 locali commerciali al piano terra » insistenti su area censita al foglio 28, particella 176 per una superficie pari a mq. 9991.

Il motivo è infondato.

Deve in primis rilevarsi la perplessità delle allegazioni di parte appellante circa la consistenza dell’immobile in questione.

Come anticipato, il complesso immobiliare in questione viene descritto nell’atto di acquisto come composto da otto locali commerciali per una superficie complessiva pari a mq. 9991, siti al piano terra di un non meglio descritto fabbricato.

La « Perizia tecnica giurata » redatta dall’Arch. Cimma del 29 gennaio 2009, prodotta in primo grado dall’appellante, descriveva il complesso immobiliare come « un unico manufatto eseguito con strutture portante in ferro del tipo carpenteria pesante, e copertura con pannelli coibentati » della superficie di mq. 2800 e volume pari a mc. 20700, corrispondente a quanto rappresentato in sede di istanza di condono e successive integrazioni.

La « Relazione tecnica » dell’Ing. C datata 7 giugno 2018, anche questa oggetto di deposito in primo grado, attesta l’esistenza di « otto corpi di fabbrica » ben distanziati come emerge dal rilievo aerofotogrammetrico allegato risalente al 17 giugno 1984.

Dalle suesposte risultanze istruttorie emerge, quindi, una assoluta incertezza circa l’esistenza e consistenza del compendio immobiliare al momento della definizione del procedimento di condono.

Deve, ulteriormente, rilevarsi che, ai sensi dell’art. 31, comma 1, della L. n. 47/1985, sono ammesse a sanatoria, ricorrendone i presupposti, le opere « che risultino essere state ultimate entro la data del 1° ottobre 1983 ».

Ne deriva che la prova fornita circa l’esistenza del compendio immobiliare alla data del 17 giugno 1984, successiva allo spirare del termine legale, è inidonea ai fini in esame.

Circa tale specifico profilo, non può che rilevarsi come l’onere della prova circa la tempestiva ultimazione del manufatto, per giurisprudenza costante, grava sul richiedente la sanatoria.

Come, infatti, già affermato dalla Sezione « "in tema di abusi edilizi, l'onere di provare l'ultimazione del manufatto alla data utile per beneficiare del condono spetta all'interessato, poiché il periodo di realizzazione delle opere costituisce elemento fattuale che rientra nella disponibilità della parte che invoca la sussistenza del presupposto temporale per usufruirne" (cfr. sentenza, sez. II, 8 ottobre 2020, n. 5972). È infatti, di regola, il richiedente il titolo in sanatoria "il soggetto avente disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16 marzo 2020, n. 1890) » (Cons. Stato, Sez. VI, 12 agosto 2021, n.5873;
nei medesimi sensi, Sez. II, 8 ottobre 2020, n. 5972 e 9 giugno 2020, n. 3670).

La posizione è stata di recente ribadita affermando che « al riguardo è sufficiente osservare che, per pacifica giurisprudenza, che il Collegio condivide, l'onere della prova circa l'ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere il condono grava sul richiedente la sanatoria, dal momento che solo l'interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto da sanare » (Cons. Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2022, n. 8846).

Nel caso di specie alcun elemento oggettivo è allegato dall’appellante che, come evidenziato, si limita alla produzione di un rilievo aerofotogrammetrico avente data successiva allo scadere del termine utile.

Mancando tale prova certa, l'amministrazione non poteva che negare la sanatoria dell'abuso (Cons. Stato, Sez. VI, 17 marzo 2022, n. 1956;
27 settembre 2021, n. 6490;
20 aprile 2020, n. 2524;
9 luglio 2018, n. 4168 e 17 maggio 2018, n. 2995;
Sez. IV, 30/8/2018, n. 5101;
Sez. II, 15 febbraio 2021, n. 1403).

Con il secondo motivo l’appellante censura la sentenza nella parte in cui riteneva che non si fossero concretizzati i presupposti per la formazione del silenzio assenso sull’istanza di condono ai sensi dell’art. 35, comma 18, della L. n. 47/1985.

Deduce a tal proposito che l’istanza della propria dante causa veniva presentata il 31 dicembre 1986, comprovando il versamento degli importi dovuti a titolo di oblazione e che, successivamente, non perveniva da parte dell’amministrazione alcuna richiesta di integrazione documentale.

La presentazione dell’istanza ai sensi degli artt. 31 e ss. della L. n. 47/1985 e l’assenza di vincoli gravanti sull’area interessata all’abuso ai sensi del successivo art. 32, avrebbero per ciò solo determinato il perfezionamento dell’assenso tacito allo scadere del termine perentorio di 24 mesi, con conseguente illegittimità del diniego di condono adottato successivamente.

L’eventuale tardivo accertamento dell’insussistenza dei presupposti necessari ai fini della concessione del condono non potrebbe che legittimare il solo esercizio, da parte dell’amministrazione, dei poteri di autotutela, ricorrendone i presupposti.

Il motivo è infondato.

Come di recente ribadito dalla Sezione, « il silenzio assenso su una domanda di condono può formarsi solo in presenza di tutti i requisiti, formali e sostanziali, per l'accoglimento della stessa, non essendo in alcun modo l’amministrazione onerata di chiedere eventuali integrazioni documentali all’istante » (Cons. Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2023, n. 35).

Nel caso di specie, tali presupposti non sussistono.

Come ampiamente illustrato, non vi è prova della tempestiva realizzazione delle opere e sussiste un assoluto stato di incertezza circa la consistenza degli abusi che, come esposto, non è comprovato corrispondano al fabbricato oggetto dell’istanza di condono.

Con il terzo motivo, l’appellante censura la sentenza nella parte in cui afferma che non sarebbe stata comprovata la « eventuale ricostruzione delle stesse [opere preesistenti, ndr] successivamente alla demolizione conformemente alla organara consistenza » contestando la rilevanza probatoria dei rilievi aereofotogrammetrici dell’anno 1996 e del 2003 che costituirebbero l’unico e insufficiente supporto motivazionale del provvedimento impugnato.

Sostiene ulteriormente che il Comune sarebbe comunque tenuto a pronunciarsi in ordine alla domanda di condono ogni volta in cui l'abuso iniziale da sanare sia ancora leggibile nonostante risulti modificato nel corso degli anni atteso che, nella « definizione di una domanda di condono edilizio, è possibile modificare l'immobile, purché sia ancora percepibile l'iniziale abusività da sanare » mancando una norma che vieti la modifica di immobili sui quali pende una domanda di condono.

Il motivo è infondato.

Sul punto non può che rilevarsi come la Sezione abbia già affermato che « ai sensi dell’art. 35 l. 47/85, “la normativa sul condono postula la permanenza dell’immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, la realizzazione di opere aggiuntive né finanche l’impiego di materiali di costruzione diversi da quelli originari, comportanti di fatto la qualificazione dell’intervento come sostituzione edilizia, venendo meno la continuità tra vecchia e nuova costruzione e l’attuale riconoscibilità del manufatto originario oggetto dell’istanza di condono” (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 7166/2021) » (Cons. Stato, Sez. VI, 1 luglio 2022, n. 5482).

Ciò premesso, e richiamate le contraddittorie deduzioni circa l’originaria consistenza del complesso immobiliare in questione, non può che rilevarsi nuovamente come non vi sia prova certa della preesistenza del manufatto allo spirare del termine di legge né della corrispondenza dello stesso a quanto rappresentato nell’istanza di condono.

Insuperabile è, altresì, la circostanza che l’immobile non risultava esistente tanto nel 1996 quanto nel 2003 e che nell’anno 2009, come da deduzioni e atti richiamati della stessa appellante, non esistevano più gli otto fabbricati ma ne esisteva uno solo di volumetria difforme da quella risultante dall’istanza di condono.

Con il quarto motivo l’appellante censura la decisione del Tar laddove non riconosceva portata viziante all’omissione del preavviso di rigetto in ragione della natura vincolata dell’attività repressiva degli abusi edilizi, a nulla rilevando la pretesa comunicazione ad un recapito della Società diversa da quella della sede legale.

Illegittimo sarebbe pertanto il provvedimento nella parte in cui si legge « preso atto che, a tutt’oggi, non sono pervenute osservazioni in merito, per cui sono trascorsi inutilmente i tempi di cui alla comunicazione di avvio del procedimento di cui sopra »

Il motivo è infondato.

La Sezione ha già avuto modo di affermare che « la natura vincolata delle determinazioni in materia di abusi edilizi e, quindi, anche delle determinazioni di sanatoria, esclude la possibilità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e, conseguentemente, anche di un obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della relativa domanda. Ciò anche in applicazione dell'art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della L. n. 241/1990, secondo cui il mancato preavviso di diniego non produce effetti vizianti ove l'Amministrazione non avrebbe comunque potuto emanare provvedimenti diversi da quelli in concreto adottati » (Cons. Stato, Sez. VI, 10 febbraio 2020, n.1029).

Con il quinto motivo, l’appellante censura la sentenza nella parte in cui viene erroneamente affermata l’irrilevanza ai fini dell’adozione della misura ripristinatoria, dell’acquisizione del parere preventivo della Commissione Edilizia Comunale.

La censura è infondata.

Come, anche in questo caso, già affermato dalla Sezione, « la specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all’ordinario procedimento di rilascio della concessione ad edificare e l’assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità rendono, per il rilascio della concessione in sanatoria, il parere della Commissione edilizia non obbligatorio, ma al più facoltativo (Cons. Stato, sez. IV, sentenza 12 febbraio 2010, n. 772);
in caso di domanda di condono non è sempre necessario il previo parere della commissione edilizia comunale: nei casi di violazione di vincoli assoluti di inedificabilità e infatti, il mero accertamento tecnico degli appositi uffici è da solo sufficiente a legittimare il diniego del provvedimento richiesto (così, Cons. Stato, sez. V, n. 5725/2006)” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 maggio 2021, n. 4063)
. Del resto, nel caso di specie il diniego è sorretto dal difetto di un presupposto giuridico del condono che non richiede, pertanto, alcuna valutazione tecnica da parte delle Commissioni » (Cons. Stato, Sez. VI, 7 dicembre 2022, n. 10719)

Per quanto precede l’appello deve essere respinto con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di giudizio del presente grado di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

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