Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-01-25, n. 202300810

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-01-25, n. 202300810
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202300810
Data del deposito : 25 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/01/2023

N. 00810/2023REG.PROV.COLL.

N. 03768/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3768 del 2021, proposto da
G B, J M C, E C, A G, rappresentati e difesi dall'avvocato G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Antonio Salandra, 18;

contro

Ministero dell'Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale Campania, Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale Calabria, Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale Lazio, Ufficio Scolastico Regionale Liguria, Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale Marche, Ufficio Scolastico Regionale Molise, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale Puglia, Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, Usr - Ufficio Scolastico Regionale Sicilia - Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale Toscana, Ufficio Scolastico Regionale Umbria, Ufficio Scolastico Regionale Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale della Calabria, Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale della Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale per la Liguria, Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, Ufficio Scolastico Regionale per L'Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale per Le Marche, Ufficio Scolastico Regionale per L'Umbria, Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, Ufficio Scolastico Regionale per la Sardegna, Ufficio Scolastico Regionale della Toscana, Ufficio Scolastico Regionale della Puglia, Ufficio Scolastico Regionale della Sicilia, Ufficio Scolastico Regionale per il Molise, Ufficio Scolastico Regionale per L'Abruzzo, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Lucia Peccerella, Maria Cannavacciuoli, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 12215/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione e di Ufficio Scolastico Regionale Campania e di Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo e di Ufficio Scolastico Regionale Basilicata e di Ufficio Scolastico Regionale Calabria e di Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna e di Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia e di Ufficio Scolastico Regionale Lazio e di Ufficio Scolastico Regionale Liguria e di Ufficio Scolastico Regionale Lombardia e di Ufficio Scolastico Regionale Marche e di Ufficio Scolastico Regionale Molise e di Ufficio Scolastico Regionale Piemonte e di Ufficio Scolastico Regionale Puglia e di Ufficio Scolastico Regionale Sardegna e di Usr - Ufficio Scolastico Regionale Sicilia - Direzione Generale e di Ufficio Scolastico Regionale Toscana e di Ufficio Scolastico Regionale Umbria e di Ufficio Scolastico Regionale Veneto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2023 il Cons. M M;

Nessuno è presente per le parti;

Viste, altresì, le conclusioni della parte appellante, come da verbale;;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto per l’annullamento dell’ordinanza del Miur del 10 luglio 2020, n. 60, recante procedure di istituzione delle graduatorie provinciali e di istituto di cui all’art. 4, commi 6-bis e 6-ter, della l. n. 124 del 1999 e di conferimento delle relative supplenze, nella parte in cui non consente l’inserimento dei ricorrenti quali ITP (insegnanti tecnico – pratici).

La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze.

Il Tribunale e la prevalente giurisprudenza amministrativa si sono costantemente orientati nel senso della non equiparabilità della laurea, dei 24 CFU e dei 36 mesi di esperienza professionale – anche congiuntamente posseduti – al conseguimento del titolo abilitativo, nonché nel senso che il titolo di ITP non abbia valore abilitante.

Per quanto concerne le supplenze non appare d’altro canto illogica né contrastante con i parametri normativi indicati la differenza di trattamento per gli insegnanti tecnico-pratici tra requisiti richiesti ai fini della partecipazione ad una procedura concorsuale per la futura immissione in ruolo e quelli più stringenti richiesti per l’inserimento nelle graduatorie, mancando in quest’ultimo caso il filtro di una valutazione della preparazione professionale del docente.

Il ricorso è infondato secondo quando affermato dalla decisione del Consiglio di Stato n.4503 del 23 luglio 2018. In tale decisione è stato infatti chiarito che:

a) il diploma ITP non ha valore abilitante né tale valore può desumersi dal decreto ministeriale 30 giugno 1998 n. 39 in quanto tale decreto si è limitato ad ordinare le classi di concorso e, pertanto, non sussistono i presupposti giuridici perché gli insegnanti in possesso del diploma in esame abbiano diritto all’iscrizione nelle graduatorie di circolo e di istituto;

b) la mancata proposizione di idonei percorsi abilitativi non è meritevole di positiva valutazione in considerazione. Infatti la mancata attivazione di percorsi abilitanti può essere censurata mediante l’azione ex art. 31 c.p.a. e, in caso di persistente inerzia o inadempimento, mediante l’adozione, presso il giudice competente, di idonea azione risarcitoria.

Con la sentenza appellata è stato altresì considerato che, quanto alla Direttiva 2005/36/CE, come recepita dal d. lgs. n. 206 del 2007, essa non ha escluso che lo Stato membro possa subordinare l’accesso a una professione regolamentata al possesso di determinate qualifiche professionali (per considerazioni ulteriori si rinvia, anche ai sensi degli articoli 60, 74 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a., a Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1516 del 2017, che ha confermato la sentenza che aveva respinto un ricorso diretto all’annullamento dell’art. 3, comma 1, del decreto n. 106 del 2016, con cui veniva richiesto il possesso dell’abilitazione, quale requisito di ammissione alla procedura concorsuale).

Non emerge, d’altro canto, un contrasto tra la disciplina europea e la normativa nazionale sul tema, posto che la disciplina dei titoli abilitanti rimane di competenza dell’ordinamento nazionale e posto che i requisiti necessari per lo svolgimento dell’attività di insegnante e la loro subordinazione a un titolo abilitante non appaiono contrastare con puntuali disposizione di diritto europeo. Sul punto, (cfr. parere Cons. St. n. 963 del 2019) deve osservarsi che i sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento, limitandosi al più a imporre il riconoscimento delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, nel rispetto delle procedure di selezione e di reclutamento vigenti (Cons. giust. Ue, VIII, 17.12.2009, n. 586;
sul tema si veda anche Cons. Stato, 6868/2018).

2 Gli appellanti sono docenti precari che, muniti del diploma di istruzione secondaria superiore valido quale titolo di accesso alle classi concorsuali afferenti alla Tabella B allegata al d. P. R. 14 febbraio 2016 n. 19, cd. ITP e affermano che sarebbero legittimati a svolgere l’attività di docenza e, quindi, ad ottenere il conferimento di incarichi di supplenza.

Osservano che in attuazione dell’art. 1, co. 107 della L. n. 107/2015 cit. l’impugnata Ordinanza Ministeriale n. 60/2020 imponeva ai diplomati ITP il possesso di requisiti ulteriori di ammissione rispetto al titolo di studio, prescrivendo il conseguimento dei 24 CFU ovvero l’inserimento nelle medesime graduatorie in relazione ai precedenti periodi di validità, e ciò indipendentemente dall’aver svolto effettivamente incarichi di supplenza, quindi, anche in assenza di una concreta esperienza di insegnamento.

Con l’atto di appello essi lamentano error in iudicando, violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 60 e 88 cod. proc. amm., omessa pronuncia su motivi di ricorso, motivazione incongrua e perplessa.

Secondo gli appellanti il Ministero appellato godeva di ampia discrezionalità nella definizione dei requisiti di accesso alle supplenze.

Richiamano l’art. 22 del D. Lgs. 13 aprile 2017 n. 59 che sospende, a beneficio dei docenti ITP, l’obbligo di acquisire i 24 CFU sino all’a. s. 2024/2025, consentendo loro di partecipare alle tornate di reclutamento al pari dei docenti muniti di abilitazione all’insegnamento.

Ritengono che la sospensione dell’obbligo della acquisizione di tali crediti non può che ridondare anche sulla possibilità di ottenere incarichi a tempo determinato.

Secondo gli appellanti sarebbe paradossale che i titoli di studio richiesti per l’assunzione stabile in organico siano meno stringenti di quelli invece prescritti per il conferimento di incarichi a tempo determinato.

Gli appellanti lamentano error in procedendo, violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 60 e 88 cod. proc. amm., omissione di pronuncia su un motivo di ricorso.

Essi rilevavano la manifesta irragionevolezza dell’esclusione dal canale di accesso alle supplenze a danno di docenti che, proprio in virtù del diploma in questione, erano stati legittimati a frequentare il percorso di specializzazione sul sostegno ai sensi del D.M. 8 febbraio 2019 n. 92.

Osservano che la disciplina transitoria dettata dall’art. 22 del D.Lgs. n. 59/2017 cit. è stata ritenuta dal Ministero resistente valido fondamento per consentire l’acquisizione di titoli formativi riservati ai docenti abilitati, proprio nella considerazione che la sospensione dell’obbligo di acquisizione dei 24 CFU rispondesse alla finalità di tutelare lo status dei docenti ITP, per anni penalizzati dalla mancata attuazione dei processi di riforma dell’ordinamento professionale.

Sarebbe dunque contraddittoria la sostanziale preclusione all’accesso alla professione derivante dalla estromissione dalle graduatorie di cui è causa.

Gli appellanti lamentano error in procedendo, violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 60 e 88 cod. proc. amm., omissione di pronuncia sulla questione di incostituzionalità sollevata.

Gli appellanti sollevavano in primo grado specifica questione incidentale di legittimità costituzionale in ordine alla normativa primaria istitutiva delle Graduatorie Provinciali per le Supplenze, e in particolare degli artt. artt. 4 della L. 3 maggio 1999 n. 124, come modificato dall’art. 1 quater del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. con L. 20 dicembre 2019 n. 159), nonché dell’art. 2, co. 4 ter del d.l. 8 aprile 2020 n. 22 (conv. con L. 6 giugno 2020 n. 41), se e qualora interpretabili nel senso di escludere l’anzianità di servizio almeno triennale quale requisito di inserimento in prima fascia, per violazione dei principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.), imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.), di tutela del lavoro (art. 4 Cost.), di parità di trattamento nell’accesso alle cariche pubbliche (art. 51 Cost.) nonché per violazione dei principi comunitari applicabili nella vicenda de qua (art. 117 Cost.).

Lamentano la mancata pronuncia sul punto in primo grado.

3. Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio per resistere all’appello.

Con ordinanza n° 3125 dell’11 giugno 2021 il Consiglio di Stato ha respinto l’istanza cautelare con la motivazione che le argomentate motivazioni del Giudice di primo grado non sono scalfite dai motivi dell’appello, che non offrono elementi di apprezzabile fondatezza quanto alla dedotta illegittimità della previsione, per accedere agli incarichi di supplenza, di requisiti ulteriori rispetto al possesso del diploma di istruzione secondaria superiore.

Con memoria depositata in giudizio in data 6 dicembre 2022 C E e G A hanno dichiarato di rinunciare all’appello per sopravvenuta carenza d’interesse.

Tale atto di rinuncia è stato ritualmente notificato all’amministrazione ed ai controinteressati.

4. L’appello è infondato.

Il collegio condivide l’osservazione, contenuta nella sentenza appellata, secondo cui non appare contrastante con i parametri normativi indicati la differenza di trattamento per gli insegnanti tecnico-pratici tra requisiti richiesti ai fini della partecipazione ad una procedura concorsuale per la futura immissione in ruolo e quelli più stringenti richiesti per l’inserimento nelle graduatorie, mancando in quest’ultimo caso il filtro di una valutazione della preparazione professionale del docente.

Le disposizioni del D.P.R. n. 19 del 2016 individuano, in realtà, i titoli validi ai fini della partecipazione a procedure di carattere concorsuale e non invece ai fini dell'inserimento nelle graduatorie.

Parimenti l’art. 22 del D. Lgs. 13 aprile 2017 n. 59 (che sospende, a beneficio dei docenti ITP, l’obbligo di acquisire i 24 CFU sino all’a.s. 2024/2025, consentendo loro di partecipare alle tornate di reclutamento al pari dei docenti muniti di abilitazione all’insegnamento) fa esclusivo riferimento alle procedure concorsuali e non all’inserimento nelle graduatorie.

Tale esito ermeneutico non appare contrario alla Costituzione.

Va infatti considerata una sostanziale differenza tra i soggetti provvisti di abilitazione e quelli che invece ne siano privi, ai fini dell'accesso diretto all'insegnamento, anche se, come invocato dagli appellanti, siano stati svolti tre anni di servizio.

L'abilitazione è, infatti, il titolo che attesta il conseguimento di quel complesso di qualità e abilità che rende un diplomato o un laureato un vero e proprio docente ed è, quindi, ragionevole e non discriminatoria (oltre che rispondente al principio di buon andamento dell'azione amministrativa) la scelta di consentire solo ai soggetti che di tale titolo siano muniti la possibilità di accedere in via diretta all'insegnamento.

Né a conclusioni diverse induce la circostanza che i percorsi abilitanti non sarebbero in concreto stati attivati per le suddette categorie di docenti.

La possibilità di partecipare ai concorsi per l’insegnamento, cui fa riferimento parte appellante, è giustificata dalla circostanza che comunque in tal caso vi sarebbe una verifica di idoneità all'insegnamento operata attraverso il filtro della procedura concorsuale.

Diversamente l’inserimento nelle graduatorie consente l’accesso diretto all'insegnamento.

Tale disciplina non si prestava a dubbi di costituzionalità, in base alla consolidata lettura del principio di eguaglianza, che non esclude l’introduzione nel corso del tempo di fattori di differenziazione, secondo un modulo dinamico che non può escludere discipline diverse in situazioni differenti (cfr. Corte Cost. 28 marzo 1996, n. 89 e 24 ottobre 2014, n. 241). Nella situazione in esame, appare ragionevole ed ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclutamento degli insegnanti attraverso selezione concorsuale per esami, con salvaguardia delle sole più antiche posizioni di “precariato storico”, per evidenti ragioni sociali. Ragioni, quelle appena indicate, che giustificano pienamente l’attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario, con particolare riguardo alla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, che esclude ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e postula estensione ai primi degli istituti propri del rapporto dei secondi (considerando – in caso di trasformazione del rapporto di lavoro – le vicende del precedente rapporto a termine come intervenute in un unico contratto a tempo indeterminato sin dall’origine: Corte di Giustizia, 13.9.2007, C-307/05, Del Cerro Alonso).

Le disposizioni normative in esame sono altresì coerenti con la disciplina comunitaria, in quanto appunto volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nel già ricordato interesse pubblico alla formazione culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato.

Ove le tesi difensive in esame fossero accolte, viceversa, non potrebbe che formarsi un nuovo consistente precariato, che allungherebbe i tempi del perseguimento del sistema previsto a regime, o lo renderebbe addirittura non perseguibile;
nella presente sede di giudizio di legittimità, pertanto, è sufficiente rilevare che non può essere ammessa la riapertura delle graduatorie ad esaurimento, per ragioni non puntualmente previste a livello legislativo, senza ulteriori problematiche a livello costituzionale o comunitario (così Consiglio di Stato VII n° 2852 del 14 aprile 2022 e n° 6170 del 18 luglio 2022).

Inoltre i sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento, limitandosi al più a imporre il riconoscimento delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, nel rispetto delle procedure di selezione e di reclutamento vigenti.

L’impossibilità di ottenere l’inserimento nelle graduatorie rende altresì prive di pregio le censure proposte avverso le prescrizioni attinenti alla procedura telematica di trasmissione della domanda di inserimento.

In conclusione:

- riguardo gli appellanti C E e G A il collegio dichiara l’estinzione del giudizio d’appello per rinuncia;

- per gli altri appellanti l’appello deve essere respinto.

Spese del grado d’appello compensate come in primo grado.

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