Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-06-14, n. 201803661
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Testo completo
Pubblicato il 14/06/2018
N. 03661/2018REG.PROV.COLL.
N. 05044/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5044 del 2007, proposto da
D M, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato D M T, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Carducci 4;
contro
Comune di Gambassi Terme, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F F, con domicilio eletto presso lo studio Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 01201/2006, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia in sanatoria
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2018 il Cons. A A e uditi per le parti gli avvocati Gabriele Pafundi su delega di F F;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’odierno appellante, titolare di una azienda agricola in zona sottoposta a vincolo paesistico e idrogeologico, nel 1993 ha richiesto al comune di Gambassi Terme l’autorizzazione per installare una recinzione a protezione di un fondo destinato ad allevamento.
Avendo l’Amministrazione rifiutato il rilascio del titolo, l’interessato ha comunque realizzato l’intervento.
Il provvedimento col quale il comune ha ordinato la demolizione del manufatto è stato impugnato dal dr. Denti con ricorso al TAR Toscana.
Nel prosieguo il proprietario ha richiesto il condono dell’opera ai sensi della legge n. 724 del 1994.
Su parere negativo della commissione edilizia integrata il comune, con provvedimento sindacale 7524/1997, ha respinto la domanda.
Il diniego è stato impugnato dal destinatario con ulteriore ricorso al Tar Toscana.
Con la sentenza in epigrafe indicata l’ adito Tribunale, riuniti i gravami, li ha respinti nel merito.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esame dal soccombente il quale ne ha chiesto l’integrale riforma, con accoglimento dei ricorsi introduttivi.
Si è costituito in resistenza il comune di Gambassi Terme, che ha domandato la reiezione dell’avverso gravame.
Le Parti hanno depositato memorie, insistendo nelle già rappresentate conclusioni.
All’Udienza del 12 giugno 2018 l’appello è stato trattenuto in decisione.
L’appello è infondato e va come tale respinto, con integrale conferma della sentenza impugnata.
Con il primo e centrale motivo l’appellante deduce che l’opera in esame non costituisce un intervento rilevante né dal punto di vista urbanistico né da quello paesaggistico, di talché la stessa avrebbe potuto essere realizzata senza alcun previo titolo edilizio o nulla osta paesaggistico.
Il mezzo – di dubbia ammissibilità - non è comunque fondato.
In limine si rileva che in realtà il comportamento tenuto dall’appellante in sede procedimentale risulta del tutto contraddittorio rispetto alla domanda dallo stesso proposta in sede processuale e sicuramente riverbera effetti non positivi sulla tenuta e consistenza di questa.
Non può, invero, non rilevarsi che l’appellante ora predica come giuridicamente non necessari provvedimenti comunali ( afferenti prima l’autorizzazione e poi il condono ) da lui stesso spontaneamente richiesti.
E dunque, nel contesto di un giudizio impugnatorio, perviene illogicamente ad affermare che i dinieghi formulati dal comune in esito alle sue richieste sono illegittimi, perché nessun provvedimento avrebbe dovuto essere adottato dal comune stesso.
Tanto chiarito in rito, nel merito il mezzo è in primo luogo infondato perché – come affermato dal comune senza contestazioni di controparte – l’ inoppugnato art. 3 del regolamento edilizio comunale subordina ad autorizzazione anche le recinzioni di tipo precario e quindi, a maggior ragione, quelle a carattere permanente.
In secondo luogo – per quanto riguarda il problema che ne occupa - in generale la giurisprudenza di questo Consiglio è orientata nel senso che la realizzazione della recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 cod. civ. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto. ( cfr. V sez. n. 1922 del 2013).
Tuttavia, nel caso all’esame, può prescindersi dall’indagare se la recinzione realizzata – per le sue caratteristiche costruttive e soprattutto per la sua rilevante altezza - necessitasse o meno di un previo titolo edilizio.
Infatti, come si è visto sopra, il fondo dell’appellante ricade in zona sottoposta a vincolo paesaggistico con la conseguenza – ai sensi dell’art. 146 codice beni culturali – che il proprietario non poteva introdurvi senza titolo modificazioni recanti pregiudizio ai valori oggetto di protezione.
Né d’altra parte, per dimensioni caratteristiche costruttive e soprattutto altezza, la realizzazione della recinzione poteva essere sussunta – come ben osservato dal TAR – nell’ambito delle attività finalizzate all’esercizio dell’attività agropastorale le quali, non comportando alterazione dello stato dei luoghi, prescindono dall’autorizzazione ( art. 149).
Con il secondo e terzo motivo l’appellante lamenta che il sindaco ordinò la demolizione della recinzione sulla base del negativo parere della commissione ambientale, senza però previamente formalizzare un esplicito diniego di autorizzazione paesistica.
I mezzi non colgono nel segno in quanto – come ben evidenziato dal TAR – l’ordine di demolizione impugnato col primo ricorso reprimeva la avvenuta realizzazione dell’opera da parte del dr. Denti in difetto dell’ autorizzazione ( che pure l’interessato aveva inizialmente richiesta).
Dal momento che – incontestabilmente – la richiesta autorizzazione non era mai stata rilasciata sussistevano dunque i presupposti, trattandosi di area tutelata, per la rimozione dell’intervento, senza alcuna necessità che il parere negativo espresso dalla commissione ambientale dovesse essere previamente trasfuso in un provvedimento sindacale espresso di diniego a tali fini.
Con il primo motivo riferito al diniego di condono l’appellante torna a sostenere che l’opera, per le sue caratteristiche, non necessitava né di titolo edilizio né di autorizzazione paesistica.
Al riguardo valgono, ai fini del rigetto del mezzo, le considerazioni sopra svolte in ordine alla sostanziale inammissibilità dello stesso ( è infatti l’appellante stesso che aveva richiesto il condono) sia alla sua infondatezza nel merito.
Con il secondo motivo l’appellante deduce che il parere negativo della commissione integrata è in realtà supportato da una motivazione stereotipa e lacunosa.
Il mezzo non è fondato in quanto il parere della commissione dà pieno conto dei motivi in base ai quali la commissione stessa ha ritenuto la natura intrusiva e di nocumento ambientale dell’intervento in rapporto ai particolari valori naturali e paesaggistici dell’area.
Quanto al merito di tale giudizio esso, una volta accertata la adeguatezza della motivazione, sarebbe ovviamente e sindacabile in sede giurisdizionale solo per aspetti di illogicità o abnormità che nel caso all’esame l’appellante non perviene però nemmeno a ipotizzare.
La commissione ha poi osservato che la recinzione realizzata dal proprietario era suscettibile di alterare l’ecosistema, costituendo ostacolo al natura emigrazione della fauna selvatica.
Sul punto oppone il proprietario da un lato il carattere ultroneo del rilievo, non rientrando la tutela dell’avifauna nelle competenze della commissione;dall’altro che in ogni caso la recinzione risulta realizzata con modalità costruttive atte a garantire il normale passaggio di animali di piccole e medie dimensioni.
Al riguardo è da osservare che, stando alla documentazione in atti, la recinzione non sembra affatto realizzata con modalità costruttive atte a minimizzare l’impatto sui movimenti della fauna selvatica: infatti le maglie della rete, come osserva il comune, non superano i 20 cm di lato e la rete stessa è posizionata a filo suolo e non rialzata come pretenderebbe il ricorrente.
In altri termini, stando a quel che risulta dagli atti, quella recinzione sembra in effetti impattare decisivamente sulla continuità dell’ambiente agricolo e boschivo circostante.
Per quanto riguarda poi la competenza della commissione, è costante nella giurisprudenza di questo Consiglio il rilievo secondo cui, in sede di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, l'autorità preposta alla tutela del vincolo deve manifestare nel provvedimento adottato piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere edilizie, non solo in termini di materiale compromissione dell’area, ma anche in vista dell’esigenza di evitare ogni alterazione o sconvolgimento per la fauna e la flora che concorrono a formare quell’ecosistema di particolare pregio.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va perciò respinto, con integrale conferma della sentenza gravata.
Le spese di questo grado del giudizio seguono come per legge la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.