Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-11-23, n. 201604924

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-11-23, n. 201604924
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201604924
Data del deposito : 23 novembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/11/2016

N. 04924/2016REG.PROV.COLL.

N. 02876/2015 REG.RIC.

N. 02539/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sui seguenti ricorsi riuniti:
sul ricorso numero di registro generale 2876 del 2015, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

contro

Adiconsum Umbria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato E D L , con domicilio eletto presso V P in Roma, viale America, 111;
M B, M B, L B, S C, Rffaella Scavo non costituiti in giudizio;

nei confronti di

Regione Umbria non costituita in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 2539 del 2015, proposto da:
Regione Umbria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Paola Manuali C.F. MNLPLA53H68G478X, Mario Rmpini C.F. RMPMRA45E09G478Y, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, Via Cicerone N.44;

contro

Adiconsum Umbria - Associazione Difesa Consumatori e Ambiente, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato E D L , con domicilio eletto presso V P in Roma, viale America, 111;
M B, Paolo Biavati, L B, Costantini Sisto, Rffaella Scavo non costituiti in giudizio;

nei confronti di

Ministero della Salute, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi;
Azienda USL Umbria N.2 non costituita in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 2876 del 2015:

della sentenza del TA R Umbria - Perugia: Sezione I n. 00019/2015, resa tra le parti, concernente applicazione ticket per prestazione di assistenza specialistica ambulatoriale, di cui alla DGR Umbria, n.428/2014

quanto al ricorso n. 2539 del 2015:

della stessa sentenza del T AR Umbria - Perugia: Sezione I n. 00019/2015, resa tra le parti, concernente applicazione ticket per prestazione di assistenza specialistica ambulatoriale, di cui al DGR n.428/2014.


Visti i due ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Adiconsum Umbria - Associazione Difesa Consumatori e Ambiente e di Ministero della Salute e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti di entrambe le cause;

Relatore, per entrambi gli appelli, nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2015 il Cons. L A O Spiezia e uditi per le parti gli avvocati E D L, Mario Rmpini, E D L e l'avv. dello Stato P S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1.Il presente contenzioso ha per oggetto i provvedimenti adottati dalla Regione Umbria, previo accordo con il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel dichiarato intento di attuare le previsioni della legge n. 296/2006 (legge finanziaria n. 2007), comma 796, lettere p) e p-bis).

La lettera p) del citato comma 796, con riferimento alle prestazioni di medicina specialistica ambulatoriale rese dal S.S.N., prevede l’imposizione di una quota fissa (“ticket”) di 10 euro su ciascuna ricetta.

Il successivo decreto legge n. 300/2006, come integrato dalla legge di conversione, ha aggiunto la lettera p-bis) la quale consente alle Regioni di adottare misure alternative alla suddetta quota fissa di 10 euro a ricetta, previo accordo con il Ministero della Salute e quello dell’Economia e delle Finanze, e sempreché dette misure alternative risultino equivalenti nel garantire tanto l’equilibrio economico quanto l’appropriatezza della domanda.

In concreto la Giunta Regionale dell’Umbria ha concluso l’accordo con i due Ministeri il 30 dicembre 2011 ed con DGR 9 gennaio 2012, n. 3, ha disposto un sovrapprezzo, o “ticket”, del 29% (a carico dell’utente) – a titolo di “compartecipazione alla spesa sanitaria” - su ciascuna prestazione libero-professionale resa in regime di “intra moenia” dai medici specialisti del servizio sanitario pubblico.

La delibera n. 3/2012 ed il presupposto Accordo furono impugnati da taluni medici ( operanti presso l’Az. Osp. di Perugia) e da talune organizzazioni sindacali davanti al T.A.R. dell’Umbria, che (accogliendo i ricorsi in parte) annullava sia la DGR n.3/2012 sia il presupposto Accordo ex nunc con sentenze n.18,19 e 20 del gennaio 2013.

Tali sentenze, poi, venivano riformate dal Coniglio di Stato con la sentenza n. 474/2014, che ha dichiarato inammissibili i ricorsi di primo grado per difetto di legittimazione attiva degli originari ricorrenti (in quanto il prelievo - “ticket” in contestazione era posto a carico esclusivamente degli utenti).

1.1. Nel prendere atto della sentenza del Consiglio di Stato, che lasciava interamente in vigore la delibera n. 3/2012, con successiva DGR n. 428 del 15 aprile 2014 la Giunta Regionale ha parzialmente riformato la disciplina, riducendo al 20% l’importo del prelievo aggiuntivo sulle prestazioni rese in regime di “intra moenia”.

Anche la DGR n. 428/2014 è stata impugnata (unitamente agli atti connessi, preparatori, conseguenziali, tra cui la DGR n.402/2014, recante l’atto di indirizzo regionale per i regolamenti delle Aziende sanitarie in materia di attività libero professionale intramuraria ) davanti al T.A.R. dell’Umbria (r.g. n. 403/2014) dall’Associazione Difesa Consumatori e Ambiente Adiconsum Umbria, unitamente a cinque privati cittadini.

I ricorrenti, compiuta l’analisi della normativa concernente gli istituti di “compartecipazione alla spesa sanitaria” da parte dei cittadini, deducevano che tali istituti sarebbero radicalmente inapplicabili alle prestazioni libero-professionali “intra moenia”, giacché queste prestazioni sono già, per definizione e per loro natura, interamente a carico degli utenti, che per loro scelta se ne avvalgono, sicché non avrebbe alcuna giustificazione né alcuna base normativa l’ulteriore imposizione di un “ticket” a loro carico.

Venivano dedotti anche altri vizi di eccesso di potere e di violazione di legge, tra cui l’incompetenza della G.R. Umbria rispetto al Consiglio Regionale ed, in via subordinata, anche la questione di illegittimità costituzionale dell’art.1, comma 796, lettera p bis, punto 2, legge n.296/2006 in riferimento agli artt.2-3-32 e 41 Costituzione.

1.2. Con sentenza n. 19/2015 il T.A.R. Umbria, preliminarmente respinte le eccezioni preliminari della Regione Umbria, nel merito ha accolto il ricorso limitatamente all’impugnazione della delibera n. 428/2014 nonché, in parte qua, del presupposto Accordo stipulato il 30 dicembre 2011 tra Regione Umbria, Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre lo ha, invece, dichiarato inammissibile per difetto d’interesse nei confronti degli altri atti inclusi dai ricorrenti nell’oggetto dell’impugnazione.

1.3. Avverso la sentenza hanno proposto appello sia la Regione Umbria (con appello r.g. n. 2359/2015) sia (con separata impugnazione r.g. n. 2876/2015) i due Ministeri.

1.4. Appello della Regione Umbria.

L’appello della Regione Umbria ripropone, in primo luogo, l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per carenza di che era stata dedotta in primo grado .

In particolare, ad avviso della Regione, la delibera n. 428/2014 sarebbe un atto “meramente confermativo” rispetto alla delibera n. 3 del 9 gennaio 2012 (uscita indenne dalla precedente fase contenziosa), differenziandosi da questa solo per avere ridotto al 20% il prelievo originariamente stabilito nell’importo del 29%, mentre, sotto altro profilo, il ricorso apparirebbe egualmente privo di interesse nella misura in cui la nuova delibera impugnata risulta più favorevole ai ricorrenti.

1.4.1. Nel merito, poi, l’appellante Regione contesta la decisione del T.A.R., sostenendo che anche le prestazioni rese dai medici in regime di attività libero-professionale “intra moenia” sarebbero prestazioni rese dal S.S.N. con la propria organizzazione – ancorché l’utente sia tenuto a versare un corrispettivo che va a coprire tanto le spettanze del professionista, quanto i costi che ricadono sulla struttura sanitaria – e che in questa luce sarebbe legittimo che all’utente venga imposto in aggiunta anche un ticket.

D’altra parte ( sempre ad avvio dell’appellante Regione), in mancanza del ticket si dovrebbero applicare altre forme di prelievo per raggiungere l’equilibrio economico del servizio sanitario e la scelta fra un tipo di imposizione e un altro sarebbe ampiamente discrezionale, come si rileva dalla circostanza che le disposizioni sopra citate della legge n. 296/2006 consentono alle Regioni di adottare misure alternative al ticket di 10 euro a ricetta per le prestazioni di medicina specialistica ambulatoriale.

L’appellante Regione, quindi, contesta che il prelievo di cui si discute costituisca una forma di tassazione, anzi nega che si tratti propriamente di un ticket (benché il termine sia usato nella stessa delibera regionale) e sostiene che si tratti invece di un “corrispettivo di prestazioni sinallagmatiche”.

Infine ( sempre ad avviso della Regione), da un lato, il provvedimento rientrerebbe nelle competenze della Giunta Regionale, mentre, dall’altro, la DGR n.428/2014 non sarebbe affetta neanche da vizio procedimentale, in quanto il procedimento seguito sarebbe stato esattamente quello previsto dalla legge n. 296/2006.

1.4.2. Si sono costituiti con atto di mera forma i due Ministeri intimati, chiedendo il rigetto dell’appello.

Si è costituita in giudizio anche Adiconsum Umbria, chiedendo il rigetto dell’appello, previa riproposizione del terzo motivo di ricorso assorbito dalla sentenza impugnata nonché, in subordine della questione di legittimità costituzionale sollevata nel ricorso di primo grado, con l’attribuzione delle spese di lite da distrarsi a favore del difensore antistatario.

Con successiva memoria Adiconsum Umbria ha meglio illustrato le proprie difese e la riproposizione del terzo motivo di primo grado, mentre Regione Umbria (appellante) ha controdedotto alle avverse argomentazioni con memoria di replica, in cui ha eccepito l’inammissibilità della riproposizione del terzo motivo da parte di Adiconsum Umbria ( in quanto consistente in un generico richiamo) nonché il difetto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale della legge n.296/2006, art 1, comma 796, lettere p e p bis, con riferimento agli artt.2-3-32 e 41 Cost.ne.

2.L’appello dei Ministeri.

L’appello dei Ministeri ripropone innanzi tutto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di interesse, con l’argomento che la delibera n. 428/2014 sarebbe meramente confermativa della DGR n.3/2012, in quanto non conterrebbe alcuna innovazione rispetto alla precedente delibera n. 3/2012, tranne la riduzione dell’importo dal 29% al 20%, e non sarebbe stata adottata a seguito di un vero e proprio riesame istruttorio.

2.1. In secondo luogo l’appello dei Ministeri contesta che l’Adiconsum fosse legittimata ad impugnare la delibera, anche perché, pur ammettendo che potesse agire in rappresentanza degli interessi della generalità dei consumatori, tuttavia la delibera impugnata non danneggerebbe l’intera categoria degli utenti (in quanto il prelievo in contestazione sostituisce l’applicazione di altri ticket riguardanti diverse prestazioni).

Inoltre i due Ministeri appellanti contestano la loro legittimazione passiva, in quanto l’Accordo con la Regione sarebbe riferibile alla sola DGR n.3/2012, mentre la nuova delibera regionale del 2014 sarebbe stata adottata nell’esercizio esclusivo del potere discrezionale della Giunta regionale.

2.2. Infine viene dedotto anche il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, rilevando che, se il prelievo in contestazione fosse una imposizione tributaria o un’analoga prestazione patrimoniale imposta (come ritenuto dal T.A.R.), ogni contestazione in merito si sarebbe dovuta proporre davanti al Giudice ordinario.

Infine gli appellanti contestano la fondatezza della sentenza appellata nel merito.

2.3. Adiconsum Umbria, appellata/originaria ricorrente, preliminarmente eccepisce l’inammissibilità dei motivi di appello con i quali vengono portati per la prima volta argomenti, che non erano state illustrati in primo grado e, comunque, contesta con varie argomentazioni tutte le tesi avverse;
infine ripropone il terzo motivo del ricorso di primo grado ( assorbito dal TAR) nonché, in via subordinata, l’eccezione di illegittimità costituzionale innanzi meglio indicata .

Le altre parti pur ritualmente intimate, non si sono costituite.

2.4. Alla pubblica udienza meglio indicata in epigrafe, chiamate entrambe le cause ed uditi i difensori presenti, le medesime sono andate in decisione.

3.Premesso quanto sopra in fatto, in diritto preliminarmente il Collegio dispone la riunione dei due appelli, in quanto proposti contro la medesima sentenza del TAR Umbria n.19/2015.

Sempre in via preliminare va esaminata prioritariamente la questione della giurisdizione, dedotta con specifico motivo di impugnazione nell’appello proposto dai due Ministeri .

In primo grado non era stata sollevata una eccezione in questo senso, ma, cionondimeno, il motivo di appello è ammissibile, perché in appello (ai sensi dell’art. 9 del cpa ) il difetto di giurisdizione può essere rilevato sulla base di uno specifico motivo d’impugnazione della sentenza che, anche implicitamente, abbia ritenuto la giurisdizione del giudice amministrativo.

3.1. L’eccezione, pur se ammissibile, tuttavia non appare fondata.

In argomento è opportuno osservare che, nel caso concreto, si discute della legittimità di un provvedimento amministrativo con il quale l’autorità regionale ha inteso avvalersi di un potere discrezionale, conferitole da un’apposita previsione di legge (legge n. 296/2006, art. 1, comma 796, lettere p) e p-bis)), che, previo Accordo con il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia e Finanze, consentiva alle Regione di individuare una o più misure alternative alla imposizione di un ticket di dieci euro a ricetta relativamente alle prestazioni di specialistica ambulatoriale, con il vincolo che dette misure alternative dovevano, comunque, assicurare un gettito almeno corrispondente a quello della misura sostituita.

Appare evidente, dunque, che tali provvedimenti corrispondano all’esercizio di un potere autoritativo di carattere discrezionale, conferito dal legislatore alle Regioni per il perseguimento di un fine pubblico predeterminato.

Questo motivo di appello va, dunque, respinto, confermando la giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia all’esame.

3.2. Sempre in via preliminare i Ministeri deducono l’inammissibilità del ricorso di primo grado proposto da Adiconsum Umbria per difetto di legittimazione attiva dell’associazione.

Il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di interesse.

Infatti, poiché nessuna contestazione viene fatta riguardo alla legittimazione degli altri cinque ricorrenti, privati cittadini, ne consegue che, pur se nei confronti di Adiconsum l’eccezione fosse fondata, comunque il ricorso proposto al T.A.R. resterebbe ammissibile, in quanto sottoscritto da altri cinque soggetti la cui legittimazione non viene messa in discussione.

3.2.1.Peraltro il motivo sarebbe anche infondato.

Infatti, ad avviso del Collegio (in conformità ad A.P. n.1/2007), Adiconsum, da un lato, ha lo scopo statutario di perseguire la tutela di interessi collettivi dei consumatori, tra i quali il diritto alla salute ed alla qualità dei servizi pubblici, mentre, dall’altro, è una associazione inserita nell’elenco delle associazioni di consumatori rappresentative a livello nazionale, istituito presso il MISE ai sensi del D.LGS. n.206/2005, art. 137, comma1 (Codice del Consumo), per cui ha i requisiti (ai sensi dell’art 139 del Codice del Consumo) per essere legittimata ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, potendo intraprendere autonome iniziative processuali.

Nel caso di specie, come ha rilevato la sentenza impugnata, Adiconsum Umbria ha intrapreso il giudizio al fine di tutelare la generalità degli utenti del SSN, i quali indistintamente si trovano a dover sostenere una maggiorazione delle tariffe delle prestazioni specialistiche intra moenia i cui oneri, in realtà, sono già posti a loro carico.

3.3.Nell’ambito di entrambi gli appelli si passa, ora, all’esame del motivo d’appello, che (riproducendo una eccezione sollevata in primo grado sia dalla Regione sia dai due Ministeri, ma rigettata dal T.A.R.) deduce l’inammissibilità per carenza di interesse del ricorso al TAR proposto da Adiconsum ed altri cittadini contro la DGR n. 428/2014.

A dire degli appellanti Adiconsum Umbria non avrebbe avuto interesse ad impugnare la DGR n.428/2014, in quanto si tratterebbe, in sostanza, di provvedimento “meramente confermativo” della precedente DGR n. 3/2012 (tranne che per una modifica (quella relativa all’importo del prelievo) .

Ad avviso delle parti appellanti una piana lettura della delibera n. 428/2014 renderebbe palese che non veniva minimamente rimessa in discussione la scelta fatta in sede regionale (nei primi del 2012) di avvalersi della lettera p-bis) del comma 796 per sostituire il ticket sulle ricette con un sovrapprezzo sul corrispettivo pagato dagli utenti per le prestazioni libero-professionali intra moenia. Inoltre, considerato che quella scelta aveva formato oggetto del previo accordo concluso il 3 dicembre 2011 con i Ministeri della Salute e dell’Economia;
non si potrebbe prescindere (ad avviso degli appellanti) dalla constatazione che quell’accordo sarebbe rimasto a sua volta fermo, tanto è vero che la stessa delibera n. 428/2014 lo assumerebbe come proprio presupposto , mentre, se vi fosse stata l’intenzione di rimeditare la scelta già fatta, i due Ministeri avrebbero dovuto essere necessariamente coinvolti.

3.3.1. Il motivo è infondato.

Infatti, come ha rilevato la sentenza di primo grado, nelle premesse della DGR n.428/2014 la Regione precisa di aver incontrato in data 25 marzo 2014 le OO.SS. dell’Area Dirigenza Sanitaria per acquisirne le valutazioni sull’Atto di Indirizzo per la predisposizione dei regolamenti delle Aziende sanitarie in materia di attività libero professionale intramuraria (ALPI), con riferimento anche alla compartecipazione alla spesa sanitaria sulle prestazioni erogate in regime di libera professione intramoenia.

Inoltre la Regione appellante (nelle premesse della DGR n428/2014) ipotizza che alcune neo prescrizioni (come il tetto della tariffa) introdotte dall’Atto di indirizzo (approvato con DGR n.402/2014 in pari data) potrebbero determinare un probabile aumento delle prestazioni intramoenia e che una contemporanea riduzione della percentuale della misura di compartecipazione potrebbe determinare, attraverso un aumento dell’attività, un aumento del fatturato complessivo e, pertanto, “ ritiene che possa essere prevista una rimodulazione della compartecipazione alla spesa di tali prestazioni dal 29% al 20 %., con decorrenza dal 28 aprile 2014 per esigenze di adeguamento tecnico dei sistemi di gestione delle prenotazioni e dei pagamenti .

3.3.2. Pertanto la nuova delibera del 2014, a seguito di incontro con le OO.SS e delle nuove regole dettate contestualmente dal l’Atto di Indirizzo regionale, non rientra nella tipologia dei provvedimenti meramente confermativi, ma rappresenta la conclusione di un autonomo procedimento in cui sono confluite le nuove valutazioni degli interessi pubblici coinvolti.

3.3.3. In tal guisa il Collegio condivide le argomentazione della sentenza impugnata ed, in conformità alla consolidata giurisprudenza in materia di rapporto tra l’atto di conferma in senso proprio e l’atto confermato, afferma che la nuova DGR n.428/2014 assorbe e sostituisce integralmente la DGR n.3/2012, per cui “ l’interesse azionato si concentra nel provvedimento di conferma, innovativo e dotato di autonoma efficacia lesiva della sfera giuridica di parte ricorrente”( sentenza TAR appellata).

3.3.4. Né, a sostegno della natura confermativa della DGR, assume rilevanza l’argomento del mancato coinvolgimento dei due Ministeri, competenti a valutare la appropriatezza della nuova misura adottata in materia di compartecipazione.

Infatti la circostanza che la Regione Umbria non abbia coinvolto in sede contrattuale le Amministrazioni statali competenti nella disposta rimodulazione della percentuale di compartecipazione del 20%, non sarebbe elemento di per se stesso idoneo a trasformare la nuova DGR n.428/2014 in provvedimento meramente confermativo, ma ne costituisce un ulteriore motivo di illegittimità sotto il profilo procedimentale, come rilevato dalla stessa sentenza impugnata.

Inoltre avrebbe potuto rappresentare specifico motivo di eventuale impugnazione della DGR n.428/2014 per violazione del procedimento di adozione, ove le suddette Amministrazioni Statali non l’avessero ritenuta atto meramente confermativo della precedente DGR n.3/2012 e, quindi, non autonomamente lesiva.

3.4. Nel merito, nell’appello proposto dai Ministeri, Adiconsum Umbria in via preliminare eccepisce l’inammissibilità delle deduzioni ed allegazioni avversarie, formulate per la prima volta in grado di appello, mentre in primo grado la parte ministeriale, dato il carattere sostanzialmente reiterativo delle censure già dedotte nel precedente giudizio conclusosi con le sentenze n.18 e 19 del 2013, si era limitata a produrre “gli atti difensivi già ivi depositati da intendersi integralmente richiamati”

Il Collegio ritiene di prescindere dall’eccezione preliminare per ragioni di economia di mezzi, considerato che i motivi di appello sono, comunque, infondati nel merito .

In particolare i Ministeri censurano la sentenza impugnata nella parte in cui afferma l’illegittimità della DGR n.248/2014, sotto il profilo sostanziale, in quanto ha imposto una compartecipazione aggiuntiva del 20% sulla tariffa delle prestazioni specialistiche intramoenia di natura tributaria in assenza dei presupposti legali di tale imposizione, nonché, sotto il profilo procedimentale, nella parte in cui, non l’adozione della misura non è tata preceduta dal previo Accordo con il MEF e con il Min.Salute.

3.5. I suddetti motivi di appello saranno trattati unitamente a quelli, in parte analoghi,formulati dalla Regione Umbria nell’autonomo atto di appello proposto avvero la stessa sentenza n.19/2015 e meglio indicato in epigrafe

3.5.1. Nel merito la sentenza va confermata .

E’ opportuno precisare che la norma di riferimento è la legge n. 296/2006, art. 1, comma 796, lettere p) e p-bis), le quali, da un lato, prevedono l’imposizione di un ticket fisso di dieci euro ricetta per le prestazioni di medicina specialistica ambulatoriale e, dall’altro lato, consentono di sostituire tale imposizione con «altre misure di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie».

La discrezionalità così conferita alle amministrazioni regionali (previo accordo con i Ministeri competenti) appare notevolmente estesa, incontrando il solo limite dell’adeguatezza della misura allo scopo di mantenere l’equilibrio economico-finanziario del servizio sanitario pubblico.

Tuttavia il punto controverso consiste nel fatto che deve trattarsi in ogni caso di «misure di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie».

Ad avviso delle Amministrazioni appellanti le prestazioni sanitarie intra moenia non costituirebbero esercizio di un’attività libero professionale, ma, piuttosto, rappresenterebbero una particolare modalità di espletamento dello stesso servizio pubblico, anzi un servizio ulteriore, il che giustificherebbe razionalmente e socialmente l’imposizione di un ticket a titolo di “partecipazione dell’utente alla spesa sanitaria” in aggiunta alla tariffa.

Inoltre (proseguono le appellanti) sussisterebbe un collegamento, strettamente funzionale e logistico tra il professionista intramoenia e gli altri servizi istituzionali, ove si consideri che in tale attività sono utilizzati il personale sanitario pubblico e le strutture pubbliche.

3.5.2. L’assunto delle appellanti non è condivisibile.

Infatti il ticket previsto dalla citata lettera p), a partire dal 1 gennaio 2007, si configura come una misura di partecipazione al costo delle prestazioni di «assistenza specialistica ambulatoriale»: tali prestazioni sono rese da medici dipendenti o accreditati ed il loro costo, in linea di principio, ricade sul servizio pubblico, in quanto, per usufruirne, l’assistito non è tenuto a pagare un corrispettivo, ma, al più, una quota correntemente denominata ticket.

Pertanto, considerato che le prestazioni sanitarie assoggettabili al pagamento di un ticket sono soltanto quelle ricomprese nei LEA garantiti dal SSN a tutti i cittadini (come ha affermato la Corte Costituzionale nella sentenza n.203/2008 sulla competenza legislativa statale in materia di previsione di ticket per prestazioni ambulatoriali), appare evidente che, invece, l’attività libero professionale svolta intramoenia non integra l’erogazione di prestazioni rientranti nei LEA ( quali individuati dal

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