Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-02-19, n. 201600674
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N. 00674/2016REG.PROV.COLL.
N. 00035/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 35 del 2015, proposto da
Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e Pompei, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12
contro
C R, rappresentata e difesa dall'avvocato A A, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Avignonesi, 5
per la riforma della sentenza del T.A.R. della Campania, Sezione VII, n. 3845/2014
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della signora Rosa C;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2015 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Garofoli e l’avvocato Abbamonte;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania e recante il n. 5131/2010, la signora C R, premesso di essere proprietaria di un piccolo fondo in Castellammare di Stabia, censito in catasto al fl. 6, p.lla 1619 (ex p.lla 40/A), riferiva che:
- con istanza del 21 maggio 2009 aveva chiesto alla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei notizie in ordine alla sussistenza di un vincolo archeologico sul terreno in questione;
- che, a seguito di sentenza del Tribunale amministrativo della Campania, n. 5567 del 14 ottobre 2009, di accoglimento del ricorso avverso il silenzio serbato dall’amministrazione sulla sua richiesta, la Soprintendenza comunicava (con nota in data 3 giugno 2010) che con decreto ministeriale in data 23 ottobre 1962 era stato dichiarato l’interesse particolarmente importante del “Vecchio Fondo Girace” comprendente la particella 1619 (ex p.lla 40/A).
La nota della Soprintendenza veniva impugnata dalla signora C dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania il quale, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il ricorso e ne disponeva l’annullamento.
La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo il quale ne ha chiesto la riforma articolando due motivi di appello.
Con il primo motivo il Ministero appellante osserva che il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato tardivo per essere stata la sussistenza del vincolo archeologico interessante (anche) la particella 1619 notificata dal Ministero con lettera raccomandata ricevuta dall’odierna appellata in data 29 marzo 2000 (la notifica in questione era stata effettuata all’indomani dell’entrata in vigore del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il cui articolo 13, comma 1 stabiliva che “(…) il Ministero procede alla dichiarazione di bene culturale nei confronti dei beni immobili indicati nell’articolo 2 per i quali non siano state rinnovate e trascritte le notifiche precedentemente effettuate a norma della legge 20 giugno 1909, n. 364 e della legge 11 giugno 1922, n. 778” .
Quindi, non sarebbe esatta l’affermazione del primo giudice secondo cui non vi sarebbe in atti la prova del fatto che l’appellata signora C avesse preso piena conoscenza del vincolo archeologico che interessa l’area più di sessanta giorni prima la proposizione del ricorso n. 5131/2010.
Con il secondo motivo il Ministero appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui il primo giudice ha ritenuto che l’imposizione del vincolo all’origine dei fatti di causa si ponesse, altresì, in violazione delle previsioni di cui all’articolo 21 della l. 1° giugno 1939, n. 1089 in tema di imposizione del c.d. ‘vincolo indiretto’ e di fissazione della c.d. ‘fascia di rispetto’.
Il Ministero richiama al riguardo l’orientamento secondo cui spetta all’amministrazione preposta alla tutela del vincolo un ampio margine di discrezionalità nell’individuazione delle ragioni da porre a fondamento dell’imposizione del c.d. ‘vincolo indiretto’ e secondo cui non occorre una particolare e diffusa motivazione per identificare i limiti della cornice ambientale ritenuta indispensabile al fine di assicurare la visibilità e fruibilità del bene protetto, nonché la salvaguardia dell’ambiente circostante e il suo decoro.
Si è costituita in giudizio la signora C la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello e ha altresì riproposto, ai sensi dell’articolo 101 Cod. proc. amm., i motivi già articolati in primo grado e ritenuti assorbiti dal Tribunale amministrativo.
Con ordinanza n. 4752/2015 (resa all’esito della camera di consiglio del 6 ottobre 2015) questo Consiglio di Stato ha disposto una verificazione ai sensi dell’articolo 66 Cod. proc. amm. al fine di chiarire una circostanza determinante ai fini del decidere.
In particolare, è stato chiesto a Direttore dell’Ufficio del territorio di Napoli di rispondere al seguente quesito: “Stabilisca il verificatore se l’attuale p.lla 1619 del foglio 6 del Comune di Castellammare di Stabia coincida in tutto o in parte con una delle pregresse particelle su cui era stato imposto il vincolo di carattere archeologico di cui al DM 23 ottobre 1962, giusta nota di trascrizione in data 22 dicembre 1962 (si tratta delle particelle 40/A, 427, 32, 35, 428 e 430/A)” .
L’Ufficio provinciale del territorio di Napoli ha concluso la verificazione facendo pervenire la nota in data 18 novembre 2015, ove è dato leggere che “dall’esame della documentazione rinvenuta in atti ed allegata alla presente, si evince in maniera inequivocabile che la particella 1619 del foglio 6 allegato E del Comune di Castellammare di Stabia, nell’anno 1962, rientrava nella consistenza della particella 40/a della superficie di mq. 16.598 così come individuata nel tipo di frazionamento n. 274 del 15 aprile 1958 e dunque la particella 1619 coincide in parte con una delle particelle pregresse su cui era stato imposto il vincolo e, nello specifico, coincide in parte con la particella 40/a così come individuata nel citato frazionamento” .
Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo avverso la sentenza del Tribunale amministrativo della Campania con cui è stato accolto il ricorso proposto dalla proprietaria di un fondo in Castellammare di Stabia (Na) e, per l’effetto, è stata annullata la nota della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei in data 3 giugno 2010 con cui si era stabilito che il fondo in questione è interessato da un vincolo di carattere archeologico imposto con decreto ministeriale del 23 ottobre 1962.
2. L’appello è fondato.
Il primo giudice, chiamato a pronunziarsi sulla tempestività del primo ricorso, ha affermato che “le amministrazioni resistenti non hanno adempiuto all’onere su di esse gravante di dimostrare la comunicazione, o la piena conoscenza da parte della ricorrente o dei suoi danti causa, del decreto in questione in data anteriore ai 60 giorni rispetto alla proposizione del ricorso in esame” .
Sulla base di tale premessa il primo giudice ha potuto statuire sul merito della questione ritenendo fondato il ricorso proposto dalla signora C,
2.1. Osserva tuttavia il Collegio che le statuizioni in parte qua rese dal Tribunale amministrativo sono da riformare in quanto non suffragate dalla documentazione in atti.
Infatti il Ministero appellante ha dimostrato come l’odierna appellante fosse a conoscenza del vincolo archeologico gravante sulla p.lla 1619 del foglio 6 allegato E del Comune di Castellammare di Stabia (già p.lla 40A) sin dalla data del 29 marzo 2000, allorquando le fu recapitata la comunicazione con avviso raccomandato relativa alla sussistenza del vincolo in parola (la comunicazione in questione era stata effettuata sulla base dell’articolo 12, comma 3, della l. 15 maggio 1997, n. 127;dell’articolo 6 della l. 8 ottobre 1997, n. 352 e dell’articolo 13 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490).
La copia del documento attestante la circostanza in questione è ritenuta dal Collegio indispensabile ai fini della decisione ai sensi del comma 2 dell’articolo 104 Cod. proc. amm..
Il Collegio ritiene inoltre che l’amministrazione appellante abbia fornito oltre ogni ragionevole dubbio la prova che la lettera raccomandata prot. 9389 (la quale comunicava all’appellata la sussistenza del vincolo) sia, appunto, la lettera cui fa riferimento la cartolina di ricevimento in data 29 marzo 2000, depositata in atti.
Pertanto, quando l’appellata signora C ricevette la nota in data 3 giugno 2010, impugnata in primo grado, era a conoscenza da oltre tre mesi dell’esistenza del vincolo sulla p.lla 1619 ed era quindi in condizione di percepire tutti gli elementi essenziali di un atto per lei lesivo (anche a prescindere dalla materiale disponibilità del decreto impositivo del vincolo in quanto tale).
Al riguardo il Collegio ritiene di richiamare il consolidato – e qui condiviso – orientamento secondo cui per quanto riguarda il termine per proporre l’impugnativa giurisdizionale, la piena conoscenza dell’atto del quale si chiede l'annullamento giurisdizionale si concretizza con la cognizione dei suoi elementi essenziali e della sua portata dispositiva e della sua valenza lesiva, senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione e degli atti del procedimento, mentre la successiva conoscenza di questi ulteriori elementi consente di introdurre altre censure mediante l’istituto ora previsto dall’articolo 43 Cod. proc. amm. (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, V, 23 settembre 2015, n. 4443; IV, 15 settembre 2015, n. 4311; V, 7 agosto 2015, n. 3881).
Del resto, la stessa appellata richiama l’orientamento (Cons. Stato, VI, 16 novembre 2000, n. 6134) secondo cui la rituale trascrizione nei registri immobiliari del vincolo di tutela indiretta è condizione di opponibilità del vincolo medesimo nei confronti dei terzi, ma “ferma restando l’efficacia del provvedimento di vincolo nei confronti dell’attuale proprietario, cui il decreto sia stato notificato” (si tratta, ad avviso del Collegio, di una situazione sovrapponibile con quella che qui rileva, dovendo riconoscersi piena valenza – in particolare ai fini del decorso del termine legale per l’impugnativa – alla richiamata notifica con invio raccomandato del marzo 2000).
Il ricorso di primo grado deve dunque essere dichiarato tardivo per avere l’appellata signora C contestato la sussistenza del vincolo e le ragioni sottese alla sua imposizione oltre il termine di sessanta giorni da quello in cui aveva acquisito piena conoscenza del contenuto del provvedimento asseritamente lesivo.
3. Fermo il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto osservato sub 2.1., il Collegio osserva che la sentenza in epigrafe è altresì meritevole di riforma per la parte in cui ha statuito l’illegittimità dell’atto impositivo del vincolo: i) in quanto sulla particella di proprietà dell’appellata non sarebbero stati effettuati ritrovamenti archeologici; ii) in quanto l’amministrazione non avrebbe adeguatamente motivato l’eventuale sussistenza di un vincolo ai sensi della l. 1° giugno 1939, n. 1089 ( Tutela delle cose di interesse artistico o storico) .
Al riguardo si osserva:
- che, all’esito dell’istruttoria disposta con ordinanza n. 4752/2015, l’Ufficio provinciale del Territorio di Napoli ha stabilito che “(…) si evince in maniera inequivocabile che la particella 1619 del foglio 6 allegato E del Comune di Castellammare di Stabia, nell’anno 1962, rientrava nella consistenza della particella 40/a della superficie di mq. 16.598 così come individuata nel tipo di frazionamento n. 274 del 15 aprile 1958 e dunque la particella 1619 coincide in parte con una delle particelle pregresse su cui era stato imposto il vincolo e, nello specifico, coincide in parte con la particella 40/a così come individuata nel citato frazionamento” ;
- che dalla cartografia in atti (in scala 1:2000) emerge che, effettivamente, la p.lla 1619 disti appena alcune decine di metri dai principali ritrovamenti archeologici della località Varano del Comune di Castellammare di Stabia;
- che, in base a un condiviso orientamento (peraltro, correttamente richiamato dall’amministrazione appellante), ai fini dell’imposizione di un vincolo indiretto, la continuità dell'area non deve essere intesa in senso solo fisico, né richiedere necessariamente una continuità stilistica o estetica fra le aree, ma può essere invocata anche a tutela della continuità storica tra i monumenti e gli insediamenti circostanti;pertanto, nel caso di una vasta porzione di territorio, di interesse paesistico, archeologico o culturale, non rileva il mero rapporto di continuità fisica dei terreni ai fini della loro inclusione nell’area vincolata e il potere discrezionale di cui l’amministrazione dispone nel fissare l’ampiezza del vincolo indiretto finalizzato a costituire una fascia di rispetto attorno al bene archeologico oggetto di tutela diretta è sindacabile in sede di legittimità soltanto per macroscopica incongruenza ed illogicità (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, VI, 6 settembre 2002, n. 4566;17 ottobre 2003, n. 6344;19 gennaio 2007, n. 111;1 luglio 2009, n. 4270;6 giugno 2011, n. 3354);
- che non può essere condivisa la tesi del primo giudice secondo cui la scelta di assoggettare a vincolo indiretto un’area (quale quella per cui è causa) comunque caratterizzata da un’accentuata vicinitas con i ritrovamenti oggetto di vincolo diretto dovrebbe essere assistita da una motivazione – per così dire – ‘aggravata’, essendo al contrario sufficiente, e sulla base del richiamato orientamento giurisprudenziale, che tale scelta risulti scevra da profili di palese incongruenza ed illogicità, nello stato insussistenti.
3.1 Anche per tale ragione il ricorso in appello deve essere accolto.
4. Per la ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere respinto il primo ricorso.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese per il doppio grado di giudizio