Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2009-12-11, n. 200907765

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2009-12-11, n. 200907765
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 200907765
Data del deposito : 11 dicembre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03944/2005 REG.RIC.

N. 07765/2009 REG.DEC.

N. 03944/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 3944 del 2005, proposto da:
B A, rappresentato e difeso dall'avv. S P, con domicilio eletto presso Antonia Studio De Angelis in Roma, via Portuense, 104;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la cui sede in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, domicilia per legge;
Capitaneria di Porto di Cagliari;

per la riforma

della sentenza del TAR SARDEGNA - CAGLIARI - 1^ SEZIONE n. 00329/2005, resa tra le parti, concernente CONCESSIONE DI UNA PORZIONE DEL DEMANIO MARITTIMO IN TERRITORIO COMUNALE.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2009 il Consigliere F T e uditi per le parti gli avvocati Pinna e Gerardis.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con il ricorso di primo grado parte appellante aveva impugnato il provvedimento 26/4/2004 prot. n° 07/562/14191/Dem., col quale la Capitaneria di Porto di Cagliari aveva rigettato la propria istanza volta ad ottenere la concessione demaniale di una porzione di litorale marittimo ubicata in comune di Domus De Maria, località Cala Cipolla, con la motivazione che le esigue dimensioni della spiaggia avrebbero reso l’utilizzo proposto incompatibile con le esigenze del pubblico uso del demanio marittimo.

L’odierna parte appellante era insorta prospettando i vizi di violazione di legge difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità.

In particolare, aveva esposto che, da un canto, non erano state compiutamente esternate le ragioni avevano indotto l’amministrazione intimata a considerare incompatibile con il pubblico uso del demanio l’utilizzo propostole: il riferimento alle ridotte dimensioni della spiaggia non era pertinente, perché non era stata chiesta la concessione della spiaggia e perché le dimensioni di quest’ultima non erano inconciliabili con la tipologia di utilizzo proposta.

La Capitaneria di porto avrebbe dovuto enunciare le ragioni di incompatibilità tra il pubblico uso del demanio e lo specifico intervento oggetto della denegata richiesta di concessione.

Un’adeguata attività istruttoria avrebbe, del resto, consentito di evitare l’errore commesso con l’atto impugnato.

Sotto altro profilo, l’intervento che si era inteso realizzare sull’area oggetto della richiesta di concessione era stato ideato in modo da lasciare pressoché totalmente libero l’arenile, prevedendosi l’utilizzo di poche strutture leggere ed amovibili, da posizionare non sull’arenile, ma immediatamente a ridosso del medesimo, e di posizionare lettini ed ombrelloni, non su una porzione ben delimitata di spiaggia, ma nel punto desiderato dai singoli clienti, così da non creare un ingombro maggiore di quello che sarebbe derivato dall’utilizzo libero dell’arenile da parte di utenti che utilizzassero attrezzature proprie.

Erroneamente, quindi, si era ritenuto da parte dell’amministrazione appellata che l’intervento proposto potesse compromettere la libera fruibilità dell’arenile

Il Tar ha disatteso l’impugnazione, esaminando gli articolati motivi di censura di cui al ricorso e ritenendo i medesimi non fondati alla stregua della ampia latitudine di discrezionalità demandata in materia all’amministrazione.

Si è evidenziato nell’appellata decisione che l’amministrazione aveva espressamente manifestato le ragioni ritenute ostative all’accoglimento della domanda di concessione demaniale, rilevando che le ridotte dimensioni dell’area rendevano, in base al suo insindacabile giudizio di merito, l’utilizzazione proposta incompatibile con le esigenze di uso collettivo del bene demaniale.

La motivazione addotta a sostegno del diniego, di per sé sufficiente a sorreggere la scelta compiuta, non appariva, poi, irrazionale, atteso che l’utilizzo dell’area previsto nell’istanza appariva oggettivamente capace di incidere negativamente sulla libera fruizione, da parte della generalità degli utenti, di uno spazio le cui ridotte misure sono incontestate.

Né poteva assumere rilievo, in senso contrario, la circostanza che la struttura adibita a ricezione clienti, somministrazione pasti e ricovero delle attrezzatura da spiaggia, non fosse da collocare sull’arenile, ma immediatamente a ridosso del medesimo: tenuto conto delle modalità di espletamento del servizio proposte (posizionamento delle attrezzature da spiaggia in un qualunque punto dell’arenile, liberamente scelto da ciascun singolo utente), l’uso particolare del bene investiva, in potenza, l’intero arenile.

La sentenza è stata appellata dall’ originario ricorrente di primo grado che ne ha contestato la fondatezza proponendo due articolati motivi di impugnazione ed evidenziando che la statuizione reiettiva dell’amministrazione doveva reputarsi illegittima ed illogica.

Il provvedimento reiettivo era errato, non motivato e meritava ampia censura, sia sotto il profilo della carenza istruttoria e motivazionale (secondo motivo del ricorso in appello) che con riguardo alla violazione dell’art. 36 del Codice della Navigazione (primo motivo di censura).

Del tutto apodittico appariva l’iter motivazionale seguito dal Tar con la appellata statuizione reiettiva che, peraltro, neppure aveva tenuto conto della circostanza che l’amministrazione appellata, in passato, aveva rilasciato provvedimenti concessori relativi a porzioni di arenile di dimensioni inferiori a quelle (mt.110 di lunghezza e mt. 60 di profondità) della spiaggia ubicata in comune di Domus De Maria, località Cala Cipolla.

Inoltre veniva rilevato che l’appellata amministrazione aveva denegato la richiesta in oggetto (non già immediatamente ma) dopo avere preteso che l’appellante, a proprie spese,esperisse la riperimetrazione dell’area, il che appariva collidere con le draconiane motivazioni successivamente opposte – a più di due anni di distanza da detta riperimetrazione-alla richiesta concessoria (pag. 11 del ricorso in appello).

Sotto altro profilo, la motivazione reiettiva era del tutto identica a quella opposta ad altre due richieste di concessione insistenti sul medesimo sito, il che comprovava che non vi era stata accurata istruttoria sulle istanze, ma una mera espressione di volontà aprioristica di non consentire alcun tipo di intervento sull’area.

In ultimo, (secondo motivo del gravame) né l’amministrazione né la appellata decisione si erano soffermate sulla circostanza che era stata richiesta altresì l’autorizzazione al posizionamento di un chiosco prefabbricato per la somministrazione di pasti, allocato extra-arenile: le considerazioni dell’amministrazione relative alle dimensioni della spiaggia che avevano indotto alla reiezione afferente la richiesta di attività di noleggio di attrezzature da spiaggia non avevano alcun pregio con riferimento a tale ulteriore utilizzo.

In parte qua, l’istanza dell’appellante era rimasta inevasa.

La sentenza pertanto doveva essere annullata.

L’appellata amministrazione, costituitasi, non ha depositato memorie.

DIRITTO

L’appello è infondato e deve essere respinto, nei termini di cui alla motivazione che segue con conseguente conferma della appellata sentenza.

Deve preliminarmente rilevarsi che il ricorso in appello risulta notificato all'Avvocatura distrettuale dello Stato con sede in Cagliari anziché all'Avvocatura generale dello Stato con sede in Roma.

Posto che ai sensi dell'art. 1, l. n. 260/1958, espressamente richiamato per i giudizi amministrativi dall'art. 10. co. 3, l. n. 103/1979, tutti gli atti costitutivi di una fase processuale proposti nei confronti delle amministrazioni statali e degli enti pubblici patrocinati dall'Avvocatura dello Stato, vanno notificati alle amministrazioni resistenti presso l'ufficio dell'Avvocatura erariale nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria adita, la giurisprudenza ne ha fatto conseguire che è inammissibile il ricorso in appello proposto al Consiglio di Stato avverso sentenza di T.a.r., notificato presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato della città sede dell'amministrazione intimata anziché presso l'Avvocatura generale (Consiglio di Stato, IV, 27 ottobre 1998, n. 1390).

In giurisprudenza, peraltro, si è costantemente affermato che la nullità della notificazione irritualmente effettuata presso un'Avvocatura distrettuale anziché presso quella generale potrebbe essere sanata dalla costituzione in giudizio dell'amministrazione evocata. (C. Stato, IV, 25 febbraio 1999, n. 224;
C. Stato, IV, 27 ottobre 1998, n. 1390;
C. Stato, VI, 4 settembre 1998, n. 1206;
C. Stato, VI, 20 febbraio 1998, n. 160;
C. Stato, IV, 4 settembre 1996, n. 1018;
C. Stato, IV, 23 ottobre 1991,n. 852)

Tale orientamento, in via generale, concerne tutte le ipotesi di irregolarità/irritualità della notifica all’amministrazione, atteso che, si è rilevato, “Va applicata la sanatoria prevista dall'art. 156 c.p.c. nell'ipotesi in cui l'amministrazione intimata si sia costituita in giudizio sebbene non fosse stata precedentemente effettuata presso l'avvocatura generale dello Stato la notificazione del ricorso in appello al Consiglio di Stato. “(Consiglio Stato , sez. VI, 18 ottobre 1993, n. 741).

Nel caso di specie l’amministrazione si è costituita nell’odierno giudizio di appello, dal che consegue la “sanatoria” del vizio di inammissibilità del ricorso in appello medesimo e la necessità di affrontare il merito delle doglianze prospettate.

Non v’è contestazione alcuna in ordine agli aspetti fattuali e cronologici sottesi alla causa, né in ordine alle disposizioni applicabili alla fattispecie, il che esonera il Collegio dal rivisitare tali aspetti. Ciò premesso, la Sezione ritiene di dovere manifestare il proprio convincimento, già in passato espresso, secondo il quale “a fronte di una domanda di concessione di un bene demaniale , l'amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale - nell'ambito del quale deve considerarsi rientrante anche la ponderazione di interessi di ordine generale e di natura diversa da quelli propriamente demaniali - teso ad accertare la compatibilità dell'uso particolare del bene richiesto in concessione con l'uso generale, secondo le finalità ad esso proprie, e che, comunque, ben può la stessa amministrazione, in tale ambito di discrezionalità , utilizzare e far propri anche pareri di altre autorità amministrative su cui basare le determinazioni di competenza.” (Consiglio di Stato, Sezione VI n. 1662/2002).



Alla stregua di tale principio, le obiezioni di parte appellante non appaiono convincenti.

Parte appellante infatti non nega che sulla medesima area l’amministrazione ebbe in passato a respingere analoghe domande concessorie (quella avanzata dalla ditta Sansone, e quella avanzata dalla Oasi SAS: si veda sul punto pag. 12 del ricorso in appello)

Ritiene però che il diniego sia immotivato ed illegittimo perché, da un canto, in passato furono concesse porzioni di spiaggia insistenti su baie di inferiori dimensioni;
sotto altro profilo, perché la concessione degli ombrelloni non inciderebbe sulla fruibilità dell’area e, infine, perché non sarebbe stata vagliata la propria domanda afferente la richiesta autorizzazione al posizionamento di un chiosco prefabbricato per la somministrazione di pasti, allocato extra-arenile.

Di più: pur non negando che l’amministrazione ebbe ad adottare statuizioni identiche per tutte le richieste concessorie (così per tabulas escludendo alcun vizio di disparità di trattamento), dalla identità delle motivazione dei distinti provvedimenti reiettivi fa discendere il vizo di carenza motivazionale.

E’ evidente che nessuna delle censure in esame attinge il procedimento formativo della discrezionalità esercitata dall’amministrazione, sollecitando invece un (inammissibile) sindacato di merito.

Invero nell’ambito della propria discrezionalità (ancora di recente la Sezione ha ribadito, con la decisione n.488/2009 valutando la questione del concorso di domande concessorie, che “ai sensi dell'art 37 c. nav., in caso di più domande di concessione va attribuita preferenza al richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione ai fini del superiore interesse pubblico. Si tratta di un potere espressione di discrezionalità amministrativa -in quanto l'Amministrazione è chiamata a valutare la soluzione migliore per l'interesse pubblico-, che è sindacabile in sede giurisdizionale solo se emergono profili di incongruità o irragionevolezza.”) l’amministrazione ha ritenuto che le dimensioni del sito (ed è incontestato che queste fossero ben esigue) sconsigliasse l’affidamento in concessione di una porzione dell’arenile e sconsigliasse altresì che nell’area immediatamente a ridosso del medesimo venissero installate strutture, seppur amovibili, deputate alla conservazione di lettini e sdraio, ovvero un chiosco per la somministrazione di bevande e cibi.

Non sono ravvisabili profili di abnormità, in tale iter motivazionale, né di disparità di trattamento rispetto a precedenti o coeve domande aventi ad oggetto il medesimo sito (né possono essere assunte, quale tertium comparationis, domande concessorie afferenti siti diversi, e/o di ampiezza diversa, seppur contenuta, come si afferma a pag. 9 del ricorso in appello).

D’altro canto la tesi dell’appellante ove portata alle estreme conseguenze postulerebbe che all’amministrazione sia inibito un giudizio discrezionale (non illogico, lo si ripete, ma fondato sulle peculiarità del sito) sulla opportunità che in una determinata area non insista alcuna struttura turistico-ricreativa.

Ciò collide con il consolidato orientamento della Sezione a tenore del quale (la fattispecie si attaglia a perfezione alla odierna vicenda processuale) “dagli art. 30 e 36 c. nav., è rimessa al potere ampiamente discrezionale dell'amministrazione marittima la valutazione di quale tra i vari usi del bene demaniale si presenti nel caso singolo più proficuo e conforme all'interesse della collettività;
la scelta dell'amministrazione stessa di concedere spazi di arenile va effettuata considerando sempre il superiore interesse pubblico a garantire la libera balneazione e rapportando, quindi, tale esigenza alla situazione effettiva delle persone e all'esistenza di spiagge sufficienti a soddisfare il bisogno collettivo. Ciò non significa che l'ampio potere discrezionale, di cui gode l'amministrazione, sia sottratto al sindacato giurisdizionale;
infatti, in casi come quello di specie, sussiste sempre la necessità che la scelta dell'autorità marittima in ordine alla singola istanza di concessione del bene demaniale sia motivata con riguardo ai criteri applicati ed alla valutazione della fattispecie concreta, al fine di evitare il sorgere, anche in via soltanto potenziale, di dubbi circa la legittimità della determinazione assunta in relazione a detta istanza.” (

Consiglio Stato , sez. VI, 31 maggio 2006, n. 3312)

L’appellante ricorre ad alcuni suggestivi esempi per dimostrare l’inattendibilità dell’iter motivazionale della decisione: ma anche sotto tale profilo la sentenza appare al Collegio immune da contraddizioni.

E’ ovvio (per esaminare uno dei profili lamentati nel ricorso in appello) che i bagnanti potrebbero portare con loro le sdraio piuttosto che locarle nel sito.

Ma è altresì ben legittimo (rectius, rientrante nella insindacabile sfera del merito amministrativo) che l’amministrazione valuti maggiormente conveniente per la fruibilità complessiva dell’area, ad esempio, che non vi siano strutture adibite al noleggio di lettini essendo in tal modo ridotta la probabilità che l’arenile venga “occupato” da sdraio etc.

Analoghe considerazioni, ovviamente, attengono all’ultimo profilo di censura, relativo alla pretesa di allocare a ridosso dell’ area un chiosco adibito alla distribuzione dei pasti.

Il Collegio ritiene conclusivamente di dovere ribadire il proprio convincimento, rispettoso della tradizionale tripartizione dei poteri che informa di sé la struttura organizzativa repubblicana secondo il quale il g.a. a fronte di valutazioni evidentemente irrazionali o contraddittorie ovvero fondate su elementi di fatto erronei o travisati potrà di certo intervenire perché l'azione amministrativa posta in essere in tali condizioni è illegittima per eccesso di potere, ma non può spingersi oltre e deve lasciare alle amministrazioni competenti il compito di valutare nel merito ed in concreto la ricorrenza dei presupposti di fatto per l'adozione di specifici provvedimenti -nella specie, trattasi di valutazioni di opportunità in relazione alle concrete situazioni di fatto, riservate alla discrezionalità degli organi eletti dalle singole comunità locali insediate su un determinato territorio, senza che il g.a., in sede di legittimità, possa sostituire le proprie valutazioni a quelle proprie degli organi investiti del potere-.”(.Consiglio Stato , sez. V, 05 settembre 2006, n. 5106)


Al contempo, deve rammentarsi che, anche laddove la giurisdizione amministrativa si estenda al merito (il che non è nel caso di specie), il profilo di congruenza motivazionale, assenza di parametri di abnormità, e sufficienza ed attendibilità delle resultanze istruttorie costituisce l’essenza del convincimento giudiziale, che, ove penetrantemente diretto a sindacare l’opportunità e la convenienze delle scelte (soprattutto ove le stesse si risolvano in un giudizio) sconfinerebbe in compiti di amministrazione attiva sostitutivi dell’amministrazione e, come tali, inammissibili (si veda, tra le tante, Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 7266/2003).

Il complessivo percorso argomentativo dei primi Giudici resiste alle censure articolate nell’appello: al contempo, l’atto reiettivo confermato dai primi Giudici calibrava nel proprio passaggio motivazionale le ragioni del diniego, in relazione alle sopracitate esigenze valutative.

Sotto tale profilo appare, pertanto, esatta e meritevole di conferma la appellata decisione, e non meritevole di accoglimento l’appello proposto .

Alla soccombenza consegue la condanna di parte appellante al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio, che appare equo quantificare in € 2500, (Euro duemilacinquecento) oltre IVA e CPA.

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