Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-07-16, n. 202406393

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-07-16, n. 202406393
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202406393
Data del deposito : 16 luglio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/07/2024

N. 06393/2024REG.PROV.COLL.

N. 09494/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9494 del 2023, proposto da
M G C, rappresentata e difesa dall’avvocato L T, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Comune di Napoli, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati A A e A I F, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 8925/2023, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il Cons. A E B e uditi per le parti gli avvocati L T e Nicola Laurenti, per delega dell’avvocata A I F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La ricorrente chiede la revocazione della sentenza che ha rigettato il suo appello avverso la pronuncia del TAR che, a sua volta, aveva respinto il suo ricorso di primo grado avverso il diniego di condono di opere eseguite nell’immobile di proprietà, motivato in ragione della realizzazione di abusi ulteriori e successivi all’istanza di sanatoria.

2. In punto di fatto si rileva che con istanza del 28 febbraio 2005 la ricorrente chiedeva il condono di opere realizzate su un immobile di sua proprietà, consistenti nella realizzazione, su di un preesistente terrazzo, di una struttura in ferro e vetro adibita a sala ristorante di 112,50 mq, con annessi servizi, nonché, al piano sottostante, di un solaio intermedio di 45 mq.

3. La sanatoria veniva negata, con intimazione di ripristinare lo stato dei luoghi, in quanto il Comune riteneva che fossero stati realizzati abusi ulteriori rispetto a quelli descritti nell’istanza e successivi a essa, che avevano sostanzialmente trasformato l’immobile, rendendolo una struttura commerciale articolata su tre livelli comunicanti mediante scale interne.

4. Il ricorso presentato dall’interessata contro il diniego era respinto dal TAR con sentenza contro la quale la proprietaria presentava appello.

4.1. Nel giudizio di secondo grado veniva disposta una verificazione volta ad accertare la consistenza dell’immobile risultante dalla documentazione allegata alla richiesta di condono e l’attuale stato dell’immobile, ovvero l’esistenza di opere risultato di successivi interventi edilizi.

4.2. Dopo il deposito di una prima relazione di verificazione, nelle cui premesse si riferiva dell’assenza di grafici allegati all’istanza di condono, il verificatore era stato invitato a svolgere ulteriori approfondimenti previa acquisizione e valutazione degli elaborati grafici che, secondo l’appellante, sarebbero stati invero presentati al Comune in risposta a una richiesta d’integrazione documentale.

4.3. Preso atto delle integrazioni depositate dal verificatore il gravame è stato respinto.

5. La proprietaria ha impugnato la pronuncia con ricorso per revocazione, chiedendo anche la concessione di misure cautelari.

5.1. Il Comune si è costituito in giudizio, resistendo al gravame.

5.2. Alla camera di consiglio del 16 gennaio 2024, la causa è stata rinviata direttamente per la trattazione in udienza pubblica su richiesta e accordo delle parti, senza alcuna pronuncia sull’istanza incidentale di sospensione dell’esecutività della sentenza revocanda.

5.3. All’udienza pubblica del 21 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. La ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sia viziata da errore di fatto sotto due profili: il giudice d’appello da un lato avrebbe erroneamente ritenuto che gli esiti della prima verificazione non dovessero mutare alla luce delle integrazioni;
dall’altro non avrebbe percepito l’esatta consistenza del fabbricato.

7. Il ricorso è inammissibile.

7.1. L’art. 106 cod. proc. amm. stabilisce che le sentenze del giudice amministrativo sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli artt. 395 e 396 cod. proc. civ., con ricorso da proporre allo stesso organo che ha pronunciato la decisione.

7.2. Secondo la consolidata ricostruzione della giurisprudenza, il giudizio per revocazione si articola in due fasi: « quella rescindente, volta a verificare se il ricorso è ammissibile e se sussiste una delle cause legali tipiche di revocazione (in caso di positivo riscontro, la sentenza viene “rescissa”, ossia revocata);
quella rescissoria, meramente eventuale, che consegue ad una pronuncia (necessariamente positiva) circa la sussistenza della causa di revocazione invocata;
in questa seconda fase viene in rilievo l’obbligo per il giudice di rinnovare il giudizio, emendandolo del vizio o dei vizi che avevano afflitto quello precedente
» (Cass. civ., ss.uu., sent. n. 21869 del 2019).

7.3. Nel caso di specie viene denunciato il vizio di cui all’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., a norma del quale una sentenza è revocabile se « è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare ».

7.4. L’errore revocatorio quindi è configurabile solo quando ricorrano tutti i seguenti requisiti: si tratti di un errore « di fatto », ossia di una errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto il giudice a decidere sulla base di un falso presupposto;
la questione attenga a un punto non controverso, su cui la decisione non abbia espressamente pronunciato;
la sentenza sia « fondata » su tale elemento, ossia questo sia stato determinante nella decisione adottata.

8. Nel caso di specie non ricorre la fattispecie dell’errore di fatto revocatorio denunciato dalla ricorrente.

8.1. L’immobile per cui è causa è un fabbricato attualmente articolato su tre livelli e addossato al muro di contenimento che limita la sovrastante pubblica via;
l’attuale primo livello sottostrada consiste in un ampio locale realizzato sulla copertura del fabbricato preesistente e destinato in prevalenza a sala ristorante, mentre la struttura sottostante è suddivisa in due livelli, uno “intermedio”, l’altro terzo sottostrada.

8.2. Con la prima relazione, nella versione finale successiva alle osservazioni delle parti, il verificatore ha affermato che le porzioni oggetto dell’istanza di condono erano l’ampia sala ristorante di 112,50 mq e una porzione di solaio di 45 mq al livello intermedio, e ha rilevato la presenza di opere ulteriori rispetto a quelle indicate nella domanda di sanatoria, consistenti nell’alterazione della sala ristorante (in quanto, mentre prima questa era delimitata da vetrate intervallate da pilastrini e sormontata da un solaio, in seguito le vetrate sono state rimosse e ne sono state installate altre in corrispondenza con la ringhiera, così comprendendo nella sala ristorante anche quella che prima era una porzione del terrazzo) e del livello intermedio (in quanto è stata demolita una porzione di solaio di 35 mq).

8.3. Ritenendo che queste conclusioni non avessero subito significative modifiche a seguito della successiva integrazione istruttoria, la sentenza revocanda ha reputato quindi « accertata l’esecuzione di una pluralità di opere successive alla presentazione dell’istanza di condono, che danno vita ad un complesso edilizio per consistenza, conformazione e destinazione differente da quello originario », così giustificando il diniego del condono e l’ordine di ripristino.

9. Secondo la ricorrente, invece, con l’integrazione della verificazione sarebbero emersi elementi tali da modificare questa conclusione e proprio da questo deriverebbe l’errore di fatto revocatorio;
inoltre, sempre secondo la ricorrente, il giudice di appello avrebbe travisato lo stato dei luoghi, affermando che era presente una grotta al livello intermedio quando questa sarebbe stata piuttosto a livello dell’arenile.

9.1. Non sussiste tuttavia l’« abbaglio dei sensi » denunciato con il ricorso, perché in effetti anche l’integrazione di verificazione conferma quanto già affermato nella prima versione, ossia che, se il terrazzo deve essere considerato come annesso alla sala principale al punto da essere considerato un unico ambiente con questa, vi è un’eccedenza di 64,50 mq rispetto a quanto indicato nell’istanza di condono.

9.2. In sostanza la difformità risiede nel fatto che, mentre nell’istanza la sala ristorante era compresa in una struttura metallica con vetrate che lasciava libera parte della superficie del terrazzo, attualmente essa si estende sino alla ringhiera, così inglobando spazio che precedentemente era libero.

9.3. Nella sentenza impugnata tale circostanza ha condotto a escludere che l’intervento fosse qualificabile quale manutenzione o risanamento conservativo e a ritenere giustificato il diniego di condono per modifica dello stato dei luoghi successiva all’istanza;
tale valutazione non è censurabile per revocazione, in quanto non riguarda i fatti, ma la loro qualificazione giuridica.

9.4. Rispetto a tale conclusione, poi, risulta irrilevante che la grotta fosse a livello intermedio (come affermato nella sentenza impugnata) ovvero a livello dell’arenile (come sostenuto dalla ricorrente), circostanza su cui la decisione adottata non può dirsi « fondata ».

10. Secondo la regola generale della soccombenza, dalla quale non vi è ragione di discostarsi nel caso di specie, la ricorrente deve essere condannata a rimborsare al Comune di Napoli le spese di lite, nella misura indicata in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi