Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-11-06, n. 201907569

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-11-06, n. 201907569
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201907569
Data del deposito : 6 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/11/2019

N. 07569/2019REG.PROV.COLL.

N. 00622/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 622 del 2019, proposto dalla società:
Elma Real Estate S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G C e F T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

contro

il Ministero per i beni e le attività culturali e la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

dell’associazione “Latium Vetus” e del Comitato di Quartiere S. Palomba, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore e dei signori Monia Bartolucci, Daniela Boccacci, Stefano Casale, Diego Casubolo, Eugen Ciceu, Fabio D'Annibale, Gianni Di Biase, Rossella D'Orazio, Mirela Melita Fedus , Nicolino Fortugno, David Romano, Luigi Russo, Luciano Santini, Salvatore Verde, rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Lo Mastro e Stefano Rossi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Rossi in Roma, via Gabriele Camozzi 9;
della Regione Lazio, del Comune di Pomezia e della signora Paola Boccacci, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento ovvero la riforma

della sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, sezione II quater, 30 ottobre 2018 n.10466, che ha respinto il ricorso n. 1490/2018 R.G. proposto per l’annullamento:

del decreto 27 ottobre 2017, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – G.U. serie generale 25 novembre 2017 n.276, pronunciato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo- MIBACT, Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio, recante “Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area ‘Tenute storiche di Torre Maggiore, Valle Caia ed altre della Campagna Romana’ nei Comuni di Pomezia e Ardea”;

e di tutti gli atti presupposti, connessi ovvero conseguenti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Ciglia e Stefano Rossi e l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società ricorrente appellante impugna il decreto 27 ottobre 2017 della Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio meglio indicato in epigrafe (doc. 1 ricorrente appellante, decreto in questione), che ha dichiarato di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 comma 1 lettere c) e d) del d. lgs. 22 gennaio 2004 n.42, e quindi ha sottoposto a vincolo paesaggistico, un’ampia zona dell’agro romano, estesa per circa 2000 ettari fra i Comuni di Pomezia ed Ardea. La società stessa è infatti proprietaria di un lotto di terreno, che si trova in Comune di Pomezia, località S. Palomba, distinto al catasto al foglio 14 particelle 410 e 411 (fatto non contestato), sul quale intendeva realizzare un edificio per servizi di logistica, come da domanda di permesso di costruire presentata il giorno 29 dicembre 2014 prot. n.113973 del Comune di Pomezia, intervento di costruzione che ora non è più consentito per effetto del vincolo imposto, il tutto nei termini che ora si illustreranno.

2. Il decreto 27 ottobre 2017, come si è detto, dichiara di notevole interesse pubblico l’area denominata “Tenute storiche di Torre Maggiore, Valle Caia ed altre della Campagna Romana” nei Comuni di Pomezia e Ardea.

2.1 Si tratta di un’ampia area di circa 2000 ettari, che secondo quanto riporta lo stesso decreto “conserva ancora un insieme particolarmente armonioso di elementi agricoli e naturali, scarsamente antropizzati se non dalla realizzazione, nel corso del tempo, di interessanti esempi di insediamenti agricoli tipici della campagna romana , inscindibilmente coniugati con numerose preesistenze architettoniche (casali, torri, castelli) e archeologiche, così come riscontrabili nelle carte archeologiche storiche e recenti, che testimoniano l’antica vocazione agricola dell’area a cui si aggiunge la funzione di presidio del territorio e delle vie di comunicazione nel periodo medievale”. In altre parole, si tratta di una zona che fin dai tempi dell’antica Roma è stata destinata all’agricoltura, con la funzione essenziale di approvvigionare la vicina città, ed è stata da sempre attraversata dalle strade che a Roma conducono;
in particolare, nel Medio Evo è stata caratterizzata da grandi centri agricoli, detti domuscultae , raccolti intorno a torri e castelli costruiti a scopo di controllo del territorio e di difesa. Il più importante di questi centri, compreso nell’area interessata e citato anche nell’intestazione del decreto, è poi il complesso monumentale di Torre Maggiore, che come si vedrà rileva direttamente ai fini di causa, si trova a circa 4 chilometri dall’abitato di Pomezia, all’interno di un lotto di terreno di circa 4 ettari, e comprende una cinta muraria medievale con un edificio ed una torre a sezione quadrata di 7.10 metri di lato, che con i suoi 34 metri di altezza è una delle più alte della campagna romana (per tutto ciò, si veda la relazione generale allegata al decreto, doc. 1 in I grado MIBACT allegato all’elenco del 7 marzo 2018, in particolare alle pp. 11-12).

2.2 Il decreto di vincolo è stato pronunciato, come pure si è detto, ai sensi dell’art. 136 comma 1 lettere c) e d) del d. lgs. 42/2004, e quindi considerando l’area come facente parte dei “ complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici ”, come previsto dalla lettera c), nonché come comprendente “ le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze ”, come previsto dalla lettera d).

2.3 Si tratta poi di un vincolo cd vestito, ovvero di un vincolo che ai sensi dell’art. 140 comma 2 del d. lgs. 42/2004 detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato. Essa costituisce parte integrante del piano paesaggistico e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo ”. In altre parole, il decreto di vincolo non si limita a imprimere all’area la qualificazione di bene paesaggistico e a lasciare la sua concreta tutela alle autorizzazioni paesaggistiche da rilasciare di volta in volta a fronte dei singoli interventi, ma agisce in via diretta, prevedendo fin da subito con una serie di disposizioni puntuali gli usi del territorio considerato che sono ammessi e quelli che non sono ammessi. Il relativo potere, come è noto, è stato previsto per la prima volta dall’art. 10 comma 1 del d. lgs. 24 marzo 2006 n.157, che ha modificato l’art. 140 comma 2 consentendo al decreto di vincolo di dettare “ una specifica disciplina di tutela ”, ed è stato reso più incisivo, nel senso di cui al testo attuale riportato, dall’art. 2 comma 1 lettera l) n. 2) del d. lgs. 28 marzo 2008 n.63.

2.4 Nel caso in esame, il decreto di vincolo ha proceduto anzitutto a confermare “la disciplina adottata con il Piano territoriale paesistico regionale del Lazio- PTPR… così come già indicato nella tav. 29_387 e relative norme tecniche”. Com’è noto, il PTPR laziale nella sua cartografia, di cui fa parte la tavola indicata classifica le varie porzioni del territorio regionale in categorie omogenee, denominate “paesaggi”, distinti a seconda delle caratteristiche intrinseche e dell’uso dell’area, e per ciascuna di tali categorie all’interno delle norme di attuazione- NTA detta una specifica disciplina di tutela, indicando gli interventi non ammessi e quelli ammessi, con i relativi limiti e condizioni. Il decreto di vincolo ha quindi cristallizzato in via generale la disciplina già dettata dalla Regione;
la ha poi integrata e modificata in casi specifici. Nel dettaglio, il decreto stesso ha riclassificato talune aree espressamente indicate da un tipo all’altro di “paesaggio”, stabilendo di volta in volta una tutela minore, o più spesso più intensa, di quanto già previsto dalla Regione. Il decreto ha infine introdotto alcune disposizioni di tutela puntualmente indicate, ulteriori rispetto a quelle previste nel sistema dei “paesaggi”, ovvero il divieto di arature e movimenti terra superiori ad un certo limite e non autorizzati intorno ai siti monumentali elencati e – per quanto direttamente rileva ai fini di questo giudizio- il divieto di “realizzare ulteriori manufatti a destinazione d’uso produttivo, commerciale e terziario anche se previsti dagli strumenti urbanistici comunali;
realizzare nuove strade carrabili asfaltate a scorrimento veloce;
eliminare i filari che costeggiano le strade interpoderali e i tracciati viari secondari” in tutte le aree classificate come “paesaggio agrario di rilevante valore” ovvero come “paesaggio dell’insediamento storico diffuso” (per tutto ciò, v. sempre il doc. 1 ricorrente appellante, cit.).

3. Tutto ciò premesso, va illustrata la situazione specifica del fondo per cui è causa, di proprietà della ricorrente appellante.

3.1 Come risulta, per tutti, dall’inquadramento su ortofoto (doc..5 in I grado MIBACT allegato all’elenco del 7 marzo 2018), l’area vincolata ha la forma approssimativa di un trapezio rettangolo rovesciato, la cui base maggiore si estende da nord ad est sud est. La parte superiore di questa ideale base maggiore, quindi a nord dell’area considerata, presenta però una frastagliatura in corrispondenza con la zona industriale di Santa Palomba, in Comune di Pomezia. Tale zona industriale -come è evidente sia dalla cartografia citata, sia dalle immagini satellitari disponibili in rete in pubblico dominio e quindi da considerare come fatti notori- si caratterizza perché accanto a lotti di terreno già urbanizzati, sede di stabilimenti vari, ne contiene altri ancora liberi o parzialmente liberi, che sono stati ricompresi nel perimetro del vincolo. In particolare, è libero anzitutto il lotto rettangolare di quattro ettari di cui si è detto, entro il quale sorge la Torre Maggiore, già da tempo vincolata come singolo monumento: questo lotto costituisce una sorta di dente di sega che si insinua all’interno dell’area industriale ed ha a nord un deposito di petroli, dai caratteristici serbatoi cilindrici ben visibili nell’ortofoto, a est il capannone di un’azienda metalmeccanica e a sud l’altro capannone del centro logistico di una nota catena di supermercati.

3.2 Il terreno di proprietà della ricorrente appellante è un altro dei lotti non ancora, o non completamente, urbanizzati, ha la forma di un rettangolo allungato, con i lati maggiori disposti in direzione da nord ad est sud est, quella del confine del vincolo, si trova poco più ad est del rettangolo di Torre Maggiore e confina a nord con il deposito di petroli, ad est con l’azienda metalmeccanica e ad ovest con il centro logistico dei supermercati: con qualche approssimazione, costituisce quindi un corridoio ancora libero che va dall’angolo sud est del rettangolo di Torre Maggiore alla zona di campagna non urbanizzata, che si estende a sud del terreno stesso, insinuandosi fra gli insediamenti produttivi di cui si è detto.

3.3 Ciò posto, il terreno di proprietà della ricorrente appellante era stato classificato come destinato ad insediamenti industriali negli strumenti urbanistici relativi, da ultimo nella variante al Piano particolareggiato di comprensorio approvata con deliberazione della Giunta regionale del Lazio 19 ottobre 2007 n.777 (v. appello p. 2 dodicesimo rigo dal basso;
fatto specifico non contestato);
successivamente, nell’ambito del PTPR era stato classificato come “paesaggio agrario di continuità”, classificazione che previo assenso dell’autorità di tutela consente tutti gli interventi ammessi dalla disciplina urbanistica di zona, e quindi nella specie anche un insediamento di carattere industriale (appello, p. 2 in fondo;
fatto specifico non contestato;
per il regime specifico del paesaggio agrario di continuità dispone l’art. 26 tabella B punto 4.4.2 delle NTA al PTPR). Per queste ragioni, la ricorrente appellante, con la ricordata istanza 29 dicembre 2014 (v. doc. 7 in I grado ricorrente appellante) aveva domandato al Comune di Pomezia il rilascio di un permesso di costruire per realizzarvi un capannone industriale destinato a centro logistico, ovvero a deposito di prodotti vari.

3.4 Tale intervento peraltro ora non è più realizzabile, dato che il decreto di vincolo ha cambiato la classificazione del terreno da “paesaggio agrario di continuità” a “paesaggio dell’insediamento storico diffuso”, imprimendovi come si è visto il divieto di comunque realizzarvi “ulteriori manufatti a destinazione d’uso produttivo, commerciale e terziario anche se previsti dagli strumenti urbanistici comunali”. Il punto rilevante del decreto, per la precisione, è quello ove si dice che viene “classificata come paesaggio dell’insediamento storico diffuso la porzione territoriale delimitata dal perimetro del vincolo in corrispondenza della zona industriale (via della Medicina) e dalla particella catastale 21 del foglio 14, a seguire dalla fascia di rispetto della ferrovia Roma Napoli…” (sempre doc. 1 ricorrente appellante, cit.).

4. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso presentato dalla società contro tale decreto, ritenendo in sintesi estrema che esso costituisca legittimo esercizio dell’ampia discrezionalità di cui notoriamente l’amministrazione dispone in materia.

5. Contro questa sentenza, la ricorrente ha proposto impugnazione, con appello che contiene cinque censure, riconducibili in ordine logico ai seguenti quattro motivi, di riproposizione di quelli già dedotti in I grado e di critica alla sentenza impugnata per non averli accolti:

- con il primo di essi, corrispondente alla censura quinta alle pp. 22-26 dell’atto, deduce violazione dell’art. 140 comma 2 del d. lgs. 42/2004, nel senso che il potere di imporre il vincolo “vestito” di cui si è detto non potrebbe essere esercitato con un’intensità tale da impedire ogni possibile intervento sul terreno interessato, salvi casi eccezionali che qui non ricorrerebbero;
a dire invece della ricorrente, si sarebbe dovuto stabilire un regime differenziato per le varie aree;

- con il secondo motivo, corrispondente alla censura prima alle pp.

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