Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-12-23, n. 202008290

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-12-23, n. 202008290
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202008290
Data del deposito : 23 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/12/2020

N. 08290/2020REG.PROV.COLL.

N. 09148/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9148 del 2011, proposto da
Pubbliemme s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati V C, O D, M I, G P e M C, elettivamente domiciliata in Roma, alla Via di San Basilio, n. 61, presso lo studio dell’avvocato A C

contro

Comune di Cosenza, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato A R, elettivamente domiciliato in Roma, alla Via della Giuliana, n. 32, presso lo studio dell’avvocato A P

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, n. 888 del 10 giugno 2011.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cosenza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2020 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall’art. 4 del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito con legge 25 giugno 2020, n. 70) il Cons. R P;

Nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso notificato il 2 maggio 2011, proposto innanzi al T.A.R. della Calabria, l’odierna appellante Pubbliemme s.r.l. ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza n. 5 del 9 febbraio 2011, con la quale il Comune di Cosenza aveva ordinato la rimozione di un impianto pubblicitario.

A sostegno dell’impugnativa, la parte deduceva i seguenti motivi di ricorso:

- violazione degli artt. 7 e 8 legge n. 241/1990;

- violazione degli artt. 6 e 10 della legge n. 241/1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, contraddittorietà e contrasto con precedenti manifestazioni di volontà;

- violazione degli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione, 3 e 10-bis della legge n. 241/1990, eccesso di potere per insufficienza e incongruità della motivazione;

- violazione degli artt. 3 e 24 del D.Lgs. n. 507/1993, 23 del D.Lgs. n. 285/1992, 53 del D.P.R. n. 495/1992, 31 del D.P.R. n. 380/2001, 45, 46, 47, 48, 49, 50 e 51 del Piano Generale degli impianti pubblicitari.

2. Costituitasi l’Amministrazione comunale intimata, il Tribunale ha respinto il ricorso.

Il giudice di prime cure ha, in particolare, ritenuto che:

- “l’Amministrazione ha approvato il Piano Generale degli Impianti e, con raccomandata a.r. n. 13515631286 6 in data 30 maggio - 3 giugno 2008, ha comunicato alla ricorrente l’intervenuta cessazione, quale conseguenza dell’approvazione del Piano, della validità di tutte le autorizzazioni all’installazione di impianti di pubblicità precedentemente concesse dal Comune”;

- “tale provvedimento non è stato impugnato”;

- “pertanto, il ricorso è anche inammissibile per omessa impugnazione di un atto presupposto”.

Ed ha, ulteriormente, osservato che:

- “ad ogni buon conto il ricorso è infondato, in quanto l’ordine di rimozione si fonda sull’intervenuta approvazione del Piano Generale degli Impianti e il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso”;

- “in ragione del contenuto vincolato dell’ordine di rimozione, il mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 21-octies legge n. 241/1990, non consente, comunque, l’annullamento dell’atto impugnato”;

- “le ulteriori censure mosse dalla ricorrente si fondano sull’omessa considerazione dell’intervenuta approvazione del Piano Generale degli Impianti”.

3. Avverso tale pronuncia, Pubbliemme ha interposto appello, notificato il 26 ottobre 2011 e depositato il successivo 21 novembre.

Parte appellante, in primo luogo, evidenzia che l’adozione della decisione con sentenza in forma semplificata, lungi dall’avvenire previa mera comunicazione, debba essere preceduta dalla audizione delle parti: per l’effetto, assumendosi (anche in relazione alla mancata indicazione delle questioni rilevate d’ufficio dal Collegio giudicante) la violazione del principio del contradditorio processuale, in relazione agli artt. 60 e 73 c.p.a.

Quanto alla mancata impugnazione di un atto presupposto – dal giudice di primo grado indicata a fondamento dell’accertata inammissibilità del ricorso – contesta parte appellante che nella suindicata raccomandata in data 30 maggio - 3 giugno 2008 sia individuabile natura di atto presupposto rispetto al provvedimento avversato, non recando quest’ultimo alcun riferimento ad essa;
né, altrimenti, la raccomandata di che trattasi avrebbe valenza provvedimentale (con conseguente onere di immediata impugnazione della stessa).

Nel confutare il carattere vincolato dell’atto oggetto di impugnazione dinanzi al T.A.R. Calabria, Pubbliemme sostiene che tale provvedimento sia caratterizzato da contenuto discrezionale, in relazione alle previsioni di cui agli artt. 66 e 67 del Piano generale degli impianti.

Inoltre, l’Amministrazione non avrebbe dimostrato:

- l’irrilevanza, ai fini dell’adozione del conclusivo provvedimento, dell’apporto del privato;

- l’invarianza, anche in difetto dell’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, del contenuto dispositivo di quest’ultimo;

per l’effetto, escludendosi l’applicabilità dell’art. 21-octies della legge 241 del 1990.

Assume, poi, parte appellante che il provvedimento di che trattasi sia inficiato sotto il profilo motivazionale, in ragione della mancata ostensione delle ragioni di pubblico interesse sottese all’adozione del gravato ordine ripristinatorio (sotto tale aspetto, ulteriormente sottolineandosi la mancata ponderazione con l’interesse del privato e l’omessa tutela dell’affidamento in capo a quest’ultimo consolidatosi).

Il giudice di prime cure non avrebbe, inoltre, dato corretta applicazione alle previsioni del Piano generale degli impianti (disciplina transitoria di cui agli artt. 66 e 67), che escludono il previo rilascio di concessione edilizia per gli impianti pubblicitari già assentiti.

Da ultimo, viene altresì contestata la condanna alle spese del grado, assumendosi che il giudice di prime cure avrebbe dovuto disporne la compensazione fra le parti costituite.

Conclude, pertanto, l’appellante per l’accoglimento dell’appello;
e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

4. In data 21 giugno 2016, l’Amministrazione comunale appellata si è costituita in giudizio.

5. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 10 novembre 2020.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello, viene contestato che la definizione della controversia in primo grado – avvenuta con sentenza resa dal T.A.R. della Calabria in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a. – non sarebbe stata preceduta dall’audizione delle parti costituite.

Secondo consolidato orientamento di questo Consiglio (cfr., ex plurimis , Sez. IV, 20 dicembre 2005, n. 7201;
Sez. V, 1° marzo 2003, n. 1131), da cui non vi è motivo per discostarsi, ai fini della validità della sentenza in forma semplificata è necessario che il Collegio, oltre alla previa verifica della regolarità del contraddittorio e della completezza dell’istruttoria, abbia puntualmente informato le parti costituite – e presenti all’udienza in camera di consiglio – in ordine alla possibilità di adottare un tale tipo di pronuncia.

Detta informazione non è finalizzata alla previa acquisizione del consenso delle parti (non richiesto dalla legge), bensì a consentire alle parti l’esercizio completo ed esauriente del proprio diritto di difesa nel caso concreto (mediante l’eventuale richiesta di un rinvio per la produzione di nuove prove o per proporre motivi aggiunti, ovvero per chiedere un termine a difesa).

Né la mancata comparizione dei difensori all’udienza camerale preclude al Collegio di trattenere la causa anche ai fini di una decisione in forma semplificata.

L’obbligo di sentire le parti circa la possibilità di decidere il merito della causa è, infatti, configurabile solo laddove queste compaiano;
mentre la scelta di non comparire alla camera di consiglio fissata per la discussione della domanda cautelare (o, addirittura, di non costituirsi), non può costituire ostacolo alla rapida definizione del giudizio, così frustrando, anche mediante eventuali strategie dilatorie, la ratio acceleratoria insita nell’art. 60 c.p.a. ed il principio costituzionale, che ne sta a fondamento, della ragionevole durata del processo (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 aprile 2018, n. 2405).

La mancata comparizione alla camera di consiglio delle parti costituite, ha infatti già precisato questo Consiglio, non può impedire la definizione del giudizio nel merito, ai sensi e per gli effetti dell’art. 60 c.p.a., risultando la tutela dell’interesse, eventualmente contrario, delle parti costituite sufficientemente garantito una volta che risulti assodata la ritualità della trattazione dell’istanza cautelare, sicché l’assenza volontaria della parte alla detta camera di consiglio non può avere l’effetto di precludere, in nuce, la conversione del rito, che è potere a chiara caratterizzazione ufficiosa (Cons. Stato, Sez. III, 26 agosto 2015, n. 4017 e 20 dicembre 2011, n. 6759).

Da quanto esposto, deriva l’esclusa esigenza che la possibilità di definizione della controversia a mezzo di sentenza in forma semplificata, debba essere necessariamente preceduta dalla personale audizione delle parti costituite (eventualmente presenti all’udienza camerale di trattazione): rivelandosi, a tale fine, sufficiente l’informativa rivolta alle parti stesse, debitamente formalizzata (come nella fattispecie all’esame) nel verbale di udienza.

2. Assume, poi, parte appellante che la gravata sentenza di prime cure abbia, erroneamente, dichiarato inammissibile il ricorso, a fronte della rilevata omessa impugnazione di atto presupposto.

Va precisato, al riguardo, come sia stata da Pubbliemme devoluta alla cognizione dell’adito T.A.R. della Calabria la sola ordinanza del Comune di Cosenza n. 5 in data 9 febbraio 2011, con la quale era stata ordinata la rimozione di un impianto pubblicitario.

La ricorrente di primo grado – odierna appellante – ha, invece, omesso di impugnare:

- non soltanto il Piano Piano Generale degli Impianti, del quale il Comune intimato si era dotato;

- ma anche la comunicazione, con la quale l’anzidetta società era stata posta a conoscenza, da parte dello stesso Comune, dell’adozione di tale strumento pianificatorio.

In proposito, si rileva che il Piano Generale degli Impianti è stato approvato dal Comune di Cosenza con deliberazione consiliare 14 marzo 2007, n. 21, unitamente alle Norme tecniche di attuazione della disciplina per l’installazione dei mezzi pubblicitari ed affissionali.

Tale Piano è stato pubblicato nelle previste forme;
e portato a conoscenza dell’odierna appellante con la suindicata comunicazione, di cui alla raccomandata a.r. n. 13515631286 6 del 30 maggio 2008, ricevuta il successivo 3 giugno.

Con essa, veniva dal Comune precisato che, all’atto dell’entrata in vigore del nuovo Piano, tutte le autorizzazioni precedentemente rilasciate avrebbero perduto validità, con conseguente rimozione dei cartelli non conformi alla disciplina come sopra approvata.

Quanto alla disciplina di Piano, rilevante ai fini del decidere, si rammenta che:

- mentre l’art. 68 (“Impianti privi di autorizzazione conformi e non”) prevede che “i cartelli o mezzi pubblicitari installati senza le previste Concessioni, autorizzazioni e/o permessi alla data di entrata in vigore del presente Piano, dovranno essere rimossi entro 30 giorni a cura e spese del soggetto proprietario o, in difetto, a cura dell’Amministrazione che si rivarrà sul soggetto inadempiente. Tali soggetti, riconosciuti abusivi, non avranno diritto in nessun caso alla ricollocazione degli impianti né potranno partecipare ad eventuali assegnazioni di Concessioni”;

- il successivo art. 69 (“Rimozione”) stabilisce che “qualora il soggetto autorizzato non ottemperi alle disposizioni di cui ai precedenti commi entro il termine su indicato, l’Amministrazione Comunale si avvarrà della facoltà di rimuovere l’impianto non conforme, addebitando le relative spese al soggetto inadempiente secondo quanto prescritto nei commi 13 bis e 13 quater dell’art. 23 del Nuovo Codice della Strada e successivo Regolamento di attuazione”.

La portata delle disposizioni di che trattasi, pienamente assevera il contenuto sicuramente lesivo per la posizione della quale parte ricorrente è portatrice: per l’effetto, dovendo confermarsi quanto sul punto rilevato dal giudice di prime cure, circa la necessaria sottoposizione di esse a sindacato giurisdizionale, in una con l’atto (ordine di rimozione) che ha conferito all’interesse di Pubbliemme carattere concreto ed attuale.

3. Non accoglibile si rivela anche la censura con la quale viene rappresentata la violazione dell’obbligo di preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento.

Ciò:

- non soltanto alla luce di quanto indicato dalla procedente Amministrazione con la suindicata raccomandata dalla parte ricevuta il 3 giugno (atteso che in essa veniva, con dirimente chiarezza, rappresentata la volontà di procedere alla rimozione degli impianti non conformi alle disposizioni del neo-introdotto Piano);

- ma anche in ragione del contenuto vincolato del provvedimento ripristinatorio in prime cure gravato;
sì che, anche a fronte dell’eventuale apporto partecipativo della società, il provvedimento adottato non avrebbe potuto rivelare diverso contenuto determinativo, con riveniente applicabilità dell’art. 21- octies della legge 241 del 1990.

A confutazione dell’affermata caratterizzazione, in senso vincolato, del potere il cui esercizio si è sostanziato nell’adozione del provvedimento de quo, parte appellante evoca le previsioni dettate dagli articoli 66 e 67 del Piano adottato dal Comune di Cosenza.

La prima delle indicate disposizioni, nello stabilire che “i titolari di concessioni, autorizzazioni e/o permessi per l’installazione di impianti pubblicitari sono tenuti, nel termine di 2 mesi dall’entrata in vigore del presente Piano, pena l’obbligo di rimozione dell’impianto, a presentare copia dei provvedimenti di autorizzazione o concessione rilasciati”, prescrive che “le insegne esistenti, se autorizzate prima dell’1.6.1995, dovranno essere regolarizzate, con le presenti norme, anche per con un nuovo e/o diverso titolare dell’esercizio” (soltanto in presenza di “eventuali difformità … non … particolarmente rilevanti”, potendosi “chiedere una proroga all’adeguamento per un periodo non superiore a tre anni”).

L’art. 67, invece, disciplina le tipologie di contrasto dei preesistenti impianti con le disposizioni pianificatorie (incompatibilità tra tipologia e zona;
inosservanza delle distanze da altri impianti;
inosservanza delle altre distanze prescritte;
inosservanza delle caratteristiche costruttive;
insufficiente stato di conservazione;
insufficienza di garanzia).

Entrambe le ricordate previsioni, non evidenziano la presenza di profili suscettibili di caratterizzare in senso discrezionale il potere repressivo: il cui esercizio, muovendo dalla constatata presenza di un impianto pubblicitario difforme rispetto alle prescrizioni di piano, si è estrinsecato nell’ordine di rimozione dell’impianto stesso, quale conseguenza necessariamente indotta dalla già ricordata prescrizione, di cui all’art. 68 del Piano stesso.

4. Quanto alla carenza motivazionale, nell’ordinanza gravata in prime cure viene indicata la pregressa installazione di un impianto pubblicitario senza il rilascio del preventivo permesso da parte delle Autorità competenti, con riveniente contrasto rispetto all’applicabile disciplina di legge e regolamentare.

In ordine alla motivazione riguardante l’interesse pubblico alla rimozione, nel ribadire come l’adottabilità della disposizione ripristinatoria trovi espressa menzione nel nuovo Piano (non impugnato), va rilevato che:

- se è vero che questo Consiglio (sentenza della Sez. VI, 25 gennaio 2017, n. 316, resa a fronte di appello proposto proprio dall’odierna appellante Pubbliemme), ha richiamato l’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (le quali, pronunciando in tema di riparto della giurisdizione in materia di determinazioni di rimozione di impianti pubblicitari, hanno in più occasioni escluso che il provvedimento con il quale un Comune intima la rimozione coattiva di un impianto pubblicitario rientri nella categoria degli “atti e provvedimenti” in materia di urbanistica ed edilizia, affermando espressamente che non si verte “in tema di uso del territorio, ma di godimento abusivo di beni demaniali, con riferimento al quale il legislatore detta una disciplina specifica”);

- è altrettanto vero che, dal momento che (come nella predetta sentenza affermato) “gli interessi legati all’assetto urbanistico … devono essere perseguiti dal Comune non attraverso la duplicazione dei titoli autorizzatori, ma vanno, al contrario, valutati … all’interno del procedimento di rilascio dell’autorizzazione … con la conseguenza che quest’ultima autorizzazione dovrà essere negata nel caso in cui l’installazione risulti incompatibile con le esigenze urbanistico-edilizie;

dimostrandosi, allora, predicabile la medesima sistematica interpretativa valida per gli atti repressivi in materia edilizia, per la quale – come è noto – l’interesse pubblico al ripristino del corretto uso del territorio è in re ipsa, non necessitando esso di specifica emersione motivazionale (ed in presenza del quale, l’affidamento invocato dal soggetto, segnatamente ove in presenza di una risalente collocazione temprale dell’abuso, assume connotazione evidentemente recessiva).

5. Da ultimo, parte appellante ha censurato la sentenza di prime cure, sostenendo che la condanna alle spese, nei propri confronti pronunziata (per € 1.500,00) non sia stata dal Tribunale adeguatamente motivata.

Ritiene il Collegio, sul punto di richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui la statuizione sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisce espressione di un ampio potere discrezionale del giudice di primo grado, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l'ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, o nel caso in cui la statuizione sia manifestamente irrazionale o abnorme, ovvero si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2020, n. 309, 22 febbraio 2018, n. 1127 e 3 aprile 2019, n. 2208;
Sez. IV, 7 gennaio 2020, n. 119).

Nel caso di specie, non sussistono tali presupposti legittimanti la sindacabilità del potere del giudice di primo grado, in quanto la condanna alle spese, peraltro anche modesta nell’ammontare, è stata correttamente pronunciata in presenza di una piena soccombenza della parte ricorrente.

6. Conclusivamente dato atto della infondatezza dei motivi da Pubbliemme s.r.l. articolati avverso la sentenza del T.A.R. Calabria, n. 888 del 10 giugno 2011, dispone il Collegio la reiezione del presente appello.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

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