Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-12-13, n. 201306005
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Testo completo
N. 06005/2013REG.PROV.COLL.
N. 01013/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1013 del 2010, proposto da:
Comune di Macerata, rappresentato e difeso dall'avv. S B, con domicilio eletto presso Sebastiano Mastrobuono in Roma, via Fabio Massimo 60;
contro
P C, rappresentato e difeso dagli avv. L A, G C, con domicilio eletto presso L A in Roma, via della Scrofa 47; Dirigente Servizio Gestione del Territorio del Comune di Macerata;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. MARCHE - ANCONA: SEZIONE I n. 00854/2009, resa tra le parti, concernente ANNULLAMENTO CONCESSIONE EDILIZIA E PAGAMENTO ONERI CONCESSORI.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di P C;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2013 il Cons. S D F e uditi per le parti gli avvocati Tretola, per delega dell' Avv. Benedetti, e Anelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al Tar Marche l’attuale appellata, Cacciamani Paola, agiva per l’annullamento in parte qua del provvedimento n. 11365 del 25.9.1998, per il resto favorevole, con cui il Dirigente del Servizio gestione del territorio del Comune di Macerata le aveva comunicato l’accoglimento della sua domanda di concessione edilizia in sanatoria, subordinatamente però al pagamento degli oneri concessori quantificati nell’ammontare di lire 75.062.600.
La ricorrente sosteneva di non dover corrispondere alcun onere per il rilascio del suddetto titolo edilizio o, in via subordinata, di non dover corrispondere la quota relativa agli oneri di urbanizzazione.
L’accoglimento della domanda di concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell’art 39 della legge n. 724 del 1994 per la regolarizzazione di un abuso edilizio riguardava la realizzazione negli anni 1990/1993 di lavori di ristrutturazione come definiti dall’art. 31, lett. C) della legge n. 457 del 1978, sul fabbricato di proprietà sito in località Madonna del Monte, individuato in Catasto terreni al Foglio n. 21, con le particelle nn. 35 e 76.
In particolare, con la impugnativa si contestava il rilascio della concessione edilizia in sanatoria a titolo di condono, in quanto subordinato al versamento degli oneri concessori per un importo complessivo di lire 75.062.000, di cui lire 17.121.000 a titolo di oneri di urbanizzazione primaria, lire 15.496.200 a titolo di oneri di urbanizzazione secondaria e lire 42.445.300 a titolo di contributo per costo di costruzione.
La parte ricorrente deduceva vari motivi di censura, sotto diversi profili, relativi alla natura dell’intervento, non sussumibile nella ristrutturazione ma nel restauro e risanamento conservativo, nella violazione di legge, non essendo consentito subordinare l’assenso al pagamento degli oneri, nella possibile illegittimità costituzionale della legge regionale se intesa in tal senso e in altri diversi motivi di censura.
La difesa comunale evidenziava la inapplicabilità dell’art 9 della legge n. 10 del 1977 che esonera dal pagamento dei contributi concessori le costruzioni da realizzare in zona agricola, in funzione della conduzione del fondo da parte dell’imprenditore agricolo a titolo principale, come pure gli interventi di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento non superiori al 20 per cento di edifici unifamiliari, in quanto tali condizioni non ricorrevano nella specie.
L’intervento si era concretizzato nella demolizione e ricostruzione del preesistente edificio ubicato in zona agricola ed individuato come fabbricato rurale di rilevante valore dal Piano regolatore, con contestuale cambio di destinazione d’uso, poiché la nuova costruzione oggetto di sanatoria non aveva più una destinazione agricola ma residenziale, e la ricorrente non riveste neppure la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale.
Il giudice di primo grado disponeva verificazione, finalizzata all’accertamento ed alla valutazione degli aspetti tecnici emergenti dalla presente controversia.
Il verificatore accertava che: l’intervento edilizio era da qualificare ristrutturazione edilizia e non già come restauro e risanamento conservativo; l’intervento non aveva comportato mutamento di destinazione di uso o comunque non emergevano elementi univoci in tal senso; dalla documentazione emergeva che il ricorrente difettava della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale.
Decidendo nel merito, il primo giudice accoglieva il ricorso ritenendolo fondato in merito alla pretesa di non dover pagare alcun onere concessorio, sulla base dell’iter logico per cui “si può verificare che un soggetto, proprietario di un’abitazione familiare unifamiliare ricadente in zona agricola ma non in possesso della qualifica di IATP sia tenuto al pagamento degli oneri concessori, mentre un altro soggetto, anch’egli proprietario di un edificio unifamiliare (che però ricade in zona diversamente classificata dal PRG), sia esonerato da tale obbligazione, il tutto a fronte di un intervento edilizio medesimo avente le medesime caratteristiche; una tale disparità di trattamento non è però giustificabile, dal che discende l’accoglimento del ricorso in parte qua”.
Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, ha proposto appello il Comune di Macerata, facendo presente la reale natura dell’intervento, che è consistito in una ristrutturazione come emerso dagli accertamenti di causa essendo stato demolito il secondo corpo di fabbrica e parzialmente ricostruito con pareti portanti dal piano terra al piano primo a sostegno del solaio e le opere realizzate sono tali da essere definite variazioni essenziali recanti il mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio.
La relazione del verificatore o consulente di ufficio ha stabilito che dalla documentazione non è stata dimostrata la imprenditorialità agricola a titolo principale del richiedente, che, sola, avrebbe potuto consentire per legge l’esonero dall’onere dei contributi.