Consiglio di Stato, sez. III, sentenza breve 2024-07-19, n. 202406479

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza breve 2024-07-19, n. 202406479
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202406479
Data del deposito : 19 luglio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/07/2024

N. 06479/2024REG.PROV.COLL.

N. 04890/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm., sul ricorso numero di registro generale 4890 del 2024, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato S G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

il Ministero dell’Interno e la Questura di Bologna, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, Sezione Prima, -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di Bologna;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2024 il Cons. E F e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

Il presente giudizio ha ad oggetto il provvedimento - emesso in data 26 marzo 2015 e notificato in data 14 febbraio 2024 - con il quale la Questura di Bologna ha disposto la revoca del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo CE di cui era titolare il ricorrente nonché quello col quale è stata dichiarata l’inammissibilità della domanda di aggiornamento della carta di soggiorno dal medesimo presentata.

Il provvedimento di revoca ha tratto origine dalla condanna riportata dallo straniero, di cittadinanza -OMISSIS-, in data -OMISSIS- 2010 alla pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione, oltre 1.400,00 euro di multa, per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti ( ex art. 73, comma 1- bis , D.P.R. n. 309/1990), mentre il diniego di rilascio di un permesso ordinario è scaturito dalla mancata dimostrazione della disponibilità di un’adeguata fonte di reddito nel periodo 2008 - 2015.

Il T.A.R., con la sentenza (in forma semplificata) n. 334 del 13 maggio 2024, ha evidenziato “ che la richiesta di riabilitazione, benché non meglio documentata, parrebbe essere stata presentata solo dopo la notificazione del provvedimento in esame e comunque in epoca successiva a quella dell’adozione dell’atto impugnato ”, aggiungendo che “ l’unico elemento concreto dedotto dal ricorrente come possibile oggetto di bilanciamento nella valutazione di pericolosità sociale operata nell’ampio ed argomentato provvedimento della Questura è rappresentato dalla lunga permanenza in Italia ”, laddove “ il ricorrente non dimostra di aver alcun legame familiare in Italia, né documenta un inserimento sociale che sembra, invece, venuto meno a seguito della condizione di inoccupato protrattasi per lo meno sino al 2015 (il dato riportato nel decreto non è, infatti, smentito) e venuta meno solo in tempi recenti (le buste paga prodotte documentano un’assunzione del 3 dicembre 2022). Né può rilevare il lungo tempo trascorso dall’unica condanna, dal momento che il provvedimento impugnato è stato adottato nel 2015, solo poco tempo dopo che lo straniero aveva scontato la propria pena (data la sua presenza in carcere nel 2012). Al contrario lo scarso inserimento sociale appare dimostrato dal comportamento dello straniero che, pur essendo a conoscenza della pendenza del procedimento preordinato al ritiro del suo titolo di soggiorno (e nonostante la presentazione di osservazioni) si è disinteressato della sorte di esso ed anche di ottemperare agli obblighi gravanti sullo straniero per il periodico aggiornamento del medesimo ”.

La sentenza costituisce oggetto della domanda di riforma formulata, con l’appello in esame, dall’originario ricorrente.

Questi deduce essenzialmente il carattere sproporzionato del provvedimento adottato, non potendo la condanna riportata, anche in ragione dell’entità della pena inflitta, annoverarsi tra quelle di forte allarme sociale, anche tenuto conto del fatto che, nel corso dei trent’anni di permanenza in Italia, nessun altro episodio criminoso è stato contestato allo straniero.

Egli lamenta quindi il mancato compimento di una concreta valutazione di pericolosità ed espone di essersi diligentemente prodigato ai fini del conseguimento di una occupazione, nonostante le difficoltà causate dalla vicenda pandemica e dal suddetto precedente penale, svolgendo attività lavorativa dicembre del 2022.

Si oppongono invece all’accoglimento dell’appello il Ministero dell’Interno e la Questura di Bologna.

Tanto premesso, l’appello, ad avviso del Collegio, è meritevole di accoglimento.

Deve premettersi che, ai sensi dell’art. 9, comma 7, d.lvo n. 286/1998, “ il permesso di soggiorno di cui al comma 1 (quello, cioè, per soggiornanti di lungo periodo, n.d.e. ) è revocato:

(…)

c) quando mancano o vengano a mancare le condizioni per il rilascio, di cui al comma 4 ”.

Il richiamato comma 4, a sua volta, prevede che:

Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Nel valutare la pericolosità si tiene conto anche dell’appartenenza dello straniero ad una delle categorie indicate negli articoli 1, 4 e 16 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, ovvero di eventuali condanne anche non definitive, per i reati previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, nonché, limitatamente ai delitti non colposi, dall’articolo 381 del medesimo codice. Ai fini dell’adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno di cui al presente comma il questore tiene conto altresì della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero ”.

In materia di revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo si è consolidato un indirizzo giurisprudenziale secondo cui, ai sensi dell’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 286/1998, il diniego e la revoca del permesso di soggiorno di lungo periodo non possono essere adottati per il solo fatto che lo straniero abbia riportato sentenze penali di condanna: al contrario, tali misure richiedono un giudizio di pericolosità sociale dello straniero e una motivazione articolata su più elementi, che tenga conto anche della durata del soggiorno sul territorio nazionale e dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dell’interessato, tale da escludere ogni automatismo tra provvedimento sfavorevole e condanne penali (cd. tutela rafforzata dei soggiornanti di lungo periodo) (Consiglio di Stato, Sez. III, 22 maggio 2024, n. 4574).

Ciò premesso sul piano normativo e giurisprudenziale, deve osservarsi che l’impugnato provvedimento di revoca, pur dichiaratamente esprimendo un giudizio di pericolosità sociale in concreto dello straniero – tanto da collocarlo entro le categorie tipizzate di pericolosità soggettiva delineate dall’art. 1 d.lvo n. 159/2011 – fa leva esclusivamente sulla condanna dallo stesso riportata in data -OMISSIS- 2010 per il reato di cui all’art. 1- bis D.P.R. n. 309/1990, omettendo quindi di operare qualsivoglia valutazione sia in ordine alla concreta gravità del reato – anche alla luce delle modalità di commissione della condotta e dell’entità della pena inflitta – sia in ordine al grado di complessivo inserimento sociale dello straniero, misurabile anche alla stregua della durata pluridecennale del suo soggiorno in Italia.

Non possono infatti considerarsi esaustive le affermazioni secondo cui lo straniero si è reso responsabile di un “ grave delitto ”, di “ grave allarme sociale ”, “ vive abitualmente con i proventi di attività delittuose ” ed “ è dedito alla commissione di reati ”, atteso che le stesse, da un lato, non sono suffragate da una valutazione in concreto del reato contestato (in quanto, secondo le disposizioni citate, la commissione di uno dei reati tipizzate costituisce solo un elemento di cui “ tenere conto ” ai fini della valutazione della pericolosità sociale dell’interessato), dall’altro lato, sono smentite dal carattere del tutto episodico, oltre che risalente, del reato oggetto di condanna.

Assume rilievo secondario ogni considerazione inerente all’attività lavorativa svolta dal ricorrente, in quanto funzionale alla valutazione dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno di carattere temporaneo, che resta assorbito da ripristino del titolo da lui posseduto quale lungo soggiornante.

Sussistono infine giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

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