Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2009-09-18, n. 200905624

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2009-09-18, n. 200905624
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 200905624
Data del deposito : 18 settembre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09300/2008 REG.RIC.

N. 05624/2009 REG.DEC.

N. 09300/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 9300 del 2008, proposto da:
K A, rappresentato e difeso dall'avv. C A, con domicilio eletto presso C A in Roma, via Marianna Dionigi N. 17;

contro

Questura di Verona;

nei confronti di

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ivi domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

per la riforma o l’annullamento

della sentenza del Tar Veneto – Venezia - n. 03168/2007, resa tra le parti, concernente DINIEGO RINNOVO PERMESSO DI SOGGIORNO.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2009 il Consigliere F T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dall’ odierno appellante l'annullamento del provvedimento 24 gennaio 2007, di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, emesso dalla Questura di Verona.

Con la sentenza in epigrafe i primi Giudici hanno respinto il ricorso, rilevando che la istanza, presentata nell’aprile 2006, si riferiva ad un permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, rilasciato nel 2005: l’istante, peraltro, con false generalità, era stato definitivamente condannato nel marzo 2006 per violazione delle norme sul diritto d’autore.

Ex art. 26, comma 7 bis della l. 286/98 appariva corretta la statuizione reiettiva: la sanzione conseguiva alla condanna definitiva e si riferiva certamente al permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo di cui, sempre al momento della sentenza, il condannato disponga, o che successivamente richieda: era irrilevante se, nel momento della commissione dell’illecito, lo straniero possedeva un permesso per lavoro dipendente, (unico argomento difensivo addotto in ricorso).

L’odierno appellante ha censurato la predetta sentenza chiedendone l’annullamento in quanto viziata da errore ed illegittima ribadendo le prospettazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio e richiamando altresì la direttiva n. 109/2003 CE in materia di “soggiornanti di lungo periodo”.

Alla camera di consiglio del 16/12/2008 fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata la Sezione ha accolto l’istanza di sospensione della esecutività della sentenza con l‘ ordinanza n.6656/2008, in relazione all’omessa valutazione da parte del Tar della condizione di soggiornante di lungo periodo vantata dall’appellante.

DIRITTO

La sentenza deve essere annullata, previa declaratoria di fondatezza dell’appello, e conseguente accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento dell’impugnato diniego, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.

Deve in primo luogo rilevarsi che l’odierno appellante aveva incentrato il ricorso di primo grado unicamente sulla circostanza che questi, al momento della commissione del reato, era titolare di permesso per rapporti di lavoro subordinati.

Ciò comporterebbe la inammissibilità delle diverse censure proposte in ossequio al consolidato orientamento secondo il quale

i motivi del ricorso in appello devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni già comprese nel tema del decidere del giudizio di primo grado, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di gravame avverso la sentenza di prime cure questioni nuove o nuovi temi di contestazione non dedotti nella precedente fase del giudizio né rilevabili d'ufficio.(tra le tante, si veda Consiglio Stato , sez. IV, 13 marzo 2009 , n. 1517).

Senonchè, da un canto, lo stesso disposto dell’art. 5 della legge n. 286/1998 ( “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili. Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniera che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”), siccome di recente modificato, ammette la rilevanza in subiecta materia di elementi sopravvenuti favorevoli allo straniero (con ciò quindi ponendo una significativa deroga al principio della valutabilità dell’azione amministrativa secondo il canone “tempus regit actum”).

Sotto altro profilo, detta disposizione richiama proprio la normativa in materia di soggiornanti di lungo periodo, invocata dall’appellante.

In ultimo, posto che il Legislatore ha dato rilievo ad una “qualità” evidentemente riconducibile a fatti pregressi (la continuativa presenza antecedente sul territorio dello Stato), sarebbe illogico che ad essa non venisse dato rilievo con riguardo alla posizione di soggetti che, sebbene rientranti nella qualifica di c.d. “lungosoggiornanti”, fossero stati in passato destinatari di provvedimenti amministrativi sfavorevoli.

Le doglianze concernenti tale profilo, possono pertanto ben essere esaminate dal Collegio.

Invero recentemente la Sezione ha avuto modo di soffermarsi su una problematica assai simile (rectius: speculare) a quella per cui è causa (il riferimento normativo alle condanne per delitti in materia di c.d. “tutela del diritto d’autore”, quale automatico dato preclusivo della possibilità per lo straniero di ottenere/mantenere il titolo abilitativo della propria presenza in Italia è contenuto nella disposizione di cui all’art. 26 comma 7 bis del D. lvo n. 286/1998)

L’approdo cui essa è giunta con la decisione n. 2342/2009 è condiviso dal Collegio e merita di essere ribadito nell’odierna controversia.

Deve premettersi, che il richiamato articolo del testo unico disciplina la posizione dello straniero richiedente il permesso di soggiorno per lavoro autonomo.

Essa così recita: “La condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e dagli articoli 473 e 474 del codice penale comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l'espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica”


La fattispecie in oggetto non si attaglia, pertanto, perfettamente,alla posizione dell’odierno appellante, che, seppur richiedente un titolo abilitativo motivato dal rapporto di lavoro autonomo, era titolare di permesso di lavoro subordinato al momento della commissione del fatto.

Si è affermato infatti, nella citata decisione n. 2342/2009, la necessità che la disposizione in esame non sia interpretata oltre l’ambito letterale della medesima.

E’ noto che anche parte della giurisprudenza di primo grado (si veda T.A.R. Toscana, sez. I, 22 novembre 2007, n. 4176) patrocina una interpretazione testuale della disposizione in oggetto, quanto all’ambito applicativo della medesima.

Non ignora la Sezione, peraltro, che recente giurisprudenza di primo grado (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 08 marzo 2007, n. 2237)abbia ritenuto di ampliare lo spettro di operatività della disposizione in oggetto, affermando che “l'applicazione dell'art. 26 comma 7, d.lg. 25 luglio 1998 n. 286 che prevede per il cittadino extracomunitario che commetta un reato legato alla tutela del diritto d' autore e dei marchi industriali, la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, deve essere consentita anche nell'ipotesi in cui lo straniero che sia già titolare del permesso per lavoro subordinato alla scadenza ne chieda il rinnovo dopo aver riportato condanna per reato concernente il falso d'autore;
ciò perché non è da escludere che il titolare di un rapporto di lavoro subordinato possa nel tempo libero (e cioè dopo l'orario di lavoro, nel fine settimana o nei periodi di ferie) dedicarsi alla vendita di articoli contraffatti.”

Detto autorevole arresto, peraltro assai approfonditamente motivato e che muove dalla condivisibile esigenza di evitare la perpetrazione di una disparità di trattamento a cagione di truffaldine iniziative dei richiedenti non appare alla Sezione tuttavia applicabile al caso di specie.

Ciò perché, avuto riguardo alla sedes ove si rinviene la disposizione medesima, e nella considerazione che analoga disciplina non è stata dettata con riguardo alla posizione del richiedente un permesso di lavoro subordinato, ciò che appare impossibile è da essa farne discendere una preclusione assoluta ad ottenere il titolo abilitativo ( per lavoro subordinato, ovvero laddove la richiesta sia avanzata da un soggetto “lungosoggiornante”), in carenza di alcuna valutazione in ordine alla pericolosità del medesimo.

E’ indubbio che il Legislatore, mercè la disposizione in oggetto, abbia espresso un penetrante disfavor verso la commissione di simili reati;
ed altresì incontestabile appare che abbia voluto dettare una disciplina preclusiva automatica per lo straniero richiedente un permesso di lavoro autonomo.

Altresì lodevole appare l’aspirazione della dottrina e della giurisprudenza dianzi richiamata, volta ad evitare interpretazioni fraudolente della apparente lacuna normativa in oggetto, di guisa che ogni soggetto attinto da precedenti penali afferenti la violazione delle disposizioni poste a tutela del c.d “diritto d’autore” eviti di cadere sotto l’applicazione della preclusione soprarichiamata, semplicemente richiedendo il permesso di soggiorno a titolo di lavoro subordinato.

Ciò però non può avvenire estendendo puramente e semplicemente l’ambito applicativo della disposizione medesima oltre quanto previsto dal dato testuale.

Tale elemento, invece, può – e deve - essere valutato dall’amministrazione quale elemento che, unito ad eventuali altri, possa eventualmente comprovare la pericolosità del richiedente.

Nel caso di specie è stato del tutto omesso ogni accertamento sulla pericolosità dell’appellante;
ci si è acriticamente richiamati al precedente penale in oggetto facendone discendere un effetto preclusivo automatico non discendente dalla disposizione di legge.

Ancora di recente, peraltro, è stato affermato dalla giurisprudenza di primo grado che “non è applicabile, in quanto non previsto dalle specifiche disposizioni relative alla carta per soggiornanti di lungo periodo, l'automatismo previsto dall'art. 26 comma 7 bis, d.lg. n. 286 del 1998, secondo cui la condanna con provvedimento irrevocabile, per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941 n. 633, e successive integrazioni e modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e dagli articoli 473 e 474, c.p., comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l'espulsione del medesimo, con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica: il che implica la necessaria valutazione della pericolosità del soggetto. (T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 09 aprile 2009 n. 444).

Con riferimento ai soggiornanti di lungo periodo, il precedente penale in oggetto, isolatamente considerato, ed in carenza di puntuale accertamento sulla pericolosità del richiedente, non può quindi costituire titolo preclusivo automatico.

La sentenza non resiste alle censure contenute nel ricorso in appello che, pertanto, merita accoglimento, con conseguente annullamento della sentenza di primo grado, accoglimento del ricorso di primo grado proposto dall’appellante ed annullamento dell’impugnato provvedimento, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.

Possono essere compensate le spese processuali sostenute dalle parti a cagione della natura della controversia.

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