Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-01, n. 202302163

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-01, n. 202302163
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202302163
Data del deposito : 1 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/03/2023

N. 02163/2023REG.PROV.COLL.

N. 05665/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5665 del 2021, proposto da:
E A, rappresentato e difeso dall'avvocato S S, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;

contro

Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati G P e C M, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A M in Roma, via Alberico II, 33;
Consorzio di Bonifica della Romagna, rappresentato e difeso dagli avvocati S V e M D F, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Flaminia, 195;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Seconda) n. 825/2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Emilia Romagna e del Consorzio di bonifica della Romagna;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. Laura Marzano;

Uditi, nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2023, l’avvocato S S per la parte appellante, l’avvocato M D F per il Consorzio appellato, nonché gli avvocati G P e C M per la Regione Emilia Romagna;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellante ha impugnato la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia Romagna, Sez. II, n. 825 del 16 dicembre 2020, con la quale è stato respinto il ricorso proposto per l’annullamento della determinazione n. 4513 del 13 marzo 2019 del Responsabile del servizio attività faunistico-venatorie e pesca della Regione Emilia Romagna e del parere rilasciato dal Consorzio di bonifica della Romagna in data 10 febbraio 2017 e confermato con nota in data 7 giugno 2017, nonché di altri atti con i quali è stata denegata la concessione di beni del demanio marittimo per l'occupazione e l'uso del capanno da pesca, ivi esistente e nella disponibilità del ricorrente da epoca risalente.

Si sono costituiti sia la Regione Emilia Romagna, sia il Consorzio di bonifica della Romagna chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

In vista della trattazione del ricorso le parti hanno depositato memorie conclusive e repliche e all’udienza pubblica del 7 febbraio 2023, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Devono essere puntualmente ricostruiti i fatti di causa, ricavandoli dalla descrizione (parziale) che ne fanno le parti in causa e ponendoli a confronto con la documentazione in atti.

Il Sig. A E è proprietario di un capanno da pesca, collocato su demanio marittimo nella parte terminale dei moli guardiani del canale consorziale Via Cupa nel territorio del Comune di Cervia. Tali moli sono stati costruiti nel 1930 come opera di bonifica di 1 categoria e sono stati consegnati al Consorzio con decreto MAF 1 febbraio 1935 n.8193.

Con autorizzazione n. 7061 del 1 giugno 2002, il Consorzio di bonifica, sulla base di quanto disposto dall'art. 134 lett. e) r.d. 368/1904, consentiva al sig. A F (padre del ricorrente) di poter utilizzare il capanno in argomento a condizione che lo stesso fosse adeguato, da un punto di vista strutturale, alla normativa tecnica e sismica all'epoca vigente e che venissero al contempo ristrutturati, a cura dello stesso A, i moli sottostanti il capanno, secondo le indicazioni tecniche fornite dal Consorzio.

Ai sensi dell'art. 1 del disciplinare allegato all'autorizzazione, la stessa aveva durata di anni 1, rinnovabile salvo disdetta da comunicarsi secondo le norme vigenti.

Successivamente, con atto del 15 novembre 2002, il Consorzio di bonifica revocava con effetto immediato l'Autorizzazione n. 7061/2002 per violazione, da parte del sig. A, delle prescrizioni ivi contenute, intimando contestualmente la tempestiva rimozione del capanno in ragione del riconosciuto pregiudizio, acuito dal rischio di crollo conseguente alle precarie condizioni strutturali, che lo stesso arrecava "all'officiosità idraulica dello scarico a mare del citato scolo Via Cupa Nuovo" (tale documento è richiamato dal Consorzio nel parere impugnato ma non risulta versato in atti).

La demolizione e il ripristino restavano ineseguiti.

Infatti il Consorzio, con ricorso ex art. 700 c.p.c., depositato il 22 gennaio 2003, adiva Pretore di Forlì, Sezione staccata di Cesena per ottenere l’immediata demolizione del capanno, in quanto di ostacolo alla realizzazione di lavori di ristrutturazione e di rispristino delle strutture in cemento armato dei moli guardiani.

Tale giudizio si concludeva con ordinanza dell’8 ottobre 2004, con cui il Pretore respingeva il ricorso in quanto, dalla relazione di consulenza tecnica d’ufficio, era emerso che i lavori erano stati regolarmente eseguiti nonostante la presenza del capanno, “che insiste sul canale di scarico del Consorzio e non su area demaniale”.

Nel 2013 l’appellante, sul presupposto che il capanno insistesse su area demaniale, presentava alla Regione domanda per il rilascio della concessione di beni del demanio marittimo per mantenere l'occupazione e l'uso del capanno da pesca.

Il Servizio regionale competente richiedeva quindi i pareri necessari al rilascio della concessione, ivi compreso il parere che doveva essere espresso dal competente Consorzio di bonifica, il quale (essendo i moli su cui insiste il capanno classificabili come opere di bonifica) esercita il potere di autorità idraulica ai sensi dell’art. 136 del R.D n. 368 del 1904.

Secondo il Consorzio, essendo il capanno collocato sulla parte terminale del canale consortile via Cupa nuovo, sussisterebbe una condizione potenziale di pericolo per la corretta officiosità idraulica, non essendo remota l'eventualità del crollo del fabbricato con conseguente ostruzione dello sbocco a mare del canale.

In data 10 febbraio 2017, il Consorzio di bonifica della Romagna inviava parere non favorevole al mantenimento del capanno da pesca sulla scorta di ampia e articolata motivazione.

Pertanto, con due note entrambe del 15 febbraio 2017 di analogo contenuto, il Servizio regionale competente, premesso di non poter rilasciare il titolo, invitava ad un incontro il Comune di Cervia e il Servizio “Area Romagna” dell’Agenzia regionale per la sicurezza territoriale e la protezione civile e l’A, per valutare congiuntamente la possibilità di un’eventuale ricollocazione del capanno da pesca, come suggerito dallo stesso Consorzio nel citato parere.

A tale invito seguiva una nota a cui l’A allegava una relazione tecnica illustrativa dell'ing. B, in cui si dava atto delle caratteristiche tecniche del manufatto e del rispetto delle norme previste dalla legge n. 64/1974 e dalla legge n. 1086/1971 in materia di norme tecniche per l'edilizia, attestando che le strutture erano idonee a garantire una condizione di sicurezza del manufatto.

In data 18 maggio 2017 il Servizio regionale indiceva una conferenza di servizi istruttoria per verificare la fattibilità di un’eventuale soluzione tecnica alternativa alla rimozione del capanno da pesca.

Nell’ambito di tale conferenza, tenutasi l’8 giugno 2017, il Consorzio di bonifica della Romagna confermava il parere non favorevole già precedentemente espresso;
pertanto, in data 18 luglio 2018, il Servizio regionale comunicava al sig. A i motivi ostativi al rilascio della concessione, indicando tra l’altro che il capanno non insiste su area demaniale, richiamando quanto accertato dal Pretore di Cesena.

Seguivano memoria ed audizione del ricorrente, in data 14 settembre 2018, presso la sede del Servizio regionale.

In data 23 ottobre 2018 il Servizio integrava – anche alla luce delle risultanze del contraddittorio intervenuto - i motivi ostativi al rilascio della concessione già precedentemente comunicati, emettendo una nuova comunicazione dei motivi ostativi fondata essenzialmente sulla insuperabilità del parere negativo reso in precedenza dal Consorzio di bonifica in merito alla potenziale pericolosità del capanno per l'officiosità idraulica.

A riscontro di tale ulteriore comunicazione, il sig. A faceva pervenire, in data 7 novembre 2018, una relazione peritale redatta da un tecnico di propria fiducia (ing. Zanchini) che il Servizio regionale inoltrava al Consorzio di bonifica.

Il 7 gennaio 2019 perveniva in Regione una relazione idraulica redatta dal Consorzio di bonifica, nella quale si ribadiva il parere non favorevole e si precisava che la relazione peritale prodotta dal richiedente “esamina principalmente i possibili effetti sul capanno causati da fenomeni di idrodinamicità costiera (mareggiate)”, la cui competenza in termini di Autorità idraulica, è in capo alla Regione Emilia Romagna – Servizio costa e all’Agenzia regionale per la sicurezza territoriale e la protezione civile.

Pertanto la suddetta relazione veniva inoltrata al Servizio “Area Romagna” dell’Agenzia regionale per la sicurezza territoriale e la protezione civile, il quale, con nota in data 18 febbraio 2019, confermava il parere favorevole già rilasciato nell’ambito della conferenza di servizi, in cui veniva precisato che “ nell’eventualità lo stesso capanno costituisca un ostacolo per interventi di difesa della costa, lo smontaggio totale e/o parziale del manufatto dovrà essere un onere a completo carico dei concessionari ”.

Stante il perdurante parare negativo del Consorzio di bonifica, il procedimento si concludeva con la determinazione dirigenziale n. 4513/2019 recante: a) il diniego della domanda di concessione demaniale;
b) l’ordine di sgombero e del ripristino nello status quo ante dell’area demaniale occupata sine titulo con l’avvertimento che, in caso di mancata esecuzione, si sarebbe provveduto d’ufficio a spese dell’interessato;
c) l’ordine di corresponsione, entro un termine perentorio, delle somme dovute a titolo di indennizzo per la somma complessiva di euro 7.916,51.

3. Il ricorrente impugnava tali atti dinanzi al TAR lamentando:

- che la Regione, limitandosi senza motivazione a prendere atto del parere non favorevole del Consorzio, avesse ignorato le osservazioni che erano state presentate dal ricorrente;

- che, ai sensi dell'art. 12 del DPR 328/1952, il capo del compartimento richiede, sulla domanda di concessione, il parere del competente ufficio del genio civile, che indica le condizioni tecniche alle quali ritiene necessario sia sottoposta la concessione, e pone il suo visto alla relazione tecnica, ai piani e agli altri disegni, dopo averne accertata l'esattezza;
quindi, stante il conferimento di funzioni amministrative alle Regioni, avvenuto con la legge 59/1997 e con l’art. 105 del D.Lgs. 112/1998, tale competenza andava ricondotta all'ufficio tecnico dell'amministrazione concedente, nel caso di specie rappresentato dalla Agenzia per la sicurezza territoriale e la protezione civile (ente costituito dalla Regione Emilia Romagna), il quale ha fornito parere tecnico favorevole con prescrizioni;

- che, in ogni caso, anche a voler superare l'eccezione di incompetenza, il diniego sarebbe viziato per difetto di motivazione e di istruttoria atteso che l’art. 133 del RD 368/1904 vieta le opere sugli argini o sui corsi d’acqua che ne possono pregiudicare la stabilità, quindi non si tratterebbe di divieto assoluto, bensì di divieto adottabile solo all’esito di valutazione di rischio che, nel caso di specie, il ricorrente ha fatto con la relazione tecnica dell'ing. B, mentre né il Consorzio né la Regione avrebbero compiuto, limitandosi a ipotizzare, senza comprovarla, una situazione di pericolo. Ciò tenuto conto che, a seguito della seconda comunicazione di avvio, il ricorrente aveva prodotto anche una relazione di compatibilità idraulica redatta dall'ing. Zanchini;

- che il provvedimento sarebbe affetto da difetto di proporzionalità atteso che il ricorrente deteneva il manufatto da oltre 60 anni.

L’appellante, per completezza, riferisce di aver presentato, nelle more, nuova istanza di concessione demaniale, ancora una volta denegata per analoghe ragioni, con provvedimento impugnato dinanzi al TAR Emilia Romagna n. 427/2021 RG, tuttora pendente.

Ciò posto, nel presente giudizio, sebbene il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 5979 del 29 novembre 2019, avesse sospeso l’efficacia del provvedimento impugnato, il TAR con la sentenza n. 825/2020, ha respinto il ricorso.

4. Le ragioni addotte dal TAR sono, in sintesi, le seguenti.

Relativamente alla censura di omessa considerazione del parere rilasciato dall’Agenzia regionale (obbligatorio ai sensi della delibera della Giunta regionale n. 2510/2003), il TAR osserva che si tratta di un parere che non è idoneo a superare la necessità dell’ulteriore atto di assenso del Consorzio di bonifica, il cui ambito consiste nella compatibilità del manufatto con le esigenze idrauliche delle opere di bonifica: questione sulla quale la motivazione è adeguata e supportata da tutti gli atti istruttori del procedimento in questione di cui si dà conto nel provvedimento di diniego.

In ordine alla censura secondo cui la Regione avrebbe omesso ogni valutazione sul rischio di mantenere l’opera sugli argini o sui corsi d’acqua che ne possano pregiudicare la stabilità, il TAR ha osservato che, in disparte la già accertata idoneità della motivazione del parere del Consorzio, soccorre anche una dettagliata relazione tecnica (versata in sede di contraddittorio con il ricorrente) che, tra l’altro, confuta puntualmente la relazione peritale che era stata prodotta dall’appellante.

Quanto al denunciato eccesso di potere, sotto il profilo della violazione del principio di proporzionalità oltre che alla omessa considerazione della risalenza del manufatto legittimamente e regolarmente costruito oltre sessant’anni fa, il TAR ha posto in rilievo che il manufatto insisteva sull’area demaniale sine titulo dal 2002, ossia dal giorno in cui era scaduta la concessione, quindi l’ordine di demolizione è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati.

Né assume rilievo il fatto che nell’anno 1955 la concessione del manufatto fosse stata assentita dai Consorzi Aria e Savio (le cui competenze sono state successivamente assorbite dal Consorzio di bonifica della Romagna) in quanto, come emerge dal parere e dalla relazione tecnica dallo stesso successivamente inviata in sede di contraddittorio, la concessione inizialmente rilasciata è stata successivamente revocata nell’anno 2002, non sussistendo regioni per assentire una nuova concessione.

5. L’appello è affidato alle seguenti argomentazioni.

L’appellante contesta che fosse necessario o che, comunque, sia ostativo il parere del Consorzio di bonifica, atteso che la natura di bene demaniale dell’area su cui insiste il manufatto deporrebbe per l’incompetenza del Consorzio che, invece, sarebbe competente sulle opere idrauliche ma non sul capanno che è bene del demanio marittimo.

In altri termini, secondo l’appellante, il mantenimento del capanno sui beni demaniali sarebbe cosa ben diversa dall’esercizio e dalla manutenzione dei moli e del canale consorziale (quali opere di bonifica), infatti:

- i moli risalgono addirittura al 1930, ben prima della realizzazione del capanno nel 1955, per il quale il Consorzio fornì regolare autorizzazione;

- in tale perdurante situazione di fatto e di diritto, in quasi un secolo, il Consorzio di bonifica ha continuato a mantenere i moli e il canale consorziale (opere di bonifica) senza alcun problema.

Ne sarebbe conferma la circostanza che, nel 2002, il Consorzio interveniva concedendo un’autorizzazione con prescrizioni all’utilizzo del capanno da pesca, ai soli fini idraulici, che non sarebbe mai stata revocata.

L’appellante contesta quanto affermato nel parere del Consorzio in data 10 febbraio 2017 secondo cui “ l’ordine di rimozione del capanno e di rimessione in pristino dello status quo ante a seguito della revoca della concessione (cfr. art. 137, lett. f r.d. n. 368/1933), pertanto, rappresentava – e rappresenta tutt’ora – un atto dovuto, in quanto le edificazioni esistenti … sono suscettibili di alterare e compromettere la funzionalità del canale e, pertanto, sono vietati in modo assoluto dalla legge (cfr. art. 133 r.d. n. 368/1904) ”.

Osserva che le norme del regio decreto n. 368/1904 non sarebbero pertinenti in quanto il manufatto in oggetto (capanno da pesca) non rientrerebbe tra le “opere di bonifica” di cui all’art. 136 citato, ma sarebbe un bene già esistente su area demaniale, non sussistendo “lavori o fatti” di cui all’art. 134 per “bonifiche in manutenzione”.

Sostiene che il capanno innanzitutto è stato regolarmente dato in concessione laddove l’art. 134 si riferisce a quei lavori che « non hanno ottenuto regolare concessione »;
in secondo luogo, anche a voler considerare i lavori di cui alla lettera a) dell’articolo citato, nella fattispecie l’opera insiste su bene demaniale e non « altera il libero deflusso delle acque nei corsi d’acqua ».

Aggiunge che, se il manufatto oggetto di concessione fosse fatto rientrare tra le opere di bonifica in manutenzione dell’Autorità idraulica, la competenza sarebbe addirittura direttamente del Consorzio e non della Regione, ma così non sarebbe in quanto il bene su cui insiste il manufatto è demaniale e la competenza è della Regione, la quale non era affatto tenuta ad assumere il parere del Consorzio di bonifica.

Sostiene poi che, in ragione del conferimento di funzioni amministrative alle Regioni con la legge 59/1997 e con l’art. 105 D.Lgs. 112/1998, la competenza idraulica andrebbe ricondotta all'ufficio tecnico dell'amministrazione concedente, nel caso di specie rappresentato dalla Agenzia per la sicurezza territoriale e la protezione civile (ente costituito dalla stessa Regione Emilia Romagna), che pure è stata coinvolta nella procedura scaturita dall’istanza presentata nel 2013 e ha fornito parere tecnico favorevole con eventuali prescrizioni.

Peraltro, era stato coinvolto in conferenza dei servizi anche il Comune di Cervia, che aveva valutato come il manufatto “ non presenta problematiche sotto il profilo urbanistico, non vi sono motivi ostativi alla sua permanenza. Lo stesso è stato individuato (con l’altro presente nell’area del Demanio Marittimo di questo Comune) nella tavola dell’Arenile, con la relativa normativa (art. 5.14.5, comma 11.2), in fase di adozione come parte del RUE … ”.

Sostanzialmente ripercorre le censure formulate in primo grado e ritiene che, non essendo stato provato un mutamento della situazione dopo il 2004 (data dell’ordinanza del Pretore di Cesena), sarebbe irragionevole il mancato rilascio della richiesta concessione, che si sarebbe potuta rilasciare al più con eventuali prescrizioni.

6. L’appello è infondato.

Preliminarmente deve porsi in evidenza che, sebbene l’atto di revoca dell’autorizzazione del 15 novembre 2002 non sia stato versato in atti, dalla complessiva ricostruzione dei fatti di causa, può ritenersi che tale revoca sia stata effettivamente intimata con il conseguente ordine di demolizione.

La circostanza che il Consorzio sia riuscito comunque ad eseguire i lavori di manutenzione dei moli, alla cui realizzazione era preordinato l’ordine di sgombro e il conseguente ricorso ex art. 700 c.p.c., non vale quale ritiro dell’intimata revoca e del conseguente ordine di demolizione che, dunque, deve ritenersi tuttora valido ed efficace.

Ciò chiarito, dalla puntuale ricostruzione dei fatti di causa emerge innanzitutto un dato che contrasta con quanto insistentemente afferma l’appellante, ossia che il capanno insista su area appartenente al demanio marittimo escludendo così, tout court, la competenza del Consorzio.

Nell’ambito del giudizio dinanzi al Pretore di Cesena è stato accertato che il capanno insiste sul canale di scarico del Consorzio e non su area demaniale: il che già depone per l’infondatezza di tutte le doglianze con cui l’appellante sostiene che il Consorzio non avrebbe competenza, anzi rafforza la tesi, dallo stesso prospettata come non sostenibile, che la competenza sia (anche) del Consorzio.

Spettano, infatti, al Consorzio di bonifica l’esercizio e la manutenzione dei moli e del canale consorziale, nonché l’esercizio delle funzioni di Polizia Idraulica di cui al R.D. 368/1904.

Emerge dagli atti (e le parti lo hanno confermato nel corso della discussione orale) che il capanno è collocato sulla sponda del canale, che è opera di bonifica di competenza del Consorzio, canale che, a sua volta, attraversa un’area demaniale.

Ciò posto, correttamente la Regione, investita dell’istanza di rilascio di concessione demaniale, ha chiesto il parere al Consorzio di bonifica che, (essendo i moli su cui insiste il capanno classificabili come opere di bonifica) esercita il potere di autorità idraulica ai sensi dell’art. 136 del RD n. 368 del 1904.

Non coglie nel segno la censura secondo cui il capanno non sarebbe esso stesso opera di bonifica, essendo dirimente, a tal fine, che lo stesso, data la sua insistenza sui moli e viepiù a causa delle precarie condizioni strutturali, è in grado di interferire sulla regolare attività manutentiva rappresentando un potenziale pericolo per la corretta officiosità idraulica, non essendo remota l'eventualità del crollo del fabbricato con conseguente ostruzione dello sbocco a mare del canale, come affermato dal Consorzio nel parere impugnato.

Del pari correttamente la Regione, essendo coinvolti interessi di diversa natura, a presidio dei quali sono preposte diverse autorità, ha indetto una conferenza di servizi per acquisire tutti i pareri.

In proposito è sufficiente evidenziare, da una parte, che i pareri favorevoli con prescrizioni di altre autorità non sono idonei a superare il parere negativo del Consorzio che, come già visto, è titolare di una specifica competenza, particolarmente delicata;
dall’altra, il parere del Consorzio, diversamente da quanto insistentemente sostiene l’appellante, è adeguatamente motivato non soltanto in ragione dell’interferenza del capanno con la corretta officiosità delle acque ma anche con una serie di ulteriori argomentazioni volte a evidenziare il significativo mutamento della situazione di fatto intervenuto negli anni, nonché le ulteriori previsioni dei vari strumenti pianificatori che impediscono il mantenimento in situ del capanno.

Afferma il Consorzio « che le condizioni di rischio richiamate nell'atto di revoca prot. 9422/2002 hanno subito un aggravio per via dell'aumento di frequenza dei fenomeni di forte mareggiata (tra cui il disastroso evento costiero del febbraio 2015).

Il vigente Piano di Gestione Rischio Alluvioni, redatto ai sensi della Direttiva Europea 2007/60/CE e del D.Lgs. 49/2010, adottato in data 22/12/2015 ed approvato in data 03/03/2016 dal Comitato lstituzionale dell'Autorità di Bacino Distrettuale competente, inserisce l'area su cui insiste il capanno nella perimetrazione di pericolosità massima P3 - alluvioni frequenti: tempo di ritorno 10 anni – elevata probabilità (rif. tavola 9 del Piano - ambito territoriale Aree Costiere Marine).

In armonizzazione con il PGRA e alla luce dei risultati prodotti dalle recenti modellazioni idrauliche effettuate dalla Regione Emilia Romagna in ambito costiero, anche il Piano di Assetto Idrogeologico è stato recentemente aggiornato.

Come noto, il PGRA rappresenta un piano strategico per la riduzione del rischio idraulico attuato anche mediante il PAI, che rimane ad oggi lo strumento di pianificazione territoriale ai fini della sicurezza idraulica.

Il vigente PAI dell'Autorità di bacino territorialmente competente per la zona di Lido di Savio (Bacini Regionali Romagnoli) è stato oggetto di recentissima variante, in coordinamento con il PGRA, adottata dal comitato Istituzionale dell'Autorità dei Bacini Regionali Romagnoli il 07/11/2016 ed approvata dalla Regione Emilia Romagna con DGR 21/12/2016.

La Variante del PAI contiene la cartografia delle Aree a rischio idrogeologico: l'area su cui insiste il capanno in oggetto è rappresentata nella Tav. 240NE-240SE-241N0-241SO ed appartiene alla perimetrazione P3 - alluvioni frequenti, disciplinata dalle norme di piano di cui al titolo IV, artt. 15 e 16. L'art. 16, in particolare, cita che “nelle aree potenzialmente interessate da alluvioni frequenti P3 o poco frequenti P2, le amministrazioni comunali dovranno: (...) consentire, prevedere e/o promuovere, anche mediante meccanismi incentivanti, la realizzazione di interventi finalizzati alla riduzione della vulnerabilità alle inondazioni di edifici e infrastrutture … ».

Quindi il Consorzio ha dato parere negativo in quanto « il Consorzio di Bonifica esercita le funzioni di polizia idraulica al fine di evitare che qualsivoglia compromissione esistente sui canali di bonifica possa gravemente pregiudicare la corretta ufficiosità idraulica dei medesimi;
… il capanno in argomento è suscettibile di alterare e compromettere la funzionalità del canale Via Cupa Nuovo e, pertanto, … la sua permanenza sulla parte terminale dei moli guardiani del suddetto canale è vietata in modo assoluto dall’art.133 R.D. n. 368/1904;
… anche a causa dell’aggravio dello scenario di rischio idraulico ampiamente documentato dalla più recente normativa di settore, il mantenimento del capanno al di sopra dei moli del canale costituisce rischio per l’officiosità idraulica del canale (nonché per gli utilizzatori dello stesso e per la pubblica incolumità) non essendo affatto remota l’eventualità di crollo del fabbricato con conseguente ostruzione dello sbocco a mare del canale e conseguente impedimento dello scolo delle acque;
… l’unica azione possibile per la riduzione della vulnerabilità del capanno e dei moli sia la ricollocazione del capanno stesso al di fuori delle pertinenze del canale ed alle distanze regolamentari imposte dal R.D. 368/1904 e dal vigente Regolamento di Polizia idraulica
».

Il riportato stralcio del testo depone per la manifesta infondatezza del dedotto difetto di motivazione e di istruttoria.

Peraltro la Regione si è attivata anche per verificare la percorribilità di una soluzione alternativa prospettata dallo stesso Consorzio, ossia lo spostamento del capanno, alla quale nessuno dei soggetti coinvolti ha dato seguito, primo fra tutti l’appellante.

Il che depone ulteriormente per l’insussistenza di alcun deficit istruttorio.

Non coglie nel segno neanche la censura secondo cui sarebbero state ignorate le deduzioni difensive contenute nelle due relazioni tecniche prodotte dall’appellante in sede procedimentale.

Infatti il Consorzio, pur evidenziando la necessità che si esprimesse l’Agenzia regionale per la sicurezza territoriale e la protezione civile Servizio costa (che infatti si è espressa con nota in data 18 febbraio 2019, con cui confermava il parere favorevole con prescrizioni), ha comunque replicato alle osservazioni ivi contenute con una dettagliata relazione tecnica (allegato 4 depositato in primo grado dal Consorzio), corredata da documentazione fotografica, in cui ha rappresentato espressamente le ragioni per le quali “ la relazione di parte presentata dal sig. A E non è condivisibile ”.

La censura di omessa valutazione delle osservazioni procedimentali, dunque, è totalmente destituita di fondamento.

Da tutto quanto fin qui esposto si desume, altresì, l’infondatezza in punto di fatto dell’affermazione secondo cui nulla sarebbe cambiato dal 2004, atteso che il Consorzio ha più volte richiamato l’ultima disastrosa mareggiata del febbraio 2015, il cui allagamento è rappresentato nelle foto.

La tesi per cui l’esistenza del capanno da tempo immemore ne avrebbe dovuto suggerire il mantenimento è smentita dal dato esperenziale che il decorso del tempo produce alterazioni anche all’ambiente naturale nonché, viepiù, dal fatto incontestabile che, in effetti, le alterazioni negli anni si sono verificate in modo significativo, segnatamente con le richiamate mareggiate.

È, infine, infondata la censura di difetto di proporzionalità.

Invero, una volta accertate e documentate le ragioni tecniche dell’impossibilità di mantenere il capanno, neanche con prescrizioni, è stata tentata una possibile soluzione alternativa, ossia quella dello spostamento del capanno, che l’appellante per primo non ha voluto coltivare.

Conclusivamente, per quanto precede, l’appello deve essere respinto.

7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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