Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-04-28, n. 201002438
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N. 02438/2010REG.SEN.
N. 00264/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 264 del 2007, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. N D M, con domicilio eletto presso N D M in Roma, via Plinio, N.21;-OMISSIS-, -OMISSIS-;
contro
Agenzia Spaziale Italiana -Asi, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – Sede di ROMA - SEZIONE III TER n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente TRATTAMENTO ECONOMICO CORRISPONDENTE ALLE MANSIONI SUPERIORI SVOLTE.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’ Agenzia Spaziale Italiana -Asi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2010 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’ Avvocato De Marinis e l’Avvocato dello Stato Giannuzzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso di primo grado parte appellante aveva proposto domanda di accertamento del proprio diritto (gli interessati erano dipendenti dell’appellata ASI, inquadrati nella qualifica di tecnologo, 3° livello professionale ed avevano dedotto di aver svolto mansioni superiori, riconducibili a quelle proprie della 2^ qualifica professionale, fin dal momento del loro passaggio dal C.N.R. all’A.S.I.) alla corresponsione delle differenze retributive per le mansioni superiori svolte nel periodo 1991-1999, con condanna dell’ASI al pagamento delle somme dovute maggiorate degli interessi e della rivalutazione monetaria.
In punto di fatto avevano fatto presente che con delibera n. 345 del 24/3/92, e poi con delibera n. 510 del 17.6.1993 la stessa Amministrazione aveva riconosciuto il loro diritto all’inquadramento nel 2° livello professionale: detta deliberazione non aveva però mai avuto esecuzione ed essi avevano quindi continuato a prestare servizio svolgendo mansioni di livello superiore senza mai ottenere l’inquadramento nella qualifica spettante.
Nel chiedere quindi l’accertamento del diritto alla retribuzione delle mansioni superiori svolte nel periodo 1991-1999, hanno dedotto che la stessa Amministrazione avrebbe riconosciuto lo svolgimento di dette mansioni con due successive delibere (atti quindi aventi data certa) e che la retribuibilità delle mansioni superiori sarebbe stata prevista dagli artt. 57 del D.Lgs. 29/93 e dall’art. 25 del D.Lgs. n. 80/98 che ha modificato l’art. 56 del D.Lgs. 29/93.
Hanno altresì sostenuto che la retribuibilità delle mansioni superiori sarebbe stata possibile – contrariamente a quanto previsto in genere nell’ambito del pubblico impiego – ai sensi dell’art. 14 del D.P.R. 509/79, norma applicabile all’A.S.I. e che la norma del D.Lgs. 387/93 che ha modificato l’art. 56 del D.Lgs. 29/93, avrebbe valenza retroattiva, dovendo ritenersi, in caso contrario, incostituzionale per violazione dell’art. 36 Cost
Il Tar ha respinto integralmente il ricorso, precisando in via preliminare che la porzione del petitum attoreo sul quale si sarebbe pronunciato (pertenendo detta domanda alla giurisdizione del plesso amministrativo) era limitata al (solo) periodo 1991- 30/6/98 posto che la stessa problematica, per il periodo successivo era attratta dalla giurisdizione del G.O.
La reiezione della pretesa così delimitata temporalmente discendeva dalla circostanza che non si rinveniva, nell’ordinamento una norma – applicabile alla odierna parte appellante - che stabilisse la retribuibilità delle mansioni superiori svolte: la disposizione dell’art. 14 del D.P.R. 509/74 non era invocabile, perché si riferiva ad un arco di tempo diverso da quello di cui trattasi;era stata soppressa dall’art. 23 del D.P.R. 8/5/87 n. 267;e non poteva riguardare un ente, qual è l’ASI, che al momento della sua vigenza non era stato ancora istituito.
Alla posizione dell’odierna parte appellante, risultava quindi applicabile la disciplina comune dei pubblici impiegati e da ciò ne conseguiva l’impossibilità, alla luce di orientamenti giurisprudenziali e dottrinari (diffusamente elencati dai primi Giudici) che costituivano jus receptum di riconoscere ad essi la retribuibilità delle mansioni superiori svolte, e neppure non poteva all’uopo essere invocato l’art. 2126 c.c.,.
Anche con riferimento all’art. 36 Cost., l’Adunanza Plenaria aveva chiarito che detta norma non poteva costituire fondamento per la retribuibilità delle mansioni superiori, essendo il rapporto di impiego disciplinato anche da altre norme di rango costituzionale, tra le quali è annoverabile l’art. 97 Cost., per cui “l’operatività dell’art. 36 nell’ambito del rapporto di pubblico impiego trova un limite invalicabile nell’art. 97 della Carta fondamentale” e pertanto, “nell’ambito del rapporto di pubblico impiego è la qualifica e non le mansioni il parametro al quale la retribuzione è inderogabilmente riferita, considerato anche l’assetto rigido della Pubblica Amministrazione sotto il profilo organizzatorio, collegato anch’esso, secondo il paradigma dell’art. 97, ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica”.
Rispondeva al vero, infine, che in base al disposto dell’art. 56 del D.Lgs. 3/2/93 n. 29, così come modificato dall’art. 25 del D.Lgs. n. 80/98, spettava al pubblico dipendente la differenza di trattamento economico in relazione allo svolgimento di mansioni superiori;detto diritto doveva essere riconosciuto con carattere di generalità a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. 29/10/98 n. 387, che all’art. 15, ha modificato il testo dell’art. 56 del D.Lgs. n. 29/93 sopprimendo le parole “a differenze retribuite o”;tuttavia, il riconoscimento legislativo del diritto alle differenze retributive, possedendo un evidente carattere innovativo, non riverberava in alcun modo la propria efficacia sulle situazioni pregresse (C.d.S. A.P. 23/2/2000 n. 11).
Anche le dedotte questioni di costituzionalità, sono state dal Tar dichiarate manifestamente infondate.
L’originaria ricorrente di primo grado ha proposto un articolato appello evidenziando che la statuizione dell’amministrazione doveva reputarsi illegittima alla stregua del disposto di cui all’art. 14 del DPR n. 509/1979 (non inciso dalla norma di cui al DPR n. 267/1987) ribadendo il convincimento, secondo cui la prestazione “superior” rispetto a quella corrispondente alla qualifica posseduta doveva essere retribuita.
L’art. 23 del DPR n. 267/1987, infatti, trovava applicazione soltanto per (art. 1 del DPR citato) il “personale dipendente degli enti pubblici non economici comunque sottoposti a tutela o vigilanza dello Stato, compresi quelli soggetti a processi di soppressione, scorporo o riforma - salvo che per essi non sia individuato comparto di contrattazione diverso da quello di cui all'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68 - e al personale degli enti per i quali non si sia ancora proceduto all'attuazione dei relativi provvedimenti di riordino.”.
Ai sensi del combinato-disposto degli artt. 3 e 7 del DPR n. 68/1986 il CNR (ente presso il quale parte appellante aveva prestato servizio) faceva capo al differente comparto degli enti di ricerca e sperimentazione;
le disposizioni relative al rapporto di lavoro del personale dipendente da detto comparto si rinvenivano nel DPR n. 568/1987 che, in particolare, non aveva abrogato il disposto dell’art. 14 del DPR n. 509/1979.
L’istituzione dell’ASI nasceva dalla entificazione di competenze proprie del Cnr: la posteriorità della istituzione della prima non poteva essere causa della omessa applicazione di una disposizione (quella di cui all’art. 14 del DPR n.509/1979) la cui permanente vigenza con riguardo ai dipendenti del Cnr era stata erroneamente negata dal Tar.
L’appellata amministrazione ha depositato una articolata memoria datata 29.3.2010 chiedendo la reiezione dell’appello (quest’ultimo proposto soltanto da alcuni dei ricorrenti di primo grado).
La soppressione dell’art. 14 co.V del DPR n. 509/1979 ad opera dell’ art. 23 del DPR n. 267/1987 si estendeva erga omnes;in ogni caso, anche ad aderire alla tesi di parte appellante, da un canto il Tar non aveva svolto alcun accertamento in ordine all’effettivo svolgimento di parte appellante delle mansioni superiori e, comunque, l’art. 14 co.V del DPR n. 509/1979 limitava la retribuibilità ad un periodo non superiore a sei mesi.
In ogni caso neppure era possibile quantificare la pretesa di parte appellante posto che il calcolo da questa esposto non rendeva intellegibile il criterio determinativo seguito.
DIRITTO
L’appello è fondato e deve essere accolto nei termini di cui alla motivazione che segue, con conseguente riforma dell’appellata decisione ed accoglimento, nei limiti della motivazione, del ricorso di primo grado.
Avuto riguardo al tenore delle censure proposte, ed alle affermazioni contenute nella sentenza di primo grado non oggetto di specifica doglianza, i profili da esaminare nell’odierno grado di giudizio sono consistentemente ridotti rispetto al devolutum di primo grado.
Può concordarsi con parte appellante, infatti, che possa muoversi dal dato di fatto dell’effettivo svolgimento da parte degli originari ricorrenti di mansioni superiori rispetto a quelle corrispondenti alla qualifica posseduta.
L’appellata amministrazione ha contrastato – mercè la propria memoria- tale impostazione, muovendo dalla (esatta, per il vero, ove isolatamente considerata) considerazione che nella appellata decisione non si rinviene una puntuale affermazione in ordine a tale profilo essendosi arrestati, i primi Giudici, alla verifica (negativa per parte appellante) della proponibilità ed accoglibilità della domanda alla stregua della legislazione vigente.
Senonchè tale affermazione, senz’altro esatta ove riferita al corpo motivazionale dell’appellata decisione, non tiene conto della circostanza che parte appellante nel ricorso in appello e già in primo grado (si veda l’esposizione “in fatto” della decisione di primo grado appellata che puntualmente da atto della circostanza) aveva fatto presente che con delibera n. 345 del 24/3/92, (e poi con delibera n. 510 del 17.6.1993) la stessa Amministrazione aveva riconosciuto il loro diritto all’inquadramento nel 2° livello professionale.
Tali affermazioni sono rimaste incontestate, da parte della difesa erariale (parte appellante peraltro cita la decisione n. -OMISSIS- del Tar del Lazio resa sul ricorso n. -OMISSIS- nella cui parte in fatto era stato fatto riferimento dal Tar a dette delibere): in ossequio ai principi in tema di contraddittorio processuale, la sussistenza della situazione fattuale prospettata da parte appellante deve considerarsi pertanto incontestata e, in via generale, provata.
Al contempo, il petitum devoluto alla giurisdizione di questo plesso è da intendersi limitato al periodo che va dal 1991 al 30/6/98 posto che la stessa problematica, per il periodo successivo era attratta dalla giurisdizione del G.O (affermazione dei primi Giudici, questa, senz’altro esatta, e comunque non oggetto di contestazione da parte dell’appellante e quindi coperta da giudicato “interno”).
Infine, parte appellante non ha contestato la seconda parte della decisione di primo grado che, rifacendosi con dovizia di richiami giurisprudenziali e dottrinari ad un orientamento che costituisce ormai jus receptum sostiene che “il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di funzioni superiori da parte dei pubblici dipendenti va riconosciuto con carattere di generalità a decorrere dall'entrata in vigore del d.lg. 29 ottobre 1998 n. 387, che con l'art. 15 ha soppresso l'originario divieto di pagare le differenze retributive prima della stipula dei contratti collettivi previsti dall'art. 56, d.lg. 3 febbraio 1993 n. 29, come modificato dal d.lg 31 marzo 1998 n. 80.”(Consiglio Stato , sez. V, 28 marzo 2008, n. 1309).
L’unica questione da risolvere pertanto, concerne la sussistenza o meno di una “norma speciale” che ciò prevedesse ( nel suindicato torno di tempo, per i pubblici dipendenti appellanti) e che fosse ad essi applicabile (questione, quest’ultima, che interseca la diversa questione della natura dell’ASI, avuto riguardo alla istituzione della medesima ed alla circostanza della derivazione della medesima dal CNR).
Il Collegio ritiene che possa esaminarsi la sopradetta problematica proprio muovendo da tale particolare profilo in ultimo citato (si rammenta che la decisione del Tar annovera, tra le ragioni della reiezione del ricorso di primo grado, la circostanza che l’Asi fosse stata creata successivamente alla introduzione nel sistema della disposizione di cui all’art. 14 del DPR n. 509/1979: si veda, sul punto, l’ultimo capoverso della pag. 4 dell’appellata decisione).
Ed a tale proposito, deve rammentarsi che la Suprema Corte di Cassazione, interrogandosi in ordine alla natura dell’ente predetto, ha avuto modo in passato di precisare che “l'Agenzia spaziale italiana (A.S.I.), istituita e disciplinata dalla l. 30 maggio 1988 n. 186, e munita di personalità giuridica di diritto pubblico a norma dell'art. 1 di detta legge, ha natura di ente pubblico non economico, come si evince, oltre che dalla sua derivazione dal Consiglio nazionale delle ricerche e da altri aspetti delle disposizioni che la riguardano, dalla netta preponderanza degli scopi di ricerca scientifica e tecnologica, di indubbio interesse pubblico, rispetto all'attività di carattere imprenditoriale, mentre la previsione dell'ultimo comma dell'art. 1, secondo cui gli atti compiuti per l'attuazione dei compiti istituzionali dell'Agenzia sono disciplinati dalle norme del diritto privato, riflette l'opzione per la creazione di organismo caratterizzato da una gestione più agile e penetrante (di tipo manageriale), nel quadro di una scissione del momento politico - decisionale da quello tecnico - applicativo. (Nella specie la S.C. ha ritenuto conseguentemente sussistente la giurisdizione contabile della Corte dei conti nei confronti dei soggetti - quale in particolare il presidente - legati all'ente da rapporto di servizio, relativamente alle attività inerenti a tale rapporto).” (Cassazione civile , sez. un., 19 gennaio 2001, n. 11).
Nell’iter motivazionale della suindicata decisione si fa presente, infatti (si riporta di seguito un significativo stralcio della medesima) che “dalla legge 30 maggio 1988 n. 186, istitutiva dell'Agenzia spaziale italiana, risulta che: l'A.S.I. ha personalità giuridica di diritto pubblico;è sottoposta alla vigilanza del Ministro per la ricerca scientifica e tecnologica;succede nei rapporti relativi alle attività già svolte dal C.N.R. sulla base delle delibere del CIPE per la gestione del Piano spaziale nazionale;utilizza gli impianti e le strutture del C.N.R. per l'espletamento dei compiti ad esso affidati precedentemente in materia spaziale (art. 1 );predispone programmi scientifici, tecnologici ed applicativi anche al fine della qualificazione e della competitività dell'industria spaziale nazionale, sulla base delle direttive impartite dal Ministro competente;provvede all'elaborazione del piano spaziale nazionale, gestisce direttamente i programmi nazionali ed internazionali in materia;può partecipare, mediante conferimento di capitali, tecnologie, diritti di proprietà intellettuale ed industriale nonché di personale specializzato, a consorzi industriali o misti;è proprietaria dei prodotti intellettuali e materiali derivanti da iniziative della stessa Agenzia progettati e finalizzati;può partecipare in via minoritaria, e previa autorizzazione ministeriale, a consorzi industriali;promuove la diffusione e l'utilizzazione delle conoscenze derivanti dalle attività spaziali (art. 2);è soggetta al controllo della Corte dei Conti ed è difesa dall'Avvocatura dello Stato (art. 14);le entrate sono costituite prevalentemente dai contributi statali (art. 15).”
Tale condivisibile ricostruzione anche e soprattutto in punto di “derivazione” dell’ASI dal CNR, consente ( si rammenta che parte appellante è transitata proprio dal CNR all’ASI) da un canto di ritenere non condivisibile il richiamo dei primi Giudici alla circostanza della posteriorità dell’ASI rispetto alla disposizione di legge invocata, qual elemento ostativo alla fondatezza del petitum di parte appellante;essa inoltre costituisce viatico per affermare la fondatezza – sotto il profilo dell’impostazione generale- della pretesa di parte appellante relativa alla applicabilità nei propri confronti del disposto normativo di cui al citato art. 14 del DPR n. 509/1979.
Tale ultima disposizione, come è noto, così recita:” L'impiegato ha diritto all'esercizio delle mansioni proprie della qualifica di appartenenza, fermo restando che in tale ambito possono essergli assegnate anche mansioni diverse da quelle normalmente svolte.
Le mansioni proprie di ogni qualifica comprendono, oltre a quelle specificate nella relativa declaratoria, anche gli adempimenti riferibili a qualifiche corrispondenti di altro ruolo ovvero immediatamente inferiori o superiori, dello stesso o di diverso ruolo, purchè rivestano carattere accessorio e/o strumentale, siano strettamente collegati nell'ambito delle specifiche procedure e l'organizzazione del lavoro non ne consenta l'attribuzione ad altri dipendenti.
In caso di esigenze di servizio o di improvvise ed imprevedibili deficienze di personale l'impiegato può essere adibito a mansioni proprie di una qualifica diversa per non più di 90 giorni anche non continuativi nel periodo di un anno, senza diritto a maggiorazioni del trattamento economico.
I funzionari preposti alle singole unità organiche sono responsabili dell'impiego del personale in conformità alle disposizioni di cui sopra.
In presenza di gravi carenze degli organici, eventuali situazioni di emergenza devono essere rappresentate agli organi di amministrazione che potranno eccezionalmente autorizzare, sulla base di idonei criteri di massima, l'impiego del dipendente in mansioni di qualifica diversa per non più di sei mesi. Nei casi in cui per quest'ultima qualifica sia previsto uno stipendio corrispondente a un parametro più elevato il dipendente ha diritto per il periodo di svolgimento delle corrispondenti mansioni ad un trattamento economico aggiuntivo - non valutabile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza previsto dai regolamenti degli enti - pari alla differenza tra lo stipendio iniziale della qualifica stessa e quello della qualifica di appartenenza.”.
Il Tar ne ha escluso l’applicabilità a parte appellante (oltre che a cagione della –infondata alla stregua di quanto si è finora esposto- posteriorità della erezione ad ente dell’Asi rispetto alla disposizione medesima) ritenendo che la medesima (si veda pag. 4 dell’appellata decisione) fosse stata soppressa ex art. 23 del DPR n. 267/87.
Tale affermazione è certamente non condivisibile.
E’ senz’altro rispondente al vero che il comma I dell’art. 23 del Decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 267 (recante norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale degli enti pubblici non economici) ha previsto che “A decorrere dal 1° gennaio 1987 sono soppresse le disposizioni di cui all'art. 14, comma quinto, all'art. 28 secondo, quarto e quinto comma, del D.P.R. 16 ottobre 1979, n. 509, e, fatto salvo quanto disposto dal D.P.R. 9 luglio 1986, n. 935, all'art. 24 del D.P.R. 25 giugno 1983, n. 346.”
Purtuttavia, l’art. 1 del citato decreto (“Area di applicazione e durata”)stabilisce che “il presente decreto si applica al personale dipendente degli enti pubblici non economici comunque sottoposti a tutela o vigilanza dello Stato, compresi quelli soggetti a processi di soppressione, scorporo o riforma - salvo che per essi non sia individuato comparto di contrattazione diverso da quello di cui all'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68 - e al personale degli enti per i quali non si sia ancora proceduto all'attuazione dei relativi provvedimenti di riordino.”
L’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68, nella parte di interesse, stabilisce che “ Il comparto di contrattazione collettiva del personale degli enti pubblici non economici comprende il personale dipendente dagli enti pubblici non economici comunque sottoposti a tutela o vigilanza dello Stato.
Appartiene in ogni caso al comparto di cui al presente articolo il personale:
degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni e integrazioni, ad eccezione di quelli espressamente indicati nel successivo art. 7”
Il richiamato art. 7, a propria volta, ai primi due commi, così recita: “il comparto di contrattazione collettiva del personale delle istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione comprende il personale dipendente:
dagli enti scientifici di ricerca e sperimentazione di cui al punto 6 della tabella allegata alla legge 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni ed integrazioni.”
Che il CNR, (dal quale l’ASI promana, lo si ripete) rientrasse proprio nell’ambito di cui al punto 6 della tabella allegata alla legge 20 marzo 1975, n. 70 è circostanza che non è revocabile in dubbio (si riporta, di seguito, la citata tabella, punto, 6 laddove il CNR è espressamente contemplato: VI. -- ENTI SCIENTIFICI DI RICERCA E SPERIMENTAZIONE :
Istituto nazionale per lo studio della congiuntura (IS.CO).
Istituto di studi per la programmazione economica (ISPE).
Istituto nazionale di geofisica.
Istituto nazionale di fisica nucleare.
Istituto elettrotecnico nazionale "Galileo Ferraris" -- Torino.
Istituto nazionale di studi ed esperienze di architettura navale (vasca navale).
Comitato nazionale per l'energia nucleare (CNEN).
Istituto nazionale della nutrizione.
Istituto nazionale economia agraria (INEA).
Consiglio nazionale delle ricerche (CNR).
Istituto nazionale di ottica – Firenze.)
Da quanto sinora esposto appare evidente che l’abrogazione dell’art. 14 del DPR 509/1979, non poteva riguardare il CNR né l’ASI che da essa promana, posto che ad essi non era applicabile il DPR n. 267/1987, proprio ai sensi dell’art. 1 del decreto medesimo.
Sul punto, lo si rileva per incidens, l’affermazione della difesa erariale contenuta a pag. 3 della memoria depositata secondo la quale l’abrogazione di una disposizione contenuta in un DPR, da parte di una norma pari ordinata posteriore non può che avere “efficacia erga omnes” appare infondata al limite della temerarietà, posto che risulta del tutto distonica rispetto al dato normativo rappresentato dalla efficacia soggettiva limitata che lo stesso DPR (suppostamente) abrogans possedeva ex art. 1.
La posizione del personale del CNR era stata normata, infatti, dal DPR n. 568/1987 (si veda sul punto Consiglio Stato , sez. IV, 28 novembre 1994, n. 958).
Posto che nel sistema non si rinviene una disposizione che, riferibile soggettivamente al CNR, abbia abrogato il citato art. 14 del DPR n. 509/1979 quest’ultimo doveva applicarsi a parte appellante.
Il caposaldo centrale dell’appellata decisione deve pertanto essere riformato, in accoglimento del ricorso in appello.
Deve quindi riconoscersi che nel sistema era rinvenibile una disposizione che legittimava la pretesa di parte appellante e quindi la retribuibilità delle mansioni superiori svolte, il che rende priva di utilità la disamina (di cui alla seconda parte della appellata decisione) concernente la non predicabilità di detto principio nel sistema del pubblico impiego ante “novella” in carenza di una norma speciale che ciò prevedesse.
Affermata la fondatezza in via astratta della pretesa di parte appellante nel torno di tempo fino al giugno 1998, appare inaccoglibile la difesa articolata in via subordinata dalla appellata difesa erariale secondo cui dalla lettura della disposizione di cui all’art. 14 del DPR n. 509/1979 la retribuibilità dovrebbe essere limitata ai sei mesi indicati nel testo di quest’ultima, in quanto collidente con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale “il superamento dei termini previsti, se vale a rendere illegittima l'assegnazione di mansioni superiori al dipendente, non pregiudica il diritto di quest'ultimo alla corresponsione delle differenze stipendiali, percepite nella vigenza del relativo incarico, qualora ovviamente si mantengano immutate le condizioni che hanno determinato il conferimento dell'incarico di mansioni superiori, vale a dire esigenze di servizio, vacanza di organico o posto di funzione.”
(Consiglio Stato , sez. VI, 29 aprile 2005, n. 2009 che nel caso di specie aveva constatato il travalica mento del termine annuale previsto per i dipendenti delle poste).
La ratio di tale orientamento, pienamente condiviso dal Collegio, riposa nella esigenza che “una situazione illegittima, determinata dall'Amministrazione, non può negativamente ricadere sul dipendente che detta situazione non ha posto in essere.” (ex multis, si veda Consiglio Stato , sez. V, 14 aprile 2006, n. 2099).
Il diritto di parte appellante, pertanto, deve essere qualificato sussistente per l’intero periodo (sino al 30 giugno 1998, lo si ripete) di svolgimento delle mansioni superiori.
A tale statuizione si arresta il riconoscimento della pretesa di parte appellante, posto che dalla documentazione dalla stessa prodotta (e tenuto altresì conto, sul punto, delle deduzioni della difesa erariale) non è dato riscontrare, anche per la genericità delle indicazioni esposte nelle tabelle la esattezza dei calcoli relativi alle somme pretese e, a monte, i criteri determinativi utilizzati per quantificarli (ciò in armonia con il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo il quale “il giudice amministrativo può emettere in favore del pubblico dipendente, che sia riconosciuto creditore di somme di denaro a titolo di differenze retributive arretrate, sentenza di condanna generica (ex combinato disposto degli art. 278 c.p.c., 26, comma 3, l. 6 dicembre 1971 n. 1034), spettando poi all'amministrazione di effettuare le necessarie operazioni liquidatorie. La condanna ad una somma determinata si rende possibile solo se ed in quanto il ricorrente abbia fornito in modo preciso e completo gli elementi di fatto costitutivi della pretesa, cosicché il calcolo di quanto dovuto comporti un'operazione matematica semplice;inoltre, è necessario che vi sia coincidenza tra l'azione d'accertamento, la pretesa riconosciuta fondata e l'azione di condanna, senza dover far ricorso a successive complesse operazioni -che, di regola, sono demandate all'amministrazione-.“ Consiglio Stato , sez. V, 06 febbraio 2007, n. 493)
Conclusivamente, il ricorso in appello deve essere accolto nei termini della motivazione che precede e, in riforma della appellata decisione,deve essere affermato il diritto della parte odierna appellante ad ottenere le differenze retributive per le mansioni superiori svolte nel torno di tempo che va dal 1991 al 30 giugno 1998 da determinarsi, secondo i criteri suindicati, da parte dell’amministrazione che provvederà a corrisponderle ai medesimi.
Sussistono nondimeno le condizioni di legge per compensare le spese processuali sostenute dalle parti a cagione della complessità delle questioni devolute all’esame del Collegio e della controversa interpretazione giurisprudenziale delle disposizioni che regolamentano la materia.