Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-03-19, n. 201501486
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N. 01486/2015REG.PROV.COLL.
N. 03650/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3650 del 2013, proposto da:
P C, V F, D M, F C, S D L rappresentati e difesi dagli avv. A M, S P, con domicilio eletto presso S P in Roma, Via Federico Ozanam, N.69;,
contro
Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 08954/2012, resa tra le parti, concernente accertamento del diritto alla ricostruzione della carriera
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2014 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Morgigni e l'avv. dello Stato Noviello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in esame, il ricorrente impugna la sentenza 31 ottobre 2012 n. 8954, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I, ha rigettato il suo ricorso volto ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto ad ottenere la ricostruzione della carriera ai soli fini economici, beneficiando, a tal fine, delle nuove basi stipendiali previste dalla l. n. 111/2007, con conseguente condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di quanto dovuto, oltre arretrati, interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione al saldo.
La sentenza – premessa una ampia ricostruzione della disciplina in tema di progressione economica degli stipendi del personale di magistratura – ha affermato, in particolare:
- le disposizioni del d. Lgs. n. 160/2006, con le modifiche di cui alla l. n. 111/2007 “hanno introdotto, per l’accesso ai ruoli della magistratura, una forma di concorso cd. di secondo grado”;infatti, la specifica esperienza che deve essere posseduta dagli aspiranti magistrati, onde essere ammessi al concorso, “non era richiesta pere quei magistrati, come appunto parte ricorrente, entrati nei ruoli in data anteriore alla novella apportata dalla normativa del 2006”;
- in mancanza di una norma transitoria di estensione della nuova disciplina ai magistrati già entrati in servizio ante d. lgs. n. 160/2006, questa “non può quindi trovare applicazione per quei soggetti che abbiano partecipato ad un concorso di primo grado, per l’accesso al quale era cioè richiesto meramente il possesso del titolo di studio”;
- “la chiara inassimilabilità della diversa situazione di partenza tra le categorie di magistrati oggetto di esame . . . adeguatamente integra la presenza di idoneo elemento giustificativo – sul piano della intrinseca logicità, oltre che del rispetto dei parametri costituzionali e sovranazionali dalla stessa parte ricorrente evocati – della scelta operata dal legislatore”
Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost., artt. 39, co. 1, d. lgs. n. 104/2010 e 101 co. 2, cpc;ciò in quanto “il TAR Lazio ha rilevato di ufficio la questione dell’inapplicabilità degli aumenti economici previsti dalla l. n. 111/2007 ai magistrati ordinari che non avessero sostenuto il cd. concorso di secondo grado, senza neppure sottoporre preventivamente tale questione alla discussione delle parti”;
b) erronea interpretazione degli artt. 2 e 51 d. lgs. n. 160/2006, come rispettivamente sostituiti dagli artt. 1, co. 3 e 4 c. 12, l. n. 111/2007;ciò in quanto, la interpretazione letterale della l. n. 111/2007 (in part., art. 5, co. 2), “non lascia dubbi circa l’applicazioone degli aumenti retributivi conseguenti all’accelerazione di carriera a tutti i magistrati in servizio, senza che si possa distinguere ytra assunti prima e dopo il 31 luglio 2007”. Né tali aumenti conseguono alla rideterminazione del concorso di accesso come “concorso di II grado”. “ma conseguono agli innumerevoli maggiori oneri professionali introdotti per i magistrati ordinari dalla riforma dell’ordinamento giudiziario”. Infatti, “a fronte di innumerevoli limiti professionali è pienamente giustificata la modesta accelerazione di carriera de qua, che non è affatto legata all’ulteriore disciplina della nuova procedura concorsuale per l’assunzione in servizio, che, peraltro, difficilmente può essere considerata un vero e proprio concorso di II grado”;
c) eccezione di illegittimità costituzionale, con riferimento a quelle norme (innanzi citate) “che escludono l’equiparazione della carrriera economica tra i magistrati ordinari che avessero sostenuto un siffatto concorso di II grado e i magistrati amministrativi e contabili”. Infatti, mentre l’accelerazione della carriera economica di questi ultimi rispetto agli ordinari “si fonda, in sostanza, solo sulla presenza di detto concorso di II grado”, al contrario “il superamento di un ipotetico concorso di II grado . . . viene posta a giustificazione di una disparità interna della progressione economica tra magistrati ordinari entrati in servizio senza concorso di II grado e magistrati ordinari entrati in servizio a seguito dell’ipotetico concorso di II grado”. Vi sarebbe, dunque, “una magistratura ordinaria di serie A e una magistratura ordinaria di serie B, in violazione dell’art. 107, co. 3 Cost.”;
d) diretta applicabilità della l.. n. 111/2007 agli effetti economici ai magistrati ordinari entrati in servizio a seguito di concorso di primo grado;
e) erroneità della condanna alle spese.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia, che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
All’udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. L’appello è infondato – ad eccezione che per l’ultimo motivo relativo alla condanna alle spese – e deve essere, in questi limiti, respinto, con corrispondente limitata conferma della sentenza impugnata.
L’art. 5, co. 4 della l. 30 luglio 2007 n. 111 dispone che :
“Ai magistrati ordinari é attribuito, all’atto della nomina, il trattamento economico iniziale previsto dalla tabella relativa alla magistratura ordinaria allegata alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, come sostituita dall’articolo 2, comma 11, della presente legge”.
Per effetto di tale disposizione, in particolare ai magistrati neoassunti a seguito di concorso, viene attribuito lo stipendio corrispondente, in precedenza, a quello di uditore giudiziario dopo sei mesi di tirocinio, mentre lo stipendio di “magistrato alla prima valutazione di professionalità si consegue dopo quattro anni di servizio, laddove, in precedenza, ciò accadeva dopo cinque anni complessivi di anzianità di servizio.
Orbene, l’appellante chiede che tale trattamento economico, derivante da una “accelerazione” di carriera “economica”, e le conseguenze della ricostruzione di posizione economica così determinata, gli vengano riconosciute, in quanto riferibili a tutti i magistrati, e non solo a quelli che conseguano la nomina in magistratura successivamente all’entrata in vigore della legge n. 111/2007, ovvero che a quella data non avessero ancora conseguito la (precedente) qualifica di magistrato d’appello (o comunque tredici anni di servizio).
Il Collegio deve rilevare che, a fronte di un mutamento dello status del magistrato ordinario, profondamente inciso dalle modifiche disposte all’Ordinamento giudiziario (in particolare con il d. lgs. n. 160/2006), anche con riferimento allo stesso conseguimento della legittimazione a partecipare al concorso di accesso, il legislatore ha diversamente parametrato la progressione economica del magistrato.
Tuttavia, perché un diverso trattamento economico possa essere applicato – anche al fine di diversamente considerare la base di calcolo per procedere alla determinazione dello stipendio in “qualifiche superiori” – occorre che il legislatore ciò disponga espressamente, non potendo un trattamento economico che trova sia la propria giustificazione, sia i propri presupposti di applicazione in precise modalità prima non esistenti, essere applicato in via automatica a tutti i magistrati in servizio.
E ciò in virtù di una (non ammessa) interpretazione “estensiva” della norma stessa, che invece non risulta fondata né su espresse indicazioni normative, né su coerenti comparazioni di status.
Diversamente considerando, si giungerebbe a sostenere che ogni modificazione dello status economico di una categoria del pubblico impiego, legato ad una diversa configurazione dello status giuridico (del suo conseguimento e della sua evoluzione) comporti “ora per allora” una rideterminazione del trattamento economico in essere anche per coloro che già appartengono alla categoria medesima e che, nel tempo, hanno seguito un diverso cursus evolutivo, magari contrassegnato anche da istituti più favorevoli, ma non più esistenti (e dunque applicabili) ai nuovi entrati.
In definitiva - ed in disparte la dirimente constatazione dell’assenza di una norma di espresso riconoscimento della diversa progressione economica - ciò che rende non applicabile la nuova disciplina nel caso della parte appellante non è (o meglio, non è solo) la presenza di una diversa modalità di accesso (essendo comunque irrilevante che possa o meno parlarsi, in via definitoria, di “concorso di II grado”).
Ciò che osta alla richiesta applicazione è la differenza strutturale della articolazione del rapporto di impiego pubblico, come ex novo disciplinato, del magistrato nominato post l. n. 111/2007, rispetto a coloro che erano già in servizio (in particolare, da oltre tredici anni) alla data di entrata in vigore della nuova disciplina.
Peraltro, come ha condivisibilmente affermato l’amministrazione costituita, al momento di entrata in vigore della l. n. 111/2007, è sorta la necessità di ricollocare tutti i magistrati nell’unica “griglia stipendiale” prevista, che prevede stipendi in relazione a valutazioni di professionalità,, dunque procedendo ad attribuire virtualmente a ciascun magistrato detta valutazione.
Ma in questo caso, come appare evidente, non ricorre una ipotesi di applicazione retroattiva della legge, né una estensione incondizionata della nuova disciplina stipendiale, bensì una nuova considerazione di fatti verificatisi sotto la disciplina previgente, onde diversamente disciplinarli quanto agli effetti.
3. Le ragioni sin qui esposte fondano il rigetto del primo, secondo e quarto motivo di appello (rispettivamente, sub lett. a), b) e d) dell’esposizione in fatto) e consentono anche di escludere la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, proposta con il terzo motivo di appello, e precisata nelle conclusioni, con riferimento agli artt. 3 e 107, co. 3 Cost. Ed infatti:
- per un verso, la questione non appare fornita del requisito della non manifesta infondatezza, nella misura in cui si espone una disparità di trattamento tra categorie magistratuali laddove si ritiene che per l’accesso alle stesse è comunque richiesto il cd. concorso di II grado. Ed infatti, essendo la categoria del concorso di II grado priva come tale di definizione normativa, occorrerebbe verificare – in relazione ai requisiti di ammissione richiesti per ciascun concorso – se possa (o meno) sussistere una irragionevolezza nelle previsioni di trattamento economico conseguenti alla nomina;
. per altro verso, la previsione di una diversa disciplina economica della progressione “in carriera” dei magistrati ordinari non appare affatto irragionevole, laddove, come nel caso di specie, essa consegue ad una nuova ed articolata disciplina dello status magistratuale.
Quanto al primo motivo di appello, giova ancora osservare che la sentenza impugnata, lungi dal pronunciare extra petita, ha proceduto semplicemente ad una completa ricostruzione della normativa applicabile al caso di specie, inquadrando quest’ultimo nell’ambito delle differenti posizioni esistenti all’atto dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 160/2006 e della l. n. 111/2007.
4. L’ultimo motivo di appello (sub lett. e) dell’esposizione in fatto) deve essere, invece, accolto.
Resta, innanzi tutto, fermo che, in sede di regolazione delle spese, il giudice è attributario di ampia discrezionalità, da esercitarsi nella considerazione, oltre che della intervenuta soccombenza, degli ulteriori elementi indicati dagli artt. 91 ss. cod. proc. civ, cui rinviano gli artt. 88 e 39 Cpa.
Nel caso di specie, però, risulta non compiutamente considerata la natura della controversia, nei suoi profili materiali e di diritto, di modo che appare fondata la censura introdotta dall’appellante.
Ed infatti, la controversia presenta specifici profili di complessità, tali da rendere coerente, sul piano della ragionevolezza, l’applicazione della compensazione.
Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere rigettato, salvo per quanto concerne il motivo relativo alla disposta condanna al pagamento delle spese del giudizio di I grado.
Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere confermata, salvo che in punto di determinazione delle spese, diritti ed onorari di giudizio, che devono, invece, compensarsi tra le parti, unitamente a quelle del presente grado di giudizio.