Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-04-21, n. 202304045

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-04-21, n. 202304045
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202304045
Data del deposito : 21 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/04/2023

N. 04045/2023REG.PROV.COLL.

N. 09159/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9159 del 2020, proposto da
-OMISSIS-rappresentato e difeso dagli avvocati L A R, G D D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, per legge con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato e con domicilio nei suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) n. -OMISSIS- resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2023 il Cons. Alessandro Enrico Basilico e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il ricorrente, agente scelto di Polizia penitenziaria, appella la sentenza con cui il TAR ha respinto l’impugnazione degli atti in forza dei quali gli è stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei mesi.

2. In punto di fatto, si rileva che, mentre era in congedo ordinario dal 01.08.2017 al 20.08.2017 (si v. il prospetto depositato dall’appellante fin dal primo grado quale doc. 3), il 17.08.2017 ha presentato un certificato medico in cui si attestava che era malato e dichiarava di esserlo dal 12.08.2017, e si assegnava una prognosi fino al 20.08.2017 (doc. 4 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

3. Con nota del 19.12.2017, è stata contestata al dipendente l’infrazione di cui all’art. 6, co. 2, del d.lgs. n. 449 del 1992, lett. a), b), e g), con riferimento al «mancato rispetto dei termini per la preventiva comunicazione» dello stato di malattia a giustificazione dell’assenza dal servizio «così come indicato dagli ordini di servizio vigenti in materia»;
in particolare, «il certificato telematico inviato all’INPS risultava valido per la giustifica delle assenza nel periodo di malattia dal 17 agosto al 20 agosto 2017», ma non per il periodo precedente, dal 12 al 16 agosto, «in quanto non oggetto di accertamento diretto da parte del medico in merito allo stato di malattia», e la condotta nel suo complesso veniva considerata «assolutamente in antitesi ai più basilari doveri deontologici dei principi di correttezza (doc. 7 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

4. L’appellante ha partecipato al procedimento presentando una propria memoria e una dichiarazione scritta di un medico che affermava di averlo visitato «nell’arco temporale dal 12/8 al 16/8/17», trovandolo affetto dalla malattia poi comunicata all’INPS (doc. 8 e 10 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

5. Al termine dell’inchiesta disciplinare, il funzionario istruttore ha redatto una relazione, nella quale, ricostruiti i fatti e il procedimento e premesso che il controllo sulle assenze «è in ogni caso richiesto sin dal primo giorno quando l’assenza si verifica nelle giornate precedenti o successive a quelle non lavorative», ha ravvisato nel comportamento del dipendente «una condotta non confacente ai doveri assunti con il giuramento, nell’ambito del quale è insito il dovere di collaborazione (ex art. 13 DPR n. 2 del 1957) teso a consentire all’Amministrazione la possibilità di valutare misure organizzative necessarie per l’efficiente sostituzione del lavoratore, al fine di evitare un aggravio a carico degli altri operatori per garantire un servizio efficace ai fini dell’ordine e della sicurezza», ha valutato non credibile o comunque non dirimente il certificato rilasciato nel 2018 e ha ritenuto che la condotta del lavoratore fosse stata contraddittoria e indicativa di «una mancanza di senso del decoro, dell’onore e del senso morale, in contrasto con i doveri assunti con il giuramento».

6. Con deliberazione del 23.07.2018, il Consiglio centrale di disciplina del Corpo di Polizia penitenziaria ha ritenuto sussistenti gli addebiti e ha valutato «che la vicenda sintomatica ma non gravissima possa essere sanzionata con la sospensione dal servizio, misurandola però nel massimo previsto (6 mesi)» (doc. 2 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

7. Con decreto del 02.08.2018, al dipendente è stata inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di sei mesi (doc. 1 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

8. Il lavoratore ha impugnato il decreto e la presupposta deliberazione del Consiglio centrale dinanzi al TAR, contestando l’incompetenza dell’autorità centrale, che ha svolto l’istruttoria, la violazione del termine di dieci giorni per effettuare la contestazione degli addebiti, il difetto degli elementi costitutivi dell’illecito (dato che l’assenza, se non fosse stata giustificata per malattia – come sarebbe stato dimostrato mediante la produzione del secondo certificato medico durante il procedimento disciplinare – lo sarebbe comunque stata per congedo ordinario), la mancanza dei presupposti per la sanzione della sospensione.

9. Il TAR ha respinto il ricorso, disattendendo le censure per vizi procedurali e, sul piano della sostanza, sostenendo che non vi sia dubbio sulla sussistenza dei fatti contestati e che la valutazione della loro gravità sia riservata alla discrezionalità dell’Amministrazione.

10. Il dipendente ha appellato la sentenza dinanzi a questo Consiglio di Stato.

11. Nel giudizio di secondo grado si è costituito il Ministero della giustizia, resistendo all’appello.

12. All’udienza pubblica del 21.02.2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

13. Con il primo motivo di appello, si deduce: « Error in iudicando : erroneità della sentenza per intrinseca illogicità della motivazione. violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’articolo dell’art. 6, comma 2, lett. a) e b), dlgs 449/92. Eccesso di potere».

In particolare, si sostiene che il giudice abbia errato nel ritenere applicabile la sanzione di cui all’art. 6, co. 2, lett. a) e b), del d.lgs. n. 449 del 1992, perché non sussisterebbero i requisiti della gravità e dell’idoneità a recare un serio pregiudizio allo svolgimento delle funzioni carcerarie richiesto dalla norma, in quanto il poliziotto comunque non sarebbe stato in servizio poiché in congedo.

14. Con il secondo motivo, si deduce: « Error in iudicando : erroneità della sentenza per intrinseca illogicità della motivazione. violazione di legge. violazione e falsa applicazione dell’articolo dell’art. 6, comma 2, lett. g), dlgs 449/92. Eccesso di potere – travisamento dei fatti».

In particolare, l’appellante si lamenta che il TAR non abbia adeguatamente considerato l’incoerenza dell’Amministrazione, la quale non ha applicato alcuna sanzione quando, nel medesimo periodo di ferie ma prima dell’episodio contestato, il ricorrente aveva già usufruito di un periodo di malattia a causa di servizio, senza poi rientrare al lavoro.

15. Con il terzo motivo, si deduce: « Error in iudicando : erroneità della sentenza per intrinseca illogicità della motivazione. Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’articolo dell’art. 17, comma 3, dlgs 449/92. Eccesso di potere – travisamento dei fatti».

In particolare, l’appellante censura la sentenza laddove ha ritenuto che la sanzione in concreto inflitta fosse giustificata alla luce del potere di “derubricazione” attribuito all’Amministrazione dall’art. 5 del d.lgs. n. 449 del 1992, poiché non vi sarebbero stati i presupposti per l’applicazione della sanzione “maggiore” – dunque nemmeno per una sua “derubricazione”.

16. Si dà altresì atto che nell’appello sono altresì riportati («per completezza di esposizione», dunque senza di per sé tradurli in una critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata) i motivi del ricorso di primo grado.

17. L’appello è fondato, nei sensi e limiti seguenti.

Come correttamente ritenuto dal Tribunale, l’apprezzamento dei fatti rilevanti a fini disciplinari e l’irrogazione delle relative sanzioni al dipendente pubblico sono rimessi alla discrezionalità dell’Amministrazione e sindacabili dal giudice amministrativo solo quando, dagli atti del procedimento e dal provvedimento, emerge che questa è incorsa in un travisamento dei fatti, è caduta in contraddizioni o illogicità, ovvero ha esercitato il proprio potere in maniera arbitraria, applicando una misura che risulti manifestamente eccessiva in rapporto ai beni giuridici protetti dalla norma e al grado di pericolo o di danno a essi arrecato.

18. A differenza di quanto sostenuto nella sentenza impugnata, tuttavia, il Collegio ritiene che gli atti censurati presentino i vizi d’incoerenza e difetto di proporzionalità denunciati dall’appellante.

19. La condotta è consistita nel presentare il 17.08.2017 un certificato medico per una malattia che sarebbe stata in corso dal 12.08.2017, con prognosi fino al 20.08.2017.

Si tratta di un comportamento senza dubbio scorretto, perché, qualora intenda giustificare la propria assenza adducendo motivi di salute, il dipendente è tenuto a comunicarlo al datore di lavoro pubblico tempestivamente, a partire dal primo giorno, in modo da consentire all’Amministrazione, da un lato, di organizzare i servizi tenendo conto della mancanza di un lavoratore e, dall’altro, di svolgere i controlli previsti in via generale dall’art. 55-septies del d.lgs. n. 165 del 2001.

L’azione amministrativa è dunque immune da vizi nella parte in cui si è ritenuto che l’assenza dell’appellante fosse giustificata solo a partire dal 17 agosto (ossia dal giorno in cui il medico del Servizio sanitario nazionale ha visitato il paziente, attestandone la patologia, e non dal 12 al 16 agosto, periodo rispetto al quale la malattia risultava solo dalle dichiarazioni del lavoratore);
inoltre la condotta è disciplinarmente rilevante nella misura in cui il ritardo nella comunicazione rappresenta una violazione dei doveri che gravano sul dipendente pubblico, innanzitutto quello di collaborazione.

20. La sanzione è però sproporzionata, come emerge dagli atti del procedimento e dallo stesso provvedimento.

21. A tal proposito, occorre rammentare che il percorso argomentativo sotteso all’atto censurato si snoda attraverso due passaggi: nel primo, viene affermata la rilevanza disciplinare del comportamento dell’appellante, in quanto sussumibile in una delle fattispecie per le quali è prevista una sanzione;
nel secondo, l’illecito viene “derubricato”, ossia si dispone l’irrogazione di una misura inferiore a quella indicata in astratto dalla norma.

22. In particolare, il provvedimento si fonda sull’art. 6, co. 2, del d.lgs. n. 449 del 1999, che prevede la “destituzione” – ossia la «cancellazione dei ruoli dell’appartenente al Corpo di polizia penitenziaria la cui condotta abbia reso incompatibile la sua ulteriore permanenza in servizio» – per una serie di condotte, tra cui, per quanto d’interesse nel presente giudizio, gli «atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale» (lett. a), quelli «che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento (lett. b) e l’«omessa riassunzione del servizio, senza giustificato motivo, dopo cinque giorni di assenza arbitraria» (lett g).

23. Tra le fattispecie previste dalla disposizione, quella di cui alla lett. g), a ben vedere, non si attaglia al caso di specie.

La norma contempla una condotta scandita in due momenti: l’assenza arbitraria per almeno cinque giorni;
l’omessa e ingiustificata riassunzione del servizio.

In questo caso, è presente il primo elemento (ossia l’assenza arbitraria, con riferimento ai giorni dal 12 al 16 agosto in cui il dipendente asserisce di essere malato, senza che ciò sia stato comprovato da una visita medica effettuata tempestivamente), ma manca il secondo, perché il mancato rientro il giorno 17 è giustificato dalla patologia che, a partire da quella data e fino al 20 agosto, è accertata dal medico del SSN (e, sotto altro profilo, in quel periodo il dipendente era comunque in congedo ordinario).

24. Quanto alla valutazione della condotta del dipendente come indicativa di una mancanza del senso dell’onore o del senso morale e comunque in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento, si tratta di fattispecie che il d.l.gs. n. 449 del 1999 individua quali forme di manifestazione estremamente gravi di comportamenti che, ove si connotino in concreto per una minor lesività dei beni protetti, sono presi in considerazione anche per l’applicazione di una sanzione conservativa, come si evince da un confronto tra l’art. 6 e l’art. 2, che prevede la censura (ossia «una dichiarazione di biasimo»), tra l’altro, per le «lievi trasgressioni» (lett. a) e la «mancanza di correttezza nel comportamento» (lett. c).

Un comportamento posto in essere in violazione dei doveri che gravano sul dipendente, dunque, può essere considerato una trasgressione “lieve” o comunque “scorretto”, e venire punito con la censura, oppure in «grave contrasto» con tali doveri o comunque indicativo di «mancanza del senso dell’onore o del senso morale», ed essere sanzionato con la destituzione.

Criterio decisivo per apprezzare il livello di gravità della condotta, rilevante ai fini della sua sussunzione nell’una o nell’altra norma e di conseguenza della scelta della misura, è la “incompatibilità” con l’ulteriore permanenza in servizio del dipendente, da valutare in relazione al danno o al pericolo arrecato ai beni protetti, i quali si compendiano nell’«interesse dell’Amministrazione» e nel «pubblico bene» evocati nel giuramento prestato secondo la formula di cui all’art. 11, co. 2, del DPR n. 3 del 1957, cui rinvia l’art. 2 del DPR n. 82 del 1999 che reca il regolamento di servizio del Corpo di Polizia penitenziaria.

25. Come sopra esposto, spetta all’Amministrazione di appartenenza del dipendente valutare, sulla base di tale criterio, il comportamento da questi tenuto.

Nella specie, tuttavia, è lo stesso Consiglio centrale di disciplina del Corpo di Polizia penitenziaria ad affermare che la vicenda sia «sintomatica ma non gravissima» e comunque meritevole di una sanzione conservativa (si v. la delibera del 23.07.2018, doc. 2 depositato in primo grado dal ricorrente): è dunque la stessa Amministrazione a considerare la condotta del dipendente non incompatibile con la sua ulteriore permanenza in servizio, con la logica conseguenza che essa non può essere sussunta nelle fattispecie previste in astratto dall’art. 6, co. 2, lett. a) e b), del d.lgs. n. 449 del 1999.

Tale valutazione di non estrema gravità del comportamento dell’appellante è coerente con le risultanze del procedimento, da cui emerge che questi non ha compromesso in maniera diretta e immediata l’organizzazione del servizio, perché, nei giorni di assenza ingiustificata (dal 12 al 16 agosto), sarebbe comunque stato in congedo ordinario, con la conseguenza che la sua mancanza non ha reso necessario sostituirlo con urgenza per mantenere il necessario livello di ordine e sicurezza nell’Istituto penitenziario cui era assegnato;
che l’immagine dell’Amministrazione è rimasta intatta, non avendo avuto la vicenda alcun eco mediatico significativo;
che i fatti rappresentati nel certificato medico trasmesso dall’INPS erano veritieri (nel senso che si dava atto del fatto che, dal 12 al 16 agosto, la malattia era “dichiarata” dal solo lavoratore) e consentivano al datore di lavoro di decidere se e in quale misura l’assenza fosse giustificata o meno.

26. Pertanto, non potendo essere ricondotta alle fattispecie per cui l’art. 6, co. 2, del d.lgs. n. 449 del 1999 prevede la destituzione, il percorso argomentativo sotteso al provvedimento impugnato è affetto dai vizi denunciati dall’appellante fin dalla prima parte.

27. In riforma della sentenza appellata, dunque, gli atti censurati in primo grado devono essere annullati.

28. La circostanza che la condotta dell’appellante fosse comunque in contrasto con i doveri gravanti su di esso giustifica la compensazione delle spese di lite del grado.

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