Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-04-19, n. 202403544

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-04-19, n. 202403544
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202403544
Data del deposito : 19 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/04/2024

N. 03544/2024REG.PROV.COLL.

N. 06956/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6956 del 2021, proposto da L C, rappresentata e difesa dall’avvocato L P, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia;

contro

Comune di Tramonti, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato P R, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania, sezione staccata di Salerno (Sezione seconda) n. 91/2021.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio e la memoria del Comune di Tramonti;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore il cons. Giuseppe La Greca;

Uditi nell’udienza pubblica del 29 febbraio 2024 per le parti gli avvocati L P e P R;

Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1.- La domanda di annullamento oggetto del ricorso introduttivo di primo grado riguardava l’ordinanza n. 157/2020 con cui il Comune di Tramonti ingiungeva alla ricorrente la demolizione di opere, ivi descritte, eseguite in difformità e in assenza di titolo edilizio.

A sostegno della domanda demolitoria deduceva vizi procedimentali (omessa comunicazione di avvio del procedimento e correlato difetto di istruttoria) e la violazione dell’art. 36 d. P.R. n. 380 del 2001 in tema di accertamento di conformità, sul rilievo, quanto a quest’ultima doglianza, che:

- sarebbe stata presentata, in ordine a tutti gli abusi contestati (dettagliatamente descritti), istanza di sanatoria ai sensi del predetto art. 36, sussistendo, in tesi, i presupposti per il rilascio del titolo edilizio stante la c.d. « doppia conformità »;

- il Comune non avrebbe considerato che talune opere sarebbero state assoggettabili a d.i.a. la cui mancanza avrebbe potuto comportare unicamente l’irrogazione di una sanzione pecuniaria;

- illegittimamente l’impugnata ordinanza sarebbe stata adottata dal dirigente in mancanza di una disciplina attuativa dell’art. 107 TUEL in seno all’ente locale (con la conseguenza che, secondo quanto esposto, la competenza avrebbe dovuto ascriversi in capo al sindaco);

- il provvedimento conterrebbe una motivazione difettosa circa l’attualità dell’interesse al ripristino della situazione di fatto antecedente l’esecuzione delle opere.

1.2.- Con un ulteriore provvedimento – impugnato con ricorso per motivi aggiunti – il Comune ingiungeva anche il ripristino della pregressa destinazione d’uso « del fabbricato contraddistinto al foglio n. 20, mapp. n. 1458, mutata da deposito in residenziale ». Evidenziava la parte ricorrente, contestandone la legittimità, tra l’altro, che il presunto cambio di destinazione d’uso, avrebbe costituito il seguito di opere legittimamente realizzate in virtù della D.I.A. n. 60/2009, prot. n. 6654, in forza della quale sarebbero stati eseguiti i lavori di ammodernamento e risanamento conservativo di un immobile ad uso residenziale.

2.- Il T.a.r. per la Campania, sez. st. Salerno, con sentenza n. 91 del 2021, in parte dichiarava improcedibile e, in parte, inammissibile il ricorso.

Affermava il Tribunale che si rivelava inammissibile la domanda di annullamento quanto alle opere che la ricorrente aveva già provveduto a demolire (comunicazioni inoltrate a mezzo PEC in data 11 luglio 2020 e in data 30 luglio 2020);
il ricorso era invece da ritenersi improcedibile per le opere oggetto della domanda di accertamento di conformità urbanistica e di compatibilità paesaggistica del 10 luglio 2020, considerato che « la proposizione di un’istanza volta alla sanatoria degli abusi edilizi rende temporaneamente inefficace ed ineseguibile l’ordinanza demolitoria ».

3.- Avverso la predetta sentenza ha interposto appello la parte privata la quale ne ha chiesto, in parte qua, la riforma sulla base di doglianze così compendiate:

- l’accertamento di conformità richiesto in data 10 luglio 2020 non avrebbe riguardato il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile da deposito a residenziale, cambio destinazione d’uso che, peraltro, neppure vi sarebbe stato considerato che tale destinazione residenziale già sussisteva;

- nelle ipotesi in cui non sia possibile individuare il titolo abilitativo fondante l’uso del manufatto, si dovrebbe far riferimento all’utilizzo consolidato nel tempo e, solo in via sussidiaria, alla destinazione risultante dal catasto;

- nel caso di specie l’immobile risalirebbe ad un’epoca anteriore alla l. n. 1150 del 1942 con la conseguenza che il cambio di destinazione d’uso sarebbe oggi consentito mediante CILA e SCIA;

- i provvedimenti impugnati in prime cure sarebbero stati adottati da organo dirigenziale incompetente;

- il presunto cambio di destinazione d’uso, discenderebbe da opere legittimamente realizzate in virtù della D.I.A. n. 60/2009, prot. n. 6654, in forza della quale sarebbero stati eseguiti i lavori di ammodernamento e risanamento conservativo dell’immobile ad uso residenziale (la preesistenza della destinazione d’uso residenziale emergerebbe dagli atti di un parallelo giudizio civile dinanzi alla Corte di appello di Salerno).

4.- Il Comune di Tramonti, costituitosi in giudizio, ha concluso per l’infondatezza dell’appello ed ha evidenziato che:

- nessuna destinazione residenziale (se non, in ipotesi, di fatto) sussisteva;

- l’uso protratto nel tempo, sarebbe comunque inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a modificare la qualificazione giuridica dell'immobile insistente, peraltro, in zona E1.

5.- All’udienza pubblica del 29 febbraio 2024 l’appello è stato trattenuto in decisione.

6.- Premesso che l’appello riguarda soltanto la statuizione di improcedibilità del ricorso di primo grado, esso è infondato e la sentenza deve essere confermata, seppur con diversa motivazione.

7.- Va in primo luogo rilevato, come evidenziato dall’appellante, che l’istanza di accertamento di conformità non riguardava il cambio di destinazione d’uso oggetto della seconda ordinanza emanata dal Comune e impugnata in prime cure con il ricorso per motivi aggiunti (ciò che esonera il Collegio dal verificare gli esiti della predetta istanza di sanatoria), con la conseguenza che – non essendovi in assenza della istanza di accertamento di conformità alcun effetto di temporanea inefficacia del provvedimento comunale repressivo – sussisteva e sussiste l’interesse della parte privata alla decisione nel merito della corrispondente domanda di annullamento contenuta nel predetto atto per motivi aggiunti la quale si rivela, però, infondata.

8.- Ora, sul punto, la parte privata ha costruito le sue doglianze sull’assunto che l’immobile di cui trattasi avesse ab origine una destinazione residenziale ma tale affermazione relativa alla preesistenza dell’uso residenziale rimane relegata al rango di mera asserzione non risultando supportata da elementi probatori idonei a dimostrare la presenza di un titolo volto ad assentire tale destinazione residenziale. Né, ancora, può invocarsi una destinazione di fatto la quale non può, ovviamente, assurgere, al rango di titolo edilizio (e in tal senso irrilevante è il carteggio del parallelo giudizio civile);
titolo che nel caso di specie sarebbe stato in ogni caso necessario stante la diversa categoria di appartenenza tra vecchia destinazione (deposito) e nuova destinazione (residenziale). Quest’ultima, peraltro, non può costituire automatica conseguenza di un intervento di restauro in una situazione – l’avvenuta edificazione in zona E1 – nella quale la disciplina edilizia stabilisce significativi limiti all’attività costruttiva e alla destinazione residenziale.

9.- Ciò detto, infondato si rivela anche il dedotto difetto di competenza.

9.1.- Correttamente le ordinanze sono state adottate dal responsabile di settore le cui funzioni dirigenziali non sono state messe in discussione.

9.2.- L’art. 107 d. lgs. n. 267 del 2000, attuativa del riparto di competenze tra organi di governo e organi burocratici negli enti territoriali è norma di immediata applicazione che non necessita di una intermediazione statutaria o regolamentare interna.

9.3.- Va pure detto, che ove dubbi vi fossero – ciò che non è –, il comma 5 del medesimo art. 107 d. lgs. n. 267 del 2000, espressione del principio di separazione dei poteri immanente nell’ordinamento, stabilisce che « a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54» .

9.4.- La previsione, peraltro, costituisce il seguito della regola, già presente nell’ordinamento, secondo cui «[…] le disposizioni previgenti che conferiscono agli organi di governo l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti » (art. 45, comma 1, d. lgs. n. 80 del 1998, poi trasposto nell’art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 165 del 2001).

9.5.- Conclusivamente, l’appello – pur fondato ove aggredisce la statuizione di improcedibilità – va rigettato nel merito, con reiezione del ricorso per motivi aggiunti essendo illegittimo il cambio di destinazione di uso e legittimo il ripristino dell’originaria destinazione a deposito ed illegittime le opere poste in essere in difformità e/o assenza di titoli edilizi.

10.- Le spese possono essere compensate tra le parti in causa ai sensi degli artt. 26 c.p.a. e 92 c.p.c., come risultante dalla sentenza della Corte costituzionale, 19 aprile 2018, n. 77 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di quest'ultima disposizione nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, qui da individuarsi nella peculiarità della vicenda contenziosa.

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