Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-07-18, n. 201703520

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-07-18, n. 201703520
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201703520
Data del deposito : 18 luglio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/07/2017

N. 03520/2017REG.PROV.COLL.

N. 01980/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 1980 del 2009, proposto dalla società Tenos S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati M E V, G M e L R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M E V in Roma, via Barnaba Tortolini, 13;

contro

Comune di Malo, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati D M e O S, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Cosseria, 5;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Veneto, sede di Venezia, sezione seconda, n. 603 del 13 marzo 2008, resa tra le parti, concernente l’annullamento in autotutela di una concessione edilizia e il conseguente diniego inizio lavori.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Malo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2017 il consigliere Nicola D'Angelo e uditi, per la parte appellante, l’avvocato Maso e, per la parte appellata, l’avvocato Sivieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società Tenos s.r.l. ha chiesto, con ricorso proposto dinanzi al T.a.r per il Veneto, il risarcimento dei danni al comune di Malo per l’illegittimo annullamento del provvedimento di sanatoria in precedenza rilasciato per il mutamento di destinazione d’uso di un suo fabbricato e per il conseguente diniego di inizio dei lavori.

2. I suddetti provvedimenti in autotutela venivano infatti annullati con sentenza n. 1268/1996 del Consiglio di Stato che accoglieva l’appello contro una precedente decisione del T.a.r. per il Veneto (n. 1144/1990) che aveva respinto il ricorso della Tenos contro gli stessi, ritenendo legittimo l’atto di annullamento della concessione in ragione della insufficiente documentazione presentata in ordine all’esecuzione dei lavori.

3. Nella sua sentenza il Consiglio di Stato aveva invece rilevato il difetto di motivazione del provvedimento di annullamento in autotutela, osservando che la prova dell’esecuzione dei lavori non doveva essere data dalla società istante e che il Comune aveva fondato l’atto in autotutela esclusivamente sulla mancata attivazione, entro un certo termine, della nuova destinazione commerciale.

4. In sostanza, la società Tenos aveva ottenuto una concessione in sanatoria, con provvedimento n. 692/1987, al fine di mutare la destinazione del suo fabbricato da industriale a commerciale. Successivamente, il comune di Malo, in autotutela, l’aveva annullata con provvedimento n. 500/1998 e di conseguenza aveva intimato di non procedere ai lavori di ristrutturazione con provvedimento n. 88/1989. In particolare, l’annullamento della concessione in sanatoria era stato adottato sul presupposto che il cambio di destinazione d’uso a commerciale dell’intero fabbricato non fosse stato attivato alla data del 1° ottobre 1983.

4. In ragione dell’intervenuto annullamento giurisdizionale degli atti adottati in via di autotutela dal Comune, ed essendo nel frattempo sorti numerosi altri fabbricati nella zona a uso commerciale, la Tenos s.r.l. si è quindi determinata a proporre l’azione risarcitoria, ai sensi dell’articolo 2043 c.c. e degli articoli 34 e 35 del decreto legislativo n. 80/1998, per la perdita di occasione derivante dalla mancata vendita o locazione del suo immobile, chiedendo il pagamento della somma di lire 2.091.650.000, quantificata in ragione delle dimensioni dell’edificio e delle opportunità di mercato.

5. Il T.a.r. per il Veneto, sede di Venezia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso, ritenendo esclusa la colpa dell’Amministrazione in ragione del fatto che il provvedimento di autotutela, poi annullato dal Consiglio di Stato, era comunque motivato sulla circostanza che il cambio di destinazione (da laboratorio di sartoria a negozio di confezioni e tessuti) non fosse avvenuto entro il 1° ottobre 1983. In altre parole, secondo il T.a.r., il Comune aveva legittimamente ritenuto che per il mutamento d’uso fosse urbanisticamente rilevante che il fabbricato venisse effettivamente destinato ad un utilizzo diverso alla data del 1° ottobre 1983, prevista come termine ultimo per la sanatoria dalla legge n. 47 del 1985, a prescindere dalle opere edilizie realizzate per renderlo idoneo a tale modifica.

6. Il T.a.r. nel respingere il ricorso ha anche rilevato che:

- l’azione era prescritta, considerando i relativi termini a decorrere dall’adozione dell’atto impugnato;

- l’interesse fatto valere fosse di natura oppositiva;

- l’elemento soggettivo dell’illecito comunque non sussisteva anche in ragione del fatto che la giurisprudenza sulla base della quale si poteva ritenere illegittima l’interpretazione data dal Comune si fosse consolidata solo successivamente all’atto impugnato.

7. Contro la predetta sentenza la società Tenos ha quindi proposto appello, formulando i seguenti motivi di censura.

7.1. Errata applicazione degli artt. 2935, 2943 e 2945 c.c. in relazione agli artt. 2043 c.c., 34 e 35 d. lgs. n. 80/1998 e 35 legge n. 205/2000.

7.1.1. Parte appellante contesta la conclusione del T.a.r. per il Veneto che nella sentenza impugnata ha negato la sospensione del termine di prescrizione durante la pendenza del giudizio conclusosi con la decisione del Consiglio di Stato n. 1268/1996. Il giudice di primo grado ha infatti ritenuto che, ai sensi dell’art. 2945 c.c., l’effetto sospensivo fosse indiscutibilmente collegato alla proposizione di una domanda specificamente rivolta alla richiesta di risarcimento del danno.

7.1.2. La società appellante evidenzia invece che all’epoca di proposizione del ricorso con il quale erano stati impugnati i provvedimenti adottati in autotutela fosse in vigore il principio della pregiudizialità amministrativa e che comunque, anche a prescindere da tale principio, laddove la domanda di annullamento fosse stata proposta tempestivamente essa sarebbe stata idonea ad interrompere la prescrizione dell’azione di risarcimento.

7.2. Errore di diritto: errata qualificazione della posizione giuridica soggettiva della Tenos s.r.l.;
diritto ad ottenere il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., anche prima dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 80/1998.

7.2.1. Il T.a.r. ha erroneamente qualificato la posizione giuridica della Tenos s.r.l. in termini di interesse legittimo oppositivo. Al contrario parte appellante ritine la propria posizione giuridica di diritto soggettivo.

7.2.2. In ogni caso, anche se i provvedimenti impugnati sono stati emessi nel 1989 e sono stati annullati dal Consiglio di Stato nel 1996, quindi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 80/1998, che ha configurato il danno da lesione dell’interesse legittimo, la disciplina prevista dall’art. 2043 c.c., in quanto relativa ai principi generali sulla risarcibilità del danno ingiusto, avrebbe già consentito di risarcire gli interessi legittimi.

7.3. Errata applicazione dell’art. 2043 c.c.. Sussistenza del requisito della colpa della Pubblica Amministrazione nella lesione del diritto soggettivo.

7.3.1. Partendo dall’affermazione della titolarità di una posizione di diritto soggettivo, la società appellante evidenzia come fosse onere dell’Amministrazione dimostrare l’insussistenza del requisito della colpa. Una volta annullati i provvedimenti emessi in autotutela la colpa avrebbe dovuto ritenersi in re ispsa per il solo fatto della violazione delle norme che regolano l’azione amministrativa.

7.4. Errore di giudizio. Errata applicazione dell’art. 2043 c.c.. Sussistenza del requisito della colpa della Pubblica Amministrazione anche nella ipotesi di interesse legittimo oppositivo.

7.4.1. Anche aderendo alla tesi del T.a.r. della sussistenza nella controversia di cui è causa di una posizione di interesse legittimo oppositivo, secondo l’appellante emergerebbe con evidenza la colpa dell’Amministrazione che ha annullato la concessione in sanatoria perché alla data del 1° ottobre 1993 non vi sarebbe stata l’effettività della destinazione commerciale dell’intera superficie del fabbricato. L’art. 31 della legge n. 47/1985 non ha mai però posto come presupposto per la sanatoria l’effettivo utilizzo del fabbricato per la destinazione edilizia abusiva.

7.5. Errore di giudizio. Errata imputazione temporale del danno lamentato. Omessa quantificazione del danno.

7.5.1. Il T.a.r. per il Veneto nella sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare il mancato guadagno subito dall’appellante in conseguenza dell’impossibilità di vendere il fabbricato nel periodo 1988/1989 con la destinazione commerciale impressa dalla concessione in sanatoria. Il giudice di primo grado invece ha ritenuto erroneamente che la società appellante volesse imputare al comune di Malo le circostanze intercorse dal 1996, anno del sentenza del Consiglio di Stato, e il 2001 anno di proposizione del ricorso per il risarcimento del danno. In sostanza, essendo divenuto saturo il mercato prima dell’anno 1996, il danno lamentato da considerare avrebbe dovuto essere quello direttamente riconducibile agli illegittimi provvedimenti intervenuti nel 1989.

7.6. Omessa pronuncia. Sussistenza del nesso causale.

7.6.1. Il T.a.r. secondo l’appellante avrebbe omesso di pronunciarsi sulla sussistenza del nesso causale tra la condotta del Comune ed il danno lamentato.

8. Il comune di Malo si è costituito in giudizio il 27 agosto 2009 con un contro ricorso ed ha depositato una memoria difensiva il 19 aprile 2017.

8.1. In particolare, il Comune ha insistito nella eccezione di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno, ribadendo la tesi accolta dal T.a.r. nella sentenza impugnata ed ha contestato specificamente i singoli motivi di appello, chiedendo infine il rigetto del ricorso.

9. Anche l’appellante società Tenos ha depositato un’ulteriore memoria il 24 aprile 2017 ed una memoria di replica il 2 maggio 2017.

10. Il comune di Melo ha infine depositato una memoria di replica il 3 maggio 2017.

11. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 25 maggio 2017.

12. L’appello non è fondato, a prescindere dall’eccepita prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno.

13. Innanzitutto possono essere assorbiti il primo, il quinto e il sesto motivo di appello, tenuto conto del criterio della c.d. ragione più liquida (cfr. Ad. Plen. n. 5 del 2015), per respingere la pretesa della società che si rinviene, come si vedrà meglio in prosieguo, nelle dirimenti ragioni che conducono alla reiezione del secondo, terzo e quarto dei mezzi di gravame.

14. In sostanza, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali la controversia di cui trattasi va risolta esaminando i su richiamati motivi di appello, ritenuti centrali ai fini della decisione (cfr. Sez. un., nn. 26242 e 26243 del 2014 cit.;
Ad. Plen., n. 9 del 2014 cit.).

15. Ciò premesso, nel secondo, terzo e quarto motivo di appello (che in quanto intimamente connessi possono essere esaminati congiuntamente) la società Tenos evidenzia, contrariamente a quanto rilevato dal T.a.r., la sussistenza della colpa dell’Amministrazione comunale che, in violazione delle disposizione della legge n. 47 del 1985 sui presupposti per la sanatoria, ha annullato la concessione in sanatoria perché alla data del 1° ottobre 1993 non vi sarebbe stata l’effettività della destinazione commerciale dell’intera superficie del fabbricato.

15. Secondo parte appellante, l’art. 31 della legge n. 47 del 1985, nel fissare il termine del 1°ottobre 1983 per l’ultimazione delle opere da sanare, non ha mai posto, nel caso di sanatoria dell’abusivo cambio di destinazione d’uso, l’effettivo utilizzo del fabbricato per la diversa destinazione edilizia entro la stessa data.

16. In ogni caso, la sua posizione di diritto soggettivo, una volta annullati i provvedimenti emessi in autotutela, avrebbe comportato che la colpa doveva ritenersi in re ispsa per il solo fatto della violazione delle norme che regolano l’azione amministrativa.

17. La tesi dell’appellante non può essere condivisa.

18. La responsabilità civile della Pubblica Amministrazione derivante da un provvedimento illegittimo è di natura extra contrattuale e, nel caso di un provvedimento adottato in sede di autotutela, la collegata posizione giuridica del privato è di interesse legittimo.

19. Ciò significa che non può sussistere una forma di responsabilità oggettiva che prescinda dall’accertamento della colpevolezza che peraltro risulta necessario anche se si potesse configurare un diritto soggettivo.

20. In presenza di atti illegittimi la colpa in astratto si potrebbe presumere, integrando l’accertamento dell’illegittimità, ai sensi degli artt. 2727 e 2729, comma 1, c.c., una forma di presunzione semplice in ordine alla sua sussistenza in capo all’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4439), tuttavia anch’essa superabile da prova contraria (cfr. Ad. Plen. n. 2 del 2017).

21. Nel caso di specie comunque non si può configurare in nessuna forma la colpa dell’Amministrazione perché la sentenza del Consiglio di Stato del 1996, che ha annullato i suoi provvedimenti in autotutela, non ha dichiarato il diritto ad ottenere la sanatoria, lasciando così salvi gli ulteriori provvedimenti del Comune, ma è intervenuta rilevando un vizio formale insito nel difetto di motivazione.

22. Inoltre, l’interpretazione data dal Comune sui presupposti della sanatoria per il cambio di destinazione d’uso è stata smentita in modo consolidato dalla giurisprudenza solo successivamente alla data di adozione dei provvedimenti in autotutela;
in ogni caso emerge la complessità della vicenda procedimentale che conduce a ritenere scusabile l’errore addebitabile all’amministrazione che ha agito a tutela dell’ordinato sviluppo del proprio territorio vulnerato da un oggettivo abuso edilizio.

23. Sotto tale angolazione, si evidenzia che l’intera vicenda nasce da un abuso edilizio rispetto al quale la giurisprudenza pacificamente esclude che possa riconoscersi la tutela risarcitoria dell’interesse legittimo e si fonda su un giudicato di annullamento che ha concluso per l’esistenza di vizi formali (quali il difetto di motivazione) del provvedimento impugnato, senza alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto (cfr. ex multis , Cons, Stato: sez. V, n. 675 del 10 febbraio 2015;
successivamente, sez. IV, n. 1436 del 2016;
n. 5356 del 19 dicembre 2016, che escludono la possibilità di tutelare interessi illegittimi anche in sede risarcitoria).

24. Quanto infine al sesto motivo di ricorso, nel quale l’appellante ha censurato la mancata pronuncia del T.a.r. relativamente alla sussistenza del nesso causale tra la condotta del Comune ed il danno lamentato, va ribadito che in assenza di colpa l’accertamento dello stesso risulta irrilevante.

25. Comunque, ai fini della risarcibilità dei danni prospettati nel ricorso di primo grado (perdita di un’occasione di maggior guadagno), essendo necessario per il suo riscontro la presenza di circostanze conformi ai rigorosi principi disciplinanti il nesso di causalità (teoria del più probabile che non), ben difficilmente si sarebbe potuto giungere, in assenza di un solido corredo probatorio, all’affermazione della sussistenza dell’esclusiva attribuibilità dell’evento all’Amministrazione. L'azione risarcitoria innanzi al giudice amministrativo non è infatti retta dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, tipica del processo impugnatorio, bensì dal generale principio dell'onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per cui sul ricorrente gravava l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell'Amministrazione per danni derivanti dall'illegittimo svolgimento dell'attività amministrativa di stampo autoritativo, da ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito delineata dall'art. 2043 c.c., donde la necessità di verificare, con onere della prova a carico del (presunto) danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, compreso il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno subito (cfr. Cons. Stato, sez. IV., 8 febbraio 2016, n. 486).

26. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e per l’effetto va confermata la sentenza impugnata.

27. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati, come sopra detto, sono stati infatti dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

28. Le spese di giudizio possono essere compensate in ragione della novità e complessità della vicenda.

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