Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-11-21, n. 201705364

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-11-21, n. 201705364
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201705364
Data del deposito : 21 novembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/11/2017

N. 05364/2017REG.PROV.COLL.

N. 05746/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5746 del 2011, proposto dal signor D N L, rappresentato e difeso dall'avvocato A S, con domicilio eletto presso lo studio Antonio Brancaccio in Roma, via Taranto, 18;

contro

Comune di Agropoli non costituito in giudizio;

nei confronti di

S Carlo, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società “La.Ve. s.a.s. di S Carlo e c.”, rappresentato e difeso dagli avvocati O A, E C e M G, con domicilio eletto presso lo studio O A in Roma, via Terenzio, 7;
Ministero per i beni e le attivita' culturali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania– Sede staccata di Salerno – Sezione II, n. 951 del 20 maggio 2011, resa tra le parti, concernente diniego condono edilizioordinanza di demolizione, ripristino stato dei luoghi, sdemanializzazione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Carlo Se del Ministero per i beni e le attivita' culturali;

Visto l’appello incidentale proposto dal signor Carlo S;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2017 il Cons. O F e uditi per le parti gli avvocati Rocco, su delega di Suderi, Abbamonte in proprio e per delega dell'avvocato Cuoco, e Grumetto (per l’Avvocatura dello Stato);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. 1. Con il ricorso in esame, il signor Luigi D N ha impugnato la sentenza 20 maggio 2011 n. 951, con la quale il TAR per la Campania, sez. II della Sezione staccata di Salerno:

- ha parzialmente respinto il suo ricorso (n. 1940/2006 r.g.), relativamente all’impugnazione del diniego di condono edilizio disposto con provvedimento del Comune di Agropoli 18 settembre 2006 n. 27886 e del successivo ordine di demolizione 19 settembre 2006 n. 2184, accogliendolo limitatamente alla demolizione della recinzione dell’area di sedime in quanto autorizzata;

- ha accolto il ricorso proposto dal signor Carlo S (n. 23/2009 r.g.) ed ha quindi annullato la delibera del Consiglio comunale di Agropoli 30 novembre 2008 n. 111 (recante la sdemanializzazione di una porzione di arenile in favore del signor D N) e le determinazioni favorevoli in materia paesaggistica (autorizzazione comunale paesaggistica 28 maggio 2008 n. 80 e nota della Soprintendenza in data 31 luglio 2008 n. 21573 recante l’avviso di non annullamento del precedente nulla osta);

- ha condannato il comune di Agropoli ed il signor D N alla rifusione, in favore del signor S, delle spese di lite (pari ad euro 4.000) e di c.t.u. (pari ad euro 3.750),ponendole rispettivamente a carico del primo in misura di 1/3 e del secondo in misura di 2/3.

1.2. La presente controversia riguarda, in sostanza, la possibilità di mantenimento e di regolarizzazione di alcuni manufatti edilizi realizzati abusivamente dal D N, titolare dello stabilimento balneare “Oasi” in via Kennedy del Comune di Agropoli, (e precisamente sulla particella n. 239 del foglio 40 di detto Comune), per i quali il D N aveva presentato richiesta di condono edilizio (originariamente nel lontano 1986).

Giova precisare che, successivamente all’istanza di condono, il D N presentava richiesta di concessione edilizia per la realizzazione di un albergo sulla particella n. 239, così interessando anche l’area di ubicazione delle strutture oggetto di condono edilizio.

Il Comune di Agropoli emanava a tal fine la concessione edilizia 19 aprile 1991 n. 1333 e la successiva concessione in variante 30 maggio 2001 n. 2691.

Successivamente, esaminata l’istanza di condono edilizio, il Comune di Agropoli rilevava sia che uno dei manufatti oggetto di istanza (adibito a ristorazione) insisteva in parte su suolo comunale, sia che nel progetto relativo ad albergo era prevista (precisamente, nella sistemazione esterna dell’albergo) la demolizione del manufatto esistente adibito a bar ristorante e che, nei grafici allegati alla concessione edilizia n. 2691/2001 il predetto manufatto non era riportato.

Il Comune di Agropoli, quindi, con il provvedimento n. 27886/2006 respingeva la domanda di concessione edilizia in sanatoria ed emanava anche ordinanza di demolizione n. 2184/2006.

Avverso questi atti il signor D N ha proposto il ricorso n. rg. 1940/2006.

1.3. Successivamente, il Comune di Agropoli ha adottato la delibera 30 novembre 2008 n. 111, con la quale è stata disposta la sdemanializzazione del reliquato stradale di m. 64,39, occupato dalle opere abusive a servizio del lido Oasi ed oggetto di condono, e ne è stata altresì disposta l’alienazione in favore del D N.

Quest’ultimo atto - unitamente all’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal comune (20 maggio 2008 n. 80, successiva al diniego di condono edilizio) ed all’avvisodella Soprintendenza di non annullamento del precedente nulla osta (31 luglio 2008 n. 21573) - sono stati impugnati (ric. n. 23/2009 r.g. corredato da motivi aggiunti) dal signor Carlo S, in proprio e quale legale rappresentante della società Lu.Ve. s.a.s., titolare di stabilimento balneare confinante con quello del Di Carlo.

2.1. La sentenza impugnata ha affermato (quanto al ricorso S n. 23/2009 r.g.):

- la tempestività dell’impugnazione dell’autorizzazione paesaggistica da parte del signor S, in quanto se “nelle diffide, esposti e denunzie all’autorità giudiziaria emerge certamente la conoscenza della esistenza di una determina n. 80 del 28 maggio 2008 . . . dagli stessi atti, peraltro, non si desume la prova certa della conoscenza del contenuto del provvedimento”;

- poiché, in sede di presentazione delle domande e degli atti progettuali finalizzati al rilascio delle concessioni edilizie per la realizzazione di un nuovo fabbricato da destinarsi a struttura alberghiera sulla particella n. 239, foglio 40 di Agropoli, vi è stata da parte del D N rinunzia alla domanda di condono edilizio e “assunzione di un obbligo di demolizione delle strutture abusive . . . l’amministrazione non avrebbe potuto adottare in seguito atti . . . finalizzati comunque alla definizione positiva della pratica di condono edilizio”;

- a fronte di ciò, con il rilascio di titoli edificatori vi è stata “una determinazione dell’amministrazione abilitativa ad uno specifico utilizzo di quella porzione del suolo di proprietà (in termini di realizzazione di area verde e parcheggio) incompatibile con la presenza delle opere per le quali originariamente era stata domandata la sanatoria”;

- in definitiva, “la presentazione delle domande di concessione edilizia per la realizzazione della struttura alberghiera e per la sistemazione dell’area circostante ed il successivo rilascio di titoli edificatori conformi all’istanza del privato hanno posto definitivamente nel nulla la richiesta di condono determinandone la ineluttabile improcedibilità, in quanto espressione di una volontà inequivoca di rinunzia (attraverso la esplicitazione di una previsione demolitoria delle opere) seguita da determinazioni provvedimentali incompatibili con il mantenimento dei manufatti abusivi”;

- in conseguenza di ciò, deve essere considerata illegittima la sdemanializzazione del reliquato stradale e la autorizzazione all’alienazione in favore del De Nardis, poiché essa risulta “esclusivamente finalizzata . . . alla positiva conclusione della pratica di condono edilizio” che invece “doveva ritenersi rinunziata ed in ogni caso non più procedibile”, così come è da considerare, in particolare, illegittima l’autorizzazione paesaggistica.

2.2. La sentenza impugnata ha affermato, inoltre, esaminando il ricorso De Nardis (n. 1940/2006 r.g.):

- il diniego di condono edilizio “si fonda su una pluralità di motivi, tra loro autonomi, ciascuno di per sé idoneo a sorreggere la statuizione adottata”;

- indipendentemente dalla circostanza della parziale insistenza del manufatto abusivo su suolo pubblico (costituente la prima ragione di diniego del condono), risulta assorbente la seconda ragione esplicitata dal Comune, e cioè che esso, nell’esaminare le nuove pratiche edilizie, ha ritenuto sussistente la volontà del privato, emergente da tali atti, di demolizione dei manufatti abusivi, ed anzi, poiché in occasione della seconda concessione edilizia rilasciata (n. 2691/2001) “relativa ai lavori di completamento dell’albergo nella sistemazione esterna non viene riportato il manufatto adibito a bar ristorante . . . si è ipotizzata la sua già avvenuta demolizione”;

- infine, l’ordinanza di demolizione emanata a seguito del diniego di condono edilizio, e che dispone “la demolizione di una recinzione in muratura con soprastante ringhiera della lunghezza di m. 15 nonché del manufatto in muratura delle dimensioni di m. 14,55 per m. 5,40”, deve essere considerata legittima per la parte riferita ad opere per le quali è stato negato il condono (manufatto in muratura), mentre “è illegittima nella parte in cui dispone la demolizione della recinzione, considerato che la sua realizzazione risulta essere stata assentita dal Comune di Agropoli con autorizzazione sindacale n. 542 del 4 ottobre 1983”.

3. Avverso tale decisione, il signor D N ha proposto i seguenti motivi di appello (di cui alle pagg. 7 – 31 ric.):

a) error in procedendo ;
violazione art.. 27 Cpa;
nullità della decisione per mancata integrità del contraddittorio;
poiché il giudizio relativo al ricorso S si è svolto senza che fossero evocati tutti i soggetti controinteressati, comproprietari, insieme all’appellante, “dell’area su cui sorgono i beni richiesti in condono e, dunque, anche delle strutture stesse”;
si chiede pertanto l’annullamento della sentenza con rinvio al primo giudice;

b) error in judicando e in procedendo ;
irricevibilità del ricorso n. 23/2009 avverso la determina n. 80/2008, poiché il sig. S “ha avuto cognizione del rilascio della determina paesaggistica . . . allorchè l’ha citata nel corpo della diffida inviata a tutti i consiglieri comunali” ed in un precedente atto di querela presentato al Tribunale di Vallo della Lucania;

c) error in judicando e in procedendo ;
inammissibilità del ricorso S per difetto di interesse, poiché la tardività dell’impugnativa della autorizzazione n. 80/2008 comporta anche la carenza di interesse a censurare la delibera del consiglio comunale n. 111/2008;

d) error in iudicando e in procedendo ;
ulteriore inammissibilità del ricorso S per difetto di interesse;
ciò in quanto l’interesse a ricorrere non può fondarsi sulla mera vicinitas (l’essere il sig. S proprietario di uno stabilimento balneare situato nelle immediate vicinanze della proprietà D N), ma sul concreto vantaggio che il ricorrente può ricevere dall’accoglimento del gravame. Nel caso di specie, l’area oggetto di sdemanializzazione era in realtà già stata usucapita dal D N di modo che, rimanendo i D N “proprietari dell’area indipendentemente dalla permanenza o meno della delibera n. 111/2008, non vi è alcun interesse da parte dello S alla rimozione di un atto amministrativo non in grado di modificare la situazione di diritto esistente”;

e) error in judicando e in procedendo ;
difetto ed erroneità della motivazione;
violazione artt. 31 e ss. l. n. 47/1985;
poiché “non vi è stato alcun atto – almeno fino al 2006 – con il quale il Comune abbia mai fatto intendere di non ritenere più procedibile la domanda, ingenerando così nei proprietari la certezza che la stessa fosse valida ed efficace”;
peraltro l’amministrazione anche dopo il 1991, ha consentito ed autorizzato la conduzione dello stabilimento balneare e la somministrazione di cibi e bevande;
né al Comune “poteva sfuggire che le strutture non erano state demolite”. Infine, “la circostanza che le opere condonate non siano state riportate nelle tavole progettuali relative all’albergo e che al loro posto sia stato inserito del verde è dato oggettivamente non significativo, tenuto conto che le sistemazioni esterne (senza opere, come nella specie) sono meramente indicative e non hanno alcun valore conformativo del territorio”;

f) error in judicando e in procedendo ;
difetto ed erroneità della motivazione;
violazione artt. 31 ss. l. n. 47/1985;
ciò in quanto, poichè “il Tribunale ha rigettato il ricorso n. 1940/2006 per le stesse ragioni per cui ha accolto il n. 23/2009 proposto dallo S”, ne consegue che le ragioni per le quali si impugna la sentenza (innanzi riportate) determinano la fondatezza del ricorso D N, ed in particolare del suo quinto motivo (specificamente rivolto a contestare la seconda ragione su cui si fonda il diniego del condono edilizio, e cioè la incompatibilità delle successive previsioni progettuali con la domanda di condono);

g) error in judicando ;
difetto di motivazione;
violazione art. 10- bis l. n. 241/1990;
poiché l’art. 21- octies, richiamato in sentenza al fine di fondare il rigetto del motivo di ricorso, non può essere applicato al difetto di preavviso di provvedimento di diniego;

h) riproposizione dei motivi dichiarati assorbiti e precisamente: h1) violazione art. 11 DPR n. 380/2001;
eccesso di potere, poiché l’area dove sono ubicati gli immobili è di proprietà D N;
h2) violazione art. 32 l. n. 47/1985;
eccesso di potere, poiché l’avere realizzato opere abusive su aree di proprietà dello Stato o di Enti pubblici territoriali “non è di ostacolo al rilascio della concessione in sanatoria, che rimane subordinata invece, alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente il suolo”;
h3) violazione art. 10 l. n. 241/1990;
eccesso di potere;
poiché l’amministrazione, lungi dal valutare le deduzioni procedimentali dell’appellante, ha ritenuto di assolvere a tale obbligo mediante un laconico riferimento alla inidoneità delle controdeduzioni.

4.1. Si è costituito in giudizio il signor Carlo S, in proprio e nella qualità innanzi descritta, che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza. Ha altresì proposto appello incidentale, articolando i seguenti motivi:

a1) error in judicando ;
difetto di motivazione;
violazione e mancata convocazione del CTU per la richiesta di chiarimenti ex art. 19 Cpa;
ciò in quanto va riformato quanto incidentalmente affermato dalla sentenza e cioè che “il fabbricato assentito con la concessione edilizia n. 2691/2001 rispetterebbe i parametri urbanistici vigenti per quanto riguarda volume, superfici e standards ”, poichè il CTU “non ha computato nel calcolo degli standards urbanistici la superficie del piano interrato dell’albergo di circa 600 mq” inoltre “ha ritenuto entrambe le concessioni edilizie conformi dal punto di vista volumetrico al vigente PdF nonostante l’accertata permanenza dei manufatti da demolire ed il sopravvenuto frazionamento del lotto originario di pertinenza”;

b1) error in judicando ;
violazione e mancata applicazione art. 11 DPR n. 380/2001 e art. 32 l. n. 47/1985;
contraddittorietà, poiché la sentenza, nell’accogliere il ricorso avverso la ordinanza di demolizione relativamente alla recinzione “ha omesso di considerare che il suindicato manufatto, al pari delle altre opere abusive, ricade nell’area pubblica interessata dalla delibera di sdemanializzazione”;

c1) error in judicando ;
violazione e mancata applicazione art. 26 Cpa (con riferimento agli artt. 91 ss. c.p.c.), in relazione alla misura delle spese liquidate.

4.2. Si è altresì costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali.

5.1. Con decreto presidenziale n. 2899 del 2011 e successivamente con ordinanza 27 luglio 2011 n. 3340, questa Sezione ha accolto la domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, considerando, in particolare, il danno grave ed irreparabile lamentato dall’appellante “attesa anche la natura stagionale dell’attività”.

5.2. All’udienza pubblica di trattazione del 26 maggio 2017, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

6. 1. L’appello principale è infondato e deve essere, pertanto, respinto, salvo che per il secondo motivo proposto, che deve essere, invece, accolto, con conseguente parziale riforma della sentenza impugnata.

6.2. Per migliore chiarezza, giova osservare che il signor D N:

- con i primi quattro motivi di appello (sub lett. da a) a d) dell’esposizione in fatto), impugna la sentenza nella parte in cui con la stessa si accoglie il ricorso n. 23/2009 r.g. (proposto dal sig. S);

- con gli ulteriori motivi (sub lett. da e) a g) dell’esposizione in fatto) impugna la sentenza nella parte in cui la stessa rigetta il suo ricorso n. 1940/2006, ed inoltre con i motivi sub lett. da h1) ad h3) ripropone motivi del predetto ricorso dichiarati assorbiti.

7.1. Con il secondo motivo di appello (sub lett. b) dell’esposizione in fatto), si lamenta l’errore della sentenza impugnata, laddove la stessa ha ritenuto tempestivo il ricorso proposto dal sig. S avverso i favorevoli provvedimenti paesaggistici sopra indicati, in quanto se “nelle diffide, esposti e denunzie all’autorità giudiziaria emerge certamente la conoscenza della esistenza di una determina n. 80 del 28 maggio 2008 . . . dagli stessi atti, peraltro, non si desume la prova certa della conoscenza del contenuto del provvedimento”.

Secondo la sentenza impugnata, “la genericità e la non corretta indicazione del contenuto provvedimentale induce perplessità in ordine alla reale e completa conoscenza del provvedimento a tali date (cioè, alle date di presentazione di diffide, esposti e denunce;
n.d.r.) onde non può ritenersi raggiunta la prova della tardività della sua impugnativa”.

Orbene, come la giurisprudenza di questa Sezione ha più volte affermato (Cons. Stato, sez. IV, 15 novembre 2016 n. 4701;
6 ottobre 2015 n. 6242;
28 maggio 2012 n. 3159), la “piena conoscenza” del provvedimento impugnabile non deve essere intesa quale “conoscenza piena ed integrale” del provvedimento stesso, ovvero di eventuali atti endoprocedimentali, la cui illegittimità infici, in via derivata, il provvedimento finale, dovendosi invece ritenere che sia sufficiente ad integrare il concetto la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso.

Ed infatti, mentre la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività, integra la sussistenza di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all’impugnazione dell’atto (così determinando quella “piena conoscenza” indicata dalla norma), invece la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi .

La previsione dell’istituto dei “motivi aggiunti” - per il tramite dei quali il ricorrente può proporre ulteriori motivi di ricorso derivanti dalla conoscenza di ulteriori atti (già esistenti al momento di proposizione ma ignoti) o dalla conoscenza integrale di atti prima non pienamente conosciuti, e ciò entro il (nuovo) termine decadenziale di sessanta giorni decorrente da tale conoscenza sopravvenuta - comprova la fondatezza dell’interpretazione resa in ordine al significato della “piena conoscenza”.

Ed infatti, se quest’ultima dovesse essere intesa come “conoscenza integrale”, il tradizionale rimedio dei motivi aggiunti non avrebbe una pratica ragion d’essere, o dovrebbe essere considerato residuale.

Nel caso di specie, dunque, la accertata conoscenza (nei sensi innanzi esposti) dei provvedimenti n. 80/2008 e n. 21573/2008 da parte del signor S esclude ogni “perplessità” in ordine alla effettiva conoscenza del contenuto dei medesimi, poiché la conoscenza stessa degli atti lesivi (più volte indicato in propri atti dal sig. S) integra la piena conoscenza idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione.

Pertanto, in accoglimento del secondo motivo di appello, la sentenza impugnata deve essere parzialmente riformata e, per l’effetto, il ricorso per motivi aggiunti al ricorso instaurativo del giudizio di I grado, proposto dal sig. Saglione deve essere dichiarato irricevibile per tardività.

7.2. Gli ulteriori motivi posti a sostegno dell’appello principale, rivolti avverso la sentenza nella parte in cui accoglie il ricorso n. 23/2009, sono infondati.

Quanto al I motivo (sub lett. a),esso è infondato perché sia l’istanza di acquisto del terreno demaniale sia quella di rilascio del nulla osta paesaggistico sono state sottoscritte esclusivamente dal signor Luigi D N ed i pedissequi provvedimenti favorevoli sono stati rilasciati esclusivamente nei suoi confronti.

Quanto al terzo motivo (sub lett. c), è appena il caso di osservare che la innanzi dichiarata irricevibilità del ricorso per motivi aggiunti avverso la autorizzazione n. 80/2008, non comporta affatto il difetto di interesse ad impugnare la delibera del Consiglio comunale n. 111/2008, poiché la stessa – che dispone la sdemanializzazione del reliquato stradale ai fini della sanatoria dell’immobile sullo stesso insistente – assume aspetti lesivi delle posizioni giuridiche del sig. S, proprio nella misura in cui consentirebbe l’accoglimento della domanda di condono edilizio.

Le ragioni appena esposte sorreggono anche il rigetto del quarto motivo di appello (sub lett. d). secondo il quale i D N sarebbero comunque già proprietari dell’area, indipendentemente dalla delibera n. 111/2008, il che evidenzierebbe il difetto di interesse ad agire contro detta delibera.

In disparte ogni considerazione in ordine alla esattezza della affermazione, ciò che rileva, ai fini della verifica della sussistenza dell’interesse ad agire e, dunque, della ammissibilità del ricorso è il fatto che il Consiglio comunale di Agropoli ha adottato una delibera di sdemanializzazione (con ciò affermando la proprietà pubblica dell’area), e ciò ai dichiarati fini di procedere al condono edilizio del manufatto ivi insistente. Tale è il contenuto dell’atto amministrativo impugnato che si presenta per ciò solo lesivo delle posizioni giuridiche del sig. S, restando invece (ove del caso) alle valutazioni del sig. D N agire avverso la citata delibera con eventuali azioni a tutela del suo (affermato) diritto di proprietà, disconosciuto dall’ente pubblico.

8.1. Anche gli ulteriori motivi a sostegno dell’appello principale, con i quali si impugna la sentenza nella parte in cui ha respinto il ricorso del signor D N avverso il diniego di condono edilizio, sono infondati e devono essere, pertanto, respinti.

Quanto al quinto e sesto motivo (sub lett. e) ed f) dell’esposizione in fatto), occorre osservare che, a tutta evidenza, l’amministrazione comunale di Agropoli ha autorizzato la costruzione di un immobile da adibire ad albergo (e successivamente a scuola) sulla base di una progettazione che riportava l’area di intervento come “libera” dalle strutture oggetto della domanda di condono.

Come condivisibilmente affermato dalla sentenza impugnata (pag. 17), la considerazione - secondo la quale “la presentazione delle domande di concessione edilizia per la realizzazione della struttura alberghiera e per la sistemazione dell’area circostante ed il successivo rilascio di titoli edificatori conformi all’istanza del privato hanno posto definitivamente nel nulla la richiesta di condono determinandone la ineluttabile improcedibilità” - è il risultato di una evidente “incompatibilità” tra concessioni edilizie, e precisamente tra quelle richieste ed ottenute (nn. 1333/1991 e 2691/2001) e quella in precedenza richiesta in sanatoria per un manufatto la cui persistenza sul suolo risulta ostativa alla realizzazione del nuovo progetto (in quanto avrebbe comportato una violazione delle distanze ex D.M. n. 1444/1968, come affermato in sentenza – pag. 17 – e nella precedente relazione del CTU, pag. 14).

In sostanza, la volontà di realizzare il nuovo immobile (in luogo di mantenere un immobile da condonarsi) resta confermata sia dalla impossibilità di ottenere altrimenti le concessioni edilizie (invece ottenute e concretamente utilizzate per la costruzione), sia dalla corrispondenza del dato fattuale all’oggetto della richiesta (e cioè la mancata evidenziazione di quanto già oggetto del richiesto condono edilizio nella documentazione presentata per ottenere le nuove concessioni).

In altre parole, sull’area in esame non appare legittimamente possibile “far convivere” il manufatto preesistente (oggetto di condono) ed il manufatto risultante dalle nuove e successive concessioni edilizie, di modo che richieste, ottenute e realizzate queste ultime – la domanda di condono non può che ritenersi “abbandonata” e, dunque, improcedibile.

A fronte di ciò, non appare assumere particolare rilievo quanto sostenuto dall’appellante con i due motivi di impugnazione in esame.

Ed infatti non può ingenerare alcun affidamento nella validità ed efficacia della domanda di condono (e nella concessione del medesimo), il tempo trascorso dalla sua presentazione senza che l’amministrazione abbia provveduto. Né assume rilevanza, ai fini della condonabilità dell’immobile, l’avere la medesima amministrazione comunale consentito ed autorizzato la conduzione dello stabilimento balneare e la somministrazione di cibi e bevande.

Infine, ove anche – come sostenuto dall’appellante – l’amministrazione fosse stata consapevole della attuale presenza delle strutture oggetto di condono ovvero la stessa non avesse potuto ragionevolmente credere che le predette strutture fossero state già demolite, ciò che rileva è la situazione di fatto e di diritto oggetto di esame al momento di decisione sulla istanza di condono. E quest’ultima, per le ragioni già esposte, non poteva che condurre alla decisione assunta dal Comune di Agropoli.

8.2. Il settimo motivo di appello (sub lett. g) dell’esposizione in fatto) – con il quale si assume la inapplicabilità di quanto previsto dall’art. 21-. octies l. n. 241/1990 al difetto di preavviso di rigetto, previsto dal precedente art. 10- bis – è infondato.

Sul punto, è appena il caso di osservare che il diniego di condono edilizio, in difetto dei presupposti previsti dalla legge, costituisce attività vincolata della pubblica amministrazione, alla quale risulta applicabile quanto previsto dall’art. 21- octies , co. 2, primo periodo, l. n. 241/1990, laddove si afferma la non annullabilità del provvedimento vincolato per “violazione di norme sul procedimento”.

Né a diversa conclusione si giungerebbe volendo ritenere frutto di “valutazione discrezionale” la decisione sulla procedibilità della domanda di condono, posto che, nel caso di specie, in ragione di quanto sin qui esposto, appare evidente che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato, con conseguente impossibilità del suo annullamento, ai sensi del medesimo art. 21- octies , co. 2, secondo periodo.

8.3. Anche i motivi dichiarati assorbiti dal giudice di I grado e riproposti in appello sono infondati e devono essere, pertanto, respinti.

Ed infatti – fermo quanto condivisibilmente affermato dalla sentenza impugnata, in ordine alla “pluralità di motivi, tra loro autonomi, ciascuno di per sé idoneo a sorreggere la statuizione adottata” (cioè, il diniego di condono), occorre osservare:

- quanto al motivo sub h1) dell’esposizione in fatto, nei limiti di delibazione incidentale propri del giudice amministrativo sulle questioni afferenti a diritti (ed in particolare a diritti reali), l’eventuale sussistenza del diritto di proprietà sul reliquato stradale in capo al D N risulta contraddetta dalla stessa adozione della delibera di sdemanializzazione, con la quale l’ente ha evidentemente riaffermato la proprietà pubblica del bene, ed avverso la quale il D N non risulta essere insorto: Peraltro, occorre ricordare che, ai fini della cd. sdemanializzazione di fatto, occorre la presenza di atti o fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della pubblica amministrazione di sottrarre il bene demaniale alla sua destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino (Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2011 n. 19792;
Cons. Stato, sez. V, 20 luglio 2016 n. 3273);

- quanto al motivo sub h2), appare evidente come, all’epoca dell’adozione del provvedimento di diniego di condono, non fosse stata manifestata alcuna “disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente il suolo”;
disponibilità invece esclusa proprio con l’impugnato provvedimento di diniego;

- quanto al motivo sub h3), non sussiste alcuna violazione dell’art. 10 l. n. 241/1990, poiché, come nel caso di specie, la confutazione di osservazioni e/o controdeduzioni presentate dal privato durante lo svolgimento del procedimento amministrativo, ben può desumersi dalla motivazione, e dunque dalle ragioni ivi esposte, sulle quali si fonda il provvedimento adottato.

9.1. L’appello incidentale proposto dal sig. Carlo S deve essere in parte dichiarato inammissibile, con riferimento al I motivo proposto (sub lett. a1) dell’esposizione in fatto), in parte rigettato, stante l’infondatezza degli ulteriori motivi proposti (sub lett. b1) e c1).

9.2. Quanto al primo motivo proposto, occorre osservare che con il medesimo si introducono in grado di appello doglianze che:

- per un verso, riguardano – come ammesso dallo stesso S: v. pag. 14 memoria del 21 luglio 2011 – una mera affermazione “incidentale” contenuta in sentenza, e dunque priva di valore decisorio, insuscettibili di passare in giudicato e, quindi, di integrare il presupposto della soccombenza;

- per altro verso, sono rivolte (per di più, in grado di appello) avverso provvedimenti (le concessioni edilizie rilasciate al D N nn. 1333/1991 e 2691/2001), non oggetto di impugnazione da parte dello S nell’ambito del presente giudizio.

Da ciò consegue la necessaria declaratoria di inammissibilità del medesimo.

9.3. Quanto al motivo sub lett. b1) occorre osservare che la sentenza impugnata ha accolto il ricorso proposto dal sig. D N avverso l’ordinanza di demolizione della recinzione affermando che la stessa risulta “assentita dal Comune di Agropoli con autorizzazione sindacale n. 542 del 4 ottobre 1983”. Tale considerazione non risulta revocata in dubbio dall’appellante incidentale;
né è escluso che l’amministrazione possa autorizzare – nei limiti normativamente previsti – costruzioni di tale natura su immobili di proprietà pubblica;
sul punto il gravame del signor S nulla ha osservato limitandosi a discettare della sola astratta indisponibilità del suolo da parte del signor D N.

9.4. Quanto all’ultimo motivo proposto (sub lett. c1), con il quale si propone doglianza avverso la misura delle spese liquidate – ed in disparte quanto sarà deciso in merito nella presente sede - occorre osservare che, in sede di regolazione delle spese, il giudice è attributario di una amplissima discrezionalità, da esercitarsi nella considerazione, oltre che del criterio della soccombenza (nel caso di specie reciproca), degli ulteriori elementi indicati dagli artt. 91 ss. cod. proc. civ. richiamati dall’art. 26, comma 1, c.p.a.;
ne consegue che il giudice dell’impugnazione può intervenire su tale determinazione esclusivamente per il caso di evidente abnormità, da escludersi nel caso di specie (cfr., ex plurimis e da ultimo Cons. Stato, sez. III, 31 marzo 2016, n. 1262).

10. In conclusione, per tutte le ragioni innanzi esposte:

a) l’appello principale deve essere accolto, in riferimento al secondo motivo proposto, mentre deve essere rigettato nel resto:

b) di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere parzialmente riformata e, per l’effetto, il ricorso per motivi aggiunti al ricorso instaurativo del giudizio di I grado, proposto dal sig. Saglione e con il quale è stata impugna la più volte citata autorizzazione n. 80/2008 deve essere dichiarato irricevibile per tardività;

c) l’appello incidentale deve essere in parte dichiarato inammissibile e in parte rigettato, nei sensi innanzi precisati;

d) stante la reciproca soccombenza, alla quale non costituisce eccezione rilevante il limitato accoglimento di un solo motivo di gravame proposto con l’appello principale, ed in considerazione della novità e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio, ad eccezione di quanto disposto dalla sentenza impugnata in ordine alle spese di consulenza tecnica;

e) ai fini del contributo unificato, i signori D N e S devono considerarsi soccombenti per entrambi i gradi di giudizio sicché rimane definitivamente a loro carico quanto liquidato e anticipato dagli stessi a tale titolo.

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