Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-10-21, n. 201305091
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N. 05091/2013REG.PROV.COLL.
N. 05008/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5008 del 2005, proposto da:
Comune di Nola, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti G M, A C, con domicilio eletto presso l’avv. Sara Merlo in Roma, via Carlo Passaglia 14;
contro
Imbroda Angelina, Imbroda Maria Rosaria, rappresentate e difese dall'avv. D V, con domicilio eletto presso il dr.A P in Roma, via Cosseria, 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE II n. 19243/2004, resa tra le parti, concernente diniego rilascio di concessione edilizia- ris. danno
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2013 il Cons. A M e uditi per le parti gli avvocati Andrea Rallo (su delega di A C) e D V;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Le sigg.re Imbroda Angelina e Imbroda Maria Rosaria, presentavano nel 1985 al Comune di Nola istanza di concessione edilizia per la realizzazione di un centro polifunzionale per il commercio alla quale l’anzidetto Comune opponeva una serie di dinieghi impugnati innanzi al T della Campania Sezione di Salerno che con altrettante sentenze accoglieva i relativi gravami.
Intervenivano per ultimo la sentenza di merito n.599/95 e le decisioni nn. 392/98 e 1169/2001 rese in sede di ottemperanza con cui in accoglimento dei ricorsi per esecuzione del giudicato era nominato un Commissario ad acta perché ponesse in essere ogni attività diretta al rilascio del titolo edilizio e consentire, alfine, la realizzazione dell’intervento edilizio sopra indicato.
Successivamente, le interessate proponevano ricorso innanzi al T della Campania sede di Napoli volto ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito degli opposti dinieghi, con richiesta di liquidazione a tale titolo per complessive lire 1.340,11 di cui 706.088,740 per l’aumento del costo globale di costruzione e lire 634.142,371 per il mancato utile derivante dalla mancata locazione, deducendo a sostegno della pretesa fatta valere la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità al caso di specie dell’art.7 della legge n.205/2000.
L’adito T con sentenza n.19243/2004 accoglieva il proposto ricorso, accertando a carico dell’Amministrazione comunale la sussistenza di una condotta amministrativa colposa, produttiva per le posizioni giuridiche soggettive fatte valere dalle ricorrenti di danno risarcibile.
Riconosceva quindi il diritto al risarcimento con condanna del Comune al pagamento in favore delle sigg.re Imbroda di un somma di denaro ( come da relativa proposta da sottoporre alle interessate ) secondo i criteri stabiliti nella motivazione del decisum.
Il Comune di Nola ha impugnato tale sentenza, sostenendo la erroneità rese dal primo giudice sulla base dei seguenti motivi di gravame:
1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art.35 del dlgs n.80/1998, come modificato dalla legge n.05/2000: carenza di motivazione;illogicità;
2) Violazione degli artt.2395 2 2947 codice civile;prescrizione del presunto diritto;
3) violazione e/o falsa applicazione degli artt.1226,1227 e 2697 codice civile;illogicità.
Si sono costituite in giudizio le appellate sigg.re Imbroda che con apposita memoria difensiva hanno contestato la fondatezza dei motivi d’impugnazione di cui hanno chiesto la reiezione.
All’udienza pubblica dell’8 marzo2013 la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
Ritiene il Collegio che le osservazioni e prese conclusioni rese dal T con l’impugnata sentenza in ordine al riconoscimento e alla quantificazione della pretesa risarcitoria fatta valere dalle attuali appellate ( all’epoca originarie ricorrenti) e qui fatte oggetto di gravame siano meritevoli di conferma, sia pure nei limiti appresso indicati.
Con le censure di cui al primo mezzo di gravame, parte appellante sostiene che deve essere esclusa in radice la sussistenza in capo alle sigg.re Imbroda di un diritto al risarcimento, mancando nella fattispecie all’esame l’elemento di tipo soggettivo che connota la figura della responsabilità risarcitoria, non rinvenendosi, in particolare, a carico del Comune una condotta colposa non essendo ai fini per cui è causa sufficiente l’accertata illegittimità dell’opposto diniego a costruire.
L’assunto difensivo è privo di giuridico fondamento.
Questo Consiglio di Stato ha avuto modo di statuire in linea di principio, precisando ed ampliando concetti già espressi in nuce dalla Suprema Corte di Cassazione con la “storica “ sentenza n.500 del 1999, che l’interesse legittimo non rileva come situazione meramente processuale, ossia quale titolo di legittimazione per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo né si risolve in un mero interesse alla legittimità dell’azione amministrativa in sé intesa, ma si rivela posizione schiettamente sostanziale correlata , in modo intimo e inscindibile , ad un interesse materiale del titolare ad un bene della vita , la cui lesione ( in termini di sacrificio o di insoddisfazione a seconda che si tratti di un interesse oppositivo o pretensivo ) può concretizzare un pregiudizio suscettibile di risarcimento( fra tutte, Ad. Pl. 23 marzo 2011 n.3)
Del pari, è stata affermata la risarcibilità dei danni discendente dall’omesso rilascio o dal diniego illegittimamente opposto in ordine alla chiesto esercizio dello jus aedificandi, laddove l’interesse pretensivo a costruire costituisce situazione giuridica rilevante meritevole di tutela risarcitoria ove collegabile in via diretta alla condotta antigiuridica dell’Amministrazione che ha colposamente omesso o ritardato la possibilità di costruire ( Cons. Stato Sez. V 28 febbraio 2011 n.1271;Cons. Stato Sez. IV 23 marzo 2010 n.1699).
Quanto all’ammissibilità e fondatezza del petitum risarcitorio, la giurisprudenza ha avuto altresì modo di precisare come per rinvenirsi in capo all’amministrazione gli estremi di una responsabilità produttiva di danno risarcibile secondo lo schema consegnatoci dall’art.2043 del codice civile. ( c.d. responsabilità aquiliana) non è sufficiente la semplice illegittimità dell’atto impugnato , occorrendo, invero indagare funditus sulla sussistenza o meno dell’elemento soggettivo ( colpa o dolo ) onde poter imputare alla P.A. un comportamento contra legem causativo di danno suscettibile di ristoro patrimoniale ( Cons. Stato Sez. IV 2 marzo 2011 n.1335).
Tanto premesso in linea di principio, nella specie è stata accertata in termini di chiarezza e di definitività la illegittimità del provvedimento comunale che ha respinto la richiesta di edificazione e in ciò si ravvisa ragionevolmente la condotta contra legem quale uno requisiti richiesti dalla fattispecie risarcitoria configurata dall’art.2043 codice civile.
Ugualmente sono poi condivisibili le considerazioni svolte dal primo giudice circa la sussistenza nel caso de quo degli altri elementi costitutivi della responsabilità di tipo aquiliano e cioè l’evento dannoso, l’ingiustizia del danno come danno prodotto non iure in assenza di cause di giustificazione e il nesso di causalità rappresentato dalla riferibilità in linea di massima oltrechè in concreto dell’evento dannoso ad una condotta della P.A. omissiva o commissiva che sia .
Rimane da verificare e accertare l’esistenza dell’altro requisito, quello della colpevolezza, che l’amministrazione appellante ritiene non possa configurarsi a suo carico, posto che quanto accaduto deve farsi rientrare a suo avviso nella ipotesi di errore scusabile.
A parte la genericità di non meglio esplicitate e del tutto apodittiche argomentazioni ( pretesa prevalenza dell’interesse pubblico ) le ragioni opposte sono del tutto inidonee a riconoscere al Comune il c.d. errore scusabile: invero, i fatti che hanno connotato il procedimento di gestione e definizione della domanda di concessione edilizia delle sigg.re Imbroda rivelano un atteggiamento del tutto ingiustificato dell’Autorità comunale con la violazione in modo marcato dei canoni di buon andamento e imparzialità dell’azione della P.A di cui all’art.97 Cost. tali da rivelare una condotta colposa, direttamente ascrivibile al Comune e produttivo di un danno ingiusto meritevole di essere risarcito.
In particolare per effetto dell’illegittimo diniego, il titolo abilitativo è stato rilasciato con ritardo con conseguente danno per le interessate in ordine alla mancata possibilità di esercitare nei tempi debiti il relativo jus aedificandi.
Quanto sopra evidenzia la non fondatezza delle censure dirette ad escludere in radice la sussistenza in capo alle appellate di un diritto al risarcimento per illegittima azione amministrativa esercitata dall’Amministrazione comunale sub specie del danno da ritardo che , com’è noto, si fa comunque rientrare nella categoria del danno extracontrattuale di cui all’art.2043 codice civile.
Non merita poi condivisione l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento sollevata col secondo mezzo di appello.
Vero è che il danno qui in rilievo sussumibile sub specie di danno da ritardo è collegato responsabilità da atto illecito ai sensi dell’art.2043 già citato e quindi trova applicazione il termine di prescrizione quinquennale ma la norma di cui all’art.2947 c.c. deve essere posta in correlazione con la disposizione di cui all’art.2935 c.c. secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere .
Ora l’azione di risarcimento per danni da ritardo è subordinata al requisito all’esito positivo della domanda di concessione del titolo ad aedificandum con un provvedimento favorevole al richiedente secondo quanto sancito da questo Consiglio di Stato ( vedi Ad. Pl. 15 settembre 2005 n.7).
Secondo questa prospettazione il danno de quo viene identificato nel non aver potuto l’istante beneficiare dell’utilità connessa al bene della vita richiesta nel tempo intercorrente tra il momento in cui il provvedimento avrebbe dovuto essere rilasciato e il momento in cui invece il rilascio è effettivamente intervenuto.
Ma se così è, il termine di cui all’art. 2935 codice civile va agganciato al venir meno della cause giuridiche che hanno impedito l’esercizio del diritto, coincidente con la sentenza n.392 del 10 luglio 1998 di accoglimento del ricorso per l’esecuzione del giudicato che tale diritto ha reso in concreto esercitabile e quindi tempestiva è l’actio damni fatta valere dalle interessate.
Fondate invece si rivelano le censure di cui al terzo motivo d’impugnazione rivolte avverso la quantificazione del danno risarcibile formulata dal T limitatamente però alla voce di danno costituita dal mancato utile per la mancata locazione del bene ( oltre alla svalutazione ed interressi legali sui canoni non percepiti ).
Relativamente a tale presunto danno, manca del tutto il presupposto oggettivo costituito dalla prova di detto pregiudizio ( mancata locazione ), sicchè né può essere invocata né riconosciuta una riparazione patrimoniale per il titolo in questione peraltro liquidata in via equitativa.
Occorre convenire con la tesi dell’appellante della non sussistenza di detto pregiudizio ove si consideri che alcun principio di prova è stato offerto in ordine all’”appetibilità “dell’immobile de quo ai fini locativi , alla esistenza di specifiche richieste di locazione o comunque di trattative dirette a cedere i locali in questione in affitto a terzi soggetti.
Sul punto, in assenza di elementi probatori , non è possibile seguire l’iter argomentativo fatto valere da giudice di prime cure, ancorato a tesi del tutto ipotetiche che non possono trovare ingresso in tema di riconoscimento del diritto al risarcimento del danno derivante da lesione di una posizione giuridica soggettiva di tipo pretensivo abbisognevole di un giudizio prognostico di conseguimento del bene della vita basato però su dati certi e provati, il che quanto alla voce di danno qui in rilievo non appare riscontrabile.
I danni riconosciuti per mancato incameramento di canoni di locazione non possono quindi essere riconosciuti e in tale parte la sentenza va riformata.
Diverso discorso invece merita il riconosciuto danno da ritardo per il pregiudizio derivante dall’aumento del costo globale di costruzione dei fabbricati che alla luce delle osservazioni di fatto e di dritto rilevate dallo stesso T ( e qui, come sopra evidenziato pienamente condivisibili) risulta di conseguenza correttamente accertato in favore delle appellate e altrettanto correttamente quantificato.
Conclusivamente, l’appello va accolto nei sensi e limiti sopra esposti, mentre per la restante parte va respinto.
Ogni altro motivo di gravame pure fatto valere è da considerarsi assorbito e comunque inidoneo a giustificare il mutamento delle qui rese osservazioni e prese conclusioni.
Quanto alle spese del doppio grado del giudizio le stesse tenuto conto della parziale reciproca soccombenza possono essere compensate tra le parti