Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-03-04, n. 202101857

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-03-04, n. 202101857
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202101857
Data del deposito : 4 marzo 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/03/2021

N. 01857/2021REG.PROV.COLL.

N. 09408/2019 REG.RIC.

N. 09814/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9408 del 2019, proposto da
ITALGEST S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati R B, M R, G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio G C in Roma, via Cicerone n. 44;

contro

COMUNE DI PERUGIA, in persona del Sindaco rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato L Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Stefania Pazzaglia in Roma, piazza dell’Orologio, T;



sul ricorso numero di registro generale 9814 del 2019, proposto da
ANTONELLA ALUNNI GAGGIOLI, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Calculli, Francesco Sinante Colucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Paolo Botzios in Roma, via Cicerone n. 49;

contro

COMUNE DI PERUGIA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato L Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Stefania Pazzaglia in Roma, piazza dell’Orologio, T;

nei confronti

ITALGEST S.R.L., non costituita in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 9408 del 2019, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria n. 483 del 2019;

quanto al ricorso n. 9814 del 2019, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria n. 483 del 2019;


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Perugia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2021 il Cons. D S;

L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1 del decreto- legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25, comma 2 del decreto- legge n. 137 del 28 ottobre 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia amministrativa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.‒I fatti principali, utili ai fini del decidere, sono i seguenti:

- in forza delle concessioni edilizie n. 986 dell’11 giugno 1998 e n. 148 del 26 gennaio 1999, la Italgest s.r.l. (di seguito: la “Società”) realizzava nel 2000 su terreni siti in Perugia, alla via Col di Tenda, con destinazione urbanistica a zona FD «aree per parchi urbani e territoriali», un impianto sportivo comprendenti locali di servizio ed alloggio del custode identificato con la dicitura «zona per il personale»;

- a seguito di istanza n. prot. 6562 del 27 gennaio 2000, il Comune di Perugia rilasciava il certificato di abitabilità n. 129 dell’8 maggio 2000, nel quale l’immobile veniva descritto come composto da «Piano terra: Impianti sportivi con locali di servizio e n. 1 alloggio»;

- l’anzidetto immobile veniva poi venduto, nel gennaio del 2001, alla signora A G, costituendo contestualmente a favore del signor L B un diritto di abitazione;

- sennonché, con ordinanza n. 23 del 7 novembre 2018, il Comune di Perugia ordinava alla Società, in qualità di committente e esecutore materiale, alla signora A G Antonella, in qualità di attuale proprietaria, e al signor B L, titolare del diritto di abitazione, di rimuovere le seguenti opere realizzate in difformità rispetto ai titoli abilitativi rilasciati: i) un fabbricato con destinazione d’uso residenziale, in contrasto con la zonizzazione dello strumento urbanistico e difforme rispetto al titolo edilizio che autorizzava un impianto sportivo composto da locali di servizio e alloggio del custode;
ii) una tettoia di circa 30 mq con copertura in pendenza ad un’unica falda, altezza media di circa 3,10 ml ed ulteriori pilastrini di sostegno sui tre lati liberi in aggiunta a quelli previsti sugli spigoli, difforme rispetto al titolo edilizio che autorizzava un pergolato in legno;
iii) una tettoia posta a ricovero dei mezzi degli ospiti posta in corrispondenza del fronte del fabbricato principale, da progetto, che avrebbe dovuto avere i pilastrini a sostegno della struttura distanti 1,70 mt in senso trasversale, mentre in realtà i pilastrini risultavano essere distanti circa 2,50 ml;

- con la medesima ordinanza n. 23 del 2018, l’Amministrazione contestava anche le seguenti ulteriori opere realizzate in assenza di permesso di costruire ed autorizzazione paesaggistica: iv) una ulteriore tettoia in legno avente superficie coperta di circa 12 mq e altezza media di circa 2,20 ml;
v) una casetta in legno di circa 10 mq e altezza in gronda di 2 ml utilizzata come ripostiglio;
vi) una legnaia di circa 8 mq e altezze da 2,20 ml a circa 1,50 ml realizzata con struttura in legno e copertura con ondulina plastica;
vii) un ricovero in legno per il cane avente superficie di circa 3 mq e un'altezza in gronda di circa 2,10 ml;
viii) in prossimità dell’area del parcheggio di pertinenza, un terrazzamento del terreno tramite muretto dl contenimento in pietra avente altezza di circa 50 cm, sopra al quale era stato installato un gazebo;

- la Società e la signora Antonella A G impugnavano la predetta ordinanza, deducendo a fondamento dell’impugnativa i seguenti vizi:

a ) violazione dell’art. 139 della legge regionale n. 1 del 2015, nonché eccesso di potere sotto diversi profili e difetto di istruttoria: le opere realizzate sarebbero state conformi al progetto assentito anche per quel che concerne la destinazione d’uso, come emergerebbe dai corrispondenti titoli edilizi, nonché dal relativo certificato di agibilità;
la destinazione residenziale avrebbe dovuto attribuirsi solamente alla porzione del fabbricato corrispondente all’alloggio per il custode;
l’immobile, realizzato nel pieno rispetto del relativo titolo edilizio, troverebbe la propria legittimazione nell’art. 167 delle norme di attuazione che consentirebbe in tali zone la realizzazione di un alloggio del custode, così come peraltro pacificamente ammesso e riconosciuto dalla stessa ordinanza di rimessione in pristino;

b ) difetto di motivazione, in quanto il contestato mutamento di destinazione d’uso non avrebbe potuto essere dedotto da ciò che risultava da un atto di compravendita, essendo onere dell’Amministrazione porre a fondamento dell’ordine di rimessione in pristino l’esplicitazione delle opere poste in essere per realizzare lo specifico abuso così come individuato, mentre nella specie ciò era palesemente mancato;

c ) violazione dell’art. 145, della legge regionale n. 1 del 2015 e dell’art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001, poiché la sanzione del ripristino materiale della destinazione asseritamente violata avrebbe potuto applicarsi solo qualora fossero posti in essere “interventi” od “opere” da rimuovere;

d ) violazione dell’art. 23- ter del d.P.R. n. 380 del 2001, poiché un mutamento di destinazione senza opere avrebbe potuto essere sanzionato solo nel caso in cui l’asserito uso diverso si fosse riferito alla maggior parte della superficie utile del manufatto, mentre nella fattispecie il Comune di Perugia non avrebbe svolto alcun accertamento su tale aspetto;

e ) violazione dei principi di tassatività e nominatività delle sanzioni amministrative, giacché il Comune di Perugia avrebbe di fatto applicato una sanzione del tutto atipica.

2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria, con sentenza n. 483 del 2019, dichiarava il ricorso in parte improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse (in relazione agli interventi minori per i quali era stata avanzata dalla signora Gaggioli richiesta di compatibilità paesaggistica, e segnatamente con riguardo: alla modifica della sagoma del pergolato posto in aderenza all’edificio principale;
alla tettoia posta in prossimità della piscina;
alla realizzazione di un ripostiglio), mentre nella restante parte lo respingeva nel merito.

3.‒ Avverso la predetta sentenza hanno proposto separatamente appello, sia la Società, sia la signora A G Antonella, riproponendo nella sostanza i motivi di impugnazione già sollevati in primo grado, sia pure adattati all’impianto motivazione della sentenza appellata.

4.‒ Si è costituita in giudizio il Comune di Perugia, insistendo per l’integrale rigetto del gravame.

5.‒ All’odierna udienza del giorno 11 febbraio 2021, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.‒ In via preliminare, va disposta la riunione degli appelli in epigrafe, avendo gli stessi ad oggetto la medesima sentenza di primo grado, nonché in considerazione della sostanziale sovrapponibilità delle censure sollevate.

2.‒ Il provvedimento del Comune di Perugia n. 23 del 7 novembre 2018, recante l’ordine di rimozione di alcuni illeciti edilizi realizzati in Perugia, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico-ambientale e classificata dallo strumento urbanistico come «aree per parchi urbani e territoriali», contempla due ordine di abusi: i) il mutamento di destinazione d’uso dell’edificio principale, da alloggio del custode e servizi a civile abitazione;
ii) la posa in opera di abusi minori quali pergolati, tettoie, terrazzamenti ed altro.

I motivi di appello attengono soltanto ai capi di sentenza relativi al mutamento di destinazione d’uso da locali di servizio e alloggio del custode a civile abitazione di un fabbricato elevato per un solo piano.

In relazione agli abusi minori, la statuizione di improcedibilità della sentenza di primo grado è dunque passata in giudicato (lo stesso appellante, nella memoria, aderisce afferma che «i descritti oggetti sono oramai esterni al giudizio e privi di procedibilità», tenuto conto che, nelle more, è stata adottata l’accertamento di compatibilità paesaggistica n. 278 del 29 luglio 2019).

3.‒ L’appello è infondato.

3.1.‒ La disciplina statale dei mutamenti di destinazione d’uso degli edifici e delle unità immobiliari, identificandone le tipologie, individuando i relativi titoli abilitativi richiesti e le connesse sanzioni, contiene principi fondamentali della materia edilizia (cfr. la sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 2018).

L’art. 23- ter del d.P.R. n. 380 del 2001 ‒ inserito dall’art. 17, comma 1, lettera n), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164, con l’obiettivo di uniformare le differenti normative regionali e semplificare l’applicazione della disciplina anche nel segno della liberalizzazione ‒ ha definito come «mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale».

La medesima disposizione ha inoltre identificato cinque categorie funzionali così qualificate: a) residenziale;
a-bis) turistico-ricettiva;
b) produttiva e direzionale;
c) commerciale;
d) rurale. Ha poi disposto che «[s]alva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito» (comma 3).

Ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001, il mutamento di destinazione d’uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, ove realizzato senza permesso di costruire, è sanzionabile con la misura ripristinatoria (similmente dispone l’art. 139, comma 1, lettera a), della legge della Regione Umbria n. 1 del 2015, secondo cui «il mutamento della destinazione d’uso assentita che risulti in contrasto con la disciplina urbanistica» costituisce variazione essenziale rispetto al titolo assentito).

3.2.‒ Nel caso di specie, il passaggio da una destinazione a “servizi” di carattere privato a una destinazione prevalentemente residenziale configura:

i) da un lato, un abuso formale, stante la difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato: la concessione edilizia n. 148 del 1999 ha infatti per oggetto «un progetto per la realizzazione di un impianto sportivo», conformemente alle planimetrie che ritraggono un impianto natatorio, un campo da tennis ed una “club house” con spazi interni destinati a spogliatoi, servizi igienici, bar, sala ristoro e alcuni, esigui, vani per il personale di servizio;

ii) dall’altro, un abuso sostanziale, stante il contrasto con la zonizzazione dell’area: l’art. 167 delle norme tecniche di attuazione consente, nelle zone classificate «parchi urbani e territoriali» (quale quella per cui è causa), la sola «realizzazione di parchi con attrezzature, di dimensioni ed uso non rilevanti, per il gioco, per attività ricreative ed aggregative, per lo sport […] con i relativi servizi di supporto, ivi compresi i locali per il ristoro e parcheggi».

L’accertamento istruttorio compiuto dall’Amministrazione (cfr. in particolare l’allegato 5 al fascicolo digitale di primo grado) contiene elementi sufficienti per ritenere che l’intero immobile è stato adibito a scopi residenziali non compatibili con quelli assentiti.

Depone in tal senso il contenuto univoco delle allegazioni fotografiche, da cui emerge che la struttura non è stata affatto adibita alla prevista destinazione sportivo/ricreativa, bensì a civile abitazione anche con riguardo agli ambienti che dovevamo essere destinati a supporto del detto impianto sportivo (ad esempio, la cucina e la sala del ristorante).

Corrobora tale assunto il contratto di compravendita in atti, dove si legge che la Società dante causa, ha alienato l’intero complesso immobiliare, comprensivo di «un fabbricato di civile abitazione, elevato di solo piano terra, con annessa corte pertinenziale della superficie catastale, comprendente il sedime del fabbricato, di mq. 2.736», costituendo per di più un diritto di abitazione in favore del signor L B, e senza fare alcuna menzione dell’impianto sportivo. Si attesta soltanto la presenza della piscina e dei locali annessi, al fine di specificare che non sono gravati dal diritto di abitazione.

3.3.‒ È dirimente considerare che gli appellanti non hanno offerto alcuna prova del carattere strumentale del fabbricato per cui è causa rispetto allo svolgimento di attività sportivo/ricreative. A tale nesso di necessaria strumentalità dovevano ritenersi avvinti anche i vani riservati al personale di servizio. In tal senso, non coglie nel segno l’affermazione secondo la quale l’appellante Gaggioli avrebbe occupato solo la porzione di immobile già destinata ad ambienti di servizio.

3.4.‒ Come correttamente affermato dal giudice di primo grado, il certificato di abitabilità non è invocabile al fine di provare la rispondenza delle opere al progetto approvato, essendo tale atto volto alla sola verifica degli aspetti igienico-sanitari, senza precludere all’Amministrazione di potere contestare successivamente eventuali difformità urbanistiche ed edilizie.

3.5.‒ Quanto all’invocato difetto di motivazione, è sufficiente ricordare che, avendo l’attività di repressione degli abusi edilizi carattere vincolato, l’ordinanza di demolizione è adeguatamente motivata attraverso la descrizione delle opere abusive e la constatazione delle ragioni giuridiche della loro abusività.

4.‒ La liquidazione delle spese del secondo grado di lite segue la soccombenza secondo la regola generale.

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