Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-02-19, n. 201300996

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-02-19, n. 201300996
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201300996
Data del deposito : 19 febbraio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04762/2003 REG.RIC.

N. 00996/2013REG.PROV.COLL.

N. 04762/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4762 del 2003, proposto da:
Gestione liquidatoria dell’A.S.L. n. 11 della Regione Calabria, già U.S.L. n. 30 di Melito Porto Salvo, rappresentata e difesa dall'avv. G M, con domicilio eletto presso l’avv. Giulia Scanzani in Roma, via Schopenhauer n. 53;

contro

R F, rappresentato e difeso dall'avv. I L Gotti, con domicilio eletto da ultimo presso l’avv. Luigi Onda in Roma, viale Carso n. 18;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 01699/2002, resa tra le parti, concernente pagamento prestazioni lavorative effettuate a titolo di straordinario


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’appello incidentale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2013 il Cons. Angelica Dell'Utri e uditi per le parti gli avvocati Morabito e Onda su delega di Li Gotti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso proposto davanti al TAR per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, il dott. Francesco R, esposto di essere medico specialista in medicina del lavoro già in servizio presso l’Ente ospedaliero “T E” di Melito Porto Salvo, poi USL n. 30 della Regione Calabria, assegnato dal 1° novembre 1975 al 30 marzo 1984 a prestare servizio presso lo stabilimento Liquichimica Biosintesi di Saline Joniche per due ore giornaliere, poi quattro dal 1° aprile 1976, rivendicava il proprio diritto al pagamento delle relative prestazioni lavorative, effettuate al di fuori dell’ordinario orario di lavoro e quindi a titolo di straordinario, pari a 8.249 ore, nonché delle relative trasferte, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Con sentenza 21 novembre 2002 n. 1699, notificata il 6 marzo 2003 all’ASL n. 11, Gestione liquidatoria della soppressa USL n. 30, il TAR accoglieva in parte il ricorso, riconoscendo il diritto del ricorrente alla corresponsione del solo compenso per lavoro straordinario ed unicamente fino all’11 aprile 1980, quando lo stabilimento fu chiuso, con collocamento del personale in cassa integrazione guadagni a “zero ore”.

Con atto notificato il 2 maggio 2003 e depositato martedì 3 giugno seguente la Gestione liquidatoria ha appellato l’anzidetta sentenza deducendo:

1.- omessa considerazione dell’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2948, co. 4, cod. civ., sollevata nella considerazione che, senza aver compiuto atti interruttivi, solo nel 1985 il dott. R ha adito il giudice ordinario e solo nel 1992, dopo che questi aveva dichiarato il difetto di giurisdizione, ha proposto ricorso al TAR;

2.- non compete all’interessato alcuna somma a titolo di lavoro straordinario, dal momento che non v’è alcun atto deliberativo che abbia autorizzato il dott. R a svolgere prestazioni di lavoro straordinario.

Con atto notificato i giorni 21 e 24 maggio 2003 e depositato il 17 giugno seguente il dott. R ha svolto controdeduzioni e proposto, a sua volta, appello incidentale, col quale ha contestato la pronunzia del primo giudice nella parte in cui ha limitato all’11 aprile 1980 il riconoscimento della dovutezza del compenso per lavoro straordinario;
tanto senza tener conto delle certificazioni e della documentazione fornita, da cui risulterebbe che egli ha continuato le proprie prestazioni anche dopo la chiusura formale dello stabilimento, stante la presenza in servizio di numerosi lavoratori ancorché senza concreta attività lavorativa, sino al 31 dicembre 1983.

In data 11 gennaio 2013 l’appellante principale ha prodotto memoria.

All’udienza pubblica del 25 gennaio 2013 la causa è passata in decisione.

Va, preliminarmente, dichiarata tardiva ed inammissibile la memoria prodotta dall’appellante principale in data 11 gennaio 2013, in violazione della scansione dei termini per il compimento delle attività difensive prefigurato dall'art. 73 c.p.a. ( trenta giorni liberi prima dell’udienza per il deposito di memorie ), il cui superamento non è consentito per le ragioni d’ordine pubblico processuale cui è informata tale disposizione ( cfr. C.d.S., sez. V, sentenza 7 novembre 2012, n. 5649;
da ultimo, Cons. St., sez. V, 28 dicembre 2012, n. 6690 ).

Ciò posto, la Sezione ritiene infondato il primo motivo dell’appello principale.

Dagli atti di causa risulta infatti che il dott. R ha di volta in volta compiuto atti idonei ad interrompere la prescrizione quinquennale.

Più precisamente, con lettera datata 2 giugno 1979, registrata al protocollo dell’USL al n. 1316 nella stessa data, ha chiesto la liquidazione delle “ore di straordinario espletate dall’1.11.1975 con accessori”;
analoga richiesta ha avanzato con lettera datata 12 marzo 1984, pervenuta all’USL il 15 seguente (come dichiarato dalla medesima USL davanti al Pretore: cfr. pag. 5 della sentenza n. 66/88), assegnando all’Amministrazione termine per provvedere e preavvertendo dell’intento di adire la via giudiziale;
il 1° marzo 1985 ha proposto ricorso davanti al Pretore di Melito Porto Salvo in funzione di giudice del lavoro;
dopo che quest’ultimo si è dichiarato privo di giurisdizione, con lettera del legale datata 22 marzo 1989, inviata a mezzo raccomandata (la cui ricevuta in data 23 seguente è utile a costituire prova certa della spedizione, nonché presunzione di arrivo dell’atto e sua conoscenza anche in mancanza di avviso di ricevimento, in assenza, come nel caso di specie, di prova contraria da parte del destinatario quale, ad esempio, sollecitazione di accertamenti presso le Poste tali da verificare l’assunta mancata ricezione: cfr., da ultimo, Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2011, n. 13488), ha reiterato la richiesta per le somme indicate nel ricorso al Pretore, con interessi e rivalutazione, proponendo peraltro un accordo transattivo;
infine, nell’anno 1992 ha presentato ricorso al TAR.

E’ invece parzialmente fondato il secondo motivo dell’appello principale.

Nell’adempiere, con lettera 5 settembre 2002 n. 1781/DS alla ordinanza istruttoria 24 luglio 2002 n. 638 del TAR, l’ASL ha rimesso in allegato, tra l’altro, la nota in data 21 giugno 1976 del direttore sanitario dell’Ospedale civile “T E”, diretta al dott. R e, per conoscenza, al presidente dell’Ente ed al primario dei servizi di pronto soccorso ( ai quali il dott. R era assegnato in qualità di assistente medico a tempo parziale), con la quale si comunica all’interessato che dovrà prestare servizio presso lo stabilimento di Saline Joniche per quattro ore e per un’ora presso l’Ospedale, con l’avvertenza che “Il Sig. Primario, nel predisporre l’orario, terrà conto della presente disposizione e soprattutto provvederà a farLe recuperare eventuali ore di lavoro prestate in più in Ospedale”.

Appare quindi evidente che inizialmente (e fino al 16 luglio 1976, come sarà poi precisato) il dott. R è stato, sì, incaricato di espletare servizio presso l’ambulatorio aziendale del predetto stabilimento, ma non è stato previamente autorizzato a svolgere l’incarico oltre il normale orario di servizio, anzi l’Amministrazione ha espressamente disposto che le relative prestazioni avvenissero nell’ambito delle cinque ore giornaliere di lavoro ordinario, oltretutto con recupero nel caso in cui per il pregresso fosse stata svolta attività ospedaliera in eccesso rispetto alle medesime cinque ore giornaliere.

Ne deriva che per tale periodo, quand’anche in realtà il servizio in questione fosse stato svolto in aggiunta al servizio ordinario (come peraltro dà atto il direttore sanitario nella deliberazione consiliare 27 marzo 1976 n. 99), manca comunque il presupposto indefettibile per la retribuibilità del lavoro straordinario, appunto costituito dalla previa autorizzazione formale, della cui esistenza il dott. R non ha fornito prova alcuna.

E’ noto invero come, nell'ambito del rapporto di pubblico impiego, la circostanza che il dipendente abbia effettuato prestazioni eccedenti l'orario d'obbligo non sia da sola sufficiente a radicare il suo diritto alla retribuzione e l'obbligo dell'amministrazione di corrisponderla;
ciò dal momento che, altrimenti, si determinerebbe l'equiparazione del lavoro straordinario autorizzato con quello per il quale non è intervenuto alcun provvedimento autorizzativo, compensando attività lavorative svolte in via di fatto, ma non rispondenti ad alcuna riconosciuta necessità, mentre invece la retribuibilità del lavoro straordinario è in via di principio condizionata all'esistenza di una formale autorizzazione allo svolgimento di prestazioni eccedenti l'ordinario orario di lavoro, la quale svolge una pluralità di funzioni, tutte riferibili alla concreta attuazione dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, cui, ai sensi dell'art. 97 cost., deve essere improntata l'azione della p.a.;
solo in via eccezionale si consente l'espletamento di esso senza preventiva autorizzazione in caso di improcrastinabili esigenze di servizio, purché intervenga autorizzazione postuma a sanatoria (cfr., tra le più recenti, Cons. St., sez. VI, 9 dicembre 2010, n. 8626).

Diversamente è per il periodo successivo, a partire dal 16 luglio 1976, relativamente al quale detta autorizzazione deve ritenersi sussistente.

Invero, in allegato alla citata lettera 5 settembre 2002 n. 1781, l’ASL ha altresì rimesso al TAR la nota datata 16 luglio 1976 a firma del direttore sanitario, diretta all’interessato e, per conoscenza, al presidente dell’Ente, al primario del servizio di pronto soccorso ed accettazione, al direttore amministrativo ed alle organizzazioni sindacali, con la quale si comunica al dott. R che “Il Consiglio di Amministrazione, nell’ultima tornata, ha deliberato nel senso che la S.V. completi per intero presso l’Ospedale il suo servizio di assistente a tempo definito”, precisandosi che “la presente disposizione ha valore subito”.

Pur nella mancanza in atti della deliberazione consiliare alla quale ivi si fa riferimento, tale nota costituisce univoco indizio della sua esistenza, peraltro confermata nella successiva nota del medesimo direttore sanitario datata 18 maggio 1977, con cui, nel corrispondere alla segnalazione di carenze d’organico del primario del servizio anzidetto, si afferma che il dott. R “è tenuto a prestare (…) il normale orario quotidiano di 5 ore (30 ore settimanali) in Ospedale più 4 ore di straordinario presso la Fabbrica Liquichimica”.

Infine, non risulta l’emissione di successivi atti di ritiro o modifica di siffatta autorizzazione.

Pertanto, deve darsi per provata l’esistenza di specifica autorizzazione alla prestazione di lavoro straordinario per il periodo dal 16 luglio 1976 all’11 aprile 1980, sicché, limitatamente a tale periodo, la sentenza appellata va confermata, mentre va riformata per il periodo precedente ( 1° novembre 1975/15 luglio 1976 ), per il quale nulla spetta all’interessato a titolo di compenso per lavoro straordinario..

Viene ora in esame l’appello incidentale, il quale, benché depositato oltre il termine di dieci giorni stabilito dall’art. 37, co. 3, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato approvato con r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 (richiamato dall’art. 29, co. 1, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis ), deve ritenersi ammissibile in quanto appello incidentale improprio o autonomo, investendo un capo (quello con cui il TAR ha escluso per il periodo dall’11 aprile 1980 la sussistenza del diritto del ricorrente a percepire il compenso per lavoro straordinario) della sentenza appellata in via principale diverso ed a sua volta autonomo rispetto a quello (declaratoria della sussistenza del predetto diritto dal 1° novembre 1975 all’11 aprile 1980) contestato dalla Gestione liquidatoria;
ne deriva che al deposito anche di tale gravame (notificato entro il termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ. in carenza di notifica della sentenza nei confronti del ricorrente) si applica il termine ordinario di trenta giorni previsto per l’appello principale dall’art. 36, co. 4, dello citato testo unico.

Tuttavia nel merito il medesimo gravame è infondato.

Il dott. R invoca infatti a sostegno della propria pretesa il certificato di servizio datato 12 dicembre 1990 a firma del coordinatore amministrativo e del presidente dell’USL n. 30, laddove in esso si attesta che il sanitario “ha prestato la sua opera nel Servizio aziendale di Medicina del Lavoro presso lo Stabilimento Liquichimica di Saline Joniche (RC) in qualità di Medico del Lavoro, dall’1.11.75 al 31.12.83”.

Per l’epoca del rilascio, nonché tenuto conto che nella ripetuta lettera del 5 settembre 2002 si dichiara che “Per quanto attiene all’attività ambulatoriale espletata presso lo stabilimento di Saline Joniche, questa Direzione Sanitaria non è in possesso di documentazione relativa all’orario svolto dallo stesso sanitario”, il predetto certificato non può che essere inteso nel senso dell’attestazione del mantenimento da parte del dott. R dell’incarico fino al 31 dicembre 1983, ma non dimostra che, dopo la chiusura dello stabilimento con collocazione dei dipendenti in cassa integrazione a zero ore, egli abbia continuato a prestare le proprie cure ai dipendenti stessi presso il medesimo stabilimento, tanto meno quotidianamente e per quattro ore.

Tant’è che, come documentato in primo grado dallo stesso ricorrente (allegati nn. 9, 10 e 11 all’atto introduttivo), successivamente alla chiusura dello stabilimento, pur essendo incluso tra i compiti attribuiti al sanitario in forza della convenzione tra l’Ente ospedaliero “T E” e Liquichimica stipulata il 23 ottobre 1975 quello di espletare “visite per la valutazione dell’idoneità al lavoro quando richieste dal lavoratore interessato o dall’Azienda”, la Liquichimica ha chiesto all’USL n. 30 di sottoporre a controllo dell’idoneità fisica due propri dipendenti (l’uno addetto alla tutela del patrimonio aziendale quale guardia giurata, l’altro addetto alle pulizie) presso la stessa USL (il controllo è stato poi svolto appunto presso quel poliambulatorio) anziché presso l’infermeria dello stabilimento.

Né, evidentemente, depone in senso contrario copia del testo di un telegramma con mittente Liquichimica redatto sull’apposito modulo (all. n. 6 all’atto introduttivo, con il quale si dava conferma all’Ospedale che l’interessato aveva svolto i previsti servizi), privo, a quanto è dato leggervi, di data e di ogni altro elemento relativo alla provenienza ed all’accettazione del telegramma da parte dell’ufficio postale.

In definitiva, deve ritenersi che il dott. R non abbia fornito prova del fondamentale presupposto del diritto rivendicato per il periodo in questione.

Conclusivamente, per le svolte considerazioni, dev’essere parzialmente accolto l’appello principale, mentre va respinto l’appello incidentale.

Tuttavia la peculiarità della vicenda, in uno con l’esito complessivo della controversia e la sua annosità, consigliano il mantenimento anche in questa sede della statuizione di primo grado in ordine alla compensazione tra le parti delle spese di causa.

Inoltre, tenuto conto del fatto che la P.A. risulta aver messo a disposizione di un’impresa privata un proprio dipendente per l’espletamento di servizi incombenti sull’imprenditore il cui costo è stato invece fatto gravare sul bilancio dell’Ente, pare ipotizzabile un danno erariale, sì che, al fine dei relativi, eventuali individuazione ed accertamento, si impone la trasmissione della presente sentenza, nonché degli atti del giudizio, alla Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti della Calabria.

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