Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-05-03, n. 202304495

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-05-03, n. 202304495
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202304495
Data del deposito : 3 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/05/2023

N. 04495/2023REG.PROV.COLL.

N. 09079/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9079 del 2018, proposto da G P, rappresentato e difeso dall'avvocato M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Stefania Terracciano in Roma, piazza San Bernardo 101;

contro

Comune di Napoli in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A A, A C, F M F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Luca Leone in Roma, via Appennini 46;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quarta) n. 02241/2018, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria del giorno 22 marzo 2023 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le conclusioni delle parti come in atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con sentenza n. 2241/2018, il T.A.R. della Campania ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante per l’annullamento dell’ordinanza n. 2214 del 17 dicembre 2003 con cui il Comune di Napoli ha ingiunto, ai sensi dell’art. 33 d.P.R. 380/2001 (T.U. in materia di edilizia) la demolizione di talune opere eseguite in Parco Grifeo 29.

Il ricorrente in primo grado ha impugnato l’indicata sentenza con ricorso in appello.

Si è costituito in giudizio, per resistere al ricorso, il Comune di Napoli.

2. I primi due motivi di appello contestano il capo della sentenza gravata che ha rigettato la censura relativa alla pretesa illegittimità del provvedimento demolitorio adottato in pendenza della domanda di sanatoria (primo motivo), e comunque “ senza una preventiva valutazione della sanabilità delle opere ” (secondo motivo).

Il Comune di Napoli, con affermazione rimasta incontestata, ha rilevato in memoria che “ non risulta presentata domanda di condono, contrariamente a quanto ha affermato controparte, né la stessa ha versato in atti copia dell'ipotetica istanza di condono. È pacifico, infatti, che non sussista alcun obbligo fissato dalla normativa vigente che imponga alla P.A. una preventiva valutazione circa l'eventuale illegittimità meramente formale, astenendosi eventualmente dal sanzionare l'abuso, essendo onere della parte interessata prospettarla mediante debita presentazione di apposita ed idonea istanza di accertamento di conformità ”.

Le censure sono pertanto infondate: anche in considerazione del fatto che l’appellante non ha ulteriormente comprovato il presupposto delle stesse, né ha replicato al superiore rilievo della parte appellata.

Quanto, in particolare, al secondo motivo, per consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (da ultimo, sentenza n. 1584/2023), l'eventuale sanabilità delle opere, rivendicata dal ricorrente, è comunque subordinata alla presentazione della domanda d'accertamento di conformità: che nel caso di specie, come detto, risulta non documentata dal ricorrente.

3. Il terzo ed il quarto motivo ripropongono le censure relative alla motivazione del provvedimento impugnato in primo grado.

3.1. Il terzo motivo di appello contesta la sentenza del T.A.R. nella parte in cui ha “erroneamente ritenuto infondato il motivo di gravame, incentrato sul difetto di motivazione del provvedimento di demolizione, sul presupposto che quest’ultimo risulterebbe compiutamente motivato sotto il profilo dell’interesse pubblico, ravvisando quest’ultimo “ in re ipsa ” ovvero nell' abusività dell’opera realizzata”.

3.2. Il quarto motivo contesta il capo di sentenza che ha “ ritenuto infondato il motivo di ricorso incentrato sul difetto di motivazione e sulla mancata messa a disposizione dell'appellante degli atti istruttori richiamati nel provvedimento impugnato (violazione art. 3, comma 3 L. 241/90) affermando che la mancata allegazione di questi ultimi non rileva in termini di carenza motivazionale ”.

3.3. Nel senso dell’infondatezza di tali censure appare dirimente la conclusione dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 9/2017, secondo la quale il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino.

4. Il quinto motivo deduce “ l’error in judicando commesso dal Giudice di Prime Cure, che nel determinarsi negativamente sulla impugnativa proposta dall’appellante ha ritenuto non viziato il provvedimento di demolizione per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento ex art. 7 L. 241/90, perché trattasi di provvedimento avente natura strettamente vincolata ”.

Il mezzo è manifestamente infondato alla luce della pacifica e consolidata giurisprudenza sul punto ( ex multis , Consiglio di Stato sez. VI, 11/05/2022, n.3707: “ L'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso ”.

5. L’appellante ha inoltre riproposto tutti i motivi del ricorso di primo grado.

Questo risultano però infondati alla luce delle condivisibili motivazioni della sentenza del T.A.R., non superate dagli esaminati motivi di appello.

La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5.1.2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12.12.2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22.3.1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16.5.2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.1.2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

6. L’infondatezza dei motivi di appello, e dei corrispondenti motivi del ricorso di primo grado qui riproposti, determina il rigetto del gravame.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.

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