Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-03-19, n. 201501411

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-03-19, n. 201501411
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201501411
Data del deposito : 19 marzo 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05458/2012 REG.RIC.

N. 01411/2015REG.PROV.COLL.

N. 05458/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5458 del 2012, proposto dalle dottoresse D D A e P M, rappresentate e difese dagli avvocati P S e A V, con domicilio eletto presso Chiara Lieto in Roma, Via Salento, n. 73

contro

Ministero dell'istruzione dell’università e della ricerca – Ufficio scolastico regionale per l’Abruzzo, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

nei confronti di

G O, C F, N D G e F D S

per la riforma della sentenza del T.A.R. dell’Abruzzo, Sezione I, n. 25/2012


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'istruzione dell’università e della ricerca e dell’Ufficio scolastico regionale per l’Abruzzo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 febbraio 2015 il Cons. C C e uditi per le parti l’avvocato Vasile e l’avvocato dello Stato Stigliano Messuti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. dell’Abruzzo e recante il n. 188/2006 le dottoresse D D A e P M, premesso di aver partecipato senza successo al corso-concorso selettivo di formazione per il reclutamento di dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale in data 22 novembre 2004, impugnavano dinanzi a quel Tribunale amministrativo:

- (con il ricorso principale,) il provvedimento dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Abruzzo in data 7 febbraio 2006 con il quale, in relazione al corso-concorso in questione, era stata disposta la pubblicazione degli elenchi dei candidati ammessi alle prove orali;

- (con i primi motivi aggiunti,) tutti gli atti della procedura concorsuale successivi al bando, ivi compresi il provvedimento in data 1° aprile 2005 di nomina della Commissione esaminatrice e tutti i relativi verbali, ivi comprese la determinazione delle modalità di valutazione di dette prove e di assegnazione dei punteggi (verbale del 4 ottobre 2005);

- (con i secondi motivi aggiunti,) il provvedimento direttoriale del 13 luglio 2007 di approvazione delle graduatorie generali di merito e il successivo provvedimento del 6 agosto 2007 di nomina dei vincitori.

Con il ricorso di primo grado le dottoresse D A e M avevano lamentato plurime illegittimità che avrebbero caratterizzato le operazioni concorsuali (e, in particolare, avevano censurato numerose violazioni delle previsioni del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 - ‘ Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi ’).

Con la sentenza in epigrafe il T.A.R. dell’Abruzzo ha respinto il ricorso ritenendolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalle dottoresse D A e M le quali ne hanno chiesto la riforma articolando i seguenti motivi di doglianza, più articolatamente descritti in parte motiva.

Si sono costituiti n giudizio il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca a l’Ufficio scolastico regionale per l’Abruzzo i quali hanno chiesto la reiezione dell’appello.

Alla pubblica udienza del 3 febbraio 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da due insegnanti che avevano partecipato – ma senza successo – alle prove per l’ammissione a un corso-concorso selettivo di formazione per il reclutamento di dirigenti scolastici avverso la sentenza del T.A.R. dell’Abruzzo con cui è stato respinto il ricorso dalle stesse proposto avverso gli esiti delle operazioni concorsuali e per l’annullamento dell’intera procedura.

2. L’appello è infondato.

2.1. Con il primo motivo di appello (rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione di norme di legge e di principi di diritto – Insufficente e/o contraddittoria motivazione ’) le appellanti chiedono la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto il motivo di ricorso con il quale si era chiesto di disporre l’annullamento degli atti della procedura stante la mancata astensione del dirigente generale dell’Ufficio Scolastico Regionale (la cui nipote aveva partecipato alla procedura selettiva, nonostante suo zio avesse proceduto a nominare la commissione – pur senza farne parte -).

In tal modo decidendo i primi Giudici avrebbero omesso di considerare l’oggettiva esistenza di una situazione di forte interesse del dirigente generale in relazione agli esiti della procedura con il conseguente sospetto di carenza in capo a lui della necessaria imparzialità e la conseguente necessità dell’astensione da parte sua.

Né tale situazione di oggettiva cointeressenza poteva risultare attenuata per il fatto che il dirigente generale in questione non facesse in effetti parte della commissione che sarebbe stata chiamata a valutare la sua nipote, essendo comunque più che verosimile il rischio della nomina di “ commissari amici e disponibili ” (ricorso in appello, pag. 30).

2.1.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

Si osserva al riguardo che, come condivisibilmente osservato dai primi Giudici, nel caso che qui ricorre, non sussisteva in capo al dirigente generale del competente Ufficio Scolastico Regionale un obbligo di astensione riconducibile alla disciplina di cui all’articolo 51 cod. proc. civ.

Vero è che, in base a un condiviso orientamento (peraltro richiamato sia dai primi Giudici sia dalle appellanti), la sussistenza di una situazione di incompatibilità tale da imporre l’obbligo di astensione deve essere valutata ex ante , in relazione agli effetti potenzialmente distorsivi che il sospetto difetto di imparzialità è idoneo a determinare in relazione alla situazione specifica.

Ma è anche vero che l’applicazione del richiamato orientamento, per la notevole portata degli effetti che esso è idoneo a sortire sull’ordinario agÄ•re amministrativo, deve essere modulata con estrema cautela in relazione alla sua portata soggettiva, onde evitare che la sussistenza dell’obbligo di astensione (con le relative conseguenze in termini di invalidazione di procedure amministrative anche di notevole portata e rilevanza) possa essere estesa a casi e fattispecie in alcun modo contemplate dalla normativa di riferimento.

Al riguardo i primi Giudici hanno condivisibilmente ritenuto che l’obbligo di astensione avrebbe – se del caso – potuto dirsi sussistente laddove il dirigente generale fosse stato egli stesso membro della commissione e non anche nel caso – che qui ricorre – in cui lo stesso si sia limitato a nominare i membri del collegio giudicante. Sotto tale aspetto, l’argomento secondo cui dietro tale nomina avrebbe potuto celarsi un comodo escamotage per orientare comunque i lavori della commissione attraverso la nomina di “ commissari amici e disponibili ” si traduce in una pura e semplice illazione piuttosto grave nei suoi assunti di fondo (in quanto rivolta in modo indimostrato verso soggetti facilmente identificabili) e comunque del tutto priva di un qualunque fumus di ordine sostanziale.

2.2. Con il secondo motivo di appello le dottoresse D A e M lamentano l’erroneità della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno respinto i motivi di ricorso con i quali si era lamentata l’illegittimità delle operazioni concorsuali per quanto riguarda:

- il mancato rispetto dell’obbligo della commissione di far constatare ai concorrenti l’integrità della chiusura dei tre plichi contenenti le tracce degli elaborati da sottoporre ai candidati;

- il mancato rispetto dell’obbligo di aprire pubblicamente (non solo la busta contenente la traccia sorteggiata, ma anche) le buste contenenti le tracce non sorteggiate.

2.2.1. Il motivo nel suo complesso è infondato.

Si osserva in primo luogo al riguardo che, come correttamente rilevato dai primi Giudici, nessuna disposizione di legge o regolamento (e, in particolare, nessuna disposizione del d.P.R. n. 487 del 1994) sancisce che, oltre alla busta contenente l’elaborato estratto, si debba anche dare pubblica lettura dei (due) elaborati non estratti.

Ora, pur dandosi atto dell’esistenza in ambito concorsuale di una prassi piuttosto diffusa volta a dare comunque pubblica lettura delle tracce non estratte, si deve comunque ritenere dirimente ai fini del decidere l’insussistenza di un obbligo di legge o di regolamento in tal senso. Ne consegue che – anche in considerazione del rigido formalismo che deve presiedere alla disciplina della materia e delle gravi conseguenze invocate dalle appellanti – non può in alcun modo accedersi alla richiesta di disporre l’annullamento in parte qua delle operazioni concorsuali per violazione di un adempimento piuttosto diffuso nella prassi, ma certamente non ascrivibile al rango di principio giuridico cogente regolatore della materia.

Ciò a tacere del fatto che dalla documentazione in atti (verbali numm. 15 e 16) risulta che la commissione abbia effettivamente proceduto a concordare e predisporre le (tre) tracce fra le quali effettuare il sorteggio e a chiuderle in pieghi suggellati e firmati esteriormente sui lembi di chiusura dai componenti della commissione e dal segretario (il tutto, in piena conformità alla previsioni di cui all’articolo 11 del d.P.R. 487 del 1994).

Per quanto riguarda, poi, l’asserita mancata constatazione dell’integrità della chiusura dei plichi contenenti le tracce prima dell’estrazione, il punto è che (al di là della perspicuità sul punto della verbalizzazione), le appellanti non allegano neppure un indizio atto a ritenere che i plichi in questione non fossero integri al momento del sorteggio e che, quindi, quanto verbalizzato dalla commissione in ordine alla chiusura e sigillatura dei pieghi contenenti le tracce non corrispondesse al vero.

2.3. Con il terzo motivo di appello, le dottoresse D A e M chiedono la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno respinto il motivo di ricorso fondato sulla violazione dell’articolo 14, comma 3 del d.P.R. 487 del 1994 relativo alle modalità di chiusura della busta grande (contenente gli elaborati) e della busta piccola (contenente i dati del candidato).

In particolare, i primi Giudici avrebbero erroneamente omesso di rilevare l’illegittimità dell’operato della commissione, nonostante risultasse per tabulas :

- che fossero stati gli stessi membri della commissione a procedere alla chiusura delle buste grandi contenenti gli elaborati e le buste piccole;

- mentre invece, l’articolo 14, cit. prescrive che sia lo stesso candidato a chiudere le busta grande e la busta piccola (e la seconda nella prima) prima di consegnarle ai membri della commissione, che provvederanno a firmare e datare i lembi al fine di assicurarne la chiusura ed integrità.

2.3.1. Il motivo non può essere condiviso.

Non può negarsi che nel caso in esame possa essersi verificata (pur nella pacifica contestualità degli eventi) una divergenza rispetto al pertinente paradigma regolamentare (articolo 14, comma 3 del d.P.R. 487, cit.), nel senso che la materiale chiusura della busta grande (contenente gli elaborati e la busta piccola ‘anagrafica’) possa essere stata effettuata dai membri della commissione e non dai candidati stessi.

Si osserva tuttavia al riguardo che, alla luce del generale principio di strumentalità delle forme e in considerazione del fatto che la chiusura delle buste risulta in ogni caso essere stata effettuata all’atto della consegna degli elaborati e alla presenza dei candidati, la richiamata divergenza non assume alcun rilievo viziante o caducante nei confronti della procedura.

Al riguardo, se è vero che (ai sensi di un condiviso orientamento puntualmente richiamato dai primi Giudici) le prescrizioni relative alle modalità di svolgimento dei pubblici concorsi devono essere applicate in modo rigoroso (in considerazione dei rilevanti interessi pubblici cui la fissazione di tali disposizioni presiede), è pur vero che non ogni difformità – pur se lieve – dal paradigma normativo rileva ai fini della caducabilità delle operazioni concorsuali. Al contrario, operano a tal fine le sole violazioni che costituiscono indice evidente dell’alterazione della par condicio fra i concorrenti o della violazione di altri principi che presiedono al corretto e trasparente svolgimento dei pubblici concorsi.

Ebbene, impostati in tal modo i termini della questione, non può ritenersi che la circostanza per cui le ‘buste grandi’ siano state chiuse dai membri della commissione e non dai singoli candidati (ma pur sempre alla presenza di questi ultimi) rappresenti di per sé una circostanza idonea a rivelare un’alterazione della par condicio concorsuale e, in via mediata, a viziare la procedura nel suo complesso.

2.4. Con il quarto motivo di appello le dottoresse D A e M chiedono la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno respinto il motivo di ricorso con il quale si era lamentata la discrasia fra quanto indicato nel verbale n. 18 e quanto indicato nel verbale n. 35 in relazione alla tempistica di apertura delle buste piccole ‘anagrafiche’ e delle buste grandi contenenti gli elaborati.

2.4.1. Il motivo di appello è inammissibile per genericità nella formulazione.

Si osserva al riguardo che le appellanti non hanno articolato specifici motivi di censura avverso le motivazioni con cui i primi Giudici hanno respinto gli argomenti già trasfusi al punto 4 della memoria conclusiva di primo grado, ma si sono limitate ad affermare che le motivazioni in parola si fonderebbero su una “apodittica interpretazione” della documentazione di gara e che il relativo contenuto decisionale lascerebbe “fortemente perplessi”.

Si tratta, come è del tutto evidente, di una modalità di predisposizione del mezzo di gravame che non soddisfa in alcun modo il necessario requisito della specificità dei motivi di appello.

2.5. Con il quinto motivo di appello le dottoresse D A e M chiedono la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno respinto il motivo di ricorso con il quale si era lamentata la violazione della previsione di cui all’articolo 12 del d.P.R. 487 del 1994 il quale impone alle commissioni di concorso di procedere, già dalla prima riunione, alla fissazione dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove concorsuali al fine di motivare i punteggi attribuiti alle singole prove.

In particolare, i primi Giudici avrebbero erroneamente omesso di valutare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la fissazione di tali criteri e modalità può anche avvenire dopo la prima riunione, ma pur sempre prima dello svolgimento delle prove (mentre nel caso di specie tale fissazione era avvenuta addirittura dopo lo svolgimento delle prove). L’interpretazione offerta dal T.A.R., oltre che distonica rispetto al pertinente paradigma normativo, potrebbe offrire l’occasione per consentire a commissioni di concorso in ipotesi compiacenti di operare ‘in corsa’ taluni “ aggiustamenti ad interpretazioni mirate ” al fine di alterare il corretto svolgimento del concorso (ricorso in appello, pag. 34).

E ancora, i primi Giudici avrebbero erroneamente omesso di valutare l’illegittimità dell’operato della commissione la quale non aveva proceduto (come pure avrebbe dovuto) a portare a conoscenza dei candidati i criteri e le modalità di valutazione, ma aveva – al contrario – proceduto a determinare tali criteri dopo che le prove scritte erano state espletate.

2.5.1. Il motivo è infondato.

Al riguardo il Collegio ritiene di prestare puntuale adesione al condiviso orientamento (peraltro, espressamente richiamato dai primi Giudici) secondo cui il principio di preventiva fissazione dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove concorsuali che ai sensi dell’articolo 12 del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 devono essere stabiliti dalla commissione nella sua prima riunione (o tutt'al più prima della correzione delle prove scritte), deve essere inquadrato nell’ottica della trasparenza dell’attività amministrativa perseguita dal legislatore, il quale pone l’accento sulla necessità della determinazione e verbalizzazione dei criteri stessi in un momento nel quale non possa sorgere il sospetto che questi ultimi siano volti a favorire o sfavorire alcuni concorrenti, con la conseguenza che è legittima la determinazione dei predetti criteri di valutazione delle prove concorsuali, anche dopo la loro effettuazione, purché prima della loro concreta valutazione (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, VI, 26 gennaio 2015, n. 325; id , V, 3 marzo 2014, n. 990).

Pertanto, nessun profilo di violazione dell’articolo 12, cit. viziava lo svolgimento delle operazioni concorsuali, dal momento che effettivamente – secondo le risultanze in atti – la commissione aveva proceduto a individuare i criteri e le modalità di valutazione dopo lo svolgimento delle prove, ma prima della relativa valutazione.

Per quanto riguarda il secondo dei richiamati profili di censura ci si limita ad osservare che la disposizione invocata dalle appellanti (si tratta dell’articolo 12 del d.P.R. 487, cit.) se pure impone alle commissioni di “ stabili[re] i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali ”, non impone invece di rendere preventivamente noti tali criteri ai candidati.

Non si tratta infatti di una prescrizione volta ad orientare – per così dire – ‘ ex ante ’ lo svolgimento delle prove concorsuali, quanto piuttosto di un presidio volto a garantire la trasparenza ed imparzialità nella fase di correzione e a consentire di verificare ‘ ex post ’ la correttezza e congruità delle operazioni valutative e dell’iter logico/operativo che vi è stato sotteso.

Per quanto riguarda, poi, l’argomento secondo cui la determinazione dei criteri e delle modalità di valutazione si sarebbe tradotta in “ una manipolazione (…) dei criteri stabiliti dall’unico bando redatto per l’intero territorio nazionale ” (pag. 35 dell’atto di appello), l’argomento in questione è inammissibile per genericità nella formulazione in quanto si limita a gettare un’immotivata ombra di inattendibilità sull’intero operato della commissione senza tuttavia specificare le ragioni per le quali la commissione medesima non si sarebbe limitata a dettare “ regole limitatrici e chiarificatrici ” del proprio operato.

2.6. Con il sesto motivo di appello le dottoresse D A e M chiedono la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno respinto il motivo di ricorso con il quale si era lamentato che le valutazioni numeriche riferite a ciascun elaborato fossero state apposte su un foglio a parte, diverso da quello sui cui era stato steso l’elaborato.

Ancora con il sesto motivo le appellanti chiedono la riforma della sentenza per la parte in cui i primi Giudici hanno respinto il motivo di ricorso basato sul tempo assolutamente esiguo (compreso fra i 10 e i 15 minuti) che la commissione avrebbe dedicato all’esame di ciascun elaborato.

Al riguardo il T.A.R. avrebbe erroneamente omesso di tener conto dei principi di diritto enunciati dalla prima Sezione di questo Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto da altro candidato alla medesima procedura per cui è causa.

2.6.1. Il motivo è infondato.

2.6.1.1. Non vi è infatti alcuna disposizione nell’ordinamento la quale imponga che l’espressione del giudizio finale sia apposta sul medesimo foglio sul quale è stato redatto l’elaborato, ben essendo possibile che tale espressione avvenga su fogli o griglie separati, purché, (come è puntualmente avvenuto nel caso in esame), la commissione abbia cura di assicurare la certa riferibilità della singola valutazione al singolo elaborato attraverso l’utilizzo di numeri o codici identificativi.

Del resto, le appellanti non allegano in atti alcun elemento idoneo a sollevare il dubbio che i voti espressi sui fogli separati non fossero effettivamente riferibili agli elaborati predisposti dalle appellanti medesime.

2.6.1.2. Neppure è fondato il motivo di appello incentrato sulla tempistica della correzione degli elaborati.

Al riguardo non può disconoscersi l’esistenza di un orientamento che, in relazione alla valutazione delle operazioni concorsuali, valorizza minuziosamente la tempistica media della svolgimento delle operazioni medesime al fine di trarre da tali valori medi indicazioni in ordine alla complessiva attendibilità dell’operato della commissione.

Il Collegio ritiene tuttavia di prestare puntuale adesione al maggioritario orientamento secondo cui non è sindacabile in sede di legittimità la congruità del tempo dedicato dalla commissione giudicatrice alla valutazione delle prove d'esame di candidati;
in primo luogo, infatti, manca una predeterminazione, sia pure di massima, ad opera di legge o di regolamenti, dei tempi da dedicare alla correzione degli scritti;
in secondo luogo, non è possibile, di norma, stabilire quali concorrenti abbiano fruito di maggiore o minore considerazione e se, quindi, il vizio dedotto infici in concreto il giudizio contestato. Inoltre, i calcoli risultano scarsamente significativi laddove siano stati effettuati in base a un computo meramente presuntivo, derivante dalla suddivisione della durata di ciascuna seduta per il numero dei concorrenti o degli elaborati esaminati (sul punto – ex multis -: Cons. Stato, VI, 11 dicembre 2013, n. 5497; id ., VI, 1 febbraio 2013, n. 614; id ., IV, 23 febbraio 2012, n. 970).

3. Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

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