Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-11-24, n. 202007353

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-11-24, n. 202007353
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202007353
Data del deposito : 24 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/11/2020

N. 07353/2020REG.PROV.COLL.

N. 02662/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2662 del 2012, proposto dalla Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato M C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza Barberini, n. 12,

contro

la Società Ittica Carapelle S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato U R, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 308,

nei confronti

il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12,

e con l'intervento di

il signor Fabrizio Nicola Imperiale, nella sua qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dall’avvocato Pasquale Rinaldi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) n. 1363/2011, resa tra le parti, concernente l’inclusione di terreni in zona di protezione speciale (ZPS).

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società Ittica Carapelle S.r.l., del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del signor Fabrizio Nicola Imperiale, quale titolare della ditta individuale subentrata alla Società Ittica Carapelle;

Viste le memorie e le memorie di replica;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 settembre 2020 il Cons. Antonella Manzione e sentito per la Regione l’avvocato M C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con due distinti ricorsi proposti innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia l’attuale appellata, Società Ittica Carapelle s.r.l., agiva rispettivamente per l’annullamento della delibera di Giunta della Regione n.1637 del 7 novembre 2006, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione n. 151 del 16 novembre 2006, con la quale, mediante la revoca della precedente n. 1622 del 30 ottobre 2006, si ripristinava l’avvenuto inserimento dei terreni di proprietà della stessa nelle zone a protezione speciale (Z.P.S.) attuato originariamente con deliberazione n. 1022 del 21 luglio 2005, pure autonomamente gravata (n.r.g. 116/2007);
nonché per l’annullamento della deliberazione n. 145 del 26 febbraio 2007, con la quale la Giunta regionale, preso atto delle osservazioni avanzate dal Comune di Lesina con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e aderendo alla proposta dello stesso, escludeva da ridetta perimetrazione l’omonimo istmo (n.r.g. 658/2007). In particolare, si trattava dell’imposizione di tale regime sull’area denominata “Valle Carapelle”, zona umida artificiale sita nel Comune di Manfredonia, in Provincia di Foggia, utilizzata dall’azienda per la propria attività di itticoltura, caratterizzata dalla presenza di otto ampi bacini interni, per una superficie complessiva di circa 410 ettari, allagati mediante l’immissione di acqua attraverso un impianto idrovoro, laddove in passato, peraltro, insisteva una coltivazione di eucalipti.

Il giudice di primo grado, dopo averli riuniti per evidente connessione oggettiva e soggettiva, accoglieva in parte il ricorso n.r.g. 116/2006, annullando la deliberazione n. 1022 del 21 luglio 2005 e dichiarando la sopravvenuta carenza di interesse con riferimento alla n. 1637 del 7 novembre 2006;
accoglieva altresì il ricorso n.r.g. 658/2007, annullando anche in parte qua e nei limiti dell’interesse della ricorrente la deliberazione n. 145 del 26 febbraio 2007. Nel merito, evidenziava come a seguito di perizia tecnica versata in atti, effettuata peraltro dal medesimo professionista che aveva supportato il Comune di Lesina nella richiesta, poi assecondata con la delibera n. 145/2007, di stralciare dalla ZPS l’omonimo istmo ricompreso nel proprio territorio, fosse chiaramente emersa non solo la omogeneità morfologica delle due aree in questione (l’istmo di Lesina e la Valle Carapelle), ma anche la natura indotta dell’umidità presente in loco. Il primo ricorso, pertanto, veniva accolto per errore di fatto e difetto di istruttoria, essendosi il vincolo risolto nella imposizione di un sostanziale onere reale sulla zona;
il secondo per l’irragionevolezza della scelta effettuata di trattare in modo diseguale aree con caratteristiche identiche, oltre che, analogamente, per errore di fatto e difetto di istruttoria e di motivazione, avendo attuato una palese disparità di trattamento. Sempre in fatto il Collegio rileva ancora come la Società abbia proposto un ulteriore appello, n.r.g. 1580 del 2008, chiedendo l’annullamento del Regolamento regionale n. 15 del 18 luglio 2008, recante “ Misure di conservazione ai sensi delle direttive comunitarie 74/409 e 92/43 e del d.P.R. 357/97 e successive modifiche e integrazioni ” nella parte in cui non valuta correttamente le caratteristiche ambientali di talune realtà territoriali, in particolare non operando alcun distinguo tra aree umide naturali e artificiali. Con sentenza n. 1364 del 16 settembre 2011 la medesima sez. II del T.A.R. per la Puglia lo dichiarava improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, tenuto conto del contestuale annullamento, con la sentenza oggi impugnata, della scelta operata dalla Regione di includere le aree di proprietà della ricorrente in ZPS, pur trattandosi di zone umide artificiali.

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello la Regione Puglia, che dopo aver effettuato un’analitica ricostruzione della disciplina europea e nazionale in materia di ZPS, dell’obbligo gravante sugli Stati membri di istituire tali aree (già comprese nella propedeutica “lista-inventario” IBA, Important Bird Areas ), nonché del particolare valore ambientale della zona nella quale è ubicata l’impresa di itticoltura di proprietà dell’odierna appellata, ha raggruppato in due distinti motivi di doglianza (rubricati rispettivamente “A” e “B”) i rilievi di rito e quelli di merito. Sotto il primo profilo ha eccepito l’irricevibilità del ricorso di primo grado, presentato dopo oltre un anno dalla pubblicazione della deliberazione n. 1022/2005, atto generale di natura pianificatoria, sul B.U.R.P.;
la sua inammissibilità, in quanto la medesima deliberazione sarebbe priva di effetti lesivi immediati;
nonché la sua conseguente improcedibilità per omessa instaurazione del contraddittorio nei confronti del Ministero dell’ambiente e della Commissione europea, quali soggetti titolari del potere di “validazione” o “certificazione” finale della scelta protezionistica attuata dalle Regioni.

Sotto il secondo profilo, ha articolato distinte, complesse censure rivolte separatamente ai tre capisaldi motivazionali della sentenza impugnata:

a) il giudice di prime cure, dunque, avrebbe violato o mal applicato la disciplina europea di cui alla Convenzione di Ramsar e alle Direttive 92/43/CE, c.d. “Habitat” e 79/409/CEE, c.d. “Uccelli” e relativi provvedimenti di recepimento. L’inserimento della “Valle Carapelle” nelle ZPS era un atto a contenuto pressoché necessitato, stante che l’area era già censita in tal senso nell’apposito catasto redatto dall’INFS (Istituto nazionale per la fauna selvatica, ora ISPRA, Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale), che vanta anche un potere di segnalazione alle Regioni delle rotte di migrazione dell’avifauna (art. 5, comma 1, della l. n. 157 del 1992);
nonché nell’elenco comunemente denominato IBA ( Inventory of important Bird Areas in the European Community ), costituente l’allegato alla direttiva 79/409/CEE, revisionato nel 2002, contenente peraltro molteplici aree umide artificiali. L’obbligo di provvedere sarebbe dunque conseguito alla sentenza di condanna della Corte di Giustizia del 20 marzo 2003, che ha stigmatizzato l’insufficienza delle individuazioni effettuate dall’Italia. A ciò ha fatto infine seguito un parere motivato della Commissione, reso ai sensi dell’art. 228, par. 2, del Trattato CE per sollecitare le disposizioni conformative necessarie, che ha anche indicato 61 siti IBA cui fare riferimento per delimitare o ampliare le ZPS preesistenti;

b) l’inclusione di un terreno in ZPS non può configurare né un onere reale, né un vincolo di tipo espropriativo e non conformativo, né un’obbligazione propter rem . In particolare, il valore economico dei terreni non ne risulta affatto azzerato, essendo gli stessi suscettibili di utilizzo imprenditoriale, nonché di alienazione;
la Corte costituzionale ha sempre negato, con riferimento ai vincoli imposti sulle aree tutelate per ragioni ambientali, l’indennizzabilità, ritenendo le limitazioni ad essi connesse intrinseche nelle caratteristiche del bene ex se ;
infine, non graverebbe sulla proprietà alcun obbligo di facere , dovendo essa attenersi soltanto alle indicazioni di cui all’art. 6, par. 8, del D.M. 17 ottobre 2007, recante “ Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZCS) e a Zone di protezione speciale (ZPS) ”, nonché all’art. 6, par. 5, del Regolamento della Regione n. 28 del 22 dicembre 2008, di recepimento degli stessi;

c) l’area di proprietà della Società Ittica Carapelle e quella dell’istmo di Lesina non hanno affatto caratteristiche analoghe, avendo la prima una straordinaria importanza per l’avifauna mancante alla seconda. Il procedimento di riperimetrazione, pertanto, si sarebbe basato sull’avvenuto accertamento di “genuini errori scientifici” della scelta originaria, cosa non avvenuta a supporto della tesi della ricorrente. Il tecnico incaricato, infatti, si sarebbe limitato ad evidenziare generiche e non pertinenti “difficoltà di gestione”, laddove la giurisprudenza comunitaria esclude che le Amministrazioni possano anteporre in sede di classificazione delle ZPS esigenze di tipo economico (Corte di Giustizia CE, Seconda Sezione, sentenza 23 marzo 2006, in C-209/04;
id., sentenza 11 luglio 1996, in C-44/95).

3. Si è costituita la società appellata, con memoria contenente anche appello incidentale condizionato. In via preliminare, essa ha tuttavia sollevato a sua volta eccezione di inammissibilità o improcedibilità dell’appello di controparte: il passaggio in giudicato della richiamata sentenza del T.A.R. per la Puglia n. 1364 del 2011 avente ad oggetto, come ricordato al §1, il Regolamento regionale n. 15 del 2008, si sarebbe risolto in un implicito accertamento, ulteriore ed autonomo, oltre che oramai consolidato, della illegittimità della originaria inclusione dell’area di proprietà dell’azienda tra le ZPS. Ulteriore profilo di inammissibilità investirebbe le tre eccezioni di rito prospettate dalla controparte, in quanto introdotte in violazione del divieto dei nova , non essendo state oggetto del ricorso di primo grado. Nel merito e con riferimento alle stesse, evidenziava come la tardività sarebbe esclusa dall’avvenuto accertamento della sussistenza delle violazioni in materia di informative procedimentali, essendo stato affermato dal giudice e non impugnato in questa sede che l’azienda aveva avuto conoscenza dei contenuti della delibera n. 1022 del 2005 soltanto al momento della revoca di quella che l’aveva modificata. Ciò malgrado il numero limitato di zone di protezione speciale con la stessa istituite (quattro) avrebbe reso del tutto agevole un coinvolgimento degli interessati nel procedimento, siccome previsto dalla l. n. 241 del 1990. Ha contestato la ricostruzione dell’ iter di istituzione delle zone in controversia proposto dalla controparte, evidenziando la natura ricognitiva, di certo non costitutiva, del decreto ministeriale che ne recepisce l’elencazione. Conseguentemente priva di pregio sarebbe l’ipotizzata carenza di contraddittorio, sia con riferimento al Ministero competente, sia, a maggior ragione, avuto riguardo alla Commissione europea, il cui ruolo è semplicemente quello di ricevere i formulari e le cartografie. Per contro, l’appello di controparte si paleserebbe inammissibile anche sotto tale profilo, non essendo stato notificato ai controinteressati del precedente grado di giudizio, ovvero il Comune di Lesina, il Comune di Manfredonia e la Provincia di Foggia. Nel merito, insisteva per la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza di prime cure, ritenendo la prospettazione di parte avversa strumentalmente distorsiva delle censure articolate dall’azienda e delle statuizioni del T.A.R. per la Puglia, e quindi non pertinente, prima ancora che irrilevante. Pronunciandosi sul vizio di eccesso di potere, infatti, il T.A.R. per la Puglia ha accolto il relativo motivo di gravame sull’assunto che in assenza di corretta istruttoria e non tenendo conto dell’effettività dei luoghi si era imposto un vincolo foriero di pesanti oneri economici e di consistenti limitazioni al futuro utilizzo della proprietà. Anche allo scopo, peraltro, di agevolare la ricostruzione corretta della vicenda processuale, ancorando la motivazione della sentenza alle doglianze avanzate in primo grado, ne riassumeva la portata, riproponendo in toto quelle non valutate, tra le quali, in primo luogo, la lamentata violazione degli artt. 10, comma 3 della l. n. 157/1992 e 9, comma 3, della l.r. n. 27 del 1998, non essendo stata rispettata la percentuale massima fissata nella forbice tra il 20 e il 30 % di territorio agro-silvo-pastorale da destinare alla protezione della fauna, calcolata tenendo conto di quelle parti di esso ove è comunque vietata l’attività venatoria anche per effetto di altre leggi (motivo sub III.1). L’asserita mancanza di omogeneità morfologica fra la zona “Laghi di Lesina e Varano”, stralciata in adesione alla proposta del Comune di Lesina, e la zona “Paludi presso il Golfo di Manfredonia”, nella quale è ricompresa quella in contestazione, sarebbe palesemente smentita dalla perizia versata in atti che non solo ha chiaramente evidenziato la necessità di continue immissioni di acqua in mancanza delle quali l’ambiente si prosciugherebbe, degradandosi;
ma anche la « profonda affinità tra Valle Carapelle e l’area presa in esame dal Comune di Lesina in ragione della presenza di caratteristiche ambientali ed esigenze simili, essendo entrambe interessate da attività di itticoltura di pregio », siccome riferito dal giudice di prime cure. Corretta infine sarebbe l’ipotizzata imposizione di un onere reale, ammesso solo nei casi previsti dalla legge;
anzi, nel caso di specie sarebbe stato imposto un vincolo di destinazione prima assente, superiore ai limiti di tollerabilità di cui all’art. 42 della Costituzione e dunque ascrivibile al genus di quelli espropriativi, in violazione del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, e della corrispondente legge regionale sugli espropri 22 febbraio 2005, n.

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