Consiglio di Stato, sez. VII, ordinanza collegiale 2022-07-01, n. 202205521

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, ordinanza collegiale 2022-07-01, n. 202205521
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202205521
Data del deposito : 1 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/07/2022

N. 02107/2020 REG.RIC.

N. 05521/2022 REG.PROV.COLL.

N. 02107/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 2107 del 2020, proposto da


G C, rappresentata e difesa dall'avvocato D C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


contro

Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 9584/2019;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 aprile 2022 il Cons. Paolo Marotta;
nessuno è comparso per le parti;


1.1. Con ricorso in appello, notificato in data 17 febbraio 2020 e depositato in giudizio il 4 marzo 2020, l’odierna appellante ha impugnato la sentenza n. 9584/2019, pubblicata il 19 luglio 2019, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. III bis ha respinto il ricorso di primo grado avente ad oggetto la domanda di annullamento del provvedimento con il quale il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca ha respinto la domanda di riconoscimento dell’abilitazione conseguito dall’appellante in Bulgaria.

1.2. L’Amministrazione ha respinto la domanda di riconoscimento del predetto titolo abilitativo, rappresentando che l’articolo 13, comma 2, della Direttiva 2005/36/CE (nel testo sostituito dalla Direttiva 2013/55/UE), per le professioni non regolamentate, prevede che l’esercizio della relativa attività professionale sia consentito al richiedente solo qualora questi nel corso dei precedenti dieci anni abbia esercitato a tempo pieno tale professione per un anno.

1.3. Il Ministero, dopo essersi rivolto alla competente Autorità bulgara (Nacid) ha accertato che la tipologia di formazione professionale documentata dall’appellante è da intendersi come “ formazione non regolamentata ” e, pertanto, non può essere presa in considerazione, perché priva dell’attestazione di un anno di esperienza professionale a tempo pieno nelle scuole statali bulgare durante i precedenti dieci anni, di cui all’art. 13 comma 2, della Direttiva sopra richiamata, recepita nel nostro ordinamento giuridico dal d.lgs. 206/2007.

1.4. Il giudice di prime cure ha ritenuto corretta l’interpretazione fatta propria dal Ministero, evidenziando che, sulla base della normativa richiamata, il richiedente ha diritto al riconoscimento del titolo professionale conseguito in altro Stato membro, sulla base dell’attestato di competenza o del titolo di formazione rilasciato dall’autorità competente dello Stato membro, solo per le professioni regolamentate;
invece, nel caso di professione non regolamentata, per avere il riconoscimento, non è sufficiente il titolo conseguito in un Paese membro dell’Unione Europea, ma occorre anche lo svolgimento a tempo pieno di tale professione, per un anno negli ultimi dieci, nello Stato in cui il predetto titolo è stato conseguito.

1.5. Il giudice di prime cure ha evidenziato che il Nacid (che svolge le funzioni di centro nazionale di informazione per il riconoscimento accademico e la mobilità nel senso espresso dall’art. IX.2 della Convenzione di Lisbona per il riconoscimento delle qualifiche relative all’istruzione superiore nella regione europea), con riguardo a percorsi formativi analoghi a quelli seguiti dalla odierna appellante, ha espressamente dichiarato che essi non consentono l’accesso all’insegnamento quale professione regolamentata.

2. La parte appellante ha contestato la sentenza impugnata, deducendo quanto segue:

2.1. ERROR IN PROCEDENDO, ERROR IN IUDICANDO , con riferimento alla violazione degli artt. 3, 35, 51 e 97 Costituzione;
violazione della direttiva 2005/36/CE;
violazione della direttiva 2013/55/EU;
violazione degli art. 45 e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

In estrema sintesi, l’appellante sostiene che il TAR si sarebbe limitato all’interpretazione dell’art. 13 della Direttiva 2005/36/CE e dell’art. 21 del d.lgs. n. 206/2007 (che ne recepito la disciplina), senza valutare che il provvedimento di diniego di riconoscimento dell’abilitazione conseguita dalla appellante in Bulgaria viola apertamente le norme costituzionali poste a presidio dell’eguaglianza dei cittadini italiani e comunitari e dell’eguaglianza e dell’imparzialità e buon andamento dell’attività della pubblica amministrazione;
inoltre, non sarebbe stato valutato dal TAR che il provvedimento impugnato viola espressamente il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea con riguardo al diritto di stabilimento e di valorizzazione delle professioni tra i diversi Paesi membri.

Il giudice di prime cure non avrebbe esaminato la censura relativa alla dedotta violazione dell’art. 10 – bis della l. n. 241/1990 e s.m.i., per omissione del preavviso di diniego.

2.2. ERROR IN IUDICANDO;
ERROR IN PROCEDENDO
, con riferimento alla violazione della disposizione della Repubblica di Bulgaria n. 89 dell’11.11.2016;
violazione degli artt. 3, 35, 51 e 97 costituzione;
violazione della direttiva 2005/36/ce e smi ;
violazione della direttiva 2013/55/EU, con particolare riferimento agli artt. 3 e 13;
violazione degli artt. 45 e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea;
inesistenza assoluta dei presupposti;
violazione del giusto procedimento;
erroneità di motivazione ed istruttoria;
illogicità;
irrazionalità;
ingiustizia manifesta;
sviamento.

Sostiene l’appellante che il TAR non avrebbe proceduto al riconoscimento del titolo abilitativo conseguito in Bulgaria, sull’erroneo presupposto che la professione e la formazione di insegnante in Bulgaria non siano regolamentate.

A suo giudizio, il titolo abilitante conseguito in Bulgaria costituirebbe titolo idoneo all’esercizio della professione di insegnante, con la conseguenza che non sarebbe richiesto alcun altro requisito ai fini del riconoscimento del predetto titolo in Italia.

Secondo la prospettazione dell’appellante, anche facendo riferimento agli atti del Nacid, il titolo abilitante acquisito in Bulgaria le consentirebbe l’accesso ad una professione regolamentata, potendo l’appellante vantare un titolo di laurea conseguito in Italia.

2.3. ERROR IN IUDICANDO ; ERROR IN PROCEDENDO , INGIUSTIUZIA MANIFESTA. L’impugnata sentenza sarebbe errata anche nella parte in cui ha completamente omesso di valutare il dedotto profilo di eccesso di potere per ingiustizia manifesta, così come derivante dal contenuto dell’impugnato provvedimento di mancato riconoscimento del tutolo abilitante conseguito in Bulgaria.

3. Il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca si è costituito in giudizio per resistere alla proposta impugnativa.

4. Nella memoria depositata in data 13 aprile 2022 l’appellante richiama un consolidato orientamento della Sesta Sezione del Consiglio di Stato favorevole alla sua tesi, (orientamento) confermato da ultimo, con sentenza del 3 gennaio 2022 n. 15.

5. All’udienza pubblica del 19 aprile 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

6. Il Collegio rileva che, nella sentenza del 3 gennaio 2022, la Sesta Sezione, richiamando alcune precedenti pronunce, è pervenuta alle seguenti conclusioni:

5.1 – La giurisprudenza della Sezione ha ritenuto che ai titoli conseguiti da insegnanti che abbiano ottenuto una laurea in Italia (di per sé rilevante senza necessità di riconoscimento reciproco) e l’abilitazione all’insegnamento presso un paese dell’Unione Europea, non può negarsi rilevanza ed efficacia nell’ordinamento italiano. Né può negarsi validità ed efficacia alla qualificazione abilitante all’insegnamento conseguita presso un paese europeo. Pertanto, l’Amministrazione è chiamata “alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (Consiglio di Stato, sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1198).

La giurisprudenza della Corte di giustizia europea (sentenza

CGUE

21 settembre 2017 nella causa C125/16) ha stabilito infatti che, “a norma dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della suddetta direttiva, per «professione regolamentata» si intende un’attività o un insieme di attività professionali, l’accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali. Così, la definizione della nozione di «professione regolamentata», ai sensi di detta direttiva, rientra nel diritto dell’Unione (sentenza del 6 ottobre 2015, Brouillard, C298/14, EU:C:2015:652, punto 36 e la giurisprudenza ivi citata)… Ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, primo comma, della suddetta direttiva, se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11 della medesima direttiva, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio”.

Pertanto, la nozione di attività regolamentata proposta dal NACID non è esattamente coincidente con quella del diritto dell’Unione Europea. La motivazione dei provvedimenti impugnati in primo grado, quindi, si pone in contrasto con la giurisprudenza sovranazionale formatasi in materia (cfr. Cons. St. 2438/2021).

Nel precedente della Sezione si è ulteriormente evidenziato che “non risponde al vero che i titoli conseguiti dagli appellanti non siano sufficienti per esercitare la professione di insegnante e comunque che la formazione svolta dai cittadini italiani non sia riconosciuta dalle competenti autorità della Bulgaria, o almeno una tale circostanza non è stata addotta dal NACID nelle note indirizzate all’autorità scolastica italiana. Il Ministero, in particolare, ha negato i requisiti di legittimazione al riconoscimento dei titoli per l’esercizio della professione di docente, ai sensi della Direttiva 2013/55/UE, basandosi su un ipotetico disconoscimento, ai fini dell’insegnamento, nell’ambito dell’ordinamento bulgaro, della formazione svolta da cittadini in possesso di diploma di laurea conseguito in Italia – che non soltanto non risulta positivamente dimostrato dalla documentazione acquisita al giudizio, ma si manifesta anche confliggente con quanto attestato dalle stesse autorità bulgare, secondo cui deve riconoscersi il diritto di insegnare in Bulgaria a livello di insegnamento preuniversitario obbligatorio in capo a coloro che, come i ricorrenti, titolari di diploma di laurea/master ivi riconosciuto, abbiano frequentato e superato appositi corsi di formazione complementari al diploma, in settori e specializzazioni conformi al curriculum dell’istruzione preuniversitaria”.

5.2 – Sotto altro profilo, i provvedimenti per cui è causa non sono conformi alla legge, anche perché non recano alcuna valutazione dei titoli conseguiti dagli appellanti, ai fini di un loro possibile riconoscimento in Italia.

Difatti, a prescindere dalla ritenuta inapplicabilità della Direttiva n. 55 del 2013 cit., deve ricordarsi quanto previsto nel diritto europeo – in specie, agli artt. 45 e 49 TFUE, in tema di libera circolazione dei lavoratori e di libertà di stabilimento, secondo cui “le autorità di uno Stato membro, quando esaminano la domanda di un cittadino di un altro Stato membro diretta a ottenere l'autorizzazione all'esercizio di una professione regolamentata, debbono prendere in considerazione la qualificazione professionale dell'interessato procedendo ad un raffronto tra, da un lato, la qualificazione attestata dai suoi diplomi, certificati e altri titoli nonché dalla sua esperienza professionale nel settore e, dall'altro, la qualificazione professionale richiesta dalla normativa nazionale per l’esercizio della professione corrispondente (v., da ultimo, sentenza 16 maggio 2002, causa C-232/99, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-4235, punto 21). 58 Tale obbligo si estende a tutti i diplomi, certificati ed altri titoli, nonché all'esperienza acquisita dall'interessato nel settore, indipendentemente dal fatto che siano stati conseguiti in uno Stato membro o in un paese terzo, e non cessa di esistere in conseguenza dell'adozione di direttive relative al reciproco riconoscimento dei diplomi (v. sentenze 14 settembre 2000,causa C-238/98, Hocsman, Racc. pag. I-6623, punti 23 e 31, e Commissione/Spagna, cit., punto 22)” (Corte di Giustizia U.E., 13 novembre 2003, in causa C- 313/01, Morgenbesser, punti 57-58).

In effetti si tratta di un procedimento di valutazione comparativa indispensabile per “consentire alle autorità dello Stato membro ospitante di assicurarsi obiettivamente che il diploma straniero attesti da parte del suo titolare il possesso di conoscenze e di qualifiche, se non identiche, quantomeno equipollenti a quelle attestate dal diploma nazionale” (Corte di Giustizia U.E., 6 ottobre 2015, in causa C- 298/14, Brouillard, punto 55).

In particolare, le Autorità nazionali sono tenute a valutare il diploma prodotto dalle parti istanti, onde verificare “se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualifiche o l'esperienza professionale ottenute in quest'ultimo, nonché l'esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni richieste per accedere all'attività di cui trattasi. 68 […] Tale valutazione dell'equivalenza del diploma straniero deve effettuarsi esclusivamente in considerazione del livello delle conoscenze e delle qualifiche che questo diploma, tenuto conto della natura e della durata degli studi e della formazione pratica di cui attesta il compimento, consente di presumere in possesso del titolare (v. sentenze 15 ottobre 1987, causa 222/86, H e a., Racc. pag. 4097, punto 13, e V, cit., punto17)” (Corte di Giustizia U.E., 13 novembre 2003, in causa C- 313/01, Morgenbesser, punti 67-68).

5.3 – Pertanto, il Ministero avrebbe dovuto esaminare la documentazione specificatamente riferita alla posizione di ciascuna parte appellante, raffrontando, alla stregua delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza europea sopra richiamata, da un lato, la qualificazione attestata dai diplomi, certificati e altri titoli nonché dall’esperienza professionale maturata dagli stessi nei rispettivi ambiti e, dall’altro, la qualificazione professionale richiesta dalla normativa nazionale per l’esercizio della professione corrispondente.

In esito a tale procedimento di valutazione comparativa, il Ministero, valutato il percorso formativo seguito dagli appellanti, come attestato dai titoli esteri in loro possesso, avrebbe dovuto accertare i presupposti per l’accoglimento delle rispettive domande (l’amministrazione avrebbe dovuto quindi valutare “la qualificazione attestata dai diplomi, certificati ed altri titoli nonché dall’esperienza professionale richiesta dalla normativa nazionale per l’esercizio della professione corrispondente”, così Consiglio di Stato, sez. VI, 6 novembre 2020, n. 6837) ”.

7. In estrema sintesi, secondo l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato:

a) in linea di principio, non può negarsi aprioristicamente validità ed efficacia alla qualificazione abilitante all’insegnamento conseguita presso un paese europeo;

b) per « professione regolamentata » si intende un’attività o un insieme di attività professionali, l’accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali;

c) con riguardo ai titoli post- universitari conseguiti in un Paese membro della Unione europea (come quello della odierna ricorrente) vengono in rilievo sia alla Direttiva n. 55 del 2013 che i principi di libera circolazione dei lavoratori e di libertà di stabilimento, di cui agli artt. 45 e 49 T.F.U.E.

d) l’Amministrazione, ai fini del riconoscimento dei titoli formativi conseguiti in un Paese membro dell’Unione europea, è tenuta ad esaminare la documentazione specificatamente riferita alla posizione del richiedente, tenendo conto della qualificazione attestata dai titoli prodotti nonché dall’esperienza professionale maturata nei rispettivi ambiti e procedendo alla valutazione comparativa con la qualificazione professionale richiesta dalla normativa nazionale per l’esercizio della professione corrispondente.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, il fatto che l’Autorità di uno Stato membro qualifichi il predetto corso formativo come attività non regolamentata non è preclusivo del riconoscimento del relativo titolo in Italia, venendo in rilievo non solo l’art. 13 della direttiva n. 55/2013, ma anche in principi di libera circolazione dei lavoratori e di libertà di stabilimento.

8. Sennonché la interpretazione sopra richiamata presenta delle criticità, che il Collegio ritiene di dover sottoporre all’Organo di nomofilachia.

8.1. Occorre premettere che Direttiva 2005/36/CE “ Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali ”, recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 9 novembre 2007 n. 206, all’art. 13, rubricato “ Condizioni di riconoscimento ”, nel testo sostituito dalla Direttiva 2013/55/UE, dispone testualmente quanto segue:

1. Se, in uno Stato membro ospitante, l'accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l'autorità competente di tale Stato membro permette l'accesso alla professione e ne consente l'esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell'attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all'articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio.

Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un'autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro.

2. L'accesso a una professione e il suo esercizio descritti al paragrafo 1 sono consentiti anche ai richiedenti che, nel corso dei precedenti dieci anni, abbiano esercitato a tempo pieno tale professione per un anno, o per una durata complessiva equivalente a tempo parziale, in un altro Stato membro che non regolamenta detta professione e che abbiano uno o più attestati di competenza o uno o più titoli di formazione rilasciati da un altro Stato membro che non regolamenta tale professione.

Gli attestati di competenza e i titoli di formazione soddisfano le seguenti condizioni:

a) sono rilasciati da un'autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro;

b) attestano la preparazione del titolare all'esercizio della professione in questione.

Tuttavia, l'anno di esperienza professionale di cui al primo comma non può essere richiesto se i titoli di formazione posseduti dal richiedente sanciscono una formazione e un'istruzione regolamentata.

3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell'articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l'istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all'articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all'articolo 11, lettera c), punto i).

4. In deroga ai paragrafi 1 e 2 del presente articolo e all'articolo 14, l'autorità competente dello Stato membro ospitante può rifiutare l'accesso alla professione e l'esercizio della stessa ai titolari di un attestato di competenza classificato a norma dell'articolo 11, lettera a), qualora la qualifica professionale nazionale richiesta per esercitare tale professione sul suo territorio sia classificata a norma dell'articolo 11, lettera e)”.

8.2. Tanto premesso, ritiene il Collegio che, al fine di qualificare una professione come “ regolamentata ”, secondo l’accezione sopra richiamata, non possa che farsi riferimento all’Autorità competenti dello Stato membro, nell’ambito del quale è stato conseguito il titolo del quale si chiede il riconoscimento in Italia, non essendo ovviamente possibile una verifica diretta di tale qualificazione da parte della Autorità amministrative dello Stato Italiano.

A queste conclusioni il Collegio è pervenuto rilevando che l’art. 13, comma 1, ultimo periodo, della Direttiva sopra richiamata precisa: “ Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un'autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro ”, mentre il comma 2, secondo periodo del medesimo articolo puntualizza: “ Gli attestati di competenza e i titoli di formazione soddisfano le seguenti condizioni: a) sono rilasciati da un'autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro;
b) attestano la preparazione del titolare all'esercizio della professione in questione
”.

Dalle disposizioni sopra richiamate emerge con chiara evidenza che al fine di qualificare una professione come regolamentata non può che farsi riferimento agli atti delle Autorità dello Stato membro nel quale è stata conseguito il relativo titolo formativo.

Questa conclusione è inoltre da ritenersi la più coerente sul piano logico;
diversamente opinando, si potrebbe incorrere nel rischio di riconoscere, nella dichiarata applicazione della normativa dell’Unione Europea in tema di mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali e di libera circolazione dei lavoratori, valore abilitante (ai fini dell’insegnamento nelle scuole) a un titolo di formazione professionale conseguito in altro Paese dell’Unione Europea cui non è attribuito analogo valore abilitante (all’insegnamento), con conseguente frustrazione delle finalità cui la normativa dell’Unione Europea in subiecta materia è preordinata.

8.3. Orbene, nella nota del 3 aprile 2018 (prot. 99 – 00 – 52), rilasciata dal rilascia dal NACID ( National Centre for information and documentation ), viene precisato quanto segue:

In risposta alla richiesta IMI 72769 del Dicembre 2017 in relazione allo stesso tipo di qualifica, abbiamo già informato il suo Ministero sulle due possibili modalità dì acquisizione della professione docente in Bulgaria;
"La qualifica professionale "Docente" può essere conseguita negli Istituti di Istruzione superiore bulgari accreditati in due modi: sia insieme/simultaneamente al rilascio di un titolo accademico (sia Laurea Biennale (Bachelor's) che Laurea Triennale (Master's), oppure dopo il rilascio di un titolo di istruzione superiore attraverso una susseguente formazione professionale separata, in conformità con le previsioni della sopra citata Ordinanza sui requisiti statali per conseguire la qualifica professionale di "Docente". La preghiamo di considerare che ai sensi della Direttiva 2005/36/EC l'istruzione e la formazione, che conduce alla qualifica professionale di docente, è regolamentata se la qualifica professionale viene rilasciata nel primo modo, simultaneamente a un programma di Laurea Biennale (Bachelor's) o Laureo Triennale (Master's) (con il certificato finale: Diplomo di Istruzione Superiore …) e non è regolamentata se rilasciata nel secondo modo, dopo una successiva formazione professionale separato (con il certificato finale: Certificato di qualifica professionale….)
".

Ricadendo la fattispecie dedotta in giudizio nella seconda ipotesi, deve ritenersi, a giudizio del Collegio, che la qualifica professionale conseguita dalla odierna appellante in Bulgaria non possa considerarsi “ regolamentata ”.

8.4. Ne consegue che, ai fini del riconoscimento del predetto titolo in Italia non possa prescindersi da quanto disposto dall’art. 13, comma 2, della Direttiva 2005/36/CE (nel testo sostituito dalla Direttiva 2013/55/UE), ossia dal possesso del requisito dell’esercizio della relativa attività professionale nello Stato membro per un anno o, nel caso di lavoro a tempo parziale, per una durata complessiva equivalente.

8.5. La stessa Corte di Giustizia della Unione europea ha avuto modo di precisare, sia pure con riferimento alle qualifiche sanitarie, che il riconoscimento reciproco delle predette qualifiche professionali, ai sensi della Direttiva 2005/36, come modificata dalla Direttiva 2013/55, presuppone che il richiedente disponga di una formazione che lo qualifichi nello Stato membro d'origine come idoneo ad esercitare una professione regolamentata e che detta Direttiva non si applica a una situazione in cui l'interessato chiede il riconoscimento delle qualifiche professionali senza avere ottenuto il titolo di formazione per l’esercizio di una professione regolamentata (Corte di Giustizia dell’Unione europea, Sez. VI, 8 luglio 2021 n. 166).

8.6. In conclusione, quindi, parrebbe doversi ritenere che, in presenza di una professione non regolamentata, ai sensi dell’art. 13, comma 1, del Direttiva, non si possa prescindere dal possesso dell’ulteriore requisito di cui all’art. 13, comma 2, della medesima Direttiva (ossia, dall’esercizio per un anno della relativa attività professionale nell’ambito dello Stato membro presso il quale si è conseguito il titolo formativo del quale si chiede il riconoscimento).

9.1. Rimane da scrutinare la questione della compatibilità del modus operandi della Amministrazione italiana rispetto ai principi di liberà di circolazione e libertà di stabilimento, codificati agli artt. 45 e 49 T.F.U.E., la cui applicazione pure è stata invocata dalla odierna appellante.

La Corte di Giustizia nella medesima pronuncia sopra richiamata ha dichiarato, con specifico riferimento alle professioni sanitarie, che gli articoli 45 e 49 TFUE devono essere interpretati nel senso che, in una situazione in cui l'interessato non possieda il titolo che attesta la sua qualifica professionale, ai sensi dell'allegato V della direttiva 2005/36, ma ha acquisito competenze professionali relative a tale professione tanto nello Stato membro d'origine, quanto nello Stato membro ospitante, le autorità competenti di quest'ultimo sono tenute, quando ricevono una domanda di riconoscimento di qualifiche professionali, a valutare tali competenze e a confrontarle con quelle richieste nello Stato membro ospitante ai fini dell'accesso alla professione sanitaria, evidenziando che “ Se tali competenze corrispondono a quelle richieste dalle disposizioni nazionali dello Stato membro ospitante, quest'ultimo è tenuto a riconoscerle. Se da tale esame comparativo emerge una corrispondenza solo parziale tra queste competenze, lo Stato membro ospitante ha il diritto di esigere che l'interessato dimostri di aver acquisito le conoscenze e le qualifiche mancanti. Spetta alle autorità nazionali competenti valutare, se del caso, se le conoscenze acquisite nello Stato membro ospitante, nell'ambito, in particolare, di un'esperienza pratica, siano valide ai fini dell'accertamento del possesso delle conoscenze mancanti. Se detto esame comparativo evidenzia differenze sostanziali tra la formazione seguita dal richiedente e la formazione richiesta nello Stato membro ospitante, le autorità competenti possono fissare misure di compensazione per colmare tali differenze ”.

Da tale pronuncia (emanata con riguardo alle qualifiche sanitarie, ma i cui principi possono essere ritenuti applicabili anche al caso di specie) emerge che, ai fini del riconoscimento delle competenze professionali acquisite in uno Stato membro, non possa prescindersi dalla verifica delle conoscenze mancanti e in particolare da una valutazione della “ esperienza pratica ” del richiedente;
ciò sembra confermare la necessità per professioni non regolamentate da parte del richiedente di dimostrare il possesso dell’ulteriore requisito di cui all’art. 13, comma 2, della medesima Direttiva.

Oltre a ciò, il Collegio deve rilevare che le disposizioni del Trattato sul funzionamento della Unione europea in tema di libertà di circolazione delle persone e di libertà di stabilimento hanno quale scopo non solo quello di facilitare, ai cittadini dell’Unione europea, l’esercizio di attività lavorative di qualsiasi natura in tutto il territorio dell’Unione, ma anche di impedire l’adozione da parte di Stati membri di provvedimenti che possano pregiudicarli, qualora essi intendano svolgere un’attività economica sul territorio di uno Stato diverso da quello di origine.

9.2. Detti principi sono stati enucleati, al fine di favorire l’integrazione economica e sociale dei cittadini europei, rimuovendo gli ostacoli di ordine burocratico o nazionale al riconoscimento dei titoli professionali conseguiti nei singoli Stati membri.

9.3. Nel caso di specie, appare controvertibile la invocata applicazione dei predetti principi, atteso che i titoli di cui si chiede il riconoscimento in Italia sono stati conseguiti in Bulgaria da cittadini italiani.

Non viene in rilievo, dunque, la necessità di favorire l’integrazione tra cittadini appartenenti a Stati membri diversi, né quella di promuovere la circolazione di essi nell’ambito dei Paesi dell’Unione, quanto piuttosto quella di riconoscere lo stesso valore legale dei titoli abilitanti conseguiti nel nostro ordinamento giuridico a titoli formativi rispetto ai quali non è possibile effettuare un controllo diretto, dovendosi l’Autorità italiana rimettere necessariamente alle valutazioni espresse dalle Autorità dei diversi Stati membri.

10. In conclusione, emergono, a giudizio del Collegio, valide ragioni per verificare funditus la necessità o meno di dare continuità al pur consolidato orientamento giurisprudenziale della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, peraltro, in materie involgenti profili di applicazione nel diritto nazionale di normativa di matrice UE e di rapporto fra diversi Ordinamenti nazionali.

11. Sulla base delle considerazioni che precedono, si chiede all’Organo nomofilattico della giurisdizione amministrativa, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del c.p.a., di valutare la persistente validità dell’orientamento giurisprudenziale consolidatosi in materia di riconoscimento dei titoli post - lauream di cui in premessa, ottenuti dai cittadini italiani, alla luce della corretta interpretazione e applicazione delle norme in materia di riconoscimento dei titoli conseguiti nei Paesi membri dell’Unione europea, di cui all’articolo 13 della Direttiva 2005/36/CE (nel testo sostituito dalla Direttiva 2013/55/UE).

In particolare, si chiede all’Adunanza plenaria di risolvere le seguenti questioni:

- “ se sia consentito alle Autorità italiane nel riconoscimento dei titoli conseguiti nei Paesi dell’Unione europea (anche da cittadini italiani) prescindere dalle valutazioni effettuate dalle Autorità degli Stati membri nei quali i predetti titoli sono stati rilasciati, procedendo autonomamente alla valutazione del percorso di formazione seguito da un cittadino dell’UE (nel caso in esame, italiano) presso altro Paese membro dell’UE (nel caso in esame, in Bulgaria), soltanto previa verifica della durata complessiva, del livello e della qualità della formazione ivi ricevuta (e fatta salva la possibilità per le Autorità italiane di disporre a tal fine specifiche misure compensative) ”;

- in particolare, se tale riconoscimento sia doveroso (o anche solo possibile) laddove nel Paese membro dell’Unione Europea le Autorità del Paese nel quale il titolo è stato conseguito (nel caso in esame, la Bulgaria) non abbiano rilasciato, all’esito di tale percorso di formazione, un attestato di competenza o un titolo di formazione, ai sensi dell’articolo 13, par. 1, della Direttiva 2005/36/CE (nel testo sostituito dalla Direttiva 2013/55/UE) ”;

- Se, infine, ai fini del riconoscimento delle professioni non regolamentate, si possa prescindere dal requisito di cui all’art. 13, comma 2, della Direttiva 2005/36/CE (nel testo sostituito dalla Direttiva 2013/55/UE) sul riconoscimento delle qualifiche professionali, in nome della invocata applicazione dei principi di libertà di circolazione e libertà di stabilimento ”.

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