Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-12-27, n. 202311164

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-12-27, n. 202311164
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202311164
Data del deposito : 27 dicembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/12/2023

N. 11164/2023REG.PROV.COLL.

N. 09172/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9172 del 2018, proposto dal
Comune di Montignoso, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato C L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

contro

G N, non costituito in giudizio;
M L, M E R, M C, G G e D B, rappresentati e difesi dagli avvocati E C, P G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A C in Roma, via Vito Sinisi, 71

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 413/2018


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori M L, Maria Elisabetta, M C, G G e D B;

Visto l'atto di costituzione in giudizio e il ricorso incidentale proposto dagli appellati M L, M E R, M C, G G e D B;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 novembre 2023 il Pres. C C e udito l’avvocato P G per gli appellati;

Viste, altresì, le conclusioni delle parti come in atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso proposto innanzi al TAR per la Toscana, Sezione terza, recante il n.r.g. 2190/2004, i Signori G N, M L, M E R, M C, G G e D B impugnavano il provvedimento in data 6 agosto 2004, con il quale il Responsabile del Servizio Ufficio Urbanistica e Ambiente del Comune di Montignoso (MS) e il Responsabile del Procedimento, avevano disposto l’annullamento della D.I.A. in data 9 maggio 2003 (erroneamente indicata con il n. 7330 del 9 maggio 2002).

I suddetti ricorrenti deducevano in primo grado di essere proprietari di singole porzioni di un’area adibita a parcheggio, per effetto di atto di divisione del 2 aprile 2003. Rispetto a tale area, precedentemente oggetto di proprietà indivisa, ubicata presso il Comune di Montignoso, in frazione Cinquale, adiacente al complesso immobiliare sito in Via Pardini n. 71, dei quali gli stessi sarebbero condomini, la Società Cooperativa “Il Fiume II”, con atto unilaterale d’obbligo del 14 aprile 1983, aveva assunto nei confronti del Comune l’impegno a sistemazione a verde e parcheggio pubblico.

Per ciò che più rileva ai fini della presente vicenda processuale, in data 9 maggio 2003 veniva presentata una D.I.A. edilizia per il posizionamento di paletti amovibili al fine di evitare l’accesso di estranei alla proprietà condominiale. Tale dichiarazione veniva tuttavia, annullata in via di autotutela con la richiamata nota comunale del 6 agosto 2004.

Con la sentenza in epigrafe il TAR ha dichiarato inammissibile l’azione di accertamento in ordine alla sussistenza della destinazione ad uso pubblico dell’area e dei connessi profili di opponibilità per difetto di giurisdizione a favore del giudice ordinario, e ha accolto per il resto il ricorso, nei sensi di cui in motivazione, annullando per l’effetto il provvedimento comunale di autotutela.

Nello specifico, il giudice di prime cure, dopo aver preliminarmente respinto le eccezioni dedotte dall’amministrazione resistente rispettivamente in ordine all’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva, all’improcedibilità del ricorso per carenza d’interesse (attesa l’inefficacia per intervenuta decadenza della DIA n. 7300 del 2003 in mancanza di avvio dei lavori nel termine annuale), e all’improcedibilità del ricorso per nullità della D.I.A., ha accolto il ricorso in relazione ai vizi di carattere procedimentale dedotti da parte ricorrente, accertando l’illegittimità del provvedimento in autotutela.

Il TAR ha, quindi, ritenuto fondate le doglianze inerenti al mancato riscontro nel provvedimento finale delle valutazioni delle osservazioni dedotte dagli interessati a seguito della comunicazione di avvio del procedimento, all’omessa indicazione delle ragioni di interesse pubblico a giustificazione dell’annullamento d’ufficio nonché alla mancata ponderazione degli interessi contrapposti e alla mancata valutazione dell’affidamento dei destinatari del provvedimento in autotutela.

La pronuncia appellata ha, inoltre, accertato che la convenzione del 14 aprile 1983 non sarebbe opponibile agli originari ricorrenti, odierni appellanti incidentali, attesa la mancata trascrizione dell’atto e la mancata produzione in giudizio di documentazione idonea a provare la partecipazione di tutti gli interessati alla Cooperativa stipulante.

Il Comune di Montignoso appella la sentenza di prime cure articolando censure in diritto sulla carenza di legittimazione dei ricorrenti originari, sull’inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso, nonché sulla fondatezza dei motivi di ricorso di primo grado, così rubricate:

i) Carenza di legittimazione a ricorrere.

ii) Improcedibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse per inefficacia della DIA n. 7300/2003 per intervenuta decadenza.

iii) Inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso per nullità della DIA 7300/2003.

iv) Sui motivi di ricorso.

v) Sul quarto motivo di ricorso.

vi) Sul sesto motivo di ricorso.

vii) Sul primo, secondo e terzo motivo di ricorso.

viii) Sui motivi di ricorso assorbiti.

L’amministrazione appellante conclude, pertanto, chiedendo l’accoglimento dell’appello e per l’effetto l’annullamento e/o la riforma della sentenza impugnata.

In data 14 dicembre 2018, i Signori M L, M E R, M C, G G e D B, nonché le Signore Chiara N e Luciana Guarducci, in qualità di eredi di G N, si sono costituiti in giudizio proponendo altresì appello incidentale limitatamente alla parte in cui, in sede di accertamento incidentale, con riferimento alle doglianze di carattere sostanziale di cui ai primi tre motivi di ricorso, il TAR ha stabilito che: “ l’atto del 14 aprile 1983 appare astrattamente idoneo a fondare la costituzione di uso pubblico dell'area in considerazione (giacché pare trattarsi di vera e propria convenzione e non già di mero atto unilaterale, stante la firma anche del Sindaco del Comune e visto il suo contenuto sostanziale, secondo cui l’uso del realizzato parcheggio “sarà pubblico”) ”.

Nello specifico, gli appellanti incidentali resistono in giudizio per la conferma della sentenza di prime cure nella parte in cui ha accertato l’illegittimità del provvedimento di annullamento della D.I.A. n. 7300 del 2003, richiamandosi alle difese articolate innanzi al TAR. Sotto altro profilo, eccepiscono altresì l’inammissibilità della documentazione prodotta da parte del Comune nel presente grado di appello.

In ordine all’impugnazione incidentale della sentenza in epigrafe indicata, gli interessati con un unico motivo, rubricato “ I MOTIVO: erroneità della sentenza per carenza e comunque illogicità della motivazione;
difetto dei presupposti ed erronea valutazione anche delle risultanze documentali agli atti;
per violazione del principio di tipicità (e nominatività) degli atti amministrativi, dell’art. 151 del R.D. 4 febbraio 1915 n. 148 (T.U. della legge comunale e provinciale), dell’art. 28 della Legge 7 agosto 1942 n. 1150 nonché dei canoni legali d'interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ.
”, articolano le seguenti doglianze in diritto.

Innanzitutto, gli appellanti incidentali deducono come la presenza della firma del Sindaco sull’atto del 14 aprile 1983 non sia ex se idonea a determinarne la qualificazione come “ vera e propria convenzione urbanistica ”. In particolare, si invoca il principio di tipicità degli atti e dei provvedimenti nonché le previsioni normative di cui all’art 151, R.D. n. 148/1915 e dell’art. 28 della Legge 7 agosto 1942 n. 1150, lamentando l’assenza di una previa deliberazione e autorizzazione da parte del Consiglio comunale ovvero della Giunta municipale. Inoltre gli appellanti incidentali evidenziano come non possa neppure ritenersi che sia stata costituita una servitù di uso pubblico sulla proprietà.

Del resto gli stessi osservano come, alla luce del tenore letterale dell’atto, delle norme di cui agli artt. 1362 e ss. del cod. civ., e della mancata trascrizione all’Ufficio dei Registri Immobiliari, nonché in considerazione della condotta assunta dal Comune di Montignoso, che avrebbe per decenni manifestato un “ assoluto disinteresse ”, non possa ritenersi sussistere sull’area di loro proprietà alcuna destinazione ad uso pubblico.

Alla luce di tali argomentazioni ribadiscono l’erroneità della sentenza di prime cure nella parte in cui qualifica l’atto come una “ vera e propria convenzione ”, chiedendo altresì di accertare l’estinzione per scadenza e per intervenuta prescrizione di ogni diritto dell’amministrazione, atteso il decorso di più di dieci anni dalla scadenza del relativo impegno.

Gli originari ricorrenti, ripropongono poi ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a. le censure di cui al quinto e al settimo motivo del ricorso di primo grado, in quanto non esaminate dal TAR, così rispettivamente rubricate: “ V MOTIVO: Violazione dei principi costituzionali in materia di buon andamento dell’attività amministrativa (art. 97 Cost.). Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3 e ss. della legge 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di potere particolarmente sotto il profilo del difetto dei presupposti, del travisamento dei fatti e dell’assoluta carenza di istruttoria. Illogicità e sviamento;
VII MOTIVO: Violazione e falsa applicazione degli artt. 107 e 109 del D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267. Incompetenza. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241: difetto di motivazione. Eccesso di potere particolarmente sotto il profilo della violazione e dei principi in materia di trasparenza dell’azione amministrativa
”.

Pertanto, gli appellanti incidentali concludono, chiedendo di respingere l’appello proposto dal Comune di Montignoso, anche sulla scorta delle doglianze dedotte nel quinto e nel settimo motivo di ricorso di primo grado, e ivi riproposte;
di annullare e/o riformare in parte qua la sentenza di primo grado, in accoglimento dell’appello incidentale;
in ogni caso, per quanto occorra, di accertare “ in tesi, la mancata costituzione dell’invocato uso pubblico in virtù della convenzione del 14 aprile 1983, richiamata nel provvedimento impugnato;
in ipotesi, l’inopponibilità di questo eventuale diritto d’uso pubblico agli originari ricorrenti, odierni appellanti incidentali
”.

In vista dell’udienza di trattazione, le parti hanno depositato documenti, nonché memorie difensive e di replica per insistere nelle proprie difese ed eccezioni.

In data 24 ottobre 2023, i difensori delle parti hanno presentato rispettivamente istanza di passaggio in decisione della causa sulla base degli scritti depositati.

All’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del 10 novembre 2023, svoltasi da remoto, l’appello in epigrafe è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Comune di Montignoso avverso la sentenza n. 413/2018 con la quale il TAR per la Toscana, previa declaratoria di inammissibilità dell’azione di accertamento per difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario, ha accolto per il resto il ricorso proposto dagli odierni appellati, nonché appellanti in via incidentale, annullando per l’effetto l’atto di annullamento in autotutela della D.I.A. n. 7300 del 2003.

2. Con il primo motivo di appello il Comune appellante contesta l’erroneità della sentenza di prime cure lamentando una carenza di legittimazione a ricorrere in ragione della circostanza che né il Condominio né il suo amministratore, destinatario delle comunicazioni inerenti al procedimento in autotutela, hanno proposto ricorso. Pertanto, si eccepisce: da un lato, come il ricorso sia stato proposto solo da alcuni singoli proprietari avverso un provvedimento avente ad oggetto anche aree di proprietà di soggetti terzi, estranei al giudizio, rispetto ai quali l’annullamento della D.I.A. si sarebbe consolidato con un diritto di uso pubblico insistente sulle relative porzioni di esclusiva proprietà;
dall’altro lato, l’inammissibilità di un’azione di accertamento dell’esistenza o meno di un uso pubblico con riferimento ad una sola parte dell’area e la conseguente carenza di legittimazione degli originari ricorrenti laddove hanno proposto la relativa domanda per l’intera area.

Con il secondo mezzo, si censura la pronuncia del TAR nella parte in cui afferma la non applicabilità alla D.I.A. in esame del termine previsto per l’inizio dei lavori ai sensi della L.R. 5 agosto 2003, n. 43.

Nello specifico, l’amministrazione comunale deduce come, pur in assenza di specifiche previsioni normative, debba ritenersi che la D.I.A. sia assoggettata a termini di efficacia in ragione dell’esigenza di salvaguardare l’effettività della pianificazione urbanistica. Ne consegue, ad avviso di parte appellante, l’improcedibilità del ricorso di primo grado in forza dell’automatica decadenza del titolo edilizio alla scadenza del termine, posto altresì che nel caso di specie i lavori non sarebbero mai stati iniziati.

Con il terzo motivo si insiste sull’erroneità della pronuncia del TAR in odine all’insussistenza di un obbligo di inizio dei lavori denunciati nel termine di un anno, deducendo la nullità del titolo edilizio sull’assunto che l’amministrazione, per effetto della mancata indicazione della data di effettivo inizio dei lavori, non avrebbe neppure potuto stabilire la data di decadenza. Da qui, da domanda di declaratoria di inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso di primo grado.

Con i successivi mezzi di gravame l’appellante contesta l’erroneità delle statuizioni della sentenza di prime cure in ordine alla fondatezza dei motivi di ricorso di primo grado.

In particolare, in ordine all’accoglimento del quarto motivo di ricorso sull’omesso riscontro alle osservazioni rese in sede procedimentale, il Comune, odierno appellante, lamenta l’erroneità del pronunciamento argomentando sull’inammissibilità e sull’infondatezza della suddetta doglianza, in quanto: da un lato, i ricorrenti non avrebbero in primo grado specificamente dedotto sulle conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla pretesa violazione della garanzia procedimentale;
dall’altro lato, come il provvedimento impugnato abbia dato riscontro alle osservazioni degli interessati indicando le ragioni in forza delle quali le ha ritenute non meritevoli di accoglimento non essendo previsto alcun onere di contestazione analitica a carico della p.a.

Sotto altro profilo, l’amministrazione appellante invoca altresì l’articolo 21- octies della L. n. 241 del 1990.

In relazione poi all’accoglimento del sesto motivo di ricorso inerente all’illegittimità del provvedimento impugnato per insussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’autotutela, il Comune censura la sentenza di prime cure, deducendo che: il provvedimento in autotutela sarebbe rispettoso del termine consentito ai sensi dell’articolo 21- nonies , L. n. 241 del 1990;
non sarebbe stato leso alcun affidamento non essendo stato mai realizzato l’intervento oggetto di D.I.A.;
non sussisterebbe in ogni caso un affidamento “incolpevole”;
infine, considerata l’assenza di affidamento, non sussisterebbe alcun interesse da bilanciare rispetto all’interesse pubblico alla corretta gestione del territorio e al rispetto delle disposizioni urbanistico-edilizie vigenti, da ritenersi l’unico rilevante.

Il ricorso in appello censura poi contestualmente l’accoglimento delle censure di carattere sostanziale di cui al primo, secondo e terzo motivo del ricorso di primo grado, lamentando l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto non opponibile ai ricorrenti l’atto unilaterale d’obbligo del 14 aprile 1983.

Innanzitutto, il Comune eccepisce la circostanza che si tratti di una convenzione, accessiva alla concessione edilizia e non soggetta alle regole previste per la trascrizione e per la decadenza del termine. Sulla mancata prova dell’appartenenza di tutti i ricorrenti alla Cooperativa al momento della sottoscrizione dell’atto d’obbligo, si osserva che dai titoli di acquisto di proprietà è possibile desumere come cinque degli interessati fossero soci della Cooperativa (avendo, per affermazione della stessa controparte, acquisito la proprietà tramite atto di assegnazione di alloggi ai soci) mentre per il sesto dei ricorrenti l’atto d’obbligo sarebbe stato espressamente richiamato nell’atto di acquisto.

Si aggiunge poi come un espresso richiamo sia presente anche nell’atto di divisione del 2 aprile 2003 e in altri atti, con l’ulteriore precisazione che nel 2002 alcuni tra gli interessati avevano presentato istanza di accesso per ottenere copia dell’atto unilaterale d’obbligo del 1983.

Sotto altro profilo si eccepisce altresì la conoscenza del vincolo e della destinazione gravante sull’area. Si evidenzia, in particolare, la sussistenza di una volontà della Cooperativa di continuare ad assicurare alla collettività l’uso dell’area, nonché l’assenza di un limite temporale al relativo obbligo.

In via conclusiva, il Comune appellante contesta l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, lamentando, in forza della destinazione urbanistica dell’area a viabilità/strada/parcheggio pubblico, l’infondatezza della doglianza sia sotto il profilo della natura dell’intervento oggetto di D.I.A. sia in relazione alla decadenza del vincolo. Con l’ulteriore precisazione che anche ove interpretato come vincolo di esproprio, essendo stato ribadito dal R.U. comunale del 1999, il suddetto limite dovrebbe ritenersi valido ed efficace alla data del 24 maggio 2004, momento di avvio del procedimento di annullamento della D.I.A.

Con l’ultimo mezzo di doglianza, si deduce l’infondatezza dei motivi assorbiti dal TAR.

In particolare, sul quinto motivo del ricorso di primo grado, inerente alla pretesa contraddittorietà tra il provvedimento impugnato e il rilascio dell’autorizzazione al passo carrabile, si eccepisce la non confrontabilità tra la D.I.A. e la richiesta di autorizzazione: per la diversità di oggetto, per la diversa finalità degli istituti e il diverso regime giuridico, infine per la diversità di procedimento sotto il profilo della pratica presentata, dell’ufficio coinvolto e della documentazione prodotta.

Infine, sul settimo motivo di ricorso di primo grado, recante un preteso vizio di incompetenza nonché di difetto di motivazione, il Comune appellante contesta la pretestuosità della doglianza stante la previsione di cui all’art. 109, comma 2, T.U.E.L. nonché l’assenza di un obbligo di indicare nel singolo provvedimento l’atto di attribuzione delle funzioni (peraltro, nel caso di specie, esistente secondo quanto dedotto dall’amministrazione che indica a tali fini il decreto sindacale n. 6 del 3 luglio 2001, suscettibile di essere visionato da parte degli interessati con una mera istanza di accesso).

Si conclude, pertanto, per l’infondatezza di tali motivi chiedendone il rigetto previa riforma della sentenza appellata.

Avverso la stessa sentenza hanno proposto appello incidentale i ricorrenti in primo grado e le signore Chiara N e Luciana Guarducci, in qualità di eredi di G N, articolando le doglianze in diritto descritte nella parte in fatto e riproponendo le censure di cui al quinto e settimo motivo di ricorso di primo grado.

Gli appellanti incidentali hanno, inoltre, lamentato l’inammissibilità ex art. 104, comma 2, c.p.a. dei documenti depositati dal Comune con il ricorso in appello.

3. È infondato il motivo – più analiticamente descritto retro , sub 2 - con cui il Comune appellante (ribadendo in sostanza argomenti già articolati in primo grado e dichiarati infondati dal TAR) lamenta che il primo Giudice abbia erroneamente omesso di dichiarare l’inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di legittimazione ad agire degli originari ricorrenti.

Si osserva al riguardo:

- che il TAR ha condivisibilmente affermato che, a seguito dell’atto di divisione del 2 aprile 2003, tutti i ricorrenti in primo grado erano divenuti proprietari in via esclusiva dei rispettivi subalterni adibiti a parcheggio. Ne consegue che l’impugnato provvedimento di annullamento in autotutela del 9 maggio 2002 ledeva in modo personale, diretto e immediato i ricorrenti in primo grado in relazione a posizioni giuridiche soggettive delle quali gli stessi erano titolari, in tal modo palesando in capo ad essi la legittimazione e l’interesse ad agire;

- che la circostanza per cui il condominio (originario presentatore della D.I.A.) non risultasse fra gli originari ricorrenti non rileva ai fini di confermare o escludere la sussistenza della legittimazione ad agire degli odierni appellati. Può forse discutersi se, a seguito della divisione e frazionamento delle aree del 2 aprile 2003, il condominio fosse ancora dotato di legittimazione e interesse a un’ipotetica, autonoma impugnativa avverso il provvedimento comunale di annullamento in autotutela. Ma ciò che è certo è che di tale legittimazione ed interesse fossero muniti – per le ragioni appena esposte – gli originari ricorrenti;

- per ragioni connesse a quelle appena esposte non può giungersi a conclusioni diverse da quelle appena rassegnate in considerazione del fatto che l’azione giudiziaria non sia stata previamente deliberata dall’assemblea dei condòmini e che l’azione sia stata proposta da un numero di condòmini i quali – in tesi – non raggiungesse la maggioranza dei millesimi. Ciò, per la ragione che lo status soggettivo di condòmini non rilevava ai fini del radicamento della legittimazione e dell’interesse ad agire;

- che il provvedimento comunale di annullamento in autotutela presentava i caratteri di un atto plurimo ad effetti inscindibili (non essendo ragionevolmente pensabile che la dichiarazione di uso pubblico dell’area e l’inibizione alla realizzazione dell’unitario programma di interventi di cui alla D.I.A. del 9 maggio 2002 potesse valere soltanto per alcuni dei proprietari e non per altri).

4. È infondato il motivo – anch’esso più analiticamente descritto in precedenza – con cui il Comune appellante, reiterando un argomento già articolato in primo grado e non accolto dal TAR, osserva che il primo ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile atteso che, al momento dell’adozione del provvedimento comunale di annullamento, la DIA del 9 maggio 2022 aveva già perduto la sua efficacia stante il mancato avvio dei lavori entro il termine di legge.

Si osserva in primo luogo al riguardo che l’argomento in questione – laddove condiviso – determinerebbe una sorta di aporia logica atteso che la scelta del Comune di annullare ex officio un titolo edilizio ne presuppone evidentemente la permanente efficacia laddove, attraverso l’articolazione del motivo qui in trattazione, il Comune sembra contraddire il proprio stesso operato e sembra affermare di avere inteso annullare un atto che lo stesso Comune riteneva non più efficace (il tutto, in evidente violazione del generale divieto di venire contra factum proprium ).

Si osserva in secondo luogo al riguardo che il Comune appellante (modificando in modo piuttosto evidente la prospettiva difensiva del primo grado) non articola specifiche censure avverso il capo della sentenza che ha dichiarato inapplicabile alla vicenda di causa la novella normativa di cui alla legge regionale n. 43 del 2003. Al contrario la tesi del Comune sembra concentrarsi nel presente giudizio di appello sulla diversa tesi della diretta applicabilità della previsione di cui all’articolo 15, comma 2 del d.P.R. 380 del 2001 (e quindi, del termine annuale ivi previsto)

Si osserva in terzo luogo che – come eccepito dagli odierni appellati – il d.P.R. 380 del 2001 (di cui il Comune invoca l’applicabilità alla vicenda per cui è causa) è entrato in vigore solo in data 30 giugno 2003 (in tal senso la previsione dell’articolo 138, nella scansione temporale da ultimo delineata dall’articolo 2, comma 1 del decreto-legge n. 122 del 2002).

Non è quindi predicabile la tesi secondo cui le previsioni del T.U. 30 del 2001 potessero trovare applicazione in relazione a una D.I.A. che era stata presentata oltre un anno prima la sua entrata in vigore.

E ancor più, non è predicabile che l’entrata in vigore del d.P.R. 380 del 2001 (e, in particolare, del suo articolo 15, comma 2) potesse sortire l’effetto di privare ipso facto di efficacia una DIA presentata – appunto - oltre un anno prima, attraverso una sorta di applicazione retroattiva del termine annuale di cui al richiamato articolo 15, comma 2.

Per le medesime ragioni non risultano pertinenti ai fini della risoluzione della vicenda per cui è causa i richiami giurisprudenziali di cui alle pagine 14 e 15 dell’atto di appello, i quali fanno riferimento – contrariamente alla vicenda per cui è causa – a vicende certamente governate dalle previsioni del T.U. n. 380 del 2001.

5. Ancora, per le medesime ragioni dinanzi esposte non può trovare accoglimento il motivo con il quale il Comune lamenta che il TAR non avrebbe rilevato l’inammissibilità e/o l’improcedibilità del primo ricorso, stante la nullità della DIA del 9 maggio del 2002, in ragione della mancata indicazione della data di effettivo inizio dei lavori.

Al riguardo ci si limita ad osservare che non può predicarsi la nullità di un titolo edilizio per violazione di una disciplina (quella in tema di obbligo di avviare i lavori entro un anno – e conseguentemente, di indicare la data effettiva del relativo inizio -) che non era applicabile ratione temporis alla vicenda per cui è causa.

6. Una volta dichiarata l’infondatezza delle eccezioni di carattere preliminare riproposte in sede di appello è possibile passare all’esame puntuale dei motivi di impugnativa.

7. Con il primo di tali motivi (articolato alle pagine da 19 a 23 dell’atto di appello) il Comune chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui il TAR ha accolto il quarto dei motivi di ricorso e ha ritenuto sussistente l’error in procedendo consistente nella (sostanzialmente) omessa valutazione della memoria presentata in data 14 giugno 2004 dal legale degli appellati a contestazione delle ragioni poste a fondamento della comunicazione di avvio del procedimento di autotutela.

Il Comune osserva, in sintesi:

- che, sulla base di generali princìpi, l’amministrazione non ha l’onere di controdedurre puntualmente a tutte le osservazioni trasmesse in sede procedimentale a seguito di una comunicazione di avvio;

- che, in ogni caso, il contenuto del provvedimento finale (provvedimento di autotutela in data 6 agosto 2004) non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, atteso in particolare l’assoggettamento ad uso pubblico dell’area per cui è causa e la sua radicale immodificabilità (sia pure, attraverso la sola apposizione di paletti e catene aventi lo scopo di impedire il parcheggio).

7.1. Il motivo è infondato.

È vero che, alla luce di un consolidato orientamento – correttamente richiamato dall’appellante – sull’amministrazione non grava un obbligo puntuale di confutare in modo analitico le allegazioni presentate dall’interessato in sede procedimentale, a condizione che la motivazione del provvedimento conclusivo renda adeguatamente percepibili le ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni formulate in sede procedimentale.

Ma il punto è che l’applicazione di tale orientamento non consente di escludere l’illegittimità del provvedimento comunale rilevata dal primo Giudice.

Ed infatti, con la richiamata nota di osservazioni in data 14 giugno 2004 gli interessati non si erano limitati a contestare in modo generico le ragioni poste a fondamento del preannunciato atto di ritiro, ma avevano indicato ragioni dirimenti che sembravano in radice impedirne l’adozione.

In particolare, gli interessati avevano contestato in radice che l’area per cui è causa fosse assoggettata ad uso pubblico per effetto della convenzione del 1983 e avevano in ogni caso rilevato che la stessa convenzione prevedesse la validità decennale delle relative prescrizioni. Ne consegue – osservavano sul punto gli appellati – che, essendo ampiamente decorso tale termine decennale, il Comune non avrebbe comunque potuto imporne coattivamente le prescrizioni, ormai divenute inefficaci.

A fronte della rilevanza e del carattere dirimente di tale obiezione il Comune non avrebbe potuto limitarsi – come in effetti ha fatto – a richiamare l’uso pubblico gravante sull’area a sostegno del disposto annullamento in autotutela.

In tal modo operando il Comune ha in effetti violato i generali princìpi che regolano i (pur attenuati) obblighi motivazionali che gravano in capo all’amministrazione a fronte di osservazioni di fonte privata formulate in sede procedimentale.

Né il Comune avrebbe potuto ritenere assolti tali obblighi attraverso il solo richiamo all’inedificabilità che caratterizza l’area.

Va premesso al riguardo che tale ragione di annullamento non risultava esplicitata nella comunicazione di avvio del procedimento finalizzato all’annullamento (atto in data 24 maggio 2004) e che, conseguentemente, su tale ragione gli odierni appellati non hanno potuto controdedurre, derivandone una conseguente violazione delle prerogative procedimentali poste a garanzia delle prerogative dei destinatari dell’atto finale.

In ogni caso l’amministrazione non avrebbe potuto (legittimamente) fondare il provvedimento di autoannullamento sulle sole previsioni del R.U. che classificano l’area in questione come “non edificabile”, ma avrebbe dovuto esporre le ragioni per cui si riteneva che la mera apposizione di pali dissuasori e catene in plastica avesse una rilevanza ai fini edilizi.

8. Con il secondo dei motivi di ricorso (articolato dalla pagina 23 alla pagina 26 dell’appello) il Comune di Montignoso lamenta che erroneamente il TAR avrebbe dichiarato l’illegittimità del provvedimento di annullamento in data 6 agosto 2004 in accoglimento del sesto dei motivi del ricorso di primo grado (i.e.: in ragione del tempo decorso dalla D.I.A. oggetto di annullamento, del legittimo affidamento medio tempore ingereneratosi in capo agli appellati e al mancato bilanciamento fra i diversi interessi nel caso in esame coinvolti).

8.1. Il motivo è infondato.

8.1.1. Va premesso al riguardo che le ragioni dinanzi esposte sub 7.1 rivelano in modo autonomo e – per così dire – ‘assorbente’ il carattere illegittimo del provvedimento di autotutela adottato dal Comune ed esimono in via di principio il Collegio dall’esame degli ulteriori motivi individuati dal TAR a sostegno di tale illegittimità.

8.1.2. Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena esposto il Collegio osserva comunque che il motivo di appello in esame risulta infondato.

È vero che la vicenda per cui è causa si è articolata nel corso di una fase storica in cui il Legislatore non aveva ancora fissato un termine massimo per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio (in particolare, attraverso la modifica all’articolo 21- nonies della legge n. 241 del 1990 introdotta dall’articolo 25 del decreto-legge n. 133 del 2014), restando il potere di annullamento assoggettato a un più elastico parametro di ragionevolezza del termine.

È altresì vero che la ragionevolezza di tale termine doveva essere a propria volta parametrata su un complesso di fattori fra cui quello della complessità degli accertamenti necessari a rilevare l’illegittimità dell’atto e il contegno più o meno decettivo serbato dai destinatari del medesimo atto.

Ebbene, riconducendo i princìpi in questione alle peculiarità del caso in esame, non risulta giustificato che il Comune abbia impiegato un anno circa (dal maggio 2013 al maggio 2014) per rilevare un – peraltro, infondato – profilo di illegittimità che sarebbe stato agevolmente evincibile sulla base della documentazione già in possesso del Comune stesso.

Il provvedimento di annullamento impugnato in primo grado è stato infine adottato in data 6 agosto 2004 (i.e.: una volta decorsi circa quindici mesi dall’adozione dell’atto oggetto di autotutela): si tratta di un lasso di tempo obiettivamente non ragionevole in considerazione del carattere agevole degli accertamenti che sarebbero stati necessari e del fatto che gli appellati non avevano in alcun modo serbato – nel corso della vicenda procedimentale - una condotta ostruzionistica o volta a sottacere alcuna delle circostanze rilevanti.

Anche sotto tale aspetto, quindi, il provvedimento impugnato in primo grado risulta illegittimo, e ciò esime il Collegio da ogni ulteriore indagine in ordine all’affidamento medio tempore ingenerato in capo ai destinatari dell’atto ovvero – secondo una prospettiva in parte coincidente – in ordine alla valutazione dei diversi interessi nella specie coinvolti.

9. La rilevata infondatezza dei motivi di ricorso dinanzi esaminati sub 7 e sub 8 induce a confermare l’illegittimità del provvedimento comunale in data 6 agosto 2004 (e quindi a respingere l’appello) ed esime in via di principio il Collegio dall’esame degli ulteriori argomenti (articolati alle pagine 26 e seguenti dell’appello) con i quali si contesta la sentenza del TAR in relazione all’accoglimento del primo, del secondo e del terzo dei motivi di ricorso articolati in primo grado.

9.1. Ai ben limitati fini che qui rilevano il Collegio osserva comunque che, se (per un verso) appare documentato che i ricorrenti in primo grado fossero a conoscenza dell’atto unilaterale d’obbligo in data 14 aprile 1983, per altro verso tale consapevolezza non valeva acquiescenza al relativo contenuto.

È sufficiente osservare al riguardo che nell’ambito dell’atto di divisione del compendio immobiliare in data 2 aprile 2003, gli odierni appellati richiamarono, sì, il contenuto dell’atto unilaterale d’obbligo del 1983, ma lo fecero affermandone in modo espresso l’inopponibilità, anche in ragione dell’intervenuta decadenza delle relative prescrizioni per decorso del periodo decennale richiamato dal medesimo atto unilaterale d’obbligo.

9.2. Ancora, ai limitati fini che qui rilevano, non può essere qui valorizzata la previsione del più volte richiamato atto unilaterale d’obbligo in base alla quale il Comune avrebbe potuto procedere all’espropriazione dell’area “ in qualsiasi momento lo ritenesse necessario ” onde inferirne – secondo la tesi del Comune – l’insuscettibilità di decadenza di tale previsione.

Si osserva al riguardo che, anche a voler ritenere che tale previsione equivalesse all’imposizione di un vincolo preordinato all’esproprio, la stessa resterebbe comunque assoggettata alla generale regola per cui la mancata dichiarazione di pubblica utilità entro il prescritto termine quinquennale determinerebbe comunque la decadenza del relativo vincolo (v. ora l’articolo 9, comma 3 del d.P.R. 327 del 2001)

9.3. E ancora, non possono condurre a conclusioni diverse rispetto a quelle sin qui esposte:

- né il contenuto della delibera assembleare del 10 febbraio 1983 (il cui contenuto risulta evidentemente superato dalle successive delibere dl 2003 le quali hanno deciso il frazionamento dell’area muovendo da presupposti evidentemente opposti);

- né l’affermazione del Comune (pag. 28 dell’appello) secondo cui il carattere accessivo dell’atto unilaterale rispetto alla concessione non consentirebbe di applicare al primo la decadenza decennale. Non emerge infatti alcun ostacolo a configurare un vincolo suscettibile di decadenza per infruttuoso decorso di un certo lasso di tempo (peraltro, piuttosto lungo), nonostante il suo carattere accessivo rispetto alla concessione;

- né il fatto che l’atto unilaterale d’obbligo fosse richiamato nell’ambito dell’atto di acquisto fatto dal sig. M L. Ed infatti, il richiamo di un vincolo effettuato nell’ambito di un atto di compravendita non può sortire l’effetto di estendere la portata di tale vincolo oltre quanto espressamente stabilito nell’ambito del suo titolo costitutivo;

- né la previsione del più volte richiamato atto del 1983, secondo cui “ l’uso delle opere così realizzate sarà pubblico ”. La locuzione in tal modo utilizzata non sembra suffragare la tesi del Comune secondo cui l’uso pubblico dell’area a parcheggio sarebbe rimasta invariata anche in caso di mancata realizzazione delle opere previste e anche in caso di infruttuoso decorso del termine decennale. Del resto, la previsione secondo cui “ il presente impegno ha validità decennale (…) ed alla scadenza la società (…) sarà libera da ogni obbligo nei riguardi dell’ente pubblico ” non sembra poter essere limitato all’obbligo di facĕre ivi previsto, ma sembra estendersi a tutti i vincoli rinvenienti dall’atto d’obbligo;

- né le previsioni della pertinente disciplina di Piano (secondo cui l’area per cui è causa è destinata in parte a ‘parcheggio’ e in parte a ‘verde pubblico’). Limitandosi al riguardo alla sola previsione relativa alla destinazione a parcheggio, si osserva in primo luogo che tale previsione coincide puntualmente con quella già richiamata dall’atto del 1983. Si osserva inoltre che la medesima previsione non appare di per sé implicare una destinazione ad uso pubblico, in specie se i pertinenti titoli depongano in senso diverso (e risultino in particolare compatibili con una destinazione a parcheggio privato).

10. La rilevata infondatezza dei motivi di ricorso dinanzi esaminati sub 9 induce ancora una volta a confermare l’illegittimità del provvedimento comunale in data 6 agosto 2004 (e quindi a respingere l’appello) ed esime il Collegio dall’esame delle deduzioni formulate dal Comune appellante in ordine ai motivi assorbiti in primo grado (pag. 37 dell’appello). Tale esame non potrebbe risultare comunque dirimente ai fini della presente decisione.

11. Con l’appello incidentale in data 13 dicembre 2018 gli appellati signori N, L, C, R, Giusti e Baldini chiedono la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui il TAR ha affermato che “ l’atto del 14 aprile 1983 appare astrattamente idoneo a fondare la costituzione di uso pubblico dell’area in considerazione ”. Espongono al riguardo le circostanze in fatto e in diritto che deporrebbero nel senso dell’erroneità di tale qualificazione.

Sotto questo aspetto l’appello incidentale è inammissibile stante la carenza di uno specifico interesse alla sua proposizione.

Si osserva al riguardo:

- che il richiamato passaggio motivazionale non reca un’espressa e certa qualificazione dell’atto in questione, ma si esprime in termini sostanzialmente dubitativi e di “astratta idoneità”. Si tratta, quindi, di un passaggio motivazionale al quale può essere riconosciuta la valenza di un sostanziale obiter dictum ;

- che, in base a consolidati principi, è inammissibile l’impugnativa avverso parti di una decisione che non valutano in concreto il merito della controversia e non possono vincolare le parti nella definizione dei loro rapporti sostanziali (Cons. Stato, V, 6 marzo 2001, n. 1253);

- che (per le ragioni già esposte sub 7, 8 e 9) l’atto unilaterale d’obbligo risultava già privato di efficacia per l’intervenuto decorso del termine decennale. Tale circostanza – come si è visto – risulta dirimente ai fini della presente decisione e priva conseguentemente gli appellati di un qualunque interesse alla diversa qualificazione di un atto che risulterebbe comunque inidoneo ai fini della definizione della presente controversia.

12. Osserva infine il Collegio che, per le ragioni già esposte retro , sub 10, non vi è ragione di esaminare (neppure ai fini di cui all’articolo 101, comma 2 del cod. proc. amm.) i motivi di ricorso già articolati in primo grado ed assorbiti in ragione della decisione di accoglimento descritta in premessa.

13. Per le ragioni dinanzi esposte l’appello principale deve essere respinto e l’appello incidentale deve essere dichiarato inammissibile in ragione della carenza di un concreto interesse alla sua proposizione.

Sussistono tuttavia giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti, anche in ragione della complessità in fatto e in diritto delle questioni implicate dalla presente decisione.

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