Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-11-06, n. 201907566

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-11-06, n. 201907566
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201907566
Data del deposito : 6 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/11/2019

N. 07566/2019REG.PROV.COLL.

N. 00208/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 208 del 2019, proposto dalla società:
Cogea S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato G L P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

contro

il Ministero per i beni e le attività culturali e la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

dell’associazione “Latium Vetus” e del Comitato di Quartiere S. Palomba, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore e dei signori Monia Bartolucci, Daniela Boccacci, Stefano Casale, Diego Casubolo, Eugen Ciceu, Fabio D'Annibale, Gianni Di Biase, Rossella D'Orazio, Mirela Melita Fedus , Nicolino Fortugno, David Romano, Luigi Russo, Luciano Santini, Salvatore Verde, rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Lo Mastro e S R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Rossi in Roma, via Gabriele Camozzi 9;
della Regione Lazio, del Comune di Pomezia, della signora Paola Boccacci e della Fial S.r.l. unipersonale, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento ovvero la riforma

previa sospensione

della sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, sezione II quater , 30 ottobre 2018 n.10463, che ha respinto il ricorso n. 1329/2018 R.G. proposto per l’annullamento:

a) del decreto 27 ottobre 2017, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – G.U. serie generale 25 novembre 2017 n.276, pronunciato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo- MIBACT, Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio, recante “Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area ‘Tenute storiche di Torre Maggiore, Valle Caia ed altre della Campagna Romana’ nei Comuni di Pomezia e Ardea”;

di ogni altro atto presupposto, connesso ovvero consequenziale, e in particolare:

b) della proposta comunicata con atto 18 maggio 2017 prot. n.11810 dalla Soprintendenza;

c) della relazione istruttoria 19 ottobre 2017 prot. n.24160;

d) del parere della Regione Lazio 26 maggio 2017 prot. n.2689996;

e) del parere del Comitato tecnico scientifico per il paesaggio;

f) del parere della Commissione regionale di cui alla seduta del 26 ottobre 2017;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 il Cons. F G S e uditi per le parti gli avvocati G L P e S R e l'avvocato dello Stato C A;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società ricorrente appellante impugna il decreto 27 ottobre 2017 della Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio meglio indicato in epigrafe (doc. 1 in I grado ricorrente appellante, decreto in questione), che ha dichiarato di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 comma 1 lettere c) e d) del d. lgs. 22 gennaio 2004 n.42, e quindi ha sottoposto a vincolo paesaggistico, un’ampia zona dell’agro romano, estesa per circa 2000 ettari fra i Comuni di Pomezia ed Ardea. La società stessa è infatti interessata ad un immobile già esistente, che si trova in Comune di Pomezia, in via della Medicina 6-7, località S. Palomba, distinto al catasto al foglio 2 particelle 205. 235 e 262, sul quale aveva avviato dal 2012 la procedura per ottenere l’autorizzazione necessaria a realizzare un impianto di compostaggio di rifiuti, intervento che ora non è più consentito per effetto del vincolo imposto, il tutto nei termini che ora si illustreranno (v. da ultimo doc. 19 in I grado ricorrente appellante, verbale ultima conferenza di servizi relativa).

2. Il decreto 27 ottobre 2017, come si è detto, dichiara di notevole interesse pubblico l’area denominata “Tenute storiche di Torre Maggiore, Valle Caia ed altre della Campagna Romana” nei Comuni di Pomezia e Ardea.

2.1 Si tratta di un’ampia area di circa 2000 ettari, che secondo quanto riporta lo stesso decreto “conserva ancora un insieme particolarmente armonioso di elementi agricoli e naturali, scarsamente antropizzati se non dalla realizzazione, nel corso del tempo, di interessanti esempi di insediamenti agricoli tipici della campagna romana , inscindibilmente coniugati con numerose preesistenze architettoniche (casali, torri, castelli) e archeologiche, così come riscontrabili nelle carte archeologiche storiche e recenti, che testimoniano l’antica vocazione agricola dell’area a cui si aggiunge la funzione di presidio del territorio e delle vie di comunicazione nel periodo medievale”. In altre parole, si tratta di una zona che fin dai tempi dell’antica Roma è stata destinata all’agricoltura, con la funzione essenziale di approvvigionare la vicina città, ed è stata da sempre attraversata dalle strade che a Roma conducono;
in particolare, nel Medio Evo è stata caratterizzata da grandi centri agricoli, detti domuscultae, raccolti intorno a torri e castelli costruiti a scopo di controllo del territorio e di difesa. Il più importante di questi centri, compreso nell’area interessata e citato anche nell’intestazione del decreto, è poi il complesso monumentale di Torre Maggiore, che come si vedrà rileva direttamente ai fini di causa, si trova a circa 4 chilometri dall’abitato di Pomezia, all’interno di un lotto di terreno di circa 4 ettari, e comprende una cinta muraria medievale con un edificio ed una torre a sezione quadrata di 7.10 metri di lato, che con i suoi 34 metri di altezza è una delle più alte della campagna romana (per tutto ciò, si veda la relazione generale allegata al decreto, doc. 1 in I grado amministrazione depositato 7 marzo 2018, in particolare alle pp. 11-12).

2.2 Il decreto di vincolo è stato pronunciato, come pure si è detto, ai sensi dell’art. 136 comma 1 lettere c) e d) del d. lgs. 42/2004, e quindi considerando l’area come facente parte dei “ complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici ”, come previsto dalla lettera c), nonché come comprendente “ le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze ”, come previsto dalla lettera d).

2.3 Si tratta poi di un vincolo cd vestito, ovvero di un vincolo che ai sensi dell’art. 140 comma 2 del d. lgs. 42/2004 detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato. Essa costituisce parte integrante del piano paesaggistico e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo ”. In altre parole, il decreto di vincolo non si limita a imprimere all’area la qualificazione di bene paesaggistico e a lasciare la sua concreta tutela alle autorizzazioni paesaggistiche da rilasciare di volta in volta a fronte dei singoli interventi, ma agisce in via diretta, prevedendo fin da subito con una serie di disposizioni puntuali gli usi del territorio considerato che sono ammessi e quelli che non sono ammessi. Il relativo potere, come è noto, è stato previsto per la prima volta dall’art. 10 comma 1 del d. lgs. 24 marzo 2006 n.157, che ha modificato l’art. 140 comma 2 consentendo al decreto di vincolo di dettare “ una specifica disciplina di tutela ”, ed è stato reso più incisivo, nel senso di cui al testo attuale riportato, dall’art. 2 comma 1 lettera l) n. 2) del d. lgs. 28 marzo 2008 n.63.

2.4 Nel caso in esame, il decreto di vincolo ha proceduto anzitutto a confermare “la disciplina adottata con il Piano territoriale paesistico regionale del Lazio- PTPR… così come già indicato nella tav. 29_387 e relative norme tecniche”. Com’è noto, il PTPR laziale nella sua cartografia, di cui fa parte la tavola indicata classifica le varie porzioni del territorio regionale in categorie omogenee, denominate “paesaggi”, distinti a seconda delle caratteristiche intrinseche e dell’uso dell’area, e per ciascuna di tali categorie all’interno delle norme di attuazione- NTA detta una specifica disciplina di tutela, indicando gli interventi non ammessi e quelli ammessi, con i relativi limiti e condizioni. Il decreto di vincolo ha quindi cristallizzato in via generale la disciplina già dettata dalla Regione;
la ha poi integrata e modificata in casi specifici. Nel dettaglio, il decreto stesso ha riclassificato talune aree espressamente indicate da un tipo all’altro di “paesaggio”, stabilendo di volta in volta una tutela minore, o più spesso più intensa, di quanto già previsto dalla Regione. Il decreto ha infine introdotto alcune disposizioni di tutela puntualmente indicate, ulteriori rispetto a quelle previste nel sistema dei “paesaggi”, ovvero il divieto di arature e movimenti terra superiori ad un certo limite e non autorizzati intorno ai siti monumentali elencati e – per quanto direttamente rileva ai fini di questo giudizio- il divieto di “realizzare ulteriori manufatti a destinazione d’uso produttivo, commerciale e terziario anche se previsti dagli strumenti urbanistici comunali;
realizzare nuove strade carrabili asfaltate a scorrimento veloce;
eliminare i filari che costeggiano le strade interpoderali e i tracciati viari secondari” in tutte le aree classificate come “paesaggio agrario di rilevante valore” ovvero come “paesaggio dell’insediamento storico diffuso” (per tutto ciò, v. sempre il doc. 2 ricorrente appellante, cit.).

3. Tutto ciò premesso, va illustrata la situazione specifica del fondo per cui è causa, di proprietà della ricorrente appellante.

3.1 Come risulta, per tutti, dall’inquadramento su ortofoto (doc..5 in I grado MIBACT allegato all’elenco del 7 marzo 2018), l’area vincolata ha la forma approssimativa di un trapezio rettangolo rovesciato, la cui base maggiore si estende da nord ad est sud est. La parte superiore di questa ideale base maggiore, quindi a nord dell’area considerata, presenta però una frastagliatura in corrispondenza con la zona industriale di Santa Palomba, in Comune di Pomezia. Tale zona industriale -come è evidente sia dalla cartografia citata, sia dalle immagini satellitari disponibili in rete in pubblico dominio e quindi da considerare come fatti notori- si caratterizza perché accanto a lotti di terreno già urbanizzati, sede di stabilimenti vari, ne contiene altri ancora liberi o parzialmente liberi, che sono stati ricompresi nel perimetro del vincolo. In particolare, è libero anzitutto il lotto rettangolare di quattro ettari di cui si è detto, entro il quale sorge la Torre Maggiore, già da tempo vincolata come singolo monumento: questo lotto costituisce una sorta di dente di sega che si insinua all’interno dell’area industriale ed ha a nord un deposito di petroli, dai caratteristici serbatoi cilindrici ben visibili nell’ortofoto, a est il capannone di un’azienda metalmeccanica e a sud l’altro capannone del centro logistico di una nota catena di supermercati.

3.2 L’immobile di proprietà della ricorrente appellante è un lotto che contiene due capannoni, gli edifici al numero 6 e al numero 7 di via della Medicina ed ha la caratteristica di formare il lato ovest del rettangolo di Torre Maggiore, che divide dalla campagna non ancora urbanizzata.

3.3 Ciò posto, il terreno di proprietà della ricorrente appellante era stato classificato come destinato ad insediamenti industriali negli strumenti urbanistici relativi (appello, pp. 4-5, il fatto storico è incontestato);
per queste ragioni, la ricorrente appellante, a partire come si è detto dal 2012, aveva avviato il ,procedimento per localizzarvi un impianto di compostaggio rifiuti, per il quale aveva ottenuto una valutazione di impatto ambientale - VIA favorevole con decreto regionale 7 agosto 2015 n.9956 (doc. 12 in I grado ricorrente appellante), e aveva in corso di rilascio della necessaria autorizzazione integrata ambientale – AIA (doc. 19 in I grado ricorrente appellante, cit.).

3.4 Tale intervento peraltro ora non è più realizzabile, dato che il decreto di vincolo ha cambiato la classificazione del terreno in “paesaggio dell’insediamento storico diffuso”, imprimendovi come si è visto il divieto di comunque realizzarvi “ulteriori manufatti a destinazione d’uso produttivo, commerciale e terziario anche se previsti dagli strumenti urbanistici comunali”. Il punto rilevante del decreto, per la precisione, è quello ove si dice che viene “classificata come paesaggio dell’insediamento storico diffuso la porzione territoriale delimitata dal perimetro del vincolo in corrispondenza della zona industriale (via della Medicina) e dalla particella catastale 21 del foglio 14, a seguire dalla fascia di rispetto della ferrovia Roma Napoli…” (sempre doc. 1 ricorrente appellante, cit.).

4. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso presentato dalla società contro tale decreto, ritenendo in sintesi estrema che esso costituisca legittimo esercizio dell’ampia discrezionalità di cui notoriamente l’amministrazione dispone in materia.

5. Contro questa sentenza, la ricorrente ha proposto impugnazione, con appello che contiene un unico complesso motivo, di riproposizione di quello già dedotto in I grado e di critica alla sentenza impugnata per non averlo accolto, in particolare deduce eccesso di potere per irragionevolezza, dato che a suo dire in sintesi estrema il proprio lotto, già edificato, non potrebbe essere considerato unico lato libero dell’area di Torre Maggiore.

6. Hanno resistito il Ministero, con atto 22 gennaio 2019, nonché le due associazioni ed i cittadini indicati in epigrafe, con memoria 26 febbraio 2019, ed hanno chiesto che l’appello sia respinto.

7. Alla camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2019, nulla opponendo le parti presenti, la causa veniva rinviata al merito.

8. Con memorie 26 luglio 2019 per l’amministrazione e 26 luglio 2019 per gli intervenienti e repliche 3 settembre 2019 per la ricorrente appellante e 5 settembre 2019 per gli intervenienti appellanti, le parti hanno ribadito le loro difese.

9. Alla pubblica udienza del giorno 26 settembre 2019, infine, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

10. L’appello è infondato nel merito e va respinto, per le ragioni di seguito esposte.

11. Vanno per chiarezza sintetizzate le norme applicabili alla fattispecie, nei termini già delineati anche dal Giudice di I grado, che qui si condividono.

11.1 Le norme in questione sono contenute all’interno del titolo I della parte terza del d. lgs. 42/2004, artt. 131-159, dedicato alla tutela e valorizzazione dei “ beni paesaggistici ”, ove per “ paesaggio ” si intende, ai sensi dell’art. 131 commi 1 e 2, il “ territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni ” tutelato “ relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali ”: in questo modo, all’evidenza, viene precisato e concretizzato il comma 2 dell’art. 9 Cost, per cui la Repubblica “ tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione ”.

11.2 Il titolo in esame, all’art. 134 comma 1, considera tre distinte categorie di beni paesaggistici, ovvero alla lettera a) “ gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico ”, categoria che rileva nel caso di specie, individuati con un provvedimento puntuale emesso all’esito del procedimento di cui agli artt. 138 e ss.;
alla lettera b) le “ aree tutelate per legge ” di cui all’art. 142, ovvero determinate parti del territorio per le quali la legge ritiene applicabile in via diretta il regime di protezione da essa previsto;
infine, alla lettera c) gli “ ulteriori immobili ed aree ” individuati come “ di notevole interesse pubblico ” sottoposti alla tutela dei piani paesaggistici a sua volta previsti dalla legge.

11.3 La giurisprudenza ha chiarito che i beni di cui all’art. 134 comma 1 lettera a), ovvero i beni culturali propriamente detti, e quelli di cui all’art. 134 comma 1 lettera c), ovvero i beni paesaggistici, rappresentano il risultato di “strumentazioni tra loro parallele e differenziate”, poiché “la tutela dei beni paesaggistici riguarda o il risultato storico dell'interazione tra intervento umano e dato di natura, o lo stretto dato di natura”, mentre invece “la tutela dei beni culturali immobili riguarda .. non visuali ma cose, in genere manufatti”. Sono oggetto quindi di tutela in tal senso le “realizzazioni dell'uomo” che possono essere completamente artificiali, come nel caso degli edifici, ovvero essere costituite da “dati di natura oggetto di cure e adattamenti umani” come “caratterizzazioni particolari dello spirito e dell'ingegno” rappresentate ad esempio da parchi e giardini. In tal caso, la componente naturalistica rimane quantitativamente dominante, ma ciò non esclude la possibilità di apporre il vincolo perché si tratta pur sempre di tutelare “l'intervento creativo umano che li origina, li modella, li condiziona e li guida”. In tal senso, C.d.S. sez. VI 3 luglio 2012 n.3893, da cui le citazioni.

11.4 Della categoria più generale dei beni culturali fanno poi parte le due specie che rilevano ai fini di causa, ovvero come si è detto i “complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici ”, ai sensi della lettera c) dell’art. 136, nonché “ le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze ”, ai sensi della lettera d) dello stesso articolo.

11.5 La giurisprudenza ha chiarito che l’individuazione di un bene culturale, sia in generale sia in particolare, per quanto qui interessa, nel caso in cui si tratti di delimitare i confini di una zona da sottoporre a vincolo quale bellezza d’insieme, costituisce tipico esercizio di discrezionalità tecnica, sindacabile in sede giurisdizionale di legittimità solo in caso di manifesta illogicità, incongruità, irragionevolezza o arbitrarietà dei risultati;
nel caso che interessa non ricorre poi arbitrarietà per il solo fatto che non ogni singolo elemento compreso nell’area considerata presenta i caratteri della bellezza naturale, dato che appunto si tratta di tutelare l’insieme: così per tutte C.d.S. sez. VI 7 marzo 2016 n.914, citata anche dal Giudice di I grado e pronunciata in un caso consimile, nonché sez. VI 14 ottobre 2015 n.4747, in termini più generali.

11.6 Sempre la giurisprudenza si è poi occupata del caso che qui rileva, ovvero dell’ipotesi in cui si intenda vincolare una porzione di territorio particolarmente estesa, ed ha affermato che il tipo di vincolo da imporre anche in questo caso non è necessitato a priori, ma dipende dalle finalità che in concreto si vogliono perseguire: quando, come avviene più di frequente, si intenda conservare la visuale, si imporrà la tutela dei beni paesaggistici;
si potrà invece legittimamente imporre la tutela propria del bene culturale quando si intenda conservare non la visuale, ma la consistenza materiale dell’area, che rappresenti un’eredità storica. In tal senso, l’ampia estensione dell’area è irrilevante, perché la tutela dovrà estendersi fin dove del bene culturale esistano le caratteristiche: in tal senso, la citata C.d.S. 3893/2012, relativa al vincolo di tutto il complesso dei laghi di Mantova, nonché C.d.S. sez. VI 29 gennaio 2013 n.533, citata già dal Giudice di I grado e relativa ad un caso del tutto analogo al presente, ovvero al vincolo dell’ambito meridionale dell'agro romano compreso tra le vie Laurentina ed Ardeatina, esteso a tutta l’area “avente le caratteristiche del richiamo identitario”.

11.7 La tutela dei beni culturali passa anzitutto per lo strumento generale dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146: in generale, i titolari dei beni vincolati “non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione”, ed ogni singolo intervento va autorizzato con un provvedimento puntuale, che valuta nel caso concreto la compatibilità fra quanto si vuol realizzare ed il vincolo imposto, senza però che di regola vi siano interventi individuati a priori come ammissibili o non ammissibili, salva ovviamente la tutela dell’esistenza del bene in quanto tale.

11.8 Tuttavia la legislazione si è per così dire evoluta nel senso di anticipare la tutela, ovvero di prevedere già nel provvedimento che impone il vincolo di bene culturale una serie di prescrizioni da rispettare, ovvero di predeterminare già in quella sede gli usi e le trasformazioni consentite. Come si è detto, il testo originario dell’art. 140 comma 2, che in origine si limitava a disporre “ il provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati alle lettere a) e b) dell'articolo 136 è altresì notificato al proprietario, possessore o detentore, depositato presso il comune, nonché trascritto a cura della regione nei registri immobiliari ”, è stato infatti modificato una prima volta con il d. lgs. 157/2006, nel senso che “ i provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico paesaggistico contengono una specifica disciplina di tutela, nonché l'eventuale indicazione di interventi di valorizzazione degli immobili e delle aree cui si riferiscono, che vanno a costituire parte integrante del piano paesaggistico da approvare o modificare ”, e successivamente con il d. lgs. 63/2008, che ha introdotto il testo attuale già riportato: “ La dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato. Essa costituisce parte integrante del piano paesaggistico e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo .” La dichiarazione di interesse pubblico quindi ora deve obbligatoriamente prevedere una disciplina di questo tipo: dei relativi rapporti con la pianificazione urbanistica regionale e subregionale, sulla quale la disciplina stessa prevale, si dirà subito.

11.9 Il procedimento per individuare un bene culturale è di competenza della Regione ai sensi dell’art. 140, per cui appunto “ La regione … esaminati le osservazioni e i documenti e tenuto conto dell'esito dell'eventuale inchiesta pubblica, … emana il provvedimento relativo alla dichiarazione di notevole interesse pubblico ”;
lo stesso potere però spetta, ai sensi del successivo art. 141 anche all’autorità centrale, ovvero al Ministero, ed è questo il potere esercitato nel caso in esame, sul quale quindi bisogna soffermarsi, tenendo conto del fatto che in tale ipotesi è appunto il Ministero che viene a dettare la “ specifica disciplina di tutela ” contenuta nella dichiarazione stessa.

11.10 Secondo la giurisprudenza, per tutte le citate C.d.S. 533/2013 e 914/2016, il potere ministeriale di individuare un bene culturale e di sottoporlo alla relativa tutela è quindi un potere originario, che non si riduce ad un intervento sostitutivo di quello regionale;
si osserva in proposito che attribuire un tale potere di intervento all’autorità centrale è perfettamente compatibile con la Costituzione, e non lede le autonomie locali, dato che, per costante giurisprudenza della Corte, per tutte 20 luglio 2016 n.189 e 30 dicembre 1987 n.641, la tutela del paesaggio e dell’ambiente deve essere unitaria e omogenea su tutto il territorio nazionale. Dalla qualificazione di tale potere come originario, discende poi, sotto il profilo procedurale, che il suo esercizio non viola il dovere di leale collaborazione con le autonomie locali nel momento in cui, come nella specie non è contestato sia avvenuto, il Ministero acquisisca il parere obbligatorio, ma non vincolante, della Regione interessata.

11.11 L’esercizio del potere di vincolo comporta poi, come si è detto, che il Ministero venga a dettare le specifiche disposizioni di tutela del bene che si impongono sulla pianificazione degli enti locali., e ciò, come ritenuto dalla giurisprudenza non perché il Ministero pianifichi in sostituzione della Regione, ma perché si tratta di proteggere un valore cui la Costituzione assegna rango prevalente: in sintesi l'individuazione dei beni paesaggistici meritevoli di tutela s'impone e prevale sul potere pianificatorio regionale: così per tutte la citata C.d.S. 533/2013. Il risultato ultimo, osserva sempre la giurisprudenza, può in fatto frustrare le aspettative dei privati proprietari, interessati invece ad edificare e a urbanizzare le aree tutelate;
peraltro, non sussiste in proposito un affidamento in senso giuridico che sia tutelabile, dato che esso, a tutto voler concedere, riguarderebbe propriamente profili urbanistici, non profili di tutela del patrimonio culturale, che si distinguono dai primi e su di essi prevalgono appunto ai sensi dell’art. 9 Cost: così la citata C.d.S. 3893/2012.

12. Applicando i principi sopra delineati al caso di specie, va respinto l’unico motivo di appello dedotto, centrato sulla presunta irragionevolezza del vincolo in quanto apposto sul terreno della ricorrente appellante. Quanto essa sostiene risponde parzialmente al vero, nel senso che effettivamente tale terreno, che come si è detto confina con il lato ovest del rettangolo di Torre Maggiore e la divide dalla campagna non ancora urbanizzata, non è completamente privo di costruzioni, dato che ospita due capannoni. E’ però altrettanto vero che, ove si consentisse di sostituire tali capannoni con un impianto di tipo diverso – e di impatto sicuramente maggiore, trattandosi di un impianto di compostaggio rifiuti- si otterrebbe il risultato di compromettere ulteriormente l’area, all’evidenza sganciando definitivamente il complesso di Torre Maggiore dal contesto della campagna alla quale essa si riferiva. In tal senso, la scelta dell’amministrazione appare non irragionevole, alla luce della giurisprudenza, richiamata anche dal Giudice di I grado, secondo la quale l’avvenuta edificazione di un’area o il suo degrado non costituiscono ragione sufficiente per escludere l’imposizione di un vincolo, che in sintesi va a limitare i danni ulteriori e a proteggere quanto rimasto dell’originaria bellezza: in tal senso, C.d.S. sez. VI 11 giugno 2012 n.3401 e 15 giugno 2011 n.3644. Va solo precisato che nel contesto l’espressione “degrado” di un sito va intesa in senso estetico e naturalistico, come oggettiva compromissione del valore che il sito stesso possiede, indipendentemente dal fatto che essa sia avvenuta per mezzo di un abuso ovvero per mezzo di un intervento a suo tempo legittimo, come la costruzione dei capannoni descritti, che non consta essere avvenuta in abuso, ma non rileva comunque ad impedire il vincolo.

13. La complessità e particolarità della controversia è giusto motivo per compensare le spese.

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