Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-02-27, n. 201201081

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-02-27, n. 201201081
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201201081
Data del deposito : 27 febbraio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10228/2006 REG.RIC.

N. 01081/2012REG.PROV.COLL.

N. 10228/2006 REG.RIC.

N. 10432/2006 REG.RIC.

N. 10459/2006 REG.RIC.

N. 10556/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10228 del 2006, proposto da
C R M, rappresentato e difeso dagli avvocati L G e C P, con domicilio eletto presso M S in Roma, viale Parioli, 180;

contro

Comune di Castiglione della Pescaia, in persona del sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati D I, S N e D F, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

nei confronti di

Ministero per i beni e le attivitaà culturali, in persona del ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Siena e Grosseto;
Consorzio Santa Maria, Edilizia Arezzo s.r.l., Soc. Coop. Ed. Arezzo Chiana, Rosellana s.c.a.r.l, Soc. coop. ed. il Cantone, Stelma s.r.l., Carini Roberto, Carini Cristina, Carini Laura, Addobbati Giovanni, Innocenti Patrizia, Thema Immobiliare s.r.l.;



sul ricorso numero di registro generale 10432 del 2006, proposto dalla Cooperativa edilizia La Fenice s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Umberto Gulina e Francesco Gulina, con domicilio eletto presso Giulio Lais in Roma, via C. Monteverdi, 20;

contro

Comune di Castiglione della Pescaia, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati D I, S N e D F, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

nei confronti di

Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Siena e Grosseto;



sul ricorso numero di registro generale 10459 del 2006, proposto da
Edil Rosellana s.c.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Roberto Righi, con domicilio eletto presso Roberto Righi in Roma, via G.Carducci, 4;
Carini Roberto, Carini Cristina;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Siena e Grosseto, Consorzio S. Maria, Società coop. ed. Arezzo Chiana;
Comune di Castiglione della Pescaia, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati D I, S N e D F, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

nei confronti di

Società coop. edilizia Arezzo Uno s.r.l., Carini Marco Rolando, Società coop. ed. il Cantone, Società Stelma s.r.l., Addobbati Giovanni, Innocenti Patrizia, Società Thema Immobiliare;



sul ricorso numero di registro generale 10556 del 2006, proposto da
Società cooperativa edilizia a responsabilità limitata ‘il Cantone’, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati M S e M Q, con domicilio eletto presso M S in Roma, viale Parioli, 180;
Telma s.r.l., rappresentata e difesa dall'avvocato S L, con domicilio eletto presso S L in Roma, viale Mazzini 6;

contro

Comune di Castiglione della Pescaia, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati D I, S N e D F, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per Beni Architettonici e il Paesaggio di Siena e Grosseto;

per la riforma

quanto ai ricorsi nn. 10228 del 2006, 10459 del 2006 e 10556 del 2006:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana – Firenze, Sezione III, n. 2395/2006;

quanto al ricorso n. 10432 del 2006:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana – Firenze, Sezione III, n. 3077/2006


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio e le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 novembre 2011 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Giannoni per delega dell'avvocato Gracili l'avvocato dello Stato Varone, nonché gli avvocati Gulina, Righi, Quercetani e Sanino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Le vicende all’origine dei fatti di causa prendono le mosse dall’approvazione, da parte della Regione Toscana, del Piano regolatore generale del Comune di Castiglione della Pescaia (delibera di Giunta regionale 19 marzo 1980, n. 2394), nel cui ambito era contenuta una previsione di insediamento residenziale nell’ambito del comparto denominato ‘Santa Maria’ .

Conformemente alle previsioni di piano, nel corso del 1983, fu presentato un progetto di Piano di lottizzazione, che fu adottato dal Comune con delibera consiliare 23 dicembre 1994, n. 121 e infine approvato con delibera 11 dicembre 1995, n. 82.

Con delibera del Commissario straordinario 4 giugno 1996, n. 12 fu apportata una rettifica alle N.T.A. del Piano di lottizzazione in questione.

Nel luglio del 1996 veniva stipulata la Convenzione di lottizzazione (che teneva conto delle richiamate modifiche intervenute in relazione alle N.T.A.).

Nel corso del successivo agosto venivano presentate le domande di concessioni edilizie che, per quanto concerne i lotti nn. 3 e 4, venivano rilasciate in data 9 luglio 1999.

Nell’agosto del 2002, quando la lottizzazione era già in fase di esecuzione, il Comune di Castiglione della Pescaia acquisiva la perizia dell’Ingegner S e dell’Architetto V, volta a verificare l’effettiva volumetria realizzata nel comparto e la legittimità delle concessioni edilizie rilasciate.

La perizia S/V concludeva che la volumetria in concreto realizzata eccedeva quella consentita in base alla corretta applicazione del Piano di lottizzazione.

Ai fini della presente decisione, mette conto osservare che, con delibera consiliare 13 agosto 2002, n. 54, il Comune appellato aveva approvato le nuove tavole progettuali relative al Piano di lottizzazione per cui è causa e l’atto integrativo dell’originaria Convenzione.

Tuttavia, le modifiche non furono trasfuse in concrete modificazioni della Convenzione, stante l’indisponibilità dei lottizzatori a sottoscrivere una convenzione integrativa di quella a suo tempo conclusa.

Nel dicembre del 2003 il Comune di Castiglione della Pescaia comunicava agli interessati l’avvio del procedimento volto all’annullamento delle concessioni edilizie ritenute illegittime sulla base delle risultanze della perizia S/V.

All’esito dell’interlocuzione procedimentale in contraddittorio con gli interessati, il Comune appellato adottava i provvedimenti in data 25 gennaio 2005 e 7 febbraio 2005, di annullamento delle concessioni edilizie per plurimi profili di illegittimità.

In particolare, il Comune riteneva che le concessioni in questione fossero illegittime:

- per violazione degli articoli 3 e 5 della Convenzione urbanistica attuativa del Piano di lottizzazione, a causa della ritenuta difformità fra il contenuto delle concessioni rilasciate e lo schema organizzativo e distributivo di cui alle tavole 2 e 5 della convenzione urbanistica (espressamente richiamate dall’art. 3 delle N.T.A. alla convenzione urbanistica);

- per violazione delle disposizioni del Piano di lottizzazione per ciò che attiene le volumetrie massime concedibili. Al riguardo il Comune osservava che, pur dovendosi ritenere la conformità fra quanto assentito e le modifiche apportate alle N.T.A. del Piano di lottizzazione con la delibera commissariale n. 12/1996, era tale ultima delibera a palesarsi come illegittima, in quanto viziata per un error in procedendo relativo all’ iter di adozione. Pertanto, non potendosi tenere in considerazione le (maggiori) volumetrie assentibili in base alla richiamata delibera commissariale, quelle in concreto concesse risultavano in contrasto con le pertinenti previsioni di cui all’originaria formulazione delle NTA al Piano di lottizzazione.

Per quanto concerne l’interesse concreto ed attuale all’adozione dell’atto di autotutela, il Comune di Castiglione della Pescaia ne riteneva la sussistenza, dato che le richiamate difformità progettuali e realizzative avevano comportato uno sviluppo dell’edificazione in senso verticale (anziché in senso parallelo e adagiato alle curve di livello), in una zona collinare di elevato pregio paesistico, in tal modo compromettendo l’interesse pubblico al mantenimento dei tratti estetici, ambientali e paesaggistici della zona.

I provvedimenti venivano impugnati al Tribunale amministrativo regionale della Toscana da numerosi soggetti interessati dalle concessioni relative ai lotti nn. 3 e 4, oggetto di annullamento (fra i quali il signor R M C – appellante nell’ambito del ricorso n. 10228/2006 -, la società cooperativa edilizia Rosellana, il sig. R C e la signora C C – appellanti nell’ambito del ricorso n. 10459/2006 –, nonché la società cooperativa edilizia ‘Il Cantone’ e la società Telma s.r.l. - appellanti nell’ambito del ricorso n. 10556/2006 –).

Con la sentenza 19 maggio 2006, n. 2395, il Tribunale amministrativo in parte dichiarava inammissibile e in parte respingeva i ricorsi.

La sentenza è stata impugnata in appello dal signor R M C, il quale ne ha chiesto l’integrale riforma per i seguenti motivi:

1) Erroneità, illogicità e contraddittorietà – Difetto e/o insufficienza della motivazione della sentenza in ordine alla insussistenza del contrasto fra le concessioni edilizie annullate n. 6267/99 e 6268/99 con le previsioni del piano di lottizzazione e con la vigente pianificazione urbanistica comunale – Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5 e 9 delle N.T.A. al Piano di lottizzazione approvato con deliberazione n. 121 del 23 dicembre 1994 – Difetto di istruttoria e irragionevolezza (terzo motivo di ricorso in primo grado) .

Il primo giudice ha erroneamente omesso di considerare che il provvedimento comunale di annullamento era viziato per erronea applicazione delle previsioni di cui all’art. 5 delle N.T.A. alla convenzione urbanistica. Al contrario, la corretta interpretazione della disposizione era che, in sede di progettazione esecutiva, fossero vincolanti le sole previsioni di cui alla tavola allegata n. 2 (in tema di indicazioni planovolumetriche, con particolare riguardo alle sagome di massimo ingombro) e di cui alla tavola allegata n. 5 (ma solo limitatamente allo schema distributivo ed organizzativo dei diversi tipi edilizi ammessi, con particolare riguardo alle modalità aggregative delle unità residenziali/turistiche). Invece, in sede di progettazione esecutiva risultavano meramente indicative (e potevano, quindi, essere derogate) le ulteriori previsioni di cui alla tavola allegata n. 5, come – ad esempio – quelle in tema di tipologie abitative ammesse. Allo stesso modo, risultavano meramente indicative le previsioni di piano circa il carattere parallelo oppure ortogonale rispetto al terreno dei fabbricati, il quale avrebbe potuto essere rimesso a una libera scelta dei progettisti.

Ad ogni modo, il Comune (e, in seguito, il giudice) hanno omesso di considerare che la progettazione risultava comunque conforme al contenuto della delibera comunale n. 54 del 2002, recante ‘integrazioni alla Convenzione per la lottizzazione Santa Maria’ e ai nuovi elaborati grafici in tale occasione approvati.

Per quanto concerne la maggiore volumetria in concreto realizzata rispetto a quella assentibile ai sensi del Piano di lottizzazione, la sentenza ha erroneamente ritenuto la sostanziale inefficacia della delibera commissariale n. 12 del 1996 (che, al contrario, era ad ogni effetto valida ed efficace, in quanto mai annullata dal Comune).

Ad ogni modo, l’esubero volumetrico (pari a 311 mc.) è estremamente ridotto, se rapportato ai 42.500 mc. circa assentiti e ai 44.055 mc. realizzabili (sotto tale aspetto, i maggiori valori numerici contenuti nella perizia S/V derivano dall’aver erroneamente computato anche i volumi delle cantine e delle scale a giorno, che andavano esclusi).

2) Erroneità e contraddittorietà della sentenza in ordine all’interesse pubblico sotteso all’annullamento delle concessioni edilizie

La sentenza ha omesso di rilevare l’illegittimità del provvedimento comunale, in quanto privo dell’individuazione di un interesse pubblico effettivo, concreto ed attuale all’adozione dell’atto di ritiro (non essendo sufficiente la mera intenzione di ripristinare la legalità asseritamente violata).

Al contrario, il giudice doveva considerare che lo stesso Comune aveva nel corso della vicenda adottato atti contraddittori, alcuni dei quali mossi dall’evidente fine di confermare la correttezza dell’edificazione (in particolare, la delibera consiliare n. 54 del 2002).

Per quanto concerne l’interesse pubblico alla salvaguardia del paesaggio, il giudice ha dovuto valutare il carattere minimale dell’incremento contestato (pari a 311 mc.), in relazione alla complessiva volumetria comunque assentita (superiore a 40mila mc.).

3) Erroneità e contraddittorietà della sentenza in ordine alla violazione degli articoli 1, 2, 3 e 7 della legge n. 241 del 1990 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1, comma 136 della legge n. 311 del 2004 – Violazione del giusto procedimento e dei princìpi costituzionali di cui agli articoli 3 e 97, Cost. – Violazione e falsa applicazione della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 38 del d.P.R. n 380 del 2001

La sentenza ha omesso di rilevare l’illegittimità del provvedimento comunale sotto i seguenti profili:

- violazione del termine ragionevole per l’esercizio del potere di annullamento;

- violazione delle disposizioni in tema di autotutela di cui al comma 136 dell’articolo 1 della l. 311 del 2004;

- violazione del principio c.d. del contrarius actus (per non essere stato rispettato, in sede di adozione del provvedimento di annullamento, il medesimo iter dell’adozione dell’atto concessorio);

- violazione dei princìpi di partecipazione procedimentale e di leale collaborazione.

Per quanto concerne l’appello n. 10459/2006 (proposto dalla società cooperativa Edil Rosellana, dal signor R C e dalla signora C C), si osserva:

Con il ricorso in appello è stata chiesta la riforma della sentenza n. 2395/2006 (la stessa già impugnata con l’appello n. 10228/2006) per i seguenti motivi.

1) Violazione dei princìpi desumibili dagli articoli 3 e 97, Cost. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 – Violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 5 e 9 delle N.T.A. del Piano di lottizzazione approvato con delibera del Comune di Castiglione della Pescaia, n.121 del 23 dicembre 1994 – Erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Il motivo è simile, per molti aspetti, al primo dei motivi articolati con l’appello n. 10228/2006.

In particolare, gli appellanti lamentano che:

- il Comune e il Tribunale amministrativo regionale erroneamente hanno ravvisato una discrasia fra il contenuto della convenzione di lottizzazione. In particolare, la sentenza è erronea laddove ha ravvisato una violazione degli articoli 3 e 5 della convenzione, che limitano le possibili modifiche alle dimensioni del corpo di fabbrica e alla distribuzione interna, “fermo restando lo schema organizzativo e distributivo indicato nei tipi edilizi e l’ambito di sviluppo dell’edificio determinato dalle sagome di massimo ingombro” . L’erroneità riguarda il punto in cui è stato ritenuto che la modifica organizzativa degli edifici di cui alle concessioni rilasciate (da uno sviluppo lineare a uno verticale) comporterebbe la violazione della convenzione urbanistica;

- la corretta lettura e interpretazione delle N.T.A. alla convenzione di lottizzazione (articoli 3 e 5), in relazione alle tavole 2 e 5 allegate, ha reso evidente che i progetti assentiti non contrastavano con le prescrizioni planivolumetriche, non violando in alcun modo la convenzione urbanistica;

- il convincimento del giudice (che ha rilevato una discrasia fra le concessioni rilasciate da una parte e il contenuto vincolante della convenzione urbanistica dall’altro) è fondato sull’errore nell’individuazione delle parti vincolanti della convenzione. Contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza, infatti, la tavola 2 allegata alla convenzione era vincolante solo per le sagome di massimo ingombro (sagome che erano state in concreto rispettate), mentre la tavola 5 era vincolante solo per l’individuazione dei tipi edilizi, e non anche per le sezioni. Conseguentemente, le discrasie riguardavano aspetti dei manufatti realizzati in relazione ai quali le previsioni della convenzione urbanistica assumevano valenza meramente indicativa, inidonea a supportare un giudizio di illegittimità;

- il giudice ha omesso di considerare che la conformità delle concessioni non andava misurata in relazione al verso della giacitura sul terreno degli edifici (verticale piuttosto che orizzontale), bensì in relazione al fatto (pacifico) che i fabbricati erano racchiusi tridimensionalmente all’interno delle sagome di massimo ingombro, intese come massima estensione possibile del complesso degli edifici (ben potendosi configurare liberamente la concreta giacitura degli edifici all’interno di questa sagoma-limite);

- il giudice ha omesso di considerare che le tavole allegate nn. 3 e 4 (che si limitavano ad ipotizzare una possibile soluzione progettuale in punto di assetto degli edifici) non fornivano contenuti normativi vincolanti per l’esecuzione del progetto e si limitavano a fornire una mera illustrazione in relazione alla soluzione mostrata, non vincolante;

- il giudice ha erroneamente ritenuto corrette le determinazioni comunali relative al presunto incremento di volumetria rispetto alla misura massima assentibile. Sotto tale aspetto, il giudice ha omesso di considerare: a) che la delibera commissariale n. 12/2006 (di modifica alle NTA al Piano di lottizzazione anche in relazione alle volumetrie) era, al momento dei fatti, ancora valida ed efficace e che non era passibile di disapplicazione;
b) che il contenuto della delibera era stato nel corso degli anni sostanzialmente confermato con le delibere consiliari nn. 36 del 1998 e 54 del 2002;
c) che la vicenda di causa andava quindi esaminata alla luce della delibera commissariale n. 12/1996, la quale (modificando l’articolo 9 delle N.T.A. al Piano di lottizzazione) aveva recato, per l’esclusione di cubature dal computo complessivo, disposizioni di maggior favore rispetto a quelle di cui all’articolo 16 delle N.T.A. al P.R.G.;
d) che il competente dirigente comunale, nel rilasciare le concessioni poi annullate, aveva correttamente considerato il richiamato articolo 9 come modificato nel corso del 1996;
e) che lo stesso Comune di Castiglione della Pescaia, con delibera consiliare n. 54 del 2002, aveva apportato alla convenzione di lottizzazione alcune integrazioni in tutto compatibili, in punto di volumetrie assentibili, con la delibera commissariale del 1996 e, in via mediata, con le concessioni in concreto rilasciate;
f) che in ogni caso, anche ad ammettere l’esistenza di effettivi dubbi interpretativi in ordine al regime di disciplina applicabile in punto di volumetrie realizzabili, era necessario aderire alla tesi più conforme al favor libertatis (ossia, alla tesi più idonea a consentire il completamento delle previste edificazioni).

2) Violazione dei princìpi desumibili dagli articoli 3 e 97, Cost. – Violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 2 della legge n. 241 del 1990 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1, comma 136, della legge 311 del 2004 - Erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Anche a prescindere dai motivi ‘sostanziali’ richiamati nel precedente motivo, ulteriori vizi inficiano l’ iter e il provvedimento del procedimento di secondo grado.

In particolare: il giudice ha omesso di considerare: a) che era stato superato il termine per l’adozione del provvedimento di autotutela (e, più in generale, un qualunque termine ragionevole, anche in considerazione del lungo tempo trascorso dal rilascio dei titoli), dal momento che il provvedimento era stato adottato a oltre un anno dalla comunicazione di avvio;
b) che il termine era tanto più ingiustificabile, se si considera che il Comune disponeva già da anni degli elementi tecnici e fattuali per valutare la legittimità delle concessioni rilasciate;
c) che, in ogni caso, era stata violata la previsione dell’art. 1, comma 136, l. n. 311 del 2004 in tema di presupposti e condizioni per l’esercizio dell’autotutela, nonché – più in generale – la previsione di cui all’articolo 21- nonies l. n. 241 del 1990, in tema di annullamento di ufficio;
d) che non era stato adeguatamente valutato il principio di conservazione degli atti amministrativi e il bilanciamento dei diversi interessi coinvolti;
e) che, in ogni caso, l’ iter procedimentale seguito era viziato per mancato rispetto del principio del contrarius actus , per mancato coinvolgimento della Soprintendenza;

3) Violazione dei princìpi desumibili dagli articoli 3 e 97, Cost. – Ulteriore violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 7 e segg. della l. 241 del 1990 – Violazione e falsa applicazione dei princìpi desumibili dall’articolo 11 della legge n. 47 del 1985 e dall’articolo 38 del d.P.R. 380 del 2001 – Erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Nell’adottare i provvedimenti di autoannullamento, il Comune ha omesso di valutare le controdeduzioni dell’appellante in sede procedimentale, nonché i princìpi di conservazione, ragionevolezza e leale collaborazione, ben potendosi limitare a un annullamento parziale, ovvero al rilascio di un nuovo titolo di contenuto più ridotto.

Inoltre, il Comune ha fatto malgoverno della previsione di cui all’art. 8 l. n. 94 del 1982, nonché del generale principio utile per inutile non vitiatur .

4) Ulteriore violazione degli articoli 1 e 3 della legge 241 del 1990 – Erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia

In adozione dei provvedimenti impugnati in primo grado, il Comune ha omesso di individuare un effettivo interesse, concreto ed attuale all’adozione degli atti di ritiro.

Per il ricorso in appello n. 10556/2006 (proposto dalla società cooperativa ‘Il Cantone’ e dalla società ‘Telma’ s.r.l., si osserva quanto segue.

Con il ricorso in appello è stata chiesta la riforma della sentenza n. 2395/2006 (la stessa già impugnata con gli appelli numm. n. 10228/2006 e 10459/2006) per i seguenti motivi.

1) Violazione dei princìpi desumibili dagli artt. 3 e 97, Cost. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, l. 241 del 190 – Violazione degli articoli 3, 5 e 9 delle N.T.A. al Piano di lottizzazione approvato con delibera di C.C. del Comune di Castiglione della Pescaia, n. 121 del 1994 – Erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia

L’esercizio in concreto del potere di autotutela è illegittimo in quanto:

- è decorso più di un anno fra la comunicazione di avvio del procedimento e l’adozione del provvedimento finale;

- la stessa comunicazione di avvio è intervenuta dopo circa due anni dall’adozione degli atti oggetto di autotutela;

- vi è stato il superamento del termine ragionevole per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio (art. 21- nonies della l. n. 241 del 1990), con contestuale violazione anche della previsione di cui all’art. 1, comma 136, della l. n. 311 del 2004.

Inoltre, nell’adottare il provvedimento il Comune ha omesso di valutare gli effetti della delibera consiliare n. 54 del 2002, che ha determinato una sorta di sanatoria dei manufatti.

è poi violato il principio del contrarius actus , per non essere stato acquisito l’avviso della Soprintendenza, che deve intervenire dal procedimento di rilascio della concessione ai sensi dell’articolo 88 della l.r. n. n. 1 del 2005.

2) Violazione dei princìpi desumibili dagli artt. 3 e 97, Cost. – Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 3, l. 241 del 1990 – Violazione e falsa applicazione dei princìpi desumibili dall’art. 11 della legge 47 del 1985 e dall’art. 38 del d.P.R. 380 del 2001 - Erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia

Il giudice ha omesso di apprezzare la violazione delle garanzie partecipative posta in essere dal Comune, che non ha motivato sulle ragioni del discostamento dalle controdeduzioni fornite ai sensi dell’art. 10 l. n. 241 del 1990. Né ha valutato che l’operato del Comune contrastava con il principio di leale collaborazione, che imponeva di valutare la possibilità di approvare un progetto “lievemente riduttivo” rispetto a quello assentito.

Inoltre, il giudice ha non valutato il mancato rispetto dei princìpi di conservazione, giusto procedimento, affidamento e ragionevolezza che presiedono all’attività amministrativa.

3) Violazione dei princìpi desumibili dagli artt. 3 e 97, Cost. – Violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 5 e 9 delle N.T.A. al Piano di lottizzazione approvato con delibera di C.C., n. 121 del 1994 - Erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia

La sentenza va riformata laddove ha ritenuto la violazione degli articoli 3 e 5 delle N.T.A. alla Convenzione urbanistica per la ritenuta difformità rispetto allo schema organizzativo e distributivo di cui alle tavole 2 e 5 allegate alla convenzione urbanistica.

Ancora, in sede la sentenza omette di considerare:

- che le sole prescrizioni vincolanti (e puntualmente rispettate) erano quelle sulle sagome di massimo ingombro;

- che le asserite difformità fra quanto previsto dalla normativa di piano e quanto in concreto assentito aveva in realtà riguardo ad aspetti meramente illustrativi e comunque non vincolanti;

- che, per le tavole 2 e 5 allegate alla Convenzione urbanistica, le sole prescrizioni vincolanti erano quelle relative ai ‘tipi edilizi’ e non anche quelle relative alle ‘sezioni’;

- che, in ogni caso, dalle richiamate tavole 2 e 5 non emergeva l’obbligo di sviluppare l’edificato secondo direttrici predeterminate (es.: in senso orizzontale piuttosto che verticale);

- che le indicazioni desumibili dalle tavole 3 (‘planivolumetrico’) e 4 (‘planivolumetrico’) non rivestivano carattere di vincolatività, ma si limitavano a declinare soluzioni progettuali meramente facoltative (i.e.: alcune fra le molte possibili soluzioni realizzative).

Sempre con il terzo motivo di ricorso, si lamenta l’erroneità della sentenza per la parte in cui ha ritenuto il superamento della volumetria in concreto realizzabile.

Al riguardo, il giudice ha omesso di considerare:

- che la delibera commissariale n. 16 del 1996 era stata confermata dalla delibera consiliare n. 54 del 2002 (di modifica della convenzione di lottizzazione), così palesando ex post la conformità delle edificazioni realizzate al pertinente quadro disciplinare;

- che, a sua volta, la delibera commissariale n. 16 del 1996 (di modifica dell’articolo 9 delle norme attuative del Piano di lottizzazione) era del tutto legittima ed efficace;

4) Violazione dei princìpi desumibili dagli artt. 3 e 97, Cost. – Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 3, l. 241 del 1990 - Violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 5 e 9 delle N.T.A. al Piano di lottizzazione approvato con delibera di C.C., n. 121 del 1994 - Erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia

Il giudice ha omesso di considerare:

- che l’annullamento in autotutela non evidenziava un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione di atti illegittimi;

- che l’amministrazione comunale non aveva comparato in concreto fra i diversi interessi coinvolti;

- che, al contrario, il provvedimento impugnato solo affermava apoditticamente che l’annullamento era necessario per l’interesse al ripristino degli interessi paesaggistici ed ambientali.

Solo parzialmente diversa è la genesi del ricorso in appello n. 10432/2006, proposta dalla società cooperativa ‘La Fenice’ avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Toscana n. 3077/2006 con cui è stato dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato il ricorso avverso il provvedimento comunale di annullamento d’ufficio della concessione edilizia n. 6266 del 1998.

Al riguardo si osserva: a) che il provvedimento comunale si fondava su ragioni sostanzialmente analoghe a quelle già esplicitate nell’ambito dei provvedimenti di annullamento delle concessioni nn. 6267 del 1999 e 6268 del 1999;
b) che la sentenza si fondava a sua volta su ragioni sostanzialmente analoghe a quelle già esposte nell’ambito della sentenza n. 2395/2006.

Con l’appello, la società ‘La Fenice’ chiede la riforma della sentenza articolando i seguenti motivi:

1) (sui) vizi del procedimento

Il giudice ha omesso di valutare il superamento del termine ragionevole di durata del procedimento di annullamento d’ufficio. Oltretutto l’ iter del procedimento di autotutela doveva seguire – secondo la logica dell’atto contrario – il medesimo iter dell’iniziale concessione.

2) Sul merito

Il giudice ha omesso di considerare: a) la valenza che, ai fini della decisione, era sortita dalla delibera commissariale n. 12 del 1996, di modifica alle N.T.A. del Piano di lottizzazione;
b) la circostanza per cui, ai sensi dell’articolo 5 della Convenzione, il contenuto della tavola n. 5 allegata era solo indicativo ai fini delle progettazione esecutiva;
c) il fatto che il nuovo regolamento edilizio non era applicabile ai porgetti attuativi di convenzioni già sottoscritte;
d) il superamento del principio di ragionevole durata del procedimento di autotutela;
e) l’insussistenza di effettive ragioni di interesse pubblico interesse a supporto dell’annullamento (anche in considerazione del carattere minimale delle eccedenze volumetriche – pari ad appena 311 mc. -).

In tutti i quattro giudizi si costituiva il Comune di Castiglione della Pescaia, che concludeva per il rigetto degli appelli.

Il Comune proponeva, altresì, appello incidentale con cui (reiterando un argomento già invano esposto in primo grado) affermava l’inammissibilità del primo ricorso per difetto nelle procure alle liti, in quanto rilasciate in violazione dell’art. 83 Cod. proc. civ..

All’udienza pubblica del 29 novembre 2011 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giungono alla decisione del Collegio i ricorsi in appello proposti da quattro soggetti privati interessati da un piano di lottizzazione nell’ambito del Comune di Castiglione della Pescaia avverso le sentenze del Tribunale amministrativo regionale della Toscana nn. 2395/2006 e 3077/2006 con cui sono stati in parte dichiarati inammissibili e in parte respinti i ricorsi avverso i provvedimenti con cui il Comune aveva disposto l’annullamento in autotutela di alcune concessioni rilasciate nell’ambito della richiamata lottizzazione, in quanto illegittime.

2. In primo luogo il Collegio riunisce i ricorsi in epigrafe, per evidenti ragioni oggettive e soggettive (inoltre, i ricorsi in appello 10228/2006, 10459/2006 e 10556/2006 sono rivolti avverso la medesima sentenza).

3. Il Collegio ritiene in via preliminare che non vi sia ragione per esaminare l’appello incidentale proposto dal Comune negli appelli nn. 10228/06, 10459/06 e 10556/06 in relazione alla questione della regolarità delle procure alle liti, fato che i ricorsi proposti principaliter sono comunque da dichiarare infondati per le ragioni che si esporranno.

4. Ancora in via preliminare, il Collegio osserva che va dichiarato improcedibile il ricorso in appello n. 10459/06 in relazione alla posizione del signor R C, il quale ha rappresentato (con nota depositata agli atti e il cui contenuto è stato ribadito dall’avvocato difensore in sede di udienza pubblica) di non avere interesse all’ulteriore coltivazione dell’appello.

5. Sempre in via preliminare, il Collegio ritiene che non si possa tenere in considerazione l’istanza di cancellazione dal ruolo proposta dalla società cooperativa edilizia ‘La Fenice’, appellante nell’ambito del ricorso in appello n. 10432/2006. Infatti, l’istanza è implicitamente rinunciata dall’appellante perché la stessa ha presenziato all’udienza pubblica del 29 novembre 2011, confermando le conclusioni già rassegnate in sede di proposizione dell’appello.

6. Venendo al merito, il Collegio ritiene in primo luogo di esaminare i motivi di appello con cui (allegando motivi di diritto in larga parte assimilabili) gli appellanti hanno lamentato il non corretto esercizio del potere di autotutela, nonché – più in radice – la carenza stessa dei presupposti per procedere all’annullamento in autotutela delle concessioni a suo tempo rilasciate.

I motivi sono infondati.

6.1. Con un primo ordine di argomenti, gli appellanti hanno lamentato l’illegittimità dell’esercizio del potere di annullamento, per non essere individuabile un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione degli atti illegittimi.

6.1.1. Gli argomenti non possono trovare accoglimento.

Si osserva che i provvedimenti di annullamento oggetto di impugnativa avevano adeguatamente motivato, evidenziando che le difformità rispetto alle pertinenti previsioni della Convenzione (e, indirettamente, dello stesso piano di lottizzazione) avevano comportato un sostanziale stravolgimento dell’impianto compositivo dell’intervento come inizialmente concepito, determinando uno sviluppo dell’edificazione in senso verticale anziché in parallelo ( i.e. : in modo ‘adagiato’ sulle curve di livello).

In tal modo l’intervento realizzato determinava un rilevantissimo quanto inammissibile stravolgimento delle previsioni di piano, con evidente quanto rilevante pregiudizio ai tratti estetici della zona (peraltro, caratterizzata da notevole pregio) e dello stesso interesse della collettività locale, i cui interessi vanno tutelati dall’ente locale quale soggetto esponenziale dei rispettivi interessi.

Per le medesime ragioni (radicale incompatibilità fra la struttura dell’intervento per come assentito e realizzato e la pertinente disciplina urbanistica), non possono trovare accoglimento i motivi di appello fondati sulla mancata valutazione della possibilità di disporre un annullamento soltanto parziale delle concessioni. Né a conclusioni diverse può giungersi in relazione al fatto che la Soprintendenza non avesse sollevato rilievi sull’intervento.

Affermare ciò equivarrebbe a inammissibilmente affermare che il mancato esercizio da parte dell’organo statale di tutela del paesaggio dei suoi poteri di intervello, controllo e repressione assorbe i poteri e prerogative che in materia di gestione del territorio spettano al Comune, il quale si vedrebbe a ben vedere privato di un qualunque potere di valutare la concretezza ed attualità dell’interesse pubblico all’effettivo rispetto delle previsioni di piano.

Pertanto, sussisteva un interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino dei valori compromessi, anche in considerazione del carattere permanente della violazione e della rilevante incidenza dell’edificato sui tratti paesistici di un’area caratterizzata da un particolare pregio.

Tale circostanza risulta di per sé idonea a superare i motivi di appello relativi al tempo trascorso fra il rilascio dei titoli e il loro annullamento.

Giova, comunque, osservare che i proprietari delle aree non potevano lamentare la lesione di un affidamento legittimo, sia perché già nel 2001 il Comune aveva avanzato dubbi sulla compatibilità fra le concessioni rilasciate e la loro disciplina, sia perché, nel corso della vicenda, il Comune aveva disposto per ben tre volte la sospensione dei lavori (nel marzo del 2001, nel marzo del 2003 e nel dicembre del 2003), palesando un comportamento senz’altro incompatibile con la formazione di un legittimo affidamento.

6.2. Con un secondo ordine di argomenti, gli appellanti lamentano l’illegittimità dell’annullamento sotto vari profili procedimentali, relativi: a) alla tempistica della comunicazione di avvio, del procedimento di annullamento in quanto tale;
b) alla tempistica dell’adozione del provvedimento finale;
c) alla violazione dell’art. 1, comma 136, l. 30 dicembre 2004, n. 311;
d) al mancato rispetto del principio c.d. del contrarius actus ;
e) al mancato rispetto della previsione dell’articolo 8, u.c., l. 25 marzo 1982, n. 94, di conversione in legge del d.–l. 23 gennaio 1982, n. 9.

6.2.1. Questi argomenti sono infondati.

6.2.1.1. Quanto al primo profilo, relativo all’asserita illegittimità del procedimento di autotutela perché avviato ad oltre due anni dall’adozione dei provvedimenti oggetto di annullamento e concluso dopo ulteriori due annui circa, vale considerare che la vigente disciplina in tema di annullamento d’ufficio (art. 21- nonies l. 7 agosto 1990, n. 241) non fissa un termine ultimo oltre il quale l’esercizio dell’attività di autotutela è illegittima, riconducendo la valutazione in concreto in ordine alla tempistica della vicenda al parametro di valutazione della ragionevolezza del termine.

Questa disposizione, per come innovata dall’articolo 14 della l. 11 febbraio 2005, n. 15, non reca un termine espresso (come pure era stato immaginato nei lavori preparatori) .

Escluso che il decorso di un apprezzabile tratto di tempo rappresenti di suo un limite per avviare o per concludere il procedimento di autotutela, occorre verificare se nella specie sia stato violato il generale principio di ragionevolezza .

La risposta è negativa, considerata la complessità degli accertamenti e delle valutazioni demandate all’amministrazione procedente, nonché la rilevanza degli interessi di tutela in concreto perseguiti (e richiamati nei provvedimenti impugnati), che giustificava certamente l’esercizio del potere anche dopo il un lasso di tempo oggettivamente apprezzabile.

Nemmeno si può proficuamente lamentare il superamento del termine procedimentale di cui all’articolo 2 l. n. 241 del 1990.

Infatti, anche a voler ritenere che il termine residuale dell’art. 2, comma 2, trovi in via di principio applicazione ai procedimenti di autotutela, si deve comunque ritenere che riguardo al superamento di tale termine (concretante così una violazione delle “norme sul procedimento”), valga l’art. 21- octies , comma 2, della medesima legge, in tema di c.d. ‘illegittimità non invalidanti’ .

Deriva da quanto sopra la non annullabilità del provvedimento adottato, atteso che – per le ragioni che si esporranno – il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Il Collegio ritiene che i generali princìpi di conservazione dell’atto e di strumentalità delle forme inducano a generalizzare la portata dell’istituto dell’illegittimità non invalidante di cui all’art. 21- octies , comma 2, l. n. 241 del 1990 (in tal senso: Cons. Stato, VI, 11 maggio 2011, n. 2795; V, 19 giugno 2009, n. 4031; 14 aprile 2008, n. 1588), anche per evitare che – in situazioni come quella per cui è causa – la prevalenza di considerazioni procedimentali porti l’amministrazione alla scelta (antieconomica e contrastante con il principio di efficienza) di dover riavviare un procedimento i cui esiti siano ab initio scontati.

6.2.1.2. Neppure può dirsi che qui il primo giudice abbia fatto cattivo uso della previsione dell’art. 1, comma 136, l. 30 dicembre 2004, n. 311, secondo cui, al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso. La disposizione stabilisce che “ l’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall'eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall'acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante ”).

Si osserva che il secondo periodo della disposizione (la cui applicazione è invocata dagli appellanti) è qui inapplicabile.

Infatti non si fa questione di “ provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati ” (ossia, di provvedimenti posti ‘a monte’ della stipula di atti paritetici). Al contrario (e secondo un assetto di fatto speculare) viene in rilievo l’annullamento di provvedimenti posti ‘a valle’ di un complesso iter di programmazione urbanistica, nel cui ambito rivestiva un ruolo determinante la stipula di una Convenzione urbanistica.

6.2.1.3. Neppure sono fondati i motivi di appello sulla violazione del principio del c ontrarius actus , per non essere stato acquisito l’avviso della Soprintendenza nel procedimento conclusosi con l’annullamento d’ufficio dei titoli edilizi.

Anche in questo caso la lamentata violazione assume carattere meramente procedimentale e le ragioni per cui è stato disposto l’annullamento (violazione della disciplina di Piano) attiene la sfera di competenze del Comune, il quale non sarebbe pervenuto a conclusioni diverse neppure in caso di coinvolgimento dell’organo statale.

Per i profili di tutela ambientale ( profili che il Comune ha valutato per ritenere la concretezza ed attualità dell’interesse all’annullamento), comunque nell’ambito della regione Toscana, le funzioni in materia di tutela del paesaggio sono sub-delegate ai comuni (a tenore della l.r. Toscana 2 novembre 1979, n. 52 e, successivamente, la legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1).

6.2.1.4. Nemmeno vale lamentare la violazione dell’articolo 8, u.c., d.–l. 23 gennaio 1982, n. 9, come conv. dalla l. 25 marzo 1982, n. 94 (secondo cui “ prima di procedere all'annullamento delle concessioni assentite ai sensi del presente articolo, l'autorità competente deve indicare agli interessati gli eventuali vizi delle procedure amministrative e gli elementi progettuali o esecutivi che risultino in contrasto con le norme o i regolamenti vigenti, assegnando un termine non inferiore a trenta e non superiore a novanta giorni per provvedere alle modifiche richieste ”).

Quella previsione non è applicabile alla vicenda presente perché le sue previsioni sono espressamente riferibili ai soli titoli abilitativi tacitamente formati ai sensi del medesimo art. 8 e non sono estensibili alle ipotesi di titoli abilitativi espressi.

Si osserva, comunque, che questa disposizione è stata espressamente abrogata dall’articolo 136 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 con effetto dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto (30 giugno 2003), mentre gli atti di annullamento di cui si discute sono stati adottati – rispettivamente – nel gennaio e nel febbraio del 2005.

7. Una volta accertato che nel caso di specie non sono stati travalicati i presupposti e le condizioni normativamente posti all’esercizio del potere di autotutela (in particolare, in relazione alla previsione di cui all’art. 21- nonies della l. n. 241 del 1990), occorre verificare se in concreto sussistevano i gravi profili di illegittimità rilevati dall’Amministrazione comunale.

7.1. Come detto, i provvedimenti di annullamento impugnati in primo grado sono stati adottati per due distinti profili di illegittimità, ciascuno dei quali di suo idoneo a supportare il provvedimento di annullamento:

- in primo luogo, è stata ravvisata la violazione degli artt. 3 e 5 della Convenzione urbanistica attuativa del piano di lottizzazione per difformità della concessione rilasciata rispetto allo schema organizzativo e distributivo di cui alle tavole 2 e 5 della Convenzione urbanistica;

- in secondo luogo, è stato ritenuto che le volumetrie oggetto di concessione erano in esubero rispetto a quelle assentibili in base alle previsioni di piano.

7.2. Il Collegio ritiene che la vicenda vada definita in applicazione del condiviso orientamento secondo cui, in caso di impugnazione giurisdizionale di determinazioni amministrative di segno negativo fondate su una pluralità di ragioni (ciascuna delle quali di per sé idonea a supportare la parte dispositiva del provvedimento), è sufficiente che una sola di esse resista al vaglio giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti indenne dalle censure articolate ed il ricorso venga dichiarato infondato, o meglio inammissibile per carenza di interesse alla coltivazione dell’impugnativa avverso l’ulteriore ragione ostativa, il cui esito resta assorbito dalla pronuncia negativa in ordine alla prima ragione ostativa (in tal senso: Cons. Stato, VI, 20 ottobre 2010, n. 7594).

Su queste basi, il Collegio ritiene che almeno il primo dei richiamati motivi ostativi (quello relativo al contrasto fra i titoli abilitativi rilasciati e lo schema organizzativo e distributivo di cui alle tavole 2 e 5 della convenzione urbanistica) resista alle censure mosse.

7.3. Occorre, a questo punto, richiamare le disposizioni della cui violazione si discute.

L’articolo 3 delle N.T.A. al Piano di lottizzazione stabilisce che “ hanno valore vincolativo, per quanto previsto dal progetto: (…) b) tutte le indicazioni planivolumetriche (sagome di massimo ingombro) fornite dalla tav. n. 2 del progetto di piano di lottizzazione convenzionata;
[nonché] d) le prescrizioni relative ai vari tipi edilizi ammessi sui singoli lotti edificabili di cui al successivo art. 5 ed alla tav. n. 5 (…)
”.

Il successivo art. 5 stabilisce che “ gli edifici, in sede di progettazione definitiva (necessaria al fine dell’ottenimento della concessione) potranno subire variazioni riguardanti le dimensioni del corpo di fabbrica oltre che la distribuzione interna degli ambienti, fermo restando lo schema organizzativo e distributivo indicato nei tipi edilizi e l’ambito di sviluppo dell’edificio determinato dalle sagome di massimo ingombro ”.

Dall’esame di queste disposizioni emerge la correttezza delle determinazioni comunali, in quanto:

- ai sensi dell’art. 5, lo schema organizzativo e distributivo delineato dagli allegati al piano di lottizzazione costituiva una porzione normativa vincolante della convenzione e stabiliva (in modo non derogabile) le modalità aggregative e compositive dell’intervento da realizzare, secondo uno schema di sviluppo orizzontale che avrebbe dovuto necessariamente seguire l’andamento delle curve di livello collinare;

- questo schema organizzativo e distributivo non era derogabile in sede di progettazione esecutiva, ma costituiva (pur nella possibile modulazione propria della progettazione di dettaglio) un elemento indefettibile. Tale elemento avrebbe, sì, potuto essere declinato secondo modalità differenziate, ma non avrebbe potuto essere stravolto e sostituito con un andamento (come quello proprio degli interventi oggetto di concessione) di tipo esclusivamente verticale;

- le tesi degli appellanti non risultano fondate quando affermano: a) che l’art. 3 delle N.T.A. al piano di lottizzazione era vincolante solo per quanto riguarda le sagome di massimo ingombro;
b) che l’art. 5 era vincolante solo in relazione all’indicazione dei tipi edilizi, mentre era derogabile sotto ogni altro aspetto. Al contrario, il primo di tali articoli sottolineava il carattere vincolato di tutte le indicazioni planivolumetriche, in tal modo rendendo vincolante la scelta di piano di concepire un complesso con struttura gradinata di elementi frastagliati disposti in modo parallelo rispetto alle curve di livello;

- nell’interpretare la formulazione del richiamato art. 3 (e il rinvio al contenuto dell’allegato 2), si deve attribuire valore prevalente al carattere onnicomprensivo del richiamo alle indicazioni planivolumetriche. Al contrario, il riferimento (peraltro, posto fra parentesi) alle sagome di massimo ingombro, deve essere inteso secondo una logica sostanzialmente di eccezione, ovvero meramente esemplificativa, non potendosi ritenere (per prevalenti ragioni sistematiche) che tale riferimento assorba e – in qualche misura – esaurisca la portata onnicomprensiva del riferimento alle indicazioni planivolumetriche complessivamente intese. Questa interpretazione è l’unica convincente, se si consideri l’evidente ratio di tutela e di coerenza che deve caratterizzare le previsioni di carattere vincolante, anche in considerazione dei rilevanti interessi pubblici e privati coinvolti. In questa ottica, anche in presenza di clausole di non agevole interpretazione si deve optare per la soluzione interpretativa maggiormente compatibile con lo scopo di tutela degli interessi pubblici prevalenti coinvolti (in termini di più adeguato uso del territorio, di diminuzione dell’impatto visivo e di tutela di un’area di sicuro pregio paesaggistico);

- allo stesso modo, l’interpretazione del richiamato art. 3 deve rispettare la pienezza di tutela agli interessi coinvolti. Su queste basi, si deve ritenere che la disposizione (secondo cui “ hanno valore vincolato (…) le prescrizioni relative ai vari tipi edilizi ammessi sui singoli lotti edificabili di cui al successivo art. 5 ed alla tav. n. 5 ”) va intesa – sotto il profilo sintattico – nel senso che il carattere vincolato era da riconoscere alle prescrizioni relative: a) ai tipi edilizi ammessi in loco ;
b) alla tavola n. 5 nel suo complesso (e non in senso limitato ovvero non vincolante, come a vario titolo ritenuto dagli appellanti);

- se il contenuto dell’intera tavola n. 5 aveva valore vincolato, aveva valore vincolato anche la previsione ivi contenuta, che delineava un intervento costruttivo caratterizzato da una struttura gradonata di elementi frastagliati disposti parallelamente alle curve di livello. Pertanto l’intervento assentito era in assoluta distonia con quello oggetto della previsione di Piano, posto che era caratterizzato da uno sviluppo verticale a gradoni, e pertanto da una struttura compositiva del tutto diversa rispetto a quella prevista dal Piano di lottizzazione.

- per le medesime ragioni, anche la disposizione di cui all’art. 5 delle N.T.A. al Piano di lottizzazione (secondo cui in sede di progettazione definitiva era comunque necessario salvaguardare “ lo schema organizzativo e distributivo indicato nei tipi edilizi e l’ambito di sviluppo dell’edificio determinato dalle sagome di massimo ingombro ”) va intesa in modo da rispettare per quanto più possibile le richiamate finalità di tutela. Le tesi variamente sostenute dagli appellanti non sono condivisibili perché sottolineano uno soltanto degli aspetti della questione (il rispetto, in sede di progettazione esecutiva, delle sagome di massimo ingombro), ma non tengono adeguatamente conto del fatto che la pertinente previsione di piano indicava come vincolante uno schema organizzativo e distributivo dell’edificato di carattere ‘orizzontale’, mentre le concessioni rilasciate seguivano una logica (di fatto, opposta) di sviluppo in senso sostanzialmente ‘verticale’ dell’edificato. Non a caso, ad es., la stessa cooperativa edilizia ‘La Fenice’ aveva dichiarato negli scritti difensivi che, fra le prescrizioni ‘normative’ della convenzione, figuravano anche “ le modalità aggregative delle unità residenziali/turistiche secondo schiere lineari graduate pluriplano (…) ”, così confermando la vincolatività delle linee compositive del progetto, che si dovevano sviluppare secondo un andamento di tipo ben diverso da quello in concreto realizzato.

8. Le ragioni dinanzi esposte sub 7 (relative alla difformità fra gli interventi assentiti e realizzati e la pertinente disciplina di piano) risultano di per sé idonee a supportare la parte dispositiva dei provvedimenti con cui è stato disposto l’annullamento delle concessioni a suo tempo rilasciate.

Ciò esime il Collegio (in base all’orientamento giurisprudenziale dinanzi richiamato sub 7.2.) dall’esame dei motivi di appello relativi agli ulteriori profili dei provvedimenti impugnati, incentrati sulla questione dell’eccesso di volumetria, così come sulla validità ed efficacia della delibera commissariale n. 12/96, su cui lungamente hanno insistito le difese delle parti in causa.

8.1. Per le medesime ragioni, non si ritiene di esaminare funditus il motivo (variamente articolato dagli appellanti) secondo cui il Tribunale avrebbe omesso di valutare la portata della delibera consiliare n. 54 del 2002 la quale, nell’apportare modifiche ed integrazioni alla convenzione di lottizzazione ‘Santa Maria’, avrebbe ribadito un quadro prescrittivo in tutto conforme a quello delineato dalla richiamata delibera commissariale del 1996, confermandone la validità e l’efficacia.

Ai limitati fini che qui rilevano, si osserva comunque che questo motivo non potrebbe comunque essere accolto, essendo pacifico che le prescrizioni di cui alla delibera consiliare n. 54/2002 non si sono mai tradotte in puntuali pattuizioni convenzionali, stante il rifiuto dei lottizzanti di sottoscrivere modifiche alla Convenzione di lottizzazione che sarebbero conseguite all’adozione della delibera in questione.

In definitiva, la mancata modifica dell’originaria Convenzione (stante l’indisponibilità degli stessi lottizzanti) conferma la correttezza dell’operato del Comune di Castiglione della Pescaia, il quale ha ritenuto che la vicenda andava valutata assumendo quale paradigma di riferimento l’originaria formulazione della convenzione urbanistica attuativa del Piano di lottizzazione.

9. Per le ragioni sin qui esposte, i ricorsi in epigrafe, previa riunione, devono essere respinti.

Per quanto concerne, invece, il ricorso in appello n. 10459/06, va dichiarato improcedibile in relazione alla sola posizione del signor R C.

La complessità delle questioni fattuali e giuridiche coinvolte dalla presente decisione giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

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