Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-05-11, n. 201802830

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-05-11, n. 201802830
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201802830
Data del deposito : 11 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/05/2018

N. 02830/2018REG.PROV.COLL.

N. 07071/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7071 del 2017, proposto da
N J, rappresentato e difeso dall'avvocato S T, domiciliato presso la Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Ministero dell'Interno, Questura Trento, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.R.G.A. - DELLA PROVINCIA DI TRENTO SEZ. UNICA n. 245/2017, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura Trento;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2018 il Cons. U R e uditi per le parti gli Avv. Olivia Polimanti su delega di S T e l'Avv. dello Stato Wally Ferrante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il presente gravame l’appellante chiede l’annullamento della sentenza con cui è stato respinto il suo ricorso diretto avverso il diniego della richiesta del 3 dicembre 2015 di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo, pronunciato dalla Questura di Trento rispettivamente: -) per la tardività della domanda;
-) per la mancata iscrizione all’anagrafe della popolazione residente;
-) per l’allegazione di una dichiarazione dei redditi non regolarmente presentata all’Agenzia delle Entrate;

-) per la mancata dimostrazione del possesso dei requisiti necessari.

Il ricorrente, cittadino Serbo, a tal proposito ricorda che:

-- in Italia dal 1999, era titolare di un permesso soggiorno per lavoro dipendente in qualità di infermiere venuto in scadenza il 13 novembre 2014;

-- sarebbe stato costretto a ritornare in Serbia per alcuni mesi per asserite impreviste necessità personali di carattere sanitario della propria compagna e, dal settembre 2014 al novembre 2015, sarebbe stato in Svizzera per tentare di iniziare un’attività imprenditoriale;

-- successivamente sarebbe tornato in Italia per avviare una propria attività professionale autonoma di infermiere a Moena;

-- i suoi due figli sarebbero stati assegnati dal Tribunale dei Minorenni alla ex-moglie, , la quale vive a Torino, e gli sarebbe consentito di prenderli con sé ogni 15 gg.;

-- pur affermando che, come lavoratore autonomo, non avrebbe presentato regolare dichiarazione all’Agenzia delle Entrate, avrebbe realizzato nel 2014 un reddito più che adeguato al proprio sostentamento, pari ad € 9.285, 00 circa (allega a tale fine alcune fatture del 2016);
mentre nel 2017 avrebbe prodotto un reddito da lavoro autonomo pari ad euro 16.700, 00 circa, documentato dalle relative fatture;

- i suoi genitori, che vivono a Campitello di Fassa dove gestiscono un bar ristorante, avevano poi accettato di rimettere la querela nei suoi confronti per lesioni personali continuate ed anche la sorella, che è sposata con un cittadino italiano, sarebbe titolare di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo.

L’appello è affidato ad un’unica rubrica di gravame con cui si lamenta sotto diversi profili l’erroneità della decisione con cui è stato respinto il suo ricorso per motivi aggiunti e dichiarato improcedibile il ricorso principale.

Con ord. n.4672/2016 la Sezione ha accolto l’istanza di sospensione ai fini del riesame da parte del Questore di Trento del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno.

Uditi all’udienza pubblica di discussione i difensori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

Il gravame è affidato a differenti profili di censura che per ragioni di economia processuale possono essere esaminati unitariamente:

1. in primo luogo si assume l’erroneità dell’affermazione della sentenza per cui l’interruzione del soggiorno avrebbe ecceduto il limite temporale fissato dalla norma: il suo allontanamento dall’Italia sarebbe avvenuto il 9 marzo 2015, data della decorrenza del contratto della locazione di sei mesi di un appartamento in Svizzera, o comunque dal settembre 2014 data in cui aveva avuto inizio il suo soggiorno in Serbia e sarebbe terminato solo nel novembre del 2015. Al contrario l’appartamento per vacanze affittato in Svizzera, per soli quattro mesi, sarebbe stato esclusivamente finalizzato ad avere un recapito per avviare una nuova attività imprenditoriale.

Il Tar non avrebbe tenuto conto che la legislazione svizzera non consente il soggiorno sul proprio territorio per un periodo superiore a 90 giorni in assenza di visto di ingresso, di cui l’appellante non disponeva. Per questo era costretto a brevi soggiorni in Italia (per esercitare il diritto di vedere i propri figli) per poi tornare in Svizzera, come del resto dichiarato dalla sorella, la quale avrebbe affermato di averlo incontrato nel giugno 2015 presso l’abitazione dei propri genitori.

Il mancato tempestivo rinnovo sarebbe semplicemente dovuto ad una mera dimenticanza.

Il provvedimento di rigetto poi non addebitava alcuna valutazione sulla sua condotta, ed anche la denuncia penale dei propri genitori per lesioni continuate non avrebbero avuto alcun valore essendo stata rimessa dalle parti offese.

2. Il Tar non avrebbe affatto esaminato i motivi dedotti in primo grado.

3. La residenza anagrafica non sarebbe prevista da alcuna norma come requisito necessario ai fini del rinnovo e comunque l’interessato sarebbe stato residente presso i propri genitori,

4. Quanto alla asserita mancanza di risorse economiche, la dichiarazione dei redditi all’Agenzia delle Entrate sarebbe stata successivamente regolarizzata come dichiarato nella PEC del 14/4/2016 dal commercialista dell’appellante.

5. Infine il diniego non avrebbe apprezzato che l’appellante sarebbe stato tenuto al mantenimento dei figli nei cui confronti aveva il diritto-dovere di visita nel rispetto delle prescrizioni del Tribunale dei minorenni.

Di qui la non correttezza della valutazione complessiva del TAR.

L'appello è fondato.

L'art. 5, comma 5 del D.lgs. n. 286/98 nel testo novellato nel 2007 dispone che " Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale ".

Come la Sezione ha avuto di specificare (da ultimo: Consiglio di Stato, sez. III, 29/12/2017, n. 6186), gli artt. 4 e 5 del D.lgs. 286/98 mirano, infatti, a tutelare l'interesse pubblico alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, per cui, nell'esercizio di tale potere, l'Amministrazione è tenuta a valutare la condizione familiare dello straniero, in quanto l'interesse collettivo alla tutela della sicurezza pubblica deve essere bilanciato con l'interesse alla vita familiare dell'immigrato e dei suoi congiunti (che potrebbero essere anche minori, come nel caso di specie).

La ragionevolezza e la proporzione del bilanciamento richiesto dall'art. 8 della CEDU implicano, secondo la Corte europea (“ex plurimis”, pronuncia 7 aprile 2009, C e altri c. Italia), la possibilità di valutare una serie di elementi desumibili dall'attenta osservazione in concreto di ciascun caso, quali, ad esempio: la natura e la gravità del reato commesso dal ricorrente;
la durata del soggiorno dell'interessato;
il lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato e la condotta del ricorrente durante tale periodo;
la nazionalità delle diverse persone interessate;
la situazione familiare del ricorrente e, segnatamente, all'occorrenza, la durata del suo matrimonio;
altri fattori che testimonino l'effettività di una vita familiare in seno alla coppia;
la circostanza che il coniuge fosse a conoscenza del reato all'epoca della creazione della relazione familiare;
il fatto che dal matrimonio siano nati dei figli e la loro età;
le difficoltà che il coniuge o i figli rischiano di trovarsi ad affrontare in caso di espulsione, l'interesse e il benessere dei figli, la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con il paese ospite".

La norma, in origine prevedeva la valutabilità dei vincoli familiari solo in caso di ricongiungimento familiare o in caso di familiare ricongiunto, ma dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 202 del 2013 è ormai pacifico che la norma si estenda a tutti i casi in cui sussistano legami familiari all'interno dello Stato, a prescindere se sia stato esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, e dunque anche nei casi in cui, pur non essendovi stato ricongiungimento familiare, ne sarebbero ricorsi i relativi presupposti (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 10/02/2016, n. 590 Cons. Stato Sez. III, 24/06/2016, n. 2820;
Cons. Stato, sez. III, 1/08/2017, n. 3869).

La norma dell'art. 5, comma 5 del d.lgs. cit., ha quindi imposto all’Amministrazione di valutare la natura e l'effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.

Nel caso di specie, il ricorrente risiede in Italia dal 1999 con due figli, la sorella ed i genitori, per cui la sua specifica condizione familiare avrebbe dovuto essere specificamente presa in esame dalla Questura.

L'Amministrazione avrebbe cioè dovuto tener conto dell’intera situazione, bilanciando il suo interesse alla tutela del diritto fondamentale di cui al ricordato art. 8 della Convenzione EDU, nel rispetto dei principi indicati nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo (richiamati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 202/2013) con l'interesse pubblico all'ordine e alla sicurezza pubblica, esponendo nel provvedimento le ragioni della scelta.

Nel provvedimento impugnato non vi è traccia di questa ponderazione, in quanto la Questura ha decretato il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno facendo esclusivo riferimento alla mera presenza di profili ostativi, senza perciò far luogo alla doverosa valutazione anche della presenza dei figli.

L'appello, negli assorbenti termini sopra esaminati, deve dunque essere accolto e la sentenza deve quindi essere riformata.

Per l’effetto, in accoglimento del ricorso di primo grado, il diniego impugnato deve essere annullato.

Quanto alle spese del doppio grado di giudizio, sussistono giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

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