Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-07-31, n. 201703826

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-07-31, n. 201703826
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201703826
Data del deposito : 31 luglio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/07/2017

N. 03826/2017REG.PROV.COLL.

N. 01231/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1231 del 2017, proposto dai signori C B, M D, M B ed A D, rappresentati e difesi dagli avvocati S B ed E S R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato E S R in Roma, viale Giuseppe Mazzini, n. 11;

contro

Il Comune di Malcesine, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati R S ed A M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A M in Roma, via F. Confalonieri,n. 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Veneto, Sez. II, n. 96/2017, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Malcesine;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2017 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati S B, A M e R S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con sentenza n. 96 del 26 gennaio 2017, il TAR per il Veneto (Sezione Seconda) dichiarava inammissibile il ricorso proposto dal signor B Claudio, inteso ad ottenere l’annullamento:

a) del provvedimento del 20 ottobre 2015, con il quale il Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Malcesine ha annullato i permessi di costruire n. 114/2009 del 16 dicembre 2009, n. 118/2010 del 23 febbraio 2011, n. 74/2013 del 21 novembre 2013 e n. 2/2014 del 24 aprile 2014;
b) dell’ordinanza emessa in pari data, con la quale il medesimo responsabile dell’Area Tecnica ha disposto la demolizione delle opere realizzate in esecuzione dei permessi di costruire annullati.

La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.

« Il ricorrente, qualificandosi come proprietario di un immobile sito in località Val di Sogno del Comune di Malcesine, con il ricorso in epigrafe impugna il provvedimento Reg. Uff. U. 13692 del 20 ottobre 2015, con il quale il responsabile dell’area tecnica del Comune ha annullato in autotutela i permessi di costruire n. 114/2009 del 16 dicembre 2009, n. 118/2010 del 23 febbraio 2011, n. 74/2013 del 21 novembre 2013 e n. 2/2014 del 24 aprile 2014, e la conseguente ordinanza del 20 ottobre 2015, con la quale è stata disposta la demolizione delle opere realizzate sul predetto immobile in esecuzione dei permessi di costruire annullati.

L’annullamento è stato disposto perché l’edificio risulta realizzato in area inedificabile in quanto compresa in zona di rispetto stradale, fluviale e di impianti di risalita, perché il permesso di costruire n. 118/2010 del 23 febbraio 2011, è stato erroneamente rilasciato in variante al precedente titolo che tuttavia era già scaduto, perché la progettazione e la direzione dei lavori anziché essere svolte da un ingegnere, sono state svolte da un geometra, nonostante l’esecuzione di opere in cemento armato, e per l’erronea rappresentazione di dati volti a dimostrare l’esistenza di una volumetria, posta a base di calcolo per gli ampliamenti assentiti, in realtà non esistente, nonché per la violazione delle distanze da un edificio confinante.

Avverso tali provvedimenti il ricorrente lamenta le seguenti censure:

I) violazione del piano regolatore, difetto di istruttoria e travisamento, perché alla data di rilascio del primo titolo edilizio, doveva ritenersi già vigente la variante allo strumento urbanistico che ha modificato la destinazione delle aree da zona di rispetto stradale, fluviale e impianti di risalita, a zona B – speciale, essendo stata approvata, seppure in modo interlocutorio, dalla Regione con proposte di modifica ai sensi dell’art. 46 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61;

II) violazione dell’art. 21 nonies delle legge 7 agosto 1990, n. 241, e difetto di motivazione, perché, anche a non voler condividere la tesi prospettata, la sopravvenuta conformità allo strumento urbanistico esclude possano ravvisarsi profili di interesse pubblico idonei a giustificare l’annullamento in autotutela dei titoli edilizi;

III) violazione, sotto altro profilo, dell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e difetto di motivazione, perché non vi è alcuna considerazione riguardo al lungo tempo trascorso;

IV) travisamento e sviamento perché, relativamente al permesso di costruire 118/2010 del 23 febbraio 2011, in variante al precedente titolo edilizio, è irrilevante la circostanza che fosse decorso il termine di decadenza di quest’ultimo, in quanto la decadenza non è mai stata formalmente dichiarata e comunque il secondo titolo edilizio aveva i requisiti di sostanza e forma di un autonomo permesso di costruire;

V) violazione, sotto altro profilo, dell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e difetto di motivazione, perché, anche relativamente all’annullamento in autotutela di quest’ultimo titolo edilizio, non vi è alcuna considerazione riguardo al lungo tempo trascorso;

VI) difetto di motivazione perché la mancata sottoscrizione del progetto da parte di un ingegnere nonostante la previsione di opere in cemento armato, deve ritenersi irrilevante, trattandosi di un’opera modesta realizzata comunque sotto la supervisione di un ingegnere;

VII) violazione, sotto altro profilo, dell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e difetto di motivazione, perché, anche relativamente a tale profilo, non vi è stata alcuna considerazione riguardo al lungo tempo trascorso;

VIII) difetto di motivazione perché sono erronei i presupposti dai quali muove l’Amministrazione comunale per contestare la violazione delle distanze dal ciglio stradale, dato che non tiene conto di quelle previste per la zona B – speciale, e non indica in base a quali elementi ritiene violate le distanze da costruzioni frontistanti, e risultano in realtà corretti i calcoli delle volumetrie;

IX) violazione dell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e difetto di motivazione, per la mancata valutazione del tempo trascorso e l’assenza di bilanciamento con l’affidamento del privato;

X) difetto di motivazione e sviamento per la mancata valutazione della possibilità di rimuovere i vizi contestati anziché disporre la demolizione.

Si è costituito in giudizio il Comune di Malcesine replicando puntualmente alle censure proposte e concludendo per la reiezione del ricorso.

Con ordinanza n. 31 del 20 gennaio 2016, è stata respinta la domanda cautelare, accolta invece in appello con ordinanza n. 1690 del Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 maggio 2016.

Alla pubblica udienza del 12 gennaio 2016, in prossimità della quale il Comune di Malcesine ha eccepito l’inammissibilità del ricorso perché proposto da un soggetto privo di legittimazione, la causa è stata trattenuta in decisione… ”.

2. Avverso la decisione del TAR hanno proposto appello i signori B Claudio (già ricorrente in primo grado) ed i signori D M, B Maddalena e D A (proprietari del terreno e dell’immobile oggetto dei provvedimenti impugnati), deducendone l’erroneità e chiedendone l’integrale riforma, con il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado.

Con articolata prospettazione, essi hanno lamentato la violazione degli artt. 1337 e seguenti del codice civile e dell’articolo 182 del codice di procedura civile ed hanno, inoltre, riproposto le censure prodotte nel giudizio di primo grado.

Si è costituito in giudizio il Comune di Malcesine, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.

Le parti hanno depositato memorie difensive e di replica.

La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 15-6-2017.

DIRITTO

1. Con il primo motivo, gli appellanti lamentano la violazione degli artt. 1387 e ss. del codice civile e la violazione dell’art. 182 del codice di procedura civile e rilevano che i signori M D, M B e A D hanno rilasciato al signor B Claudio la procura speciale 22 maggio 2009, rep. n. 140.622 del notaio Avella di Arco (Tn) e che, in base ad essa, questi avrebbe anche la legittimazione ad impugnare eventuali provvedimenti di autotutela dell’autorità amministrativa.

Di conseguenza, la gravata sentenza sarebbe erronea nella parte in cui afferma che il signor B non è legittimato ad agire nell’interesse altrui.

Gli interessati rilevano, inoltre, che, anche a voler ritenere che la suddetta procura non comprendesse la rappresentanza processuale, troverebbe applicazione l’articolo 182 c.p.c., ai sensi del quale « quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione ».

Conseguentemente – a dire degli appellanti – il Tribunale Amministrativo, anziché dichiarare l’inammissibilità del ricorso per difetto di rappresentanza, avrebbe dovuto concedere alla parte ricorrente un congruo termine per porvi rimedio, come previsto dalla richiamata disposizione.

Essi affermano, poi, che la costituzione nel giudizio di appello dei signori M D, M B e A D avrebbe sanato retroattivamente il difetto di rappresentanza in capo al signor B ed avrebbe comportato la convalida di tutti gli atti processuali compiuti.

Con il secondo motivo di appello viene dedotta la legittimazione propria in capo al signor B Claudio.

In particolare, la sentenza viene censurata laddove ha negato che il signor B Claudio avesse una legittimazione propria ad impugnare, quale mandatario e destinatario dei provvedimenti.

Invero, egli sarebbe titolare di una situazione legittimante, attribuita dal fatto che tutti i permessi di costruire annullati sono intestati a suo nome ed egli è destinatario dei provvedimenti impugnati.

Egli sarebbe titolare anche di un interesse ad agire, sia pure strumentale o morale, volto a far valere la correttezza del suo operato, tutelare la propria immagine ed evitare responsabilità nei confronti dei suoi mandanti, evidenziandosi che il provvedimento di annullamento gli imputa ben tre fattispecie di falsa rappresentazione della realtà, cui corrisponderebbero ipotesi di falso ideologico in concorso con il tecnico redattore del progetto.

2. Ritiene la Sezione che i motivi di appello risultano infondati e vanno respinti.

La gravata sentenza così motiva la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

« L’eccezione di inammissibilità è fondata e deve essere accolta.

Infatti il ricorrente (anche al proprio difensore che ha appreso di tale problematica solo a seguito della lettura della memoria del Comune) ha dichiarato di agire nella qualità di proprietario dell’immobile, ed è invece emerso che l’immobile appartiene ad altri soggetti, i quali hanno solamente rilasciato allo stesso una procura (cfr. il doc. 1 depositato in giudizio dal ricorrente il 28 novembre 2016) per rappresentarli nei confronti di qualsiasi autorità amministrativa, richiedendo concessioni edilizie ed autorizzazioni, senza conferire il potere di stare in giudizio per loro conto,

Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché risulta effettivamente proposto da un soggetto che non è il titolare della posizione giuridica fatta valere e che non è legittimato ad agire nell’interesse altrui tenuto conto della circostanza che il ricorrente ha dichiarato di agire nell’interesse proprio e non in quello di altri, e delle disposizioni dell’art. 81 c.p.c. (per il quale, al di fuori dei casi previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un interesse altrui), e dell’art. 77 c.p.c. (per il quale il procuratore preposto a determinati affari non può stare in giudizio per il preponente quando tale potere non gli sia stato conferito espressamente per iscritto), entrambe applicabili al processo amministrativo ai sensi dell’art. 39 c.p.a.

L’argomento proposto dal ricorrente nella memoria depositata in giudizio in prossimità della pubblica udienza di avere un interesse proprio al ricorso in quanto destinatario, insieme ai proprietari, dei provvedimenti amministrativi annullati e dell’atto di annullamento in autotutela, non è idonea a superare l’eccezione, in quanto tali atti, come emerge dalla procura speciale depositata in giudizio il 28 novembre 2016, non sono stati rilasciati al ricorrente per un interesse proprio, ma in nome e per conto dei proprietari.

Parimenti infondata è l’ulteriore prospettazione volta ad affermare l’esistenza di un interesse proprio finalizzato alla dimostrazione della correttezza del proprio operato come mandatario, che non configura una posizione qualificata e differenziata rispetto ai provvedimenti impugnati, ma un interesse di mero fatto» .

La Sezione condivide tale determinazione di inammissibilità.

Occorre preliminarmente richiamare i contenuti della procura speciale rep. n. 140.622 del 22 maggio 2009, conferita dai signori D M, B Maddalena e D A al signor C B.

L’oggetto della stessa è così individuato: « nominano e costituiscono loro procuratore speciale e per l’oggetto generale: B Claudio….affinchè in loro nome vece e conto in relazione ai lavori di costruzione e/o ristrutturazione – rappresentare i mandanti davanti a qualsiasi autorità amministrativa in particolare al Comune e Commissione Edilizia;
- richiedere concessioni edilizie ed autorizzazioni;
- sottoscrivere convenzioni urbanistiche accettandone patti anche di natura reale eventualmente richiesti con o senza cessione di oneri;
- dare consensi ed autorizzazioni, richiedere rendiconti;
- presentare elaborati tecnici, progetti, sottoscrivere domande e precisazioni catastali, piani di divisione materiale;
- esibire documentazioni, richiedere certificazioni;
- stipulare contratti di appalto e di opera;
- stipulare contratti di assicurazione contro i danni;
servirsi dell’opera di periti ed esperti;
esonerare gli organi e/o enti da qualsiasi responsabilità;
svolgere qualsiasi pratica fiscale. In una fare insomma tutto quanto necessario al buon fine dell’incarico in oggetto, anche se non espressamente indicato, senza bisogno di ultriore conferma e ratifica
» .

Rileva la Sezione che la procura, in relazione ai suoi contenuti, non gli ha attribuito affatto la rappresentanza processuale.

Invero, questa non è assolutamente indicata nell’oggetto e nei compiti specificamente assegnati al signor B Claudio, laddove il riferimento ad attività da svolgersi presso determinate autorità risulta limitato all’autorità amministrativa ed a quella fiscale.

Né il conferimento del potere di rappresentanza processuale può desumersi dal generico inciso « In una fare tutto quanto necessario al buon fine dell’incarico in oggetto, anche se non espressamente indicato ».

Invero, va in primo luogo osservato che l’attività si riferisce all’« incarico in oggetto » e, dunque, ai contenuti espressamente specificati nella procura, dei quali viene evidentemente esteso l’ambito applicativo.

Ove anche volesse considerarsi che tale incarico si riferisce « ai lavori di costruzione e/o ristrutturazione relativamente ai seguenti immobili », la procura ha riguardato « i lavori di costruzione e ristrutturazione »;
dunque, in assenza di ulteriori specificazioni, alle attività connesse alla fase “fisiologica” della realizzazione del manufatto e non anche a quella “patologica” degli eventuali ricorsi all’autorità giurisdizionale necessari per l’annullamento di provvedimenti amministrativi che abbiano annullato i titoli edificatori e disposto la demolizione dei fabbricati.

D’altra parte, l’articolo 77 del codice di procedura civile (rubricato « Rappresentanza del procuratore e dell’institore» ) prevede che « Il procuratore generale e quello preposto a determinati affari non possono stare in giudizio per il preponente quando questo potere non è stato loro conferito espressamente, per iscritto, tranne che per gli atti urgenti e le misure cautelari ».

La norma, dunque, richiede, ai fini della rappresentanza in giudizio un “espresso” conferimento per iscritto, il quale nella specie manca.

Né tampoco lo stesso può derivare dall’esistenza di un potere di rappresentanza di tipo sostanziale relativo al rapporto oggetto del giudizio, atteso che la norma prevede che la rappresentanza processuale non possa essere disgiunta da quella sostanziale, ma non anche che dall’esistenza di quest’ultima possa automaticamente desumersi l’esistenza di un potere di rappresentanza processuale, il quale deve essere “espressamente” conferito per iscritto.

Orbene, dalla lettura dei contenuti della citata procura non risulta affatto l’avvenuto espresso conferimento del potere di rappresentanza processuale dei proprietari dell’immobile.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte, pertanto, va respinto il primo motivo di appello, laddove si deduce che, in base alla richiamata procura, egli avesse anche il potere di impugnare in giudizio eventuali provvedimenti di autotutela, rientrando tale facoltà fra quelle necessarie “al buon fine dell’incarico”.

Ritiene, di poi, il Collegio che nella fattispecie in esame non risulti invocabile il disposto di cui all’articolo 182 del codice di procedura civile, per il quale « Il giudice istruttore verifica di ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi.

Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione, il giudice può assegnare alle parti un termine per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione ».

Orbene, nella vicenda oggetto del presente giudizio, per come emerge dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, il signor B Claudio si è qualificato come “proprietario” dell’appezzamento di terreno e, di conseguenza, del manufatto sullo stesso realizzato.

Tanto emerge da diversi passaggi del richiamato atto processuale.

Alla pagina 1 del ricorso si legge che « il ricorrente è proprietario di un terreno in Località Val di Sogno del Comune di Malcesine di un appezzamento di terreno di circa mq. 1200 » ;
a pagina 3, si riporta « A richiesta del proprietario, il Comune rilasciò un terzo permesso di costruire in variante n. 74/2013 »;
nella istanza di sospensiva si precisa che « L’ordine di demolizione, in particolare, arrecherebbe al proprietario un danno economico irrecuperabile con ulteriori riflessi negativi sia nei confronti dell’impresa appaltatrice dei lavori, sia nei confronti dei potenziali acquirenti delle unità abitative in fase di completamento ».

Egli, dunque, non ha evidenziato la propria qualità di rappresentante degli effettivi titolari del diritto dominicale, ma ha, invece, sottolineato di agire e, dunque, di contestare gli atti impugnati nella qualità di proprietario del bene.

In tale situazione, pertanto, il giudice di primo grado non poteva fissare alla parte un termine per porre rimedio al difetto di rappresentanza in capo al signor B, considerandosi che lo stesso non aveva agito in qualità di rappresentante, situazione in relazione alla quale era stata rilevata la mancanza del relativo potere.

La norma, invero, prevede la concessione del termine quando il giudice « rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione », presupponendo in tal modo che vi sia stato un soggetto che abbia partecipato al giudizio in una delle prefate situazioni, in relazione alle quali l’autorità giurisdizionale rilevi irregolarità.

In buona sostanza, l’applicazione della norma implica l’esistenza di un falsus procurator ma presuppone , altresì, che la situazione procuratoria sia stata rappresentata in giudizio dal ricorrente quale titolo di legittimazione ad agire.

Tutto ciò è chiaramente evincibile dal contenuto della disposizione in esame, laddove la stessa opera riferimento al rilievo di un difetto di rappresentanza e prevede la fissazione di un termine per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza.

Essa presuppone, pertanto che abbia partecipato al giudizio un soggetto che, qualificatosi quale rappresentante, non lo fosse, risultando prevista la regolarizzazione di tale situazione.

Orbene, tanto non è avvenuto nel caso in esame, rilevandosi che il signor C B ha dichiarato di agire in qualità di proprietario e non anche in rappresentanza dei reali proprietari, signori D M, B Maddalena e D A.

Si è, dunque, al di fuori del perimetro di operatività della disposizione.

La invocata regolarizzazione risultava, poi, ulteriormente preclusa dallo spirare del termine di decadenza per l’impugnazione degli atti.

Il sopra riportato art. 182 del codice di procedura civile si applica limitatamente alle sue previsioni compatibili nel processo amministrativo, il quale prevede, per esigenze di certezza del diritto e di stabilità degli atti delle pubbliche amministrazioni, che la contestazione in sede giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi debba avvenire entro il termine decadenziale di 60 giorni, altrimenti consolidandosi gli stessi e non potendo la loro stabilizzazione essere rimossa se non attraverso il potere di autotutela dell’amministrazione.

I provvedimenti impugnati risalgono al 20 ottobre 2015 ed il ricorso di primo grado è del dicembre 2015.

Dalla lettura della sentenza impugnata, risulta che l’eccezione di inammissibilità del ricorso perché proposta da soggetto privo di legittimazione è stata proposta nell’anno 2016, in prossimità dell’udienza di discussione del merito, evidenziandosi pure che la procura, cui si è fatto sopra riferimento, rilasciata al signor B risulta depositata in giudizio dal ricorrente il 28 novembre 2016.

Rileva, pertanto, il Collegio che la questione del difetto di rappresentanza – a prescindere dal fatto che il signor B non ha agito in giudizio in qualità di rappresentante, ma in quella di proprietario (e tanto già di per sé esclude l’applicabilità del citato articolo 182 c.p.c.) – si è posto in un momento in cui era oramai spirato il termine di decadenza per l’impugnazione dei provvedimenti oggetto del presente giudizio.

E questo costituisce – a giudizio della Sezione - ulteriore argomento per ritenere che nella specie non fosse azionabile il rimedio di cui all’articolo 182 c.p.c.

Né può dirsi che la situazione risulti sanata dalla avvenuta proposizione dell’appello anche da parte dei signori D M , B Maddalena e D A, reali proprietari del terreno e del manufatto realizzato.

Invero, nella situazione sopra rappresentata (azione in giudizio del signor B Claudio in proprio nella qualità di proprietario del bene, assenza in ricorso di contemplatio domini , non applicabilità dell’articolo 182 c.p.c., avvenuto decorso del termine di impugnazione degli atti), deve ritenersi che gli stessi avrebbero dovuto impugnare tempestivamente i provvedimenti nel primo grado del giudizio, non potendo direttamente proporre appello avverso la sentenza resa in un giudizio in cui essi non sono stati parti formali.

D’altra parte, l’articolo 102 del c.p.a. (rubricato « Legittimazione a proporre appello ») dispone, al comma 1, che « Possono proporre appello le parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado ».

Orbene, i sopra indicati signori non sono stati parti del giudizio di primo grado né direttamente né a mezzo del signor C B, considerandosi che lo stesso aveva agito in proprio quale “proprietario”, non aveva esplicitato di agire in rappresentanza degli stessi e, comunque, non era munito di procura che lo legittimasse a proporre ricorso giurisdizionale per conto dei signori D M, B Maddalena e D A.

Pertanto, alcuna sanatoria la proposizione dell’appello da parte di costoro è in grado di produrre.

L’appello proposto da tali signori deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

4. Può a questo punto passarsi all’esame del secondo motivo di appello.

Anch’esso – a giudizio della Sezione – non risulta fondato.

Il signor B Claudio deduce l’erroneità della gravata sentenza nella parte in cui ha negato allo stesso una legittimazione propria alla impugnazione dei provvedimenti e rileva in proposito che la stessa deriverebbe dalla circostanza che i permessi di costruire annullati sono stati rilasciati a suo nome, senza riferimento alla sua qualità di procuratore e che gli atti gravati risultano emessi anche nei suoi confronti.

Egli rileva, inoltre, l’esistenza di un interesse strumentale ad agire, volto a far valere la correttezza del suo operato per tutelare la propria immagine ed evitare responsabilità per inadempimento che potrebbe essere contestata dai suoi mandanti.

Il Collegio condivide la statuizione del giudice di primo grado.

Va, invero, osservato che - se è vero che i provvedimenti autorizzatori risultano rilasciati a nome del signor B Claudio e che egli è anche destinatario dei provvedimenti impugnati - non può , peraltro, non rilevarsi che tanto è avvenuto in virtù della procura speciale a suo tempo rilasciata dai proprietari dell’immobile.

Risulta, pertanto, al di là del tenore letterale degli atti, che l’adozione degli stessi nei suoi confronti va ricollegata al mandato conferito, onde essi si fondano e si giustificano nell’agire per conto di altri soggetti, i quali restano i titolari del rapporto sostanziale con l’ente pubblico.

La Sezione, di poi, condivide l’affermazione del Tribunale secondo cui è infondata la prospettazione volta ad affermare l’esistenza di un interesse proprio finalizzato alla dimostrazione della correttezza del proprio operato come mandatario, atteso che essa non configura una posizione qualificata e differenziata rispetto ai provvedimenti impugnati, ma un interesse di mero fatto.

E’ vero, infatti, che trattasi di questioni inerenti i rapporti privatistici tra il mandante ed il mandatario, non direttamente connessi alla questione della quale si controverte in giudizio incentrata sulla legittimità di provvedimenti amministrativi adottati dal Comune in tema di annullamento di titoli edilizi ed ordine di demolizione, correlati alla violazione della normativa urbanistica.

Peraltro, ritiene il Collegio che il motivo di appello non sia fondato, con valenza assorbente, in relazione alla circostanza per la quale il Tribunale ha affermato l’inammissibilità del ricorso, rilevando che esso risulta proposto da soggetto che non è titolare della posizione giuridica fatta valere e che non è legittimato ad agire nell’interesse altrui, avendo agito in una qualità in concreto non sussistente.

Orbene, l’utilità derivante al ricorrente dalla pronuncia del giudice – la quale radica l’interesse ad agire – presuppone e va valutata in relazione alla sua legittimazione , che si connota nella posizione giuridico-soggettiva della quale il soggetto assume la titolarità ed in relazione alla quale agisce in giudizio.

Orbene, l’interesse ad agire rilevante è evidentemente quello connesso alla situazione giuridico-soggettiva di cui si assume la titolarità.

Mancando quest’ultima, così come rappresentata, è evidente che non possono assumere rilevanza ulteriori utilità o interessi che alla posizione giuridica di cui si assume la titolarità non siano collegati.

A maggior ragione, dunque, non può riconoscersi rilievo ad una legittimazione di tipo diverso rispetto a quella che con il ricorso giurisdizionale si è inteso far valere.

Vuole in buona sostanza affermarsi che il signor C B ha fatto valere in giudizio una posizione giuridico-soggettiva (diritto di proprietà), qualificandola come propria.

Egli non ha assolutamente affermato, nell’atto introduttivo del giudizio, di non essere proprietario del bene e di aver svolto l’attività amministrativa a seguito della quale sono stati emessi i provvedimenti impugnati in qualità di mandatario.

Di conseguenza, la qualità di mandatario non può essere presa in considerazione ai fini della sussistenza di una eventuale legittimazione, a titolo diverso rispetto a quanto dichiarato, e di un eventuale interesse all’annullamento degli atti anche nella prefata qualità.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte, pertanto, risulta infondato anche il secondo motivo di appello.

La gravata sentenza deve essere, pertanto, confermata.

5. In conclusione, dunque, l’appello proposto dal signor C B deve essere rigettato.

L’appello nella parte in cui è proposto dai signori D M, B Maddalena e D A deve essere, invece, dichiarato inammissibile.

Pertanto, non possono essere esaminate neanche in questa sede le deduzioni riguardanti gli aspetti sostanziali della vicenda e, in particolare, quelli posti a base dei contestati atti di autotutela, concernenti i limiti volumetrici da rispettare, la natura inedificabile dell’area in questione, la presenza di una zona di rispetto stradale, fluviale e di impianti di risalita, il rilascio in variante di un titolo divenuto inefficace, la violazione della distanza da un edificio confinante, nonché le peculiarità concernenti la direzione dei lavori rispetto alle opere in cemento armato.

La conferma della sentenza impugnata (e della relativa pronuncia di inammissibilità) esime il Collegio dall’esaminare il merito del ricorso.

La peculiarità e la complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti costituite delle spese del grado.

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