Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-04-07, n. 201701620
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Pubblicato il 07/04/2017
N. 01620/2017REG.PROV.COLL.
N. 02016/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2016 del 2014, proposto da R D T, rappresentato e difeso dall'avvocato R M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Paola D'Amico in Roma, viale delle Provincie, 114/B/23;
contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. Campania – Sede di Napoli, Sez. VI n. 5296 del 22 novembre 2013, concernente trasferimento d'autorità per incompatibilità ambientale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2017 il Cons. Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Ursillo su delega di Manfellotto e l’avvocato dello Stato Natale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri, ha impugnato avanti il T.a.r. Campania - Sede di Napoli il provvedimento del Comando Generale dell’Arma indicato in epigrafe, che ne ha disposto il trasferimento d’autorità per incompatibilità ambientale dal reparto di appartenenza (Stazione C.C. di Rocca d’Evandro, in provincia di Caserta) all’8^ Reggimento C.C. Lazio sito in Roma.
Il provvedimento è motivato sulla base degli esiti di una relazione di servizio redatta da personale del Commissariato di P.S. di Cassino, secondo cui in data 9 giugno 2012, “ in occasione di controllo a persona sottoposta agli arresti domiciliari, il personale operante aveva notato nei pressi dell’abitazione un’autovettura con colori d’istituto e, nel giardino di pertinenza della stessa, due militari in uniforme seduti ad un tavolo intenti a consumare un pasto con la persona controindicata ”.
L’Amministrazione ha ritenuto tale condotta idonea a determinare “ il venir meno del rapporto di fiducia con i superiori gerarchici ”, in considerazione del fatto che “ nell’ordine di servizio non risulta alcuna annotazione o altra attività relativa all’episodio e, nel contempo, non risultano effettuate le soste comandate nell’orario 21.30 – 21.50 e 22.30 – 22.50 ”.
L’Amministrazione non ha, viceversa, ritenuto idoneo a determinare un diverso esito “ l’atto d’intervento ” prodotto dal ricorrente, in cui egli evidenziava: di essersi recato in loco insieme con il collega di pattuglia su richiesta del sig. F M, conosciuto dai militari quale “ commerciante per calzature su aree pubbliche in zona ” e di cui, viceversa, essi ignoravano il rapporto di parentela con la persona controindicata;che il Fionda intendeva chiedere il loro parere su una questione personale di carattere giuridico (mancata trascrizione nel p.r.a., da parte dell’acquirente, del passaggio di proprietà di automobile);che i due carabinieri si sarebbero trattenuti nel giardino di pertinenza dell’abitazione del Fionda solo per circa mezz’ora senza consumare alcun pasto e, in particolare, non avrebbero avuto alcun contatto con la persona controindicata, limitatasi a transitare nel suddetto giardino allorquando il personale del locale Commissariato si era avvicinato al cancello esterno del villino bifamiliare per i controlli di routine ;di non avere, infine, operato alcuna annotazione circa le due soste comandate “ in quanto nei medesimi orari non sono transitate vetture o persone ”.
Costituitasi l’Amministrazione, il T.a.r., premessi cenni sulla natura non disciplinare del trasferimento per incompatibilità ambientale, ha ritenuto che “ la mancata annotazione degli eventi della serata nell’ordine di servizio … appare assolutamente sufficiente ai fini dell’adozione di un trasferimento d’autorità per incompatibilità ambientale ”, non rilevando in senso contrario la circostanza che, nelle more del giudizio, il personale della P.S. avesse precisato che “ l’affermazione secondo la quale il ricorrente ed il collega avrebbero consumato il pasto presso l’abitazione del pregiudicato derivava da un erroneo procedimento deduttivo e non dalla concreta verifica della stessa ”. Il T.a.r., inoltre, ha escluso l’illegittimità del provvedimento quanto all’individuazione delle sede di assegnazione, giacché “ l’Amministrazione non è obbligata ad esplicitare i criteri con i quali sono stati determinati i limiti geografici dell’incompatibilità ambientale ”.
Il ricorrente ha interposto appello, riproponendo criticamente le censure svolte in prime cure;costituitasi l’Amministrazione, il ricorrente ha, quindi, versato in atti copia del decreto del 26 marzo 2014 con cui il Giudice Militare ha disposto, conformemente alla richiesta del P.M., l’archiviazione del procedimento radicato nei di lui confronti per il reato di violata consegna.
Con ordinanza n. 1521 del 9 aprile 2014 il Collegio ha disposto la sospensione dell’esecutività della sentenza gravata, “ avuto riguardo alla motivata richiesta di archiviazione avanzata dalla procura militare e accolta dal Gip del Tribunale militare ”.
Con provvedimento del 12 maggio 2014 l’Arma, in esecuzione di tale ordinanza ed in accoglimento di istanza di autotutela frattanto svolta dal ricorrente, lo ha assegnato provvisoriamente, a domanda, al Comando Legione C.C. Campania, a sua volta tenuto a curarne, “ nella competenza, l’assegnazione ad una sede di utile impiego ”.
In vista della trattazione del ricorso nel merito le parti non hanno formulato difese scritte.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 16 marzo 2017, nel corso della quale il difensore del ricorrente ha precisato oralmente che, allo stato, il suo assistito presta servizio in Caserta.
Il Collegio, re melius perpensa , ritiene che il ricorso non meriti accoglimento.
Giova, in primis , precisare che lo scrutinio di legittimità di un provvedimento amministrativo deve compiersi in base alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della relativa emanazione: la legittimità, infatti, costituisce predicato giuridico dell’espressione attizia del potere e ne configura e sintetizza la relazione con il contesto fattuale e normativo esistente al momento dell’esternazione provvedimentale (Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2012, n. 6190;Sez. V, 16 aprile 2013, n. 2094).
L’incidenza, per quanto qui interessa, dei successivi mutamenti fattuali non è, cionondimeno, esclusa, ma si esplica in punto di attuale e perdurante opportunità del mantenimento della regolazione degli interessi plasmata dal provvedimento e può condurre non all’annullamento, bensì all’eventuale rimodulazione, integrale o parziale, del contenuto precettivo dell’atto, al suo ritiro ex nunc o alla sua sostituzione con altro atto, in virtù della strutturale inesauribilità del potere amministrativo, dinamicamente teso ed istituzionalmente tenuto al continuo perseguimento del pubblico interesse.
Tale conclusione vale pure nei casi di progressiva acquisizione dei dati fattuali, idonea a consentire solo ex post all’Amministrazione, con il trascorrere del tempo, una lucida, completa ed approfondita conoscenza della situazione.
In siffatte ipotesi, lo scrutinio di legittimità è limitato ai casi in cui ab origine si palesi un insanabile difetto istruttorio, in cui, in altre parole, l’acquisizione dei fatti rilevanti sia avvenuta in un momento successivo all’emanazione del provvedimento non per una strutturale difficoltà di penetrazione del dato fattuale, bensì per negligenza, superficialità, imperizia dell’Amministrazione, elementi questi integranti ipotesi sintomatiche di eccesso di potere.
Ove, invece, non possano muoversi all’Amministrazione addebiti di carente iniziativa nell’apprensione degli elementi rilevanti, vuoi per l’iniziale assenza di fonti di conoscenza intervenute solo successivamente, vuoi per l’intrinseca affidabilità di quelle compulsate, si esula dal giudizio di legittimità.
Nel caso di specie, l’Arma ha ricevuto una relazione sottoscritta da agenti della Polizia di Stato in servizio, i quali hanno attestato fatti allegati come oggetto di apprensione sensoriale diretta: di converso, gli stessi interessati non hanno contestato l’accaduto, ma si sono limitati a fornirne una versione parzialmente diversa, non sorretta, tuttavia, da evidenze documentali idonee a dimostrare per tabulas la lamentata fallacia della ricostruzione resa dai poliziotti.
Né ha rilievo decisivo il fatto che i due militari, quella sera, abbiano consumato la cena in un locale convenzionato mediante “buoni pasto”, come evincibile da documentazione dell’Arma in data 30 giugno 2012, dunque anteriore all’atto gravato.
In disparte il fatto che tale circostanza non è evidenziata nella memoria procedimentale redatta dal ricorrente, i dati fattuali che l’Amministrazione aveva di fronte a sé al momento dell’emanazione dell’atto impugnato erano i seguenti: personale della Polizia di Stato in servizio d’istituto aveva notato i due militari mentre, in divisa e nel corso di un servizio di pattuglia automontata, erano seduti all’ora di cena intorno ad una tavola apparecchiata nel giardino di una villetta insieme con alcuni prossimi congiunti di un soggetto agli arresti domiciliari, residente (e ristretto) presso il medesimo villino;di tale accadimento, dei motivi che lo hanno determinato e della pregressa relazione con la famiglia in questione non vi è alcuna traccia nella relazione di servizio da essi compilata, né, a quanto consta, la questione era aliunde a conoscenza della Gerarchia.
Nell’ambito di un Corpo ad ordinamento militare preposto, fra l’altro, a compiti di polizia, un’omissione comunicativa del genere arreca un’oggettiva lesione al “ rapporto di fiducia con i superiori gerarchici ”, che, tanto più in una stazione ubicata in un piccolo centro, vive di un implicito ma necessario affidamento circa la costante correttezza dell’operato dei sottoposti, circa la loro piena trasparenza, circa la loro complessiva solidità etica, irrimediabilmente frustrate e mortificate da una reticenza quale quella de qua .
Né, per altro verso, l’Amministrazione aveva motivo di dubitare di quanto riferito, in un atto pubblico, da personale della Polizia di Stato, del resto non smentito, nei suoi connotati fondamentali, dagli stessi interessati.
In conclusione, per quanto evincibile al momento dei fatti, la decisione dell’Amministrazione non si colora di illegittimità, né quanto alla propedeutica attività di acquisizione istruttoria, né quanto alla successiva delibazione dei dati in tal modo raccolti, né quanto all’orditura del tessuto motivazionale, in ipotesi della specie, oltretutto, per jus receptum particolarmente contratto ( ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 28 settembre 2016, n. 4023).
Peraltro, l’Amministrazione non ha valutato la condotta dei militari come disciplinarmente censurabile, ma si è limitata a valorizzare l’oggettiva lesione che le esposte omissioni informative arrecavano al “ corretto funzionamento dell’Unità ” ed al “ rapporto di fiducia con i superiori gerarchici ”.
Non si può, infine, imputare all’Arma di non aver atteso oltre nell’emanazione dell’atto e, in particolare, di non aver atteso la conclusione del procedimento penale: l’esigenza di ovviare all’assunto vulnus arrecato al buon funzionamento del Corpo ad opera di condotte del personale dipendente è, infatti, prioritaria ed impone un tempestivo intervento correttivo, incompatibile con i tempi propri dell’accertamento giurisdizionale, oltretutto teso ad uno scopo (l’irrogazione di sanzione afflittiva della libertà personale in conseguenza del compimento di reati) diverso da quello cui tende il provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale (porre termine ad una situazione ostativa al buon andamento dell’Amministrazione, indipendentemente dalla ricorrenza di condotte di rilievo penale o anche solo semplicemente disciplinare).
In virtù delle esposte argomentazioni, l’intervenuta archiviazione del procedimento penale non riveste alcun rilievo ai fini del presente giudizio.
Parimenti infondate le censure mosse dal ricorrente avverso la scelta della sede di assegnazione: in disparte il fatto che egli, all’epoca dei fatti, risultava residente nel Comune di Castrocielo, sito nella Provincia di Frosinone e, dunque, nella Regione Lazio, l’Amministrazione ha ampia discrezionalità nella perimetrazione dell’area geografica interessata dalla “ incompatibilità ambientale ” (Cons. Stato, Sez. III, 2 settembre 2013, n. 4368).
In particolare, il relativo sindacato da parte del Giudice Amministrativo è limitato al riscontro ab externo della non arbitrarietà e della proporzionalità: il Giudice deve accertare, in base ad una verifica condotta con criteri di logica formale, che l’individuazione della sede di assegnazione non costituisca una surrettizia misura per punire l’interessato né, comunque, che sia prima facie eccessiva rispetto ai caratteri della situazione concreta.
Non solo, per vero, uno scrutinio più incisivo integrerebbe un’inammissibile incursione giurisdizionale nella sfera del merito amministrativo, ma, prima ancora, in subiecta materia l’interesse del dipendente, specie se militare, alla comoda raggiungibilità della nuova sede è recessivo a fronte del prioritario interesse pubblico al “ corretto funzionamento dell’Unità ” amministrativa (Cons. Stato, Sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4586).
Nella specie, il trasferimento risulta disposto a sede ubicata nella medesima Regione (allora) di residenza del militare, per di più in una Provincia (Roma) confinante: non si apprezzano, quindi, né intenti punitivi né profili di sproporzione manifesta.
Il ricorso deve, dunque, respingersi, salve le future determinazioni amministrative circa l’impiego del ricorrente.
La peculiarità della vicenda suggerisce, comunque, la compensazione delle spese di lite.