Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-02-02, n. 202200741

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-02-02, n. 202200741
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200741
Data del deposito : 2 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/02/2022

N. 00741/2022REG.PROV.COLL.

N. 08937/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8937 del 2020, da L'Onda Music Hall s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati E A e P G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Liguria, Sezione I, 15 luglio 2020, n. 499, non notificata, con la quale è stato dichiarato infondato il ricorso n. 83/2019 R.G.R., inerente obbligo di provvedere.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2022 il Cons. Brunella Bruno, non essendo comparso nessun difensore per le parti costituite;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’Onda Music Hall s.n.c. ha interposto appello avverso la sentenza 15 luglio 2020, n. 499 del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sez. I, che – successivamente all’annullamento con rinvio della sentenza del medesimo Tribunale del 15 aprile 2019 n. 354, di inammissibilità del gravame per difetto di giurisdizione, disposto da questo Consiglio con sentenza 4 maggio 2020, n. 2787 – ha rigettato il ricorso finalizzato all’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato sull’istanza in data 12 luglio 2018, indirizzata all’amministrazione delle infrastrutture e dei trasporti, di riduzione del canone della concessione demaniale marittima avente ad oggetto uno stabilimento balneare, nonché un immobile – costituente pertinenza demaniale marittima a suo tempo incamerato ai beni dello Stato – sito in Laigueglia, Via Lungomare Cristoforo Colombo, n. 3, adibito a bar, ristorante e locale di intrattenimento.

L’Onda Music Hall s.n.c. aveva chiesto, infatti, sin dal 25 gennaio 2000, con istanza presentata alla Capitaneria di Porto di Savona, la riduzione al cinquanta per cento del canone demaniale per gli anni 2000-2020, in applicazione dell’art. 2, comma 5, del d.m. 5 agosto 1998, n. 342, per avere realizzato, nel corso del 2000, importanti lavori di restauro conservativo e di manutenzione straordinaria (per complessivi euro 508.761,26) riguardanti l’immobile costituente pertinenza demaniale marittima.

A distanza di diciotto anni dalla prima istanza, in assenza di riscontri ritenuti congrui dalla società e risultando la concessione prorogata ex lege , il 12 luglio 2018, l’odierna appellante ha reiterato l’istanza di riduzione del canone demaniale, inoltrandola a mezzo pec direttamente al Ministero intimato.

Con il ricorso in primo grado l’Onda Music Hall s.n.c., perdurando l’inerzia, ha chiesto l’accertamento della illegittimità della condotta dell’amministrazione, inadempiente all’obbligo di provvedere sulla sua istanza di riduzione del canone concessorio.

La sentenza appellata ha rigettato il ricorso, ritenendo non sussistente un obbligo dell’amministrazione di provvedere, sulla base del rilievo che la possibilità di ottenere la riduzione del canone demaniale, prevista dall’art. 3, comma 1, del d.l. n. 400 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 494 del 1993, è stata eliminata a far data dal primo gennaio 2007, di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, il cui art. 1, comma 251, ha sostituito il previgente art. 3 del d.l. 400 del 1993;
conseguentemente, in applicazione del principio tempus regit actum , ha escluso la fondatezza del ricorso.

Con il ricorso in appello la società L’Onda Music Hall ha dedotto l’erroneità della sentenza di prime cure, in quanto la disposizione invocata non risulta essere mai stata abrogata, dovendosi, pertanto, escludere il venir meno dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere sull’istanza in argomento alla luce delle previsioni dell’art. 2, comma 5 del d.m. 5 agosto 1998, n. 342. A sostegno di tale deduzione, parte appellante ha addotto: l’assenza di una abrogazione espressa dell’art. 3, comma 1 del d.l. n. 400 del 1993;
la circostanza che la giurisprudenza amministrativa e, segnatamente, proprio il T.A.R. Liguria, in fattispecie analoga, ha fatto applicazione dell’articolo 2, comma 5, del d.m. n. 342 del 1998 con riguardo ad una istanza di riconoscimento del beneficio presentata nel 2009;
l’operato del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell’Agenzia del Demanio che, anche successivamente alla data del 1° gennaio 2007, di entrata in vigore delle modifiche introdotte con l’art. 1, comma 251 della legge n. 296 del 2006 all’art. 3 del d.l. n. 400 del 93, hanno adottato determinazioni che confermano la perdurante vigenza della previsione normativa invocata;
i profili di non conformità a Costituzione cui darebbe luogo l’opzione interpretativa sostenuta nella sentenza appellata. In tale quadro, inoltre, parte appellate ha sottolineato che – come, peraltro, evidenziato da questo Consiglio con la sentenza n. 2787 del 4 maggio 2020, di annullamento con rinvio della prima pronuncia del T.A.R. Liguria sulla vicenda in esame – i lavori giustificativi dell’istanza di ammissione al beneficio risultano effettuati nel 2000, con conseguente superamento della questione relativa all’applicabilità o meno alla fattispecie in esame della disciplina invocata dalla società, dovendosi accedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata delle previsioni che vengono in rilievo, attribuendo rilievo alla disciplina vigente all’epoca in cui gli investimenti sono stati effettuati.

Il Ministero intimato si è costituito in giudizio, eccependo l’inammissibilità del ricorso in considerazione della reiterazione, in data 12 luglio 2018, della medesima istanza già presentata in data 25 gennaio 2000 alla quale non ha fatto seguito la proposizione di alcuna azione entro i prescritti termini di decadenza, concludendo, comunque, per l’infondatezza del gravame nel merito.

Nella camera di consiglio del 18 gennaio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso in appello non merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte.

2. Deve preliminarmente evidenziarsi che con la sentenza di questo Consiglio 4 maggio 2020, n. 2787, passata in giudizio, con la quale è stata annullata la pronuncia del T.A.R. Liguria del 15 aprile 2019 n. 354, con rimessione della causa al primo giudice (stante la valutata sussistenza della giurisdizione amministrativa, erroneamente esclusa da detta sentenza del Tribunale), è stata chiarita la natura della situazione giuridica soggettiva ascrivibile in capo alla società odierna appellante.

2.1. In particolare, questo Consiglio ha rilevato che deve escludersi la sussistenza di “ una posizione paritetica tra l’amministrazione ed il concessionario, soggetto alla potestà amministrativa ”.

2.2. Ed è proprio su tali basi che è stata affermata l’ammissibilità del rito sul silenzio per contestare l’inerzia dell’amministrazione, chiarendosi che: “ Si verte dunque al cospetto di una situazione giuridica nella quale è esperibile anche il ricorso avverso il silenzio, che è istituto relativo alla esplicazione di potestà pubblicistiche correlate al mancato esercizio dell’attività amministrativa discrezionale, e non già alla soddisfazione di posizioni di diritto soggettiv o”.

2.3. La vicenda contenziosa in esame, dunque, deve essere vagliata tenendo in considerazione, in quanto rilevante ai fini della definizione delle questioni giuridiche implicate, la sopra illustrata qualificazione della situazione giuridica soggettiva che viene in rilievo.

3. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di parte appellante, deve escludersi la perdurante vigenza delle previsioni di cui all’art. 2, comma 5, del d.m. 5 agosto 1998, n. 342, ai sensi del quale « per le concessioni per le quali il concessionario assuma l’obbligo o sia autorizzato ad effettuare lavori di straordinaria manutenzione di un bene di pertinenza demaniale marittima, nonché nei casi previsti dagli articoli 40 e 45, primo comma, del codice della navigazione, la misura del canone annuo è ridotta fino alla metà di quella prevista nell’allegata tabella A per le annualità da stabilirsi con decreto del Ministero dei trasporti e della navigazione in relazione all’entità dell’investimento ».

3.1. Come rilevato nella sentenza appellata, con un percorso argomentativo corretto, sebbene estremamente sintetico, il beneficio di cui la ricorrente invoca l’applicazione è venuto meno, per effetto delle modifiche introdotte con la legge n. 296 del 2006, a decorrere dal 1° gennaio 2007.

3.2. Con la sopra indicata disposizione, infatti, l’art. 3, comma 1, del d.l. n. 400 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 494 del 1993, è stato sostituito e la formulazione della previsione conseguente all’intervento del legislatore del 2006 ha comportato che la spettanza di una riduzione del canone annuo in dipendenza di investimenti effettuati dall’operatore ed al medesimo autorizzati non è più contemplata.

3.3. Nello specifico, la formulazione originaria della previsione stabiliva alla lett. g) la “ riduzione della misura base dei canoni di cui alla lettera c) fino alla metà nel caso in cui il concessionario assuma l’obbligo o sia autorizzato ad effettuare lavori di straordinaria manutenzione del bene pertinenziale, nonché nei casi previsti dagli articoli 40 e 45, primo comma, del codice della navigazione ”.

3.4. Con l’art. 1, comma 251, della legge n. 296 del 2006 il testo dell’art. 3 è stato completamente sostituito (“ è sostituito ”), contemplando, nella nuova formulazione, la riduzione del canone nella misura del cinquanta per cento esclusivamente nei casi specificamente indicati, tra le quali non figura l’esecuzione di investimenti autorizzati per l’effettuazione di lavori di straordinaria manutenzione del bene pertinenziale.

3.5. Né va trascurato che l’intervento legislativo in argomento risponde – come chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 302 del 2010, con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 – ad una “ precisa linea evolutiva della disciplina dell’utilizzazione dei beni demaniali”, giacché alla “vecchia concezione, statica e legata ad una valutazione tabellare e astratta del valore del bene, si è progressivamente sostituita un’altra, tendente ad avvicinare i valori di tali beni a quelli di mercato, sulla base cioè delle potenzialità degli stessi di produrre reddito in un contesto specifico ”.

3.6. Nel riassetto che ne è scaturito, dunque, del tutto ragionevolmente ed in coerenza con le finalità perseguite, il legislatore ha circoscritto le ipotesi di spettanza del beneficio della riduzione del canone a determinati casi, previsti già dal codice della navigazione ovvero connotati da obiettiva eccezionalità (“ eventi dannosi di eccezionale gravità che comportino una minore utilizzazione dei beni oggetto della concessione, previo accertamento da parte delle competenti autorità marittime di zona ”) ovvero, ancora, correlati a finalità di promozione di specifiche destinazioni ed a modalità di organizzazione e strutturazione ritenute meritevoli di particolare considerazione (“ concessioni demaniali marittime assentite alle società sportive dilettantistiche senza scopo di lucro affiliate alle Federazioni sportive nazionali con l'esclusione dei manufatti pertinenziali adibiti ad attività commerciali ”;
obbligo per i titolari delle concessioni di consentire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l'area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione ”;
imprese turistico-ricettive all'aria aperta ”, con limitazione, peraltro, in quest’ultimo caso ai “ valori inerenti le superfici del 25 per cento ”).

3.7. Emerge, dunque, una evidente diversità tra le situazioni considerate dal legislatore ai fini del riconoscimento della spettanza di una riduzione del canone di concessione e quella che viene in rilievo nella fattispecie, afferendo l’apprezzamento in ordine alla remunerazione degli investimenti eseguiti ad una valutazione non generalizzata e svolta ex ante dal legislatore bensì suscettibile di considerazione nel singolo caso concreto nella definizione del rapporto concessorio nel suo momento genetico ovvero durante il suo sviluppo, senza che sia configurabile un diritto degli operatori a tale riduzione.

3.8. Come chiarito dalla Corte costituzionale, “ nel nostro sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti ” (cfr. sentenza n. 302/2010, cit , con riferimenti anche alla giurisprudenza precedente);
inoltre, l’intervento del legislatore non può ritenersi “ né improvviso e imprevedibile, né ingiustificato rispetto allo scopo perseguito di assicurare maggiori entrate all’erario e di perequare le situazioni dei soggetti che svolgono attività commerciali, avvalendosi di beni pubblici, e quelle di altri soggetti che svolgono le identiche attività, ma assoggettati ai prezzi di mercato relativi all’utilizzazione di beni di proprietà privata ”(cfr. anche la sentenza n. 128 del 2014 con la quale è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296).

3.9. Le considerazioni sopra svolte risultano dirimenti al fine di escludere la perdurante vigenza della disposizione normativa di rango primario che legittimava la spettanza della riduzione del canone concessorio che viene in rilievo nel caso che ne occupa, non potendosi neppure riconnettere rilievo, ai fini pretesi da parte appellante, al precedente (T.A.R. Liguria, n. 610 del 2012) richiamato nell’atto introduttivo del presente giudizio, in quanto specificamente riferito alle vicende del rapporto concessorio di altro operatore al quale l’amministrazione aveva riconosciuto la spettanza del beneficio salvo, poi, intervenire in autotutela, con determinazioni delle quali è stata accertata l’illegittimità, con la conseguenza che il precedente non risulta richiamato con pertinenza. Del pari, quanto alle determinazioni adottate in altri casi dall’amministrazione, non solo le deduzioni articolate in ricorso si palesano generiche, non avendo la parte appellante specificato e debitamente comprovato l’identità delle fattispecie rispetto a quella in esame, ma trascurano di considerare che eventuali prassi non conformi alla disciplina di legge non possono fondare pretese prive di una base legale (e, del resto, come affermato dall’univoca giurisprudenza in relazione al vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento, detto vizio non è configurabile quando viene rivendicata l’applicazione di posizioni giuridiche riconosciute ad altri soggetti in modo illegittimo, in quanto, in applicazione del principio di legalità, la legittimità dell’operato della p.a. non può comunque essere inficiata dall’eventuale illegittimità compiuta in altra situazione).

3.10. Chiarito, dunque, che l’art. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 ha sostituito l’art. 3, comma 1, del d.l. n. 400 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 494 del 1993, espungendo e, dunque, abrogando la previsione che figurava alla lett. g) di tale disposizione, la pretesa di riconoscimento della riduzione del canone concessorio avanzata dalla ricorrente risulta sfornita della base giuridica assunta a fondamento della richiesta.

3.11. E, invero, il decreto d.m. 5 agosto 1998, n. 342 è stato emanato al fine di dare attuazione alle previsioni della legge 4 dicembre 1993, n. 494, di conversione del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400, sicché non è sostenibile la perdurante vigenza delle previsioni di detto decreto non più conformi alla legge, ostandovi i generali criteri che regolano i rapporti tra le fonti del diritto.

4. Il principio tempus regit actum , inoltre, è stato correttamente richiamato nella sentenza appellata, profilo, questo, sul quale è necessario soffermarsi alla luce delle vicende fattuali illustrate dalla stessa parte appellante.

4.1. L’istanza in relazione alla quale viene lamentata l’inerzia dell’amministrazione è specificamente quella presentata a mezzo pec al Ministero intimato in data 12 luglio 2018.

4.2. Tale istanza va qualificata in termini di richiesta nuova rivolta all’amministrazione centrale rispetto a quella presentata nel 2000 dalla società alla Capitaneria di Porto di Savona, dovendosi sottolineare che in relazione a quest’ultima non solo la società non ha proposto, entro i termini decadenziali prescritti, alcuna contestazione avverso l’inerzia – come correttamente eccepito dalla Difesa erariale – ma neppure sussiste a ben vedere un contegno inerte dell’amministrazione.

4.3. Parte appellante ha, infatti, esaustivamente illustrato tutti gli sviluppi procedimentali che sono scaturiti dalla sopra indicata istanza, con adozione dell’atto prot. n. 2012/1673/FLI-BD del 13 febbraio 2012, con il quale l’Agenzia del Demanio ha proposto una riduzione del canone demaniale determinata nella misura del 50% per i primi cinque anni decorrenti dalla esecuzione dell’investimento. Contrariamente a quanto lamentato dalla società odierna appellante, dunque, un riscontro è stato concretamente fornito, nonostante il lungo tempo decorso dalla presentazione dell’istanza nel 2000, per un arco temporale protrattosi per oltre dieci anni senza l’attivazione di strumenti rimediali da parte della società.

4.4. A fronte di tale atto la società, pur non valutando congrua la riduzione del canone, non ha ritenuto di azionare le tutele all’uopo previste dall’ordinamento ed ha atteso ulteriori sei anni prima di formulare la nuova istanza direttamente all’amministrazione centrale.

4.4. Giova precisare, peraltro, che quanto di seguito si andrà ad esporre consente anche di rilevare che le vicende che parte appellante ha addotto a sostegno della perdurante vigenza della disposizione invocata a fondamento della spettanza della riduzione del canone, lungi dal comprovare un operato dell’amministrazione illegittimo, evidenziano il buon governo che quest’ultima ha fatto dei principi e delle regole concernenti la successione delle norme nel tempo con riferimento ai rapporti amministrativi.

4.5. Come chiarito da questo Consiglio in numerose pronunce: « il principio "tempus regit actum" va coniugato con le problematiche connesse allo ius superveniens e, pertanto, non comporta che il procedimento amministrativo, ove non si esaurisca con l'immediata pronuncia conclusiva, debba essere definito in conformità alla disciplina vigente al momento della adozione del provvedimento finale. Premesso che il legislatore, quando modifica una disciplina preesistente, prevede di norma un regime transitorio per i rapporti già in corso e non ancora esauriti, la P.A., ad avviso del Collegio, ove manchi il regime transitorio, deve applicare i principi generali in tema di successione di norme e di perfezionamento del procedimento amministrativo. Pertanto, in caso di modifiche normative in corso di procedimento, considerata l'unitarietà del procedimento amministrativo, primarie esigenze di certezza del diritto richiedono di cristallizzare il regime normativo al momento dell'atto di avvio del procedimento » (cfr., ex multis , Cons. Stato Sez. III, Sent., 24-10-2016, n. 4453).

4.6. Nel caso che ne occupa la modifica normativa è intervenuta oltre dieci anni prima della presentazione dell’istanza (12 luglio 2018) di riduzione del canone concessorio presentata al Ministero intimato, sicché le medesime esigenze di certezza e di stabilità dei rapporti giuridici sopra richiamate precludono l’ultravigenza di una previsione ormai abrogata, a nulla rilevando che gli investimenti cui si riconnette l’istanza risalgano all’anno 2000.

4.7. Quanto esposto rende, altresì, evidente che il riscontro fornito dall’Agenzia del Demanio nel 2012 in ordine alla riduzione del canone richiesta dall’appellante, lungi dal dimostrare una perdurante vigenza di una disposizione abrogata a decorrere dal 1° gennaio 2007, trovava fondamento proprio nei sopra richiamati principi, sussistendo, all’epoca, la pendenza di un procedimento avviato con la presentazione dell’istanza nell’anno 2000.

4.8. A prescindere, dunque, dalla incidenza sulla remunerazione dell’investimento delle reiterate proroghe del rapporto concessorio di cui la società si è giovata, deve escludersi che possa trovare applicazione la disciplina previgente;
né è predicabile la lesione di un affidamento legittimo, essendo la modifica della disciplina primaria vigente dal 2007.

4.9. Deve, altresì, soggiungersi che la sentenza di questo Consiglio 4 maggio 2020, n. 2787 si è espressa solo in rito sulla sussistenza della giurisdizione di questo giudizio, rinviando per l’esame del merito al giudice di primo grado, sicché nessuna statuizione vincolante la sentenza di appello reca quanto alla sussistenza di un obbligo dell’amministrazione di provvedere e tanto meno in ordine alla spettanza della pretesa sostanziale. Da tale pronuncia deriva, invece, il vincolo correlato alla qualificazione della natura della situazione giuridica soggettiva ascrivibile all’appellante – di interesse legittimo e non di diritto soggettivo –, dalla quale scaturiscono le conseguenze che sono state correttamente tratte con la sentenza appellata, sia pure con un percorso argomentativo conciso e necessitante di più diffusa esplicitazione.

5. Esclusa, infatti, la vigenza della previsione normativa invocata dall’appellante a fondamento della propria istanza ed escluso anche che ricorrano circostanze particolari suscettibili di fondare, per ragioni di equità e giustizia, un obbligo dell’amministrazione di provvedere, tanto più tenuto conto dei complessivi sviluppi della vicenda e dell’atto adottato sin dal 2012 dall’Agenzia del Demanio, deve concludersi, per quanto sin qui esposto, per la conferma della sentenza impugnata.

6. In considerazione delle peculiarità della vicenda contenziosa, come emergenti dalla documentazione in atti, e della relativa novità delle questioni trattate, si valutano nondimeno sussistenti i presupposti per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio tra le parti.

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