Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-01-12, n. 202200206

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-01-12, n. 202200206
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200206
Data del deposito : 12 gennaio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/01/2022

N. 00206/2022REG.PROV.COLL.

N. 05345/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5345 del 2021, proposto dalla società Telecom Italia Sparkle S.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F C, F L e F S C, domiciliata presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia ed elettivamente domiciliata presso lo studio LCA in Roma, via G.P. da Palestrina, n. 47;

contro

- l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
- la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore , non costituita in giudizio;

nei confronti

della società Wind Tre S.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Beniamino Caravita di Toritto, Sara Fiorucci e Roberto Santi, domiciliata presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei suindicati difensori in Roma, via di Porta Pinciana, n. 6;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sez. III- ter , 4 marzo 2021 n. 2670.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della società Wind Tre e i documenti prodotti;

Vista l’ordinanza della Sezione 27 agosto 2021 n. 4444, con la quale è stata accolta, ai soli fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito, la domanda cautelare presentata dalla parte appellante;

Esaminate tutte le memorie difensive, anche di replica e gli ulteriori atti depositati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2021 il Cons. Stefano Toschei e uditi, per le parti, gli avvocati F S C, Sara Fiorucci e Roberto Santi nonché l’avvocato dello Stato Barbara Tidore;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso (n. R.g. 5345/2021) la società Telecom Italia Sparkle S.p.a. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sez. III- ter , 4 marzo 2021 n. 2670, con la quale è stato respinto il ricorso (n. R.g. 8869/2020) proposto da detta società nei confronti dei seguenti atti e provvedimenti: a) la delibera n. 373/20/CONS del 6 agosto 2020, con la quale l'Autorità ha diffidato Telecom Italia Sparkle al versamento, entro 60 giorni, dell'importo asseritamente dovuto a titolo di contributo di funzionamento per il 2016, oltre interessi legali, pari a Euro 1.519.861,44;
b) la delibera n. 605/15/CONS del 5 novembre 2015, con la quale sono state approvate “ Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per l'anno 2016 ”;
c) la delibera n. 34/16/CONS di approvazione del modello telematico “ Contributo SCM – anno 2016” di cui all'art. 4, comma 1, della delibera n. 605/15/CONS (allegato A) e delle Istruzioni per il versamento del contributo dovuto all'Autorità per l'anno 2016 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media ” (allegato B);
d) la delibera n. 554/15/CONS di approvazione del Rendiconto annuale per il 2014;
e) gli atti presupposti connessi e consequenziali, anche se non conosciuti, nonché, laddove occorrer possa, della nota di sollecito del 29 maggio 2020 prot. n. 232824. La società Telecom Italia Sparkle S.p.a. chiedeva la previa disapplicazione, ove occorra, dell'art. 1, commi 65 e 66, l. 266/2005, dell'art. 34 d.lgs. 259/2003, come modificato dall'art. 5, comma 1, l. 115/2015, per contrasto con l'art. 12 della direttiva 2002/20/CE, alla luce dei considerando nn. 30 e 31 della medesima e n. 13 della direttiva n. 2009/14 e con i principi affermati dalla sentenza della Corte di Giustizia UE del 29 aprile 2020 nella causa C-399/19, nonché nelle pronunce del 18 luglio 2013 in cause da C-228/12 a C-232/12 e da C-254/12 a C-258/12, del 18.9.2003 in cause C-292/01 e C-293/01, del 18 luglio 2006 in C 339/04, del 19 settembre 2006 in C-392/04 e C-422/04, del 21 febbraio 2008 in C 296/06, del 10 marzo 2011 in C-85/10, del 21 luglio 2011 in C-284/10, del 27 giugno 2013 in C-71/12, del 28 luglio 2016 in C-240/15, del 30 gennaio 2018 in C360/15 e C31/16, ovvero rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale delle anzidette norme per violazione degli artt. 3 e 97 Cost..

L’oggetto del contendere, dunque, è costituito dalla nota questione (già esaminata dalla Sezione in numerosi precedenti) attinente alla legittimità delle determinazioni assunte dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (d’ora in poi, per brevità, Autorità o AGCOM) relativamente al contributo economico – nel caso di specie per l’anno 2016 - che può essere richiesto agli operatori economici del settore (comunicazioni elettroniche e servizi media) relativo alle “spese di funzionamento” dell'Autorità stessa.

2. – Come si evince dalla lettura degli atti di causa (con riferimento ad entrambi i gradi di giudizio) e, in particolare, dalla ricostruzione “in fatto” operata dalla sentenza di primo grado qui oggetto di appello, gli atti adottati dall’Autorità erano oggetto di impugnazione (in quel grado di giudizio e quindi con riferimento alle censure per come numerate ed elencate nel ricorso proposto nel giudizio di primo grado e nel ricorso recante motivi aggiunti) sul presupposto che:

- sia illegittima la inclusione, nella determinazione dei costi amministrativi oggetto di finanziamento, di tutti gli oneri economici sopportati dall’Autorità nello svolgimento delle funzioni inerenti il settore delle comunicazione elettroniche, in asserita violazione dei principi di esatta individuazione dei costi finanziabili ai sensi dell’art. 12 della direttiva c.d. autorizzazioni (2002/20/CE), applicabile ratione temporis (primo motivo del ricorso introduttivo);

- siano illegittime le delibere dell’Autorità fatte oggetto di impugnazione nella parte in cui recepiscono il contenuto del Rendiconto 2014, il quale, a sua volta, non costituirebbe esatto adempimento dell’obbligo delle ANR di “ pubblicare un rendiconto annuo dei propri costi amministrativi e dell'importo complessivo dei diritti riscossi ” nei termini indicati dall’art. 12 della direttiva 2002/20/CE e precisati dalla Corte di Giustizia, ovvero “ garantendo al contempo la trasparenza in maniera tale che le imprese interessate possano verificare se vi sia equilibrio tra i costi amministrativi e i diritti ” (secondo motivo del ricorso introduttivo);

- gli atti impugnati violerebbero altresì il diritto dell’Unione, come recepito nell’art. 34, comma 2- bis , d.lgs 259/2003, ai sensi del quale la misura dei diritti amministrativi è determinata “ in proporzione ai ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto dell'autorizzazione generale ”;
in particolare sarebbe erronea l’inclusione nell’imponibile oggetto di prelievo delle categorie di ricavi non inerenti alle attività contemplate dall’art. 12 della direttiva autorizzazioni, quali i ricavi da vendita di apparati, i ricavi riversati ad operatori terzi od esteri per servizi wholesale (terzo motivo del ricorso introduttivo);

- è illegittimo che il finanziamento dell’Autorità gravi per intero sugli operatori, risultando negli ultimi esercizi il finanziamento statale pari a zero, deducendone l’illegittimità dell’imposizione sul piano della legislazione che sul piano del diritto costituzionale ed europeo (quarto motivo del ricorso introduttivo).

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con la sentenza 2670/2021 ha respinto il ricorso, ritenendo infondati sia i motivi di impugnazione dedotti con il gravame.

3. – La società Telecom Italia Sparkle S.p.a. propone dunque appello nei confronti della surrichiamata sentenza di primo grado sostenendone la erroneità con riferimento alle seguenti traiettorie contestative:

I) in primo luogo la società appellante ribadisce, dopo averlo già chiarito in primo grado, che illegittimamente la delibera dell’Autorità principalmente impugnata in primo grado e i provvedimenti ad essa connessi hanno ammesso al finanziamento (a carico degli operatori di settore) i costi indistintamente sostenuti per lo svolgimento di tutte le attività riconnesse al settore delle comunicazioni elettroniche, eccedenti quindi per definizione gli oneri scaturenti dallo svolgimento delle attività di cui all’art. 34, comma 1 e 2- bis , del Codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259) e all’art. 12 della direttiva autorizzazioni (2002/20/CE). Il TAR per il Lazio, con la sentenza qui oggetto di appello invece, erroneamente, ha ritenuto la legittimità della suddetta delibera oggetto di impugnazione attraverso un iter logico-giuridico non condivisibile, in quanto “ si fonda su una premessa errata, vale a dire che, una volta ampliato il novero delle attività finanziabili all’esito dei chiarimenti resi dalla CGUE con l’ordinanza del 29.4.2020, “tutte le attività che, direttamente o indirettamente, attengono all’autorizzazione generale” coincidano con tutte le attività svolte dall’Autorità nel settore delle comunicazioni elettroniche ” (così, testualmente, a pag. 11 dell’atto di appello). Tale interpretazione, infatti, si pone in contrasto con la piana interpretazione della normativa di settore e del chiarimento espresso dalla Corte di giustizia UE, atteso che: “ i) le funzioni attribuite alle ANR dalle direttive tlc (nn. 19, 20, 21 e 22 del 2002) sono esclusivamente quelle afferenti al settore delle comunicazioni elettroniche ii) gli Stati membri non hanno alcun obbligo, in base a tali direttive, di assegnare alle suddette autorità funzioni riguardanti mercati differenti, con la conseguenza che iii) quando la Corte di Giustizia, sulla scorta dell’art. 12 della direttiva autorizzazioni, afferma che i diritti amministrativi non possono essere destinati a coprire qualsiasi tipologia di costi non intende escludere dai “costi amministrativi” quelli relativi allo svolgimento di attività afferenti ad altri mercati (editoria, media e postale) – trattandosi, com’è ovvio, di oneri per definizione inerenti ad attività estranee a quelle disciplinate dalle direttive de quibus - ma vuole invece individuare un sottoinsieme delle attività svolte dalle ANR nel settore delle comunicazioni elettroniche, i cui oneri non possono essere recuperati con il gettito dei diritti amministrativi ” (così, ancora, testualmente, a pag. 11 dell’atto di appello). In conclusione, quindi, sulla scorta della corretta interpretazione delle norme di settore e sulla base degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza unionale, il contributo dovuto all’ANR dagli operatori economici può remunerare solo “una parte” dell’attività della ANR, resa a favore degli operatori di telecomunicazione (e non dei consumatori, ad esempio), coprendo i “costi veri e propri” associati ai servizi di cui all’art. 12 della direttiva autorizzazioni (e non l’attività di sorveglianza generale del mercato), in un’ottica di minimizzazione degli oneri imposti alle imprese del settore. Sotto un secondo versante la società Telecom Italia Sparkle S.p.a. conferma la illegittimità del Rendiconto 2014, sul quale si fonda la delibera n. 605/15/CONS del 5 novembre 2015 per la determinazione dei costi finanziabili, erroneamente non rilevata dal giudice di prime cure, sotto tre profili: 1) il Rendiconto ammette a finanziamento tutti i costi sostenuti dalla Autorità, come comprovato dalla considerazione di alcuni centri di costo per definizione estranei alle attività di cui all’art. 12 della direttiva autorizzazioni, al fine di determinare tanto le spese direttamente e indirettamente imputabili al settore delle comunicazioni elettroniche;
2) nel documento recante il Rendiconto sono espressi criteri di individuazione dei costi in parte irrazionali, in parte non intellegibili;
3) il Rendiconto presenta un bassissimo livello di dettaglio il quale non consente agli operatori di comprendere se i suddetti criteri siano stati correttamente applicati. L’errore nel quale è incorso il TAR per il Lazio, nel considerare infondata la corrispondente censura già dedotta in primo grado dalla società oggi appellante, consiste nell’avere genericamente ritenuto corretta l’“inclusione” dei centri di costo, diretto e indiretto, indicati nel Documento, affermando che “Nel dettaglio delle spese contestate, non appaiono dunque meritevoli di condivisione le doglianze attinenti all’inclusione di centri di costo che non risulterebbero strettamente inerenti al regime delle autorizzazioni generali e degli obblighi connessi, In particolare il giudice di primo grado, nel respingere il corrispondente profilo di doglianza, ha mancato di chiarire le ragioni di tale non condivisione e, in particolare non ha spiegato le ragioni della “inclusione” di centri di costo sulla cui pertinenza il Consiglio di Stato non si è mai pronunciato (pur richiamandone espressamente alcuni specifici precedenti), quali il Servizio rapporti con l’UE e attività internazionali, per quanto riguarda le spese direttamente imputabili, i Servizi Sistema dei controlli interni, Servizio Programmazione, Bilancio e Digitalizzazione, Segretariato Generale, con riguardo alle spese per attività trasversale, la cui estraneità quali centri di costo “imputabili” e “includibili” viene nuovamente chiarita, analiticamente, nella sede di appello;

II) la società appellante ribadisce, poi, la illegittima modalità di determinazione della base di ricavi assoggettati a contribuzione, con particolare riguardo al divieto, esplicito o implicito, ricavabile dal paragrafo 10 delle “Istruzioni” di dedurre: a) i ricavi ricollegati ad attività diverse da quelle previste all’art. 34 d.lgs. 259/2003, pur se riconducibili al settore delle comunicazioni elettroniche ovvero generati dalla fornitura di reti e servizi ubicati integralmente all’estero (per i quali manca per definizione un codice Ateco associabile);
b) i ricavi da vendita di apparati “hw”, che si manifestano ancor più radicalmente estranei alle attività regolamentate dall’Autorità, c) i ricavi riversati ad operatori terzi attivi nel settore delle comunicazioni elettroniche per i servizi wholesale a traffico (raccolta, terminazione, transito) che, in questo modo, subirebbero una doppia tassazione. Il giudice di prime cure nel respingere il sintetizzato motivo di ricorso, oltre a non scrutinare affatto il profilo di contestazione sub c), non ha tenuto conto dell’orientamento (in linea con le contestazioni espresse in primo grado) manifestato in argomento dal Consiglio di Stato.

Concludeva dunque la società Telecom Italia Sparkle S.p.a. chiedendo l’accoglimento dell’appello, con annullamento degli atti e dei provvedimenti impugnati, eventualmente previa disapplicazione dell’art. 1, commi 65 e 66, della legge n. 266/2005 e dell’art. 34 del d.lgs. n. 259/2003, come modificato dall’art. 5, comma 1, della legge n. 115/2015, per contrasto con l’art. 12 della direttiva 2002/20/CE, alla luce dei considerando nn. 30 e 31 della medesima e del considerando n. 13 della direttiva n. 2009/149 e con i principi più volte affermati dalla sentenza della Corte di giustizia ovvero prospettando la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità delle medesime norme per violazione degli artt. 3 e 97 Cost..

4. – Si è costituita in giudizio l’AGCOM, sostenendo la correttezza degli atti e provvedimenti impugnati dalla società appellante nonché la puntualità e la condivisibilità delle conclusioni alle quali è giunto il TAR per il Lazio con la sentenza qui oggetto di appello, peraltro in perfetta corrispondenza con quanto ha affermato la Corte di giustizia UE nell’ordinanza 29 aprile 2020 (causa C-399/19), sicché la sentenza di primo grado va ritenuta scevra da tutte le contestazioni mosse dalla società appellante nel presente grado di giudizio. Di conseguenza, ad avviso dell’Autorità, il mezzo di gravame proposto va respinto, stante l’infondatezza dei motivi di appello con esso dedotti.

Nel silenzio processuale dell’intimata Presidenza del Consiglio dei ministri, si è costituita nel presente grado di giudizio anche la società Wind Tre S.p.a. (già H3G S.p.a., società che a far data dal 31 dicembre 2016, per effetto di fusione per incorporazione, ha incorporato la società

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