Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-09-15, n. 201504323
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N. 04323/2015REG.PROV.COLL.
N. 08858/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 8858/2012 RG, proposto dalla Eurofondazioni Italia s.r.l., corrente in Gricignano di Aversa (CE), in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati P D F e M G, con domicilio eletto in Roma, via Otranto n. 12, presso lo studio dell’avv. Cerbo,
contro
il Ministero dell'interno, in persona del Ministro
pro tempore
e l’UTG - Prefettura di Caserta, in persona del Prefetto
pro tempore
, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12,
per la riforma
della sentenza del TAR Campania – Napoli, sez. I, n. 3352/2012, resa tra le parti e concernente informativa interdittiva antimafia, resa dalla Prefettura di Caserta nei riguardi dell’appellante;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni statali intimate;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all'udienza pubblica del 12 febbraio 2015 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, l'avv. Di Fruscio e l’Avvocato dello Stato D'Ascia;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – La Eurofondazioni Italia s.r.l., corrente in Gricignano di Aversa (CE), assume d’aver avuto, tra i suoi vecchi soci, anche il sig. ADM, dimessosi da ogni carica societaria e che era stato sospettato d’appartenere al c.d. Clan dei casalesi , accusa dalla quale poi è stato prosciolto.
Detta Società dichiara altresì che, già dal 9 luglio 2010, la sig. AMR, moglie del sig. ADM e titolare della quota societaria pari al 25%, cedette tal partecipazione, così recidendo, secondo la Società stessa, ogni residuo rapporto sociale.
Tal Società rende noto infine che, avendo chiesto l’aggiornamento della sua posizione antimafia, è stata invece attinta da un’informativa ex art. 4 del d. lgs. 8 agosto 1994 n. 490, di natura interdittiva, giusta nota della Prefettura di Caserta prot. n. 1665/12b.16 del 12 ottobre 2011, comunicatale il giorno successivo.
2. – Avverso tal informativa, ma senza ancora avere i documenti colà richiamati, detta Società è insorta innanzi al TAR Napoli, con il ricorso n. 6465/2011 RG, deducendo in diritto, oltre al difetto di motivazione, la propria totale dissociazione di essa, in relazione a precedenti informative, dalle vicende del sig. ADM, a suo tempo titolare d’una quota sociale pari al 25%, nonché dalla di lui moglie sig.ra AMR.
A seguito degli incombenti istruttori disposti dal TAR, son stati acquisiti i documenti richiamati nell’informativa, donde la proposizione d’un atto per motivi aggiunti, con cui la Società ricorrente ha dedotto: 1) – l’assenza di seri indizi attuali su cui fondare l’interdittiva, che in pratica replica quanto già a suo tempo descritto e non tien conto delle sopravvenienze relative al sig. ADM;2) – l’assenza d’ogni serio pericolo d’infiltrazione mafiosa, al di là di quanto a suo tempo accertato in capo a questi e del di lui rapporto di parentela con il legale rappresentante e con gli altri soci, elemento, questo, insufficiente a fondare l’interdittiva;3) – l’irrilevanza delle vicende della sig.ra AMR e del sig. ADM e del fatto che un sindaco supplente sia a sua volta socio di maggioranza della SPF s.r.l., attinta anch’essa da un’interdittiva del 2007 e su cui il Prefetto nulla ha motivato o accertato;4) – l’impossibilità di far discendere da ciò il paventato condizionamento da parte del Clan dei casalesi , poiché, a seguito della disarticolazione di questo, non v’è più l’attuale pericolo di infiltrazione verso la ricorrente;5) – il difetto d’un unico centro decisionale o di vere cointeressenze con il Consorzio CONDEV e la SPF s.r.l.
Con sentenza n. 3352 dell’11 luglio 2012, l’adito TAR ha respinto la pretesa attorea, con riguardo alle sopravvenienze rispetto alla precedente interdittiva e nella considerazione che comunque, per ritenere attuale il rischio d’infiltrazione, non bastano i soli fatti nuovi, occorrendo piuttosto che questi ultimi siano positivi, cosa, questa, non occorsa nella specie.
Appella quindi detta Società, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della sentenza sotto vari profili e rinnovando i motivi di primo grado asseritamente assorbiti o non esaminati. Resistono nel presente giudizio le Amministrazioni statali intimate, concludendo per il rigetto dell’appello. Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2015, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
3. – L’appello non può esser condiviso e va respinto per le ragioni di cui appresso.
Anzitutto, per quanto attiene alla reiterazione dei motivi assorbiti in primo grado, essa s’appalesa del tutto generica e non indica se ed in qual misura il TAR li abbia realmente trascurati, fuori dai casi in cui ciò sia consentito.
È ben noto il principio che questo Giudice, certo obbligato a statuire in modo completo sull’intera domanda giudiziale foss’anche in forma succintamente motivata, non è tenuto ad “inseguire” ogni singolo particolare di ciascun argomento, specie se ripetuto per ogni dove del ricorso. In tal caso, come nella specie, a fronte dell’inutile prolissità o, peggio, dell’iterazione continua delle stesse deduzioni, basta che questo Giudice, in ossequio al fondamentale principio ex art. 3, c. 2, c.p.a. (obbligatorio anche per le parti), statuisca in modo chiaro e sintetico. Dalla serena lettura congiunta del ricorso di primo grado (articolato, come s’è detto, in un gravame introduttivo e in un atto per motivi aggiunti) e dell’appellata sentenza, ben s’evince che il TAR ha fornito, in base ai criteri essenziali con cui la giurisprudenza governa la materia delle informative antimafia, una sì breve, ma compiuta ed incisiva risposta alle censure come dianzi riportate nel paragrafo precedente.
4. – Nel merito, la sentenza va confermata in tutti i suoi passaggi argomentativi.
Giova premettere che l’attuale interdittiva, resa sulla richiesta attorea d’aggiornamento di quella del 2007, da questa prende le mosse e la ribadisce in sostanza, non reputando significativo quanto nel frattempo sopravvenuto nei confronti del citato socio, antico amministratore dell’appellante quando aveva altra denominazione e stretto congiunto degli altri soci.
Tale interdittiva del 2007, ancorché impugnata, trovò conferma presso l’adito TAR, in forza di una sentenza sì appellata, ma poi passata in giudicato a seguito della mera estinzione per perenzione del relativo ricorso in appello. Adesso, la P.A. ha ritenuto d’emanare comunque la nuova interdittiva, ancorché nel frattempo siano intervenute talune novità positive a favore di detto socio, avendo valutato l’impossibilità, allo stato, di discostarsi dalla precedente statuizione. E ciò quantunque la moglie del predetto socio avesse a suo tempo alienato sì la propria partecipazione societaria, ma pur sempre al fratello del marito.
Non è qui in discussione il principio noto al Collegio e da ultimo confermato ancora dalla Sezione (cfr., per tutti, Cons. St., III, 30 gennaio 2015 n. 455;id., 27 febbraio 2015 n. 983;id., ma anche id., 3 giugno 2015 n. 2734), per cui il solo rapporto di parentela o di affinità con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata non è di per sé idoneo, in assenza di ulteriori elementi, a dimostrare un serio tentativo d'infiltrazione, non sussistendo alcun automatismo tra un legame familiare, sia pure fra stretti congiunti, ed il condizionamento dell'impresa. Tuttavia, neppure tal vicenda può dirsi in sé manifestamente irrilevante, in quanto anzitutto è vero, in base a regole di comune esperienza, che il vincolo di sangue tra un soggetto sospettato di mafia può esporre l’impresa, quand’anche egli ne sia uscito, all'influsso dell'organizzazione criminale, se non addirittura imporle il coinvolgimento di quest’ultima.
Tanto soprattutto quando l'attendibilità dell'interferenza dipenda dalla circostanza che il predetto ex-socio è sempre stato il punto di riferimento dell’azione dell’impresa e dell’attività dei di lui fratelli e soci, sì da apparire agli occhi degli estranei l’amministratore della Società. Si consideri che siffatta vicenda consta, a seguito di indagini di polizia, anche dopo l’emanazione dell’interdittiva del 2011 e non costituisce una sorta d’integrazione postuma della motivazione, ma solo un ulteriore indizio di come s’appalesino attuali le criticità descritte nell’interdittiva stessa. Si considerino altresì la natura prettamente familiare dell’impresa societaria, la sussistenza allo stato di talune posizioni penali non definite in capo al sig. ADM, il fatto che solo nel 2010 (cioè ben dopo la sentenza del TAR che ha confermato la prima interdittiva) la sig.ra AMR ha alienato al cognato la propria quota sociale ed il rapporto istituzionale e non occasionale con l’amministratore della SPF s.r.l., attinta a sua volta da un’interdittiva nel 2009 (anche in questo caso dopo la sentenza sul primo atto contro l’appellante). Dalla disamina di tutti e di ciascuno di tali indizi nel loro coordinato complesso, si vede delinearsi il reale mantenimento nel tempo delle condizioni che portarono a tal primo provvedimento nel 2007, cioè una serie coordinata di circostanze e di ulteriori elementi indiziari. Questi prendono sì le mosse dal rapporto familiare posto a base strutturale dell’impresa societaria, ma lo trascendono qualificando, su un piano di attualità e d’effettività, un’immanente situazione di condizionamento e di contiguità con interessi malavitosi ed opachi e di ciò pare al Collegio che il TAR abbia dato seria e completa contezza.
Anzi, sebbene l’interdittiva, proprio per la sua funzione anticipatrice della tutela sociale contro le varie mafie ed appunto perché può basarsi solo su un complesso di indizi concordanti raccolti dalle Forze di polizia, abbia per legge efficacia transeunte, la situazione peculiare dell’appellante è tale da imporre al Prefetto la sostanziale ripetizione di quanto disposto nel 2007, donde l’inconferenza della contraria deduzione sul punto.
Rettamente, quindi, il TAR esclude che, per ritenere attuale il rischio del condizionamento mafioso, occorrano nuovi accadimenti rispetto alla precedente valutazione del Prefetto o, affinché si superi il rischio stesso, basti il mero decorso dell’efficacia di quest’ultima. Del pari, tal ultimo accadimento, che impone la revisione, di per sé solo non implica né la decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né la loro inutilizzabilità quale materiale istruttorio ai fini d’un nuovo provvedimento, donde l’infondatezza della “risalenza” di taluni dati considerati. Occorre piuttosto che, in una con i fatti nuovi positivi, vi sia il consolidamento di essi, sì da far virare in modo irreversibile l’impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d’ombra della mafiosità. Diversamente, si potranno anche avere singole situazioni in cui uno o più singoli comportamenti non attingano la soglia dell’illecito penale —cosa, questa, in sé positiva e possibile fonte del cambiamento—, ma, ove altri dati continuino a fornire un modello non ipotetico o irrealistico di permanente contiguità o cointeressenza con interessi mafiosi, siffatte novità restano inopponibili, come nella specie e per le ragioni testé evidenziate, ad una nuova interdittiva di tenore uguale o similare d’una precedente.
5. – In definitiva, l’appello dev’esser rigettato, ma la peculiarità e la complessità della controversia e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di giudizio.