Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-12-31, n. 201908923
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Pubblicato il 31/12/2019
N. 08923/2019REG.PROV.COLL.
N. 01288/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 1288 del 2019, proposto da
Alpa 2011 s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato F F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni, 281;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco
pro-tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato R R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli uffici comunali in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
Roma Capitale – Municipio I Centro – U.O. Pubblici Esercizi non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 1641/2019, resa tra le parti, concernente l'ordine di cessazione dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2019 il Cons. R P e uditi per le parti gli avvocati Freni Federico e Rocchi Rosalda;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
FATTO e DIRITTO
Con ricorso proposto al Tribunale amministrativo del Lazio, Alpa 2011 s.r.l., titolare dell’ Antico Forno ai Serpenti , impugnava la determinazione dirigenziale prot. n. CA/135512/2017 del 1° agosto 2017 di Roma Capitale che le aveva ordinato la cessazione dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande esercitata nei locali di via dei Serpenti, 122, sulla base delle risoluzioni del Ministero dello sviluppo economico nn. 146342/14, 86321/15, 174884/15 e 372321/16, considerato che sul posto era effettuata, in assenza di autorizzazione, un’attività di somministrazione che andava desunta dalla presenza di nove tavoli con sgabelli abbinati e panche in muratura.
Roma Capitale si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto del ricorso.
Con la sentenza 8 febbraio 2019 n. 1641 il Tribunale amministrativo respingeva il ricorso.
Veniva dapprima ritenuta infondata la censura di violazione dell’art. 10 l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per difetto d’istruttoria e motivazione, sull’asserita omessa valutazioni delle osservazioni formulate nel corso del procedimento e ciò sulla base dell’art. 21- octies , comma 2, l. n. 241 del 1990, vista la natura vincolata e la correttezza sostanziale dell’atto impugnato.
Altresì infondata era ritenuta la censura di violazione del principio comunitario di concorrenza e degli artt. 3, comma 1, lett. f-bis) e 4, comma 2- bis d.-l. n. 223 del 2006;7, comma 3, d.lgs. n. 114 del 1998;10 d.lgs. n. 59 del 2010;3 d.-l. n. 138 del 2011;34, comma 2, d.-l. n. 201 del 2011 ed 1 d.-l. n. 1 del 2012 ed eccesso di potere per irragionevolezza, in specie degli artt. 3 e 4 d.-l. n. 223 del 2006, sull’eliminazione di ogni “compartimentazione precedentemente esistente tra attività di somministrazione ed esercizi di vicinato”, e della mancata valutazione dell’assimilabilità dell’attività effettivamente esercitata a quelle di somministrazione e ristorazione .
La sentenza svolgeva una ricognizione delle norme e delle correnti interpretazioni del Ministero dello sviluppo economico, dell'AGCM e della giurisprudenza secondo cui la liberalizzazione del mercato dei servizi non va intesa in senso assoluto, anche tale libertà economica dovendo essere rapportata con il potere di pianificazione urbanistica degli insediamenti, compresi quelli produttivi e commerciali secondo i limiti giustificati dall’interesse generale. Perciò il Tribunale amministrativo riteneva che, ai fini della qualificazione dell'attività - se di somministrazione o consumo sul posto - si doveva procedere a una valutazione caso per caso anche sulla base dell'art. 3, comma 1, lett. f- bis) , d.-l. n. 223 del 2006, per il quale il consumo immediato di prodotti da asporto all'interno di esercizi abilitati si distingue dalla ristorazione per diversi presupposti e requisiti abilitanti, secondo un criterio di accessorietà rispetto alla vendita da asporto , la quale deve mantenere carattere prevalente e funzionale.
In questo senso, l'assenza di servizio assistito , che detta norma prefigura a parametro di riferimento per la qualificazione della fattispecie, andava intesa come criterio "funzionale", che non si esauriva nella semplice presenza o meno di camerieri, ma che rinviava a un concreto assetto dell'organizzazione dell'offerta, il quale restava da accertarsi caso per caso, per essere o meno rivolto a mantenere il consumo sul posto come una semplice facoltà della clientela.
Nel caso in esame, era stato rilevato che l'entità della superfice destinata al consumo sul posto, il numero dei posti a sedere, la presenza di tavoli abbinati con sgabelli e di sedute fisse in muratura e la tipologia e la modalità di sistemazione della mobilia, non apparivano consone ad un mero consumo occasionale sul posto, ma costituivano elementi da cui si desumeva che il consumo sul posto avvenisse con modalità similari o coincidenti con la somministrazione assistita .
Il ricorso era dunque ritenuto infondato e veniva respinto.
Con appello in Consiglio di Stato notificato il 14 febbraio 2019, la Alpa 2011 s.r.l. impugnava la sentenza e ribadiva l’inosservanza dell’art. 10 l. n. 241 del 1990 e più in generale dei diritti di partecipazione al procedimento: se attivati, le avrebbero permesso di opporre una ragionata difesa sostanziale in merito alle valutazioni che poi la stessa sentenza aveva detto necessarie. Essa contestava la mancata considerazione da parte del primo giudice della comunanza degli ambienti di vendita e di consumo e la ridotta espansione in proporzione alle dimensioni totali del locale delle panche a muro e dei tavolini per consumare. Inoltre lamentava che solo una (qui inesistente) prevalenza del servizio assistito e delle aree destinate al consumo rispetto a quelle riservate alla vendita avrebbe potuto condurre ai provvedimenti negatori. Infine denunciava la contraddittorietà della sentenza che, dopo citato la necessità di un esame caso per caso, non aveva rilevato che l’insieme delle caratteristiche dell’esercizio non integravano quelle di un esercizio di somministrazione .
La Alpa 2011 s.r.l. concludeva così per l’accoglimento dell’appello con vittoria di spese.
Roma Capitale si è costituita sostenendo l’infondatezza dell’appello e rilevando le caratteristiche di somministrazione presenti nel locale dell’ Antico Forno ai Serpenti .
All’udienza del 12 dicembre 2019 la causa è passata in decisione.
Si può prescindere dalle censure sulle violazioni procedimentali, in particolare dei principi di cui alla l. n. 241 del 1990. Infatti appaiono fondate le censure di merito, che riguardano la sostanza del provvedimento impugnato in origine
In particolare, il terzo e il quarto motivo si riferiscono ai contenuti interpretativi degli artt. 3 ( Regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale ) e 4 ( Disposizioni urgenti per la liberalizzazione dell'attività di produzione di pane ) d.-l. 4 luglio 2006, n. 223 ( Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale ) come convertiti dalla l. 4 agosto 2006, n. 248.
La censure della ditta interessata assumono che queste norme abbiano liberalizzato il consumo in loco dei prodotti alimentari venduti negli esercizi commerciali, con la sola esclusione del servizio assistito ;e che tali previsioni abbiano consentito ai titolari di impianti di panificazione e vendita il consumo immediato in loco dei relativi prodotti con utilizzo dei locali e degli arredi dell’esercizio.
Il Collegio considera che l’art. 3 d.-l. n. 223 del 2006, nel disporre in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi e nell’assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ha rimosso alcuni limiti e prescrizioni per le attività commerciali individuate dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 ( Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 ) e per gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande ed ha tra l’altro – come convertito in legge - stabilito (comma 1, lett. f- bis) ) « il divieto o l'ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie ».
Inoltre, circa le attività di panificazione e di forno, il seguente art. 4, comma 2- bis , ha stabilito: « E’ comunque consentita ai titolari di impianti di cui al comma 2 l’attività di vendita dei prodotti di propria produzione per il consumo immediato utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie ».
Il discrimine tra una tale attività liberalizzata e quella non liberalizzata si incentra testualmente sulla ricorrenza del «servizio assistito» ;e ciò almeno fino alla circolare del Ministero per lo sviluppo economico n. 372321 del 28 novembre 2016 (la quale ha anche recepito orientamenti dell’AGCM) che ha tracciato un criterio di distinzione tra esercizi di somministrazione propriamente detti ed attività di produzione di alimenti con possibilità di consumo immediato con utilizzo dei locali e degli arredi dell’azienda. Le modalità di consumo vi vengono considerate in termini di tipologia di attrezzature : per cui piani di appoggio e panche (e anche tavolini e sedie) sono consentiti anche per gli esercizi di produzione che non sono non autorizzati alla somministrazione , se ed in quanto inidonei, quantitativamente e qualitativamente, a identificare l’attività come somministrazione : il che è se non è riscontrabile, ad esempio, un servizio di caffetteria o comunque un servizio ai tavoli, o apparecchiature, e se gli ambienti non sono assimilabili ai ristoranti per la presenza dei detti arredi, senza carattere preponderante nel complesso dell’esercizio.
È dunque su tale base e sulla verifica di tali dati di fatto che occorre verificare l’eventuale superamento delle attività liberalizzate ai sensi delle dette norme del d.-l. n. 223 del 2006.
Ad approfondimento di un precedente di questa V Sezione (Cons. Stato, V, 8 aprile 2019 n. 2280) deve considerarsi che nel caso presente emerge che la questione dirimente consiste nel significato di sistema che, nell’ordinamento in questione (dove rilevano anche le altre norme primarie considerate dal giudice di primo grado), deve riconoscersi all’espressione «servizio assistito di somministrazione» , di cui alle ricordate disposizioni.
Questo significato non può, ragionevolmente, essere circoscritto alla presenza del c.d. servizio da sala , vale a dire alla presenza fisica di camerieri che ricevano le ordinazioni o prestino comunque il servizio al tavolo degli avventori. L’opposto tipo di servizio è invero in via di diffusione anche in alcuni ristoranti, dove, per ragioni di contenimento dei costi, va crescendo la pratica del buffet e self-service , in piedi o con tavoli: e senza che si dubiti che si resta nella ristorazione.
Il «servizio assistito di somministrazione» di cui qui si tratta ben può dunque includere anche pratiche senza camerieri. Ne viene che il discrimine effettivo consiste - come in punto di diritto bene rileva il giudice di primo grado - nella predisposizione di risorse, non solo umane ma anche semplicemente materiali, che siano di servizio al cliente assistendolo per consumare confortevolmente sul posto (cioè: non meramente in piedi) quanto acquistato in loco . Il che dunque può avvenire anche mediante tavolini e attrezzature di particolare evidenza.
È allora coerente con la legge fare riferimento anche al criterio funzionale cui guarda l’amministrazione e che è proprio di queste attrezzature materiali (tavolini, banchi, panche, ecc.), la cui presenza è di servizio all’avventore che intenda sùbito consumare sul luogo quanto ha acquistato. Naturalmente, secondo un altrettanto criterio di ragionevolezza, perché questa funzionalità alla somministrazione – anziché al mero consumo sul posto - vi sia occorre che le attrezzature predisposte dall’esercente o da chi per lui – pur senza un servizio al tavolo – siano di caratteri, dimensioni, quantità e arredi tali da indurre indistintamente gli avventori al consumo sul posto dei prodotti appena acquistati: il che, incidendo sulle caratteristiche commerciali effettive dell’intero esercizio – visto dalla potenziale clientela non più come un luogo di mero approvvigionamento, ma anche come un possibile e ordinario luogo di ristoro – viene a rilevare sul piano urbanistico della regolamentazione generale del commercio dell’area e sul discrimine reale tra attività liberalizzate e attività non liberalizzate.
Ciò posto, e considerato che evidentemente si tratta di una valutazione da effettuare di volta in volta, nel caso di specie va rilevato che le attrezzature predisposte a latere dell’attività di vendita hanno caratteristiche tali che non raggiungono un livello tale da connotare il locale come (anche) da somministrazione, ma si contengono in una dimensione accessoria, eventuale e secondaria rispetto alla vendita da asporto, la quale –bene evidenzia il primo giudice - deve comunque mantenere il carattere prevalente e funzionale.
Appare dunque fondato qui il (solo, ma assorbente) quarto motivo, incentrato sulla valutazione concreta degli arredi. Alpa 2011 vi sostiene l’accessorietà minima degli elementi presenti nei due vani di cui è formato l’esercizio. Si tratta invero – a quanto emerge dagli atti - di pochi tavolini di dimensioni assai ridotte – cinque di forma rotonda del diametro di appena circa 50 cm e tre quadrati dal lato delle stesse modeste dimensioni - privi di apparecchiature e arredi, solo in parte vicini alla lunga panca che ne offre un uso solo parziale o avvicinabili tramite sgabelli mobili da banconi da bar.
Questi oggetti occupano una parte secondaria e non preponderante nel locale. La presenza poi di una sorta di menu appeso alle pareti dell’esercizio, per quanto in ipotesi potrebbe lasciar deporre in senso opposto, non sembra giungere a concretizzare quell’orientamento a un’attività di somministrazione che invece assume il I Municipio di Roma Capitale come abusivamente intrapresa.
Per le considerazioni esposte l’appello va accolto con la conseguente riforma della sentenza impugnata.
Spese come da dispositivo.