Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-05-21, n. 201302757

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-05-21, n. 201302757
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201302757
Data del deposito : 21 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01756/2001 REG.RIC.

N. 02757/2013REG.PROV.COLL.

N. 01756/2001 REG.RIC.

N. 01829/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1756 del 2001, proposto da:
T F, e da T F, M e M quali eredi della Sig.ra Smith Deborah, rappresentati e difesi dall'avv. G F R, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via Cosseria, 5;

contro

B C, rappresentata e difesa dall'avv. F P V, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza, 24;

nei confronti di

Comune di Almese;

e con l'intervento di

ad opponendum:
Piero Giorda, quale erede di B C, rappresentato e difeso dall'avv. F P V, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza, 24;



sul ricorso numero di registro generale 1829 del 2001, proposto da:
Comune di Almese, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Riccardo Ludogoroff e G F R, con domicilio eletto presso l’avv. G F R in Roma, via Cosseria, 5;

contro

T F e Smith Deborah;
B C, rappresentata e difesa dall'avv. F P V, con domicilio eletto presso l’avv. Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza, 24;

e con l'intervento di

ad opponendum:
Piero Giorda quale erede di B C, rappresentato e difeso dall'avv. F P V, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza, 24;

per la riforma

quanto al ricorso n. 1756 del 2001 e al ricorso n. 1829 del 2001:

della sentenza del T.a.r. Piemonte, Sezione I, n. 01249/2000, resa tra le parti, concernente istanza di annullamento concessione in sanatoria per sopraelevazione muro di recinzione.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2013 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati G F R e Paolo Federico Videtta, su delega dell'avv. F P V;


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sez. I, con la sentenza n. 1249 del 23 novembre 2000, ha accolto il ricorso proposto dall’attuale appellata B C e, per l’effetto, ha annullato l’art. 18 delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del piano regolatore generale (P.R.G.) dell’appellante Comune di Almese, le deliberazioni del consiglio comunale del Comune di Almese n. 75 del 5.6.1976 e n. 175 del 30.11.1979 e la concessione edilizia in sanatoria n. 146/1993 del 14.9.1993 rilasciata ai signori controinteressati, odierni appellanti.

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che la censura proposta nei confronti dell’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Almese era fondata, poiché l’ordinamento ignora l’istituto della concessione edilizia in precario: o l’opera è effettivamente precaria ed in tal caso non è richiesto alcun titolo abilitativo, ovvero è stabile ed in tal caso necessita delle dovute autorizzazioni o concessioni.

Nella fattispecie, per il TAR, la natura del manufatto in questione esclude in radice la stessa ipotizzabilità della sua precarietà, trattandosi di manufatto destinato a durare nel tempo, ed essendo del tutto irrilevante la clausola con la quale l’Amministrazione si riservava la possibilità di imporne la rimozione per ragioni di pubblico interesse.

Per le stesse ragioni, ha concluso il TAR, sono state ritenute illegittime anche le deliberazioni del consiglio comunale e la concessione in sanatoria rilasciata in applicazione della suddetta norma di piano.

Gli appellanti contestavano la sentenza del TAR e, con gli appelli in esame, chiedevano la reiezione del ricorso di primo grado.

Si costituiva la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica del 19 febbraio 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, devono essere riuniti i ricorsi di cui all’epigrafe, trattandosi di appelli avverso la medesima sentenza, ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a..

Sempre in via preliminare, il Collegio deve ribadire che il difetto di interesse, eccepito dal Comune appellante, è legato a situazioni soggettive oggetto di lesione modulate e modulabili a seconda del settore di riferimento, poiché la lesione dell’interesse, di cui parte ricorrente in primo grado si afferma titolare, si manifesta in modi diversi a seconda della tipologia di interesse protetto dall’ordinamento.

Nello specifico, in materia edilizia, e con esclusivo riferimento soltanto a tale materia, questo Consiglio ha già più volte precisato con un indirizzo assolutamente prevalente (anche se non completamente univoco) che, ai fini della legittimazione a impugnare un permesso di costruire da parte del proprietario confinante, è sufficiente la semplice vicinitas, ossia la dimostrazione di uno stabile collegamento materiale fra il suolo del ricorrente e quello interessato dai lavori, escludendosi in tal caso la necessità di dare dimostrazione di un pregiudizio specifico e ulteriore (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 15 maggio 2012, n. 2753;
contra, di recente, soltanto Consiglio di Stato, sez. IV, 27 gennaio 2012, n. 420).

Infatti, questo Consiglio ha ribadito l'indirizzo per cui, ai fini della legittimazione a impugnare un permesso di costruire da parte del proprietario confinante, è sufficiente la semplice vicinitas, ossia la dimostrazione di uno stabile collegamento materiale fra il suolo del ricorrente e quello interessato dai lavori conformandosi alla giurisprudenza assolutamente prevalente al riguardo (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, 23 gennaio 2012, n. 284;
16 marzo 2011, n. 1645;
5 gennaio 2011, n. 18;
sez. VI, 1° febbraio 2010, n. 400).

Al contrario, per citare un esempio in settori diversi, in tema di autorizzazione all'apertura di una struttura commerciale, questo Consiglio ha ritenuto non sufficiente, per comprovare la legittimazione e l'interesse a ricorrere in via giurisdizionale, la dimostrazione della semplice vicinitas con l'esercizio di nuova istituzione, occorrendo comprovare l'esistenza di un pregiudizio specifico, diretto e immediato (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4821).

L’eccezione, pertanto, deve essere disattesa.

Nel merito degli appelli, rileva in primo luogo il Collegio che l’atto impugnato concerne una concessione (n. 149/1993) rilasciata dal sindaco di Almese, ex art. 13 L. n. 47/1985, in sanatoria di difformità costruttive di un muro di recinzione rispetto agli assensi in precario rilasciati con i nn. 29/1977 e 4/1989 e consistite in soprelevazioni, prolungamenti da ambedue le estremità, diverso posizionamento ed ampiezza del cancello di accesso e realizzazione con tipologie architettoniche diverse rispetto all’assentito.

In considerazione dell’indiscutibile violazione dello stesso art. 13 della L. n. 47/1985 per mancanza, al momento dell’istanza di sanatoria, della conformità alla normativa urbanistica edilizia in allora vigente poiché non viene mantenuta la fascia di rispetto di mt. 2 prevista dalla Tavola 3a-5 del P.R.G., questo Collegio deve convenire con il dictum della sentenza del TAR impugnata laddove ha ritenuto che non siano ammissibili concessioni in precario, istituto sconosciuto all’ordinamento giuridico nazionale, con conseguente illegittimità dell’art. 18 delle N.T.A. che le prevede.

Secondo il Collegio, inoltre, deve darsi soprattutto prevalenza alla circostanza, assolutamente dirimente, che la costruzione assentita non può costituire in nessun modo un’opera precaria, con la conseguenza che non potrebbe ritenersi possibile fare oggetto di sanatoria a tale titolo un manufatto destinato, invece, a rimanere stabilmente e indefinitamente sul territorio.

E’ pur vero, come osservano gli appellanti, che la concessione in sanatoria impugnata in nessun punto identifica il manufatto oggetto di sanatoria quale precario, ma è evidente che tale caratteristica discende (senza ricorrere ad alcun principio di transitività, ma facendo riferimento ad elementari principi di logica), dall’originaria concessione n. 4/1989, rilasciata proprio in precario sulla base delle vecchie disposizione del programma di fabbricazione (P.d.F.).

In altre parole, se il bene originario aveva le caratteristiche di bene precario, anche gli interventi successivi su quel medesimo bene devono avere le stesse caratteristiche, trattandosi di (asserite) proprietà oggettive del manufatto non suscettibili di trasformazione a seconda del titolo edilizio che ne ha giustificato la realizzazione.

Né si può sostenere che, se questa è la cornice fattuale, allora la parte ricorrente in primo grado avrebbe dovuto reagire avverso l’originario titolo edilizio.

In primo luogo, poiché ad accedere alle tesi degli appellanti si finirebbe per eludere facilmente le norme edilizie a presidio del territorio, rendendo più agevole la commissione di abusi edilizi.

In secondo luogo e soprattutto, perché ciò che non può essere sanato, e che quindi non può legittimamente essere assunto ad oggetto della concessione in sanatoria impugnata, è proprio l’intervento che, invece, è stato assentito a prescindere dall’opera originaria sulla quale esso incide, il quale ultimo potrà, eventualmente, essere autonomamente preso in considerazione nell’ambito di un procedimento rivolto all’emanazione di un’ordinanza di demolizione, ricorrendone i presupposti.

Pertanto, da un lato, la norma locale che può conferire stabilità alle recinzioni contrastanti con la normativa di P.R.G. in punto distanza dal ciglio stradale (art. 18 delle N.T.A., vigente al momento del rilascio della concessione impugnata), consentendo la costruzione in precario di manufatti destinati a durare nel tempo, quale la recinzione in muratura in oggetto, è stata correttamente ritenuta illegittima dal TAR.

Dall’altro, come detto, lo stesso titolo edilizio in sanatoria è da ritenersi illegittimo, come disposto dal TAR, per le ragioni sopra indicate.

Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, gli appelli devono essere respinti, in quanto infondati.

Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

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