Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-12-10, n. 202007904

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-12-10, n. 202007904
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202007904
Data del deposito : 10 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/12/2020

N. 07904/2020REG.PROV.COLL.

N. 03487/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3487 del 2020, proposto da
A.N.E.V. - Associazione Nazionale Energia del Vento, Daunia Wind s.r.l., Margherita s.r.l., Eurowind Orta Nova s.r.l., Eurowind Ordona s.r.l., Eurowind Ascoli 1 s.r.l., Volturino Wind s.r.l., Wind International Italy s.r.l., Helveticwind Eolo s.r.l., Parco Eolico Stornara s.r.l., Parco Eolico Orta Nova s.r.l., Domitilla Energia s.r.l., Ala s.r.l., Agritre s.r.l., E2i Energie Speciali s.r.l., ciascuna in persona del proprio legale rappresentante, rappresentate e difese dagli avvocati Massimo Ragazzo, Franco Gaetano Scoca e Pier Luigi Pellegrino, con domicilio digitale eletto presso lo studio Massimo Ragazzo in Roma, via Virgilio, 18;

contro

Provincia di Foggia, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Sergio Delvino e Nicola Martino, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione Prima) n. 00244/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Foggia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2020 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Massimo Ragazzo, Franco Gaetano Scoca, Pier Luigi Pellegrino, Sergio Delvino e Nicola Martino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’A.N.E.V. è un’associazione di categoria cui aderiscono imprese che esercitano l’attività di produzione di elettricità da energia eolica;
le altre appellanti sono società titolari di impianti alimentati da fonte eolica nella Provincia di Foggia, concessionarie di occupazioni di suolo pubblico per il periodo di 29 anni per la posa in opera di cavidotti interrati e/o per l’apertura di accessi funzionali al collegamento degli impianti alla rete elettrica nazionale.

1.1. Con l’art. 63 ( Canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ) d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 ( Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali ) è stato riconosciuto ai comuni e alle province la facoltà di assoggettare l’occupazione di suolo pubblico al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione (C.O.S.A.P.) in sostituzione della già prevista tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (T.O.S.A.P.).

A tal fine i comuni e le province avrebbero provveduto all’adozione di un regolamento per definire le modalità di calcolo del canone in base ai criteri posti dal secondo comma dell’art. 63, nel prosieguo meglio descritti.

1.2. Con delibera consiliare 19 novembre 2018 la Provincia di Foggia adottava il predetto regolamento disponendo che le concessioni per l’occupazione di spazi e aree pubbliche fossero assoggettate al pagamento di un canone (la C.O.S.A.P.) e non più al pagamento di tassa (T.O.S.A.P.).

Alla delibera consiliare era allegata la Relazione del dirigente del Settore gestione patrimonio che esponeva le ragioni delle disposizioni regolamentari sul calcolo del canone di concessione.

In particolare, quanto alle occupazioni del sottosuolo e soprassuolo mediante cavi o condutture era specificato che: “ l’Ente, in sede di predisposizione del presente Regolamento che disciplina il COSAP, non ha potuto trascurare la distinzione tra soggetti occupanti che svolgono attività di erogazione di pubblici servizi e soggetti che diversamente svolgono attività di produzione e trasporto di energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili, giacchè, come stabilito dalla sez. V del Consiglio di Stato, con sentenza n. 3810/2013, “solo la prima, cioè quella di erogazione di energia in favore direttamente ai cittadini, può essere effettivamente considerata un servizio pubblico, laddove la seconda (produzione di energia da fonti rinnovabili) non è rivolta, direttamente ed esclusivamente ai cittadini, trattandosi soltanto di un’attività presupposta alla successiva attività di erogazione del servizio di energia…né può ammettersi un’interpretazione estensiva di norme agevolative… ”;
per poi di seguito spiegare che: “ E’ evidente come l’Ente non poteva mantenere anche per le aziende aventi ad oggetto l’esercizio di un’attività commerciale di produzione, trasporto e vendita di energia rinnovabile tariffe determinate in virtù di una ratio “agevolativa” e quantificabili in misura pressocchè simbolica ”.

Da qui la scelta di prevedere per le occupazioni di sottosuolo e soprassuolo con impianti, cavi e condutture un canone determinato mediante applicazione di coefficienti moltiplicatori per le specifiche attività esercitate dai titolari delle concessioni e considerata la modalità di occupazione, che avrebbe comportato per i soggetti esercenti attività di produzione di energia rinnovabile maggiorazioni rispetto alla precedente impostazione regolamentare (che disponeva il pagamento di una tariffa pari ad € 77,43 annui per km);
soluzione questa ritenuta idonea “ a realizzare una più congrua remunerazione rispetto al sacrificio imposto alla collettività e corrispondente alla significativa manomissione ed agli ingenti interventi realizzati su di un suolo già precario dal punto di vista della viabilità e dell’equilibrio idrogeologico ”.

1.3. Il regolamento, pertanto, prevedeva per quanto di interesse al presente giudizio:

a) all’art. 23 che “ sono soggette al canone di concessione/autorizzazione, come determinato dagli articoli seguenti del presente regolamento, le occupazioni permanenti e temporanee realizzate nelle strade, su suolo demaniale o su patrimonio indisponibile dell'amministrazione ” (comma 1) e che “ sono parimenti soggette al canone di concessione/autorizzazione le occupazioni permanenti e temporanee degli spazi soprastanti e sottostanti il suolo pubblico di cui al comma 1, effettuate con manufatti di qualunque genere, compresi i cavi, le condutture e gli impianti, nonché le occupazioni di aree private sulle quali si sia costituita nei modi di legge la servitù di pubblico passaggio ” (comma 2);

b) all’art. 26 che “ la tariffa base per la determinazione del canone di concessione/autorizzazione è graduata in rapporto all'importanza delle aree e degli spazi pubblici occupati ”;

c) all’art. 28 che “ la tariffa base per le occupazioni temporanee e permanenti di suolo, soprassuolo, sottosuolo e spazi pubblici si determina in base ai criteri indicati dall'art.63, comma 2 lette) del D. L.vo n. 446/1997 e ss.mm.ii. ”;

d) all’art. 29 che: “ il coefficiente di valutazione del beneficio economico dell’occupazione, da determinarsi con apposta deliberazione, è il valore attribuito all’attività connessa all’occupazione per il quale va moltiplicata la misura di base di tariffa ”;

e) all’art. 30 in specifica tabella “ i coefficienti di valutazione economica per tipologie di occupazioni e categorie ”;

f) all’art. 31 che “ la tariffa base prevista a giorno per categoria di importanza della strada (TB), riportata nella tabella di cui all'art. 28 e applicata nella misura percentuale del 10%, va moltiplicata per il coefficiente di valutazione economica (CE) di cui alla tabella dell'art. 30. L’importo così ottenuto va ulteriormente moltiplicato per il numero dei metri quadrati e successivamente per 365 ”.

2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia l’A.N.E.V. e le società in epigrafe indicate impugnavano il regolamento provinciale sulla base di nove motivi di ricorso che possono così esporsi:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 2, lettera c) del d.lgs. n. 446 del 1997 per mancata considerazione dei puntuali criteri indicati dalla norma primaria per la determinazione del canone (valore economico della disponibilità dell’area;
sacrificio imposto alla collettività;
modalità di occupazione) come provato dal fatto che ad essi non era fatto richiamo negli atti presupposti (relazione del dirigente del settore patrimonio;
parere di regolarità tecnica allegato alla delibera di approvazione del regolamento);

2) violazione dell’art. 63, comma 2, lett. e) del d.lgs. n. 446 del 1997, dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003;
dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2011, della direttiva 2009/28/CE e dei principî comunitari di proporzionalità, concorrenza, libertà di circolazione dei servizi, legittimo affidamento, ragionevolezza e certezza del diritto, per essere gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili annoverabili tra quelli di pubblico interesse e di pubblica utilità, con la conseguenza che nella specie avrebbero dovuto trovare applicazione le “ speciali agevolazioni per occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e, in particolare, per quelle aventi finalità politiche ed istituzionali ”, come imposto dalla lettera e) dell’art. 63, comma 2 del d.lgs. 446/1997;

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 2, lettera c) del d.lgs. n. 446 del 1997 per carente motivazione sulle ragioni per le quali le modalità di occupazione di suolo pubblico che caratterizzano le concessioni in esame potessero giustificare un canone di concessione notevolmente incrementato rispetto alla pregressa imposizione, non potendosi, a tal fine, ritenere valida spiegazione il riferimento alle esigenze della viabilità e all’equilibrio idrogeologico, come pure la corrispondenza rispetto a quanto previsto da omologhi regolamenti della Provincia di Lecce e delle province limitrofe di altra Regione;

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 2, lettera c) del d.lgs. n. 446 del 1997 per aver introdotto un canone annuo minimo, fissato in €. 516,46, e ciò “ a prescindere dall’area effettivamente occupata e, quindi, dal relativo pregiudizio per la viabilità pubblica ”, con conseguente obbligo di corrispondere, in taluni casi, una somma addirittura superiore a quella dovuta sulla base del nuovo canone;

5) violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 2, lettera c) del d.lgs. n. 446 del 1997, eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, difetto dei presupposti in fatto ed in diritto, travisamento dei fatti per essere completamente mancata la specifica istruttoria richiesta dalla norma primaria per la determinazione della tariffa in relazione alla classificazione delle strade e delle aree pubbliche da sottoporre a concessione, né, tantomeno, in ordine all’entità del sacrificio e delle limitazioni d’uso imposte alla collettività;

6) violazione dei principi comunitari di proporzionalità, legittimo affidamento, ragionevolezza e certezza del diritto, anche in relazione all’art. 1 della legge n. 241 del 1990, dei principi di irretroattività dell’azione amministrativa, imparzialità, correttezza e buona amministrazione, eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, irrazionalità, ingiustizia manifesta, disparità di trattamento, sviamento in quanto, considerata la notevole durata della concessione rilasciata per la conduzione della propria attività (29 anni), l’imposizione di un canone così esoso avrebbe alterato – in modo illegittimo, perché retroattivamente, e, soprattutto, violando un legittimo affidamento oramai consolidatosi – l’equilibrio economico originariamente individuato a fondamento della decisione di realizzare l’impianto di produzione di energia;

7) violazione e falsa applicazione dell’articolo 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, dei principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione;
degli artt. 3 e 53 della Costituzione, dei principi di proporzionalità, legittimo affidamento, ragionevolezza e certezza del diritto, eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca, disparità di trattamento, sviamento, illogicità ed irrazionalità per aver la Provincia, nella relazione dirigenziale allegata al regolamento, ammesso di perseguire finalità meramente lucrative mediante l’introduzione delle maggiorazioni rispetto alla precedente imposizione (TOSAP), con esclusivo carico degli operatori che svolgono l’attività commerciale di produzione, trasporto e vendita di energia da fonti rinnovabili;
nonché per violazione del principio costituzionale di proporzione alla capacità contributiva considerata l’abnormità della misura dei canoni;

8) violazione della normativa in materia di espropriazione per pubblica utilità (in particolare, dei Capi IV, V e VI del d.P.R. n. 327 del 2001), per essere il canone annuale stabilito dal regolamento di gran lunga superiore all’indennità di esproprio prevista per la costituzione di servitù coattive di elettrodotto, nella specie applicata dalla Regione Puglia in sede di rilascio dell’autorizzazione unica, (€. 3,00 al mq una tantum rispetto al canone di minimo €. 16,42 al mq.);

9) violazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2011, della direttiva 2009/28/CE, dell’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europa, degli artt. 10 e 13 del Trattato sulla Carta dell’Energia;
dei principî di proporzionalità, legittimo affidamento, ragionevolezza e certezza del diritto, eccesso di potere per sviamento, illogicità ed irrazionalità;
violazione dei principî comunitari in tema di libera concorrenza e di libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali;
dei principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione perchè l’imposizione di sproporzionati limiti e condizioni per la conduzione dell’impianto energetico impedirebbe la massima diffusione degli impianti da energia rinnovabile sul territorio nazionale in contrasto con le indicazioni provenienti da svariate disposizioni nazionali ed euro- unitarie.

2.1. Nella resistenza della Provincia di Foggia, il giudice di primo grado con la sentenza 13 febbraio 2020, n. 244 respingeva il ricorso rinviando alle motivazioni contenute nelle sentenze 169 – 172 del 2020.

In tali sentenze (e, in particolare, nella sentenza 4 febbraio 2020, n. 171):

- era precisata la diversa natura della C.O.S.A.P. rispetto alla T.O.S.A.P., per essere la prima qualificabile come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), “ dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, talchè esso è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare (o eccezionale) che ne trae il singolo ” (come da indicazioni della Corte di Cassazione nella sentenza 19 gennaio 2018, n. 1435 e della Corte costituzionale nella sentenza 14 marzo 2008);

- la modalità di determinazione della “tariffa base” prevista nel regolamento (“ a giorno per categoria di importanza della strada (TB), riportata nella tabella di cui all’art. 28 e applicata nella misura percentuale del 10% ” poi “ moltiplicata pe il coefficiente di valutazione economica (CE) di cui alla tabella dell’art. 30 ” e l’importo così ottenuto poi “ ulteriormente moltiplicato per il numero dei metri quadrati e successivamente per 365 ”) era ritenuta conforme alla normativa primaria, vale a dire all’art. 3, comma 149, l. n. 662 del 1996, di delega al legislatore per l’adozione di una legge di revisione della disciplina dei tributi locali e all’art. 63, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 446 del 1997 ove erano dettati i criteri dei quali il regolamento provinciale avrebbe dovuto tener conto;

- era esclusa la disparità di trattamento con le tariffe applicate per le occupazioni di sottosuolo per attraversamenti di condotta idrica per essere il servizio idrico attinente ad una pubblica funzione essenziale per la vita del territorio, esercitato da enti di natura (formalmente o sostanzialmente) pubblicistica, che non perseguono scopi di carattere lucrativo e privatistico, laddove, invece, le attività delle ricorrente hanno carattere imprenditoriale, come pure era respinta la stima della misura del canone in parallelo con l’indennità di esproprio per la costruzione di servitù di elettrodotto ai fini della realizzazione di impianti alimentati da F.E.R., per essere diverso il quadro normativo di riferimento, detti impianti essendo assentiti mediante rilascio dell’autorizzazione unica sul presupposto della loro pubblica utilità come riconosciuto dalla normativa speciale e conseguente conferimento alle società di uno jus ad servitutem habendam ai sensi del R.d. n. 1775 del 1993 con corresponsione di una indennità (determinata in ragionale solamente “ della diminuzione del valore che per la servitù subiscono il suolo e il fabbricato in tutto o in parte ”);

- sterilizzabile era ritenuto l’argomento della sopravvenuta abnormità del canone in ragione dell’applicazione del regolamento in termini percentuali rispetto all’importo della T.O.S.A.P. precedentemente applicata dall’argomento addotto dalla difesa provinciale per il quale tutti gli operatori del settore energetico avrebbero beneficiato per moltissimi anni di tariffe estremamente favorevoli pari a quelle praticate ai privati per la concessione di accessi e passi carrabili;

- meritevole di considerazione era stimato il riferimento al sacrificio per la collettività contenuto nella Relazione allegata al regolamento poiché esattamente collegato alla “ significativa manomissione ed agli ingenti interventi realizzati su di un suolo già precario dal punto di vista della viabilità e dell’equilibrio idrogeologico ”;

- era escluso che l’amministrazione provinciale avesse approfittato dell’indispensabilità del suolo per le imprese al fine di richiedere loro un canone di concessione molto elevato in contrasto con il principio della buona fede, poiché, invece, la risalenza nel tempo della regolamentazione TOSAP e l’evoluzione legislativa (a partire dal 1997) conducevano a ritenere del tutto pronosticabile una riforma radicale della disciplina delle occupazioni di aree pubbliche.

3. Propongono appello l’A.N.E.V. e le altre imprese indicate in epigrafe;
si è costituita la Provincia di Foggia.

Le parti hanno presentato memorie ex art. 73, comma 1, cod. proc. amm., cui sono seguite rituali repliche.

All’udienza del 1° ottobre 2020 la causa è stata assunta in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello la sentenza di primo grado è censurata per “ error in iudicando – carente, erronea, illogica e contraddittoria motivazione della sentenza appellata, in relazione alle censure articolate in primo grado, da un lato, con il primo, il terzo ed il quinto dei motivi di ricorso;
nonché, dall’altro, con il quarto e l’ottavo dei motivi di ricorso
”: per respingere la censura di carente istruttoria ai fini della determinazione della “tariffa base”, è parso sufficiente al giudice di primo grado richiamare “il rilievo istruttorio” contenuto nella Relazione dirigenziale sulla necessità di compensare il sacrificio per la collettività collegato alla “ significativa manomissione ed agli ingenti interventi realizzati su di un suolo già precario dal punto di vista della viabilità e dell’equilibrio idrogeologico ”;
a parere degli appellanti, però, era questa una “ frase meramente assertiva ed apodittica ” inidonea ad assolvere all’onere motivazionale richiesto anche per gli atti regolamentari dalla più recente giurisprudenza (che andrebbe superando, quanto alla necessità della motivazione, il criterio dell’astratta qualificazione dell’atto a favore della rilevanza del contenuto in ragione della specifica funzione amministrativa assegnata all’atto dalla normativa di settore).

A parere degli appellanti l’amministrazione provinciale era tenuta a motivare espressamente in ordine ai sei, o meglio sette, parametri previsti dall’art. 63, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 446 del 1997 per la determinazione della c.d. tariffa base, anche in ragione della sua natura di corrispettivo che avrebbe imposto un concreto ed effettivo riferimento alla specificità delle attività esercitate dai concessionari e alle reali modalità di occupazione, e, dunque, al sacrificio realmente sopportato dalla collettività, non potendosi ritenere che la sua determinazione fosse rimessa alla libera ed incondizionata discrezionalità dell’amministrazione.

1.1. Da altro punto di vista gli appellanti evidenziano che quell’unico riferimento istruttorio alla necessità di compensare con il canone fortemente maggiorato il sacrificio della collettività per la significativa manomissione e gli ingenti interventi realizzati su di un suolo precario e a rischio idrogeologico era anch’esso del tutto inadeguato, tenendo conto che tutte le concessioni imponevano ai concessionari di provvedere, al termine dei lavori di posa in opera del cavo, all’integrale ripristino della sede stradale interessata dall’occupazione e alla sua manutenzione a pena di decadenza, onde erano già a carico del concessionario tutti gli oneri di manutenzione straordinaria e ordinaria del tratto stradale interessato dall’apposizione del cavo e la Provincia di Foggia non aveva mai contestato alle imprese di non aver correttamente ripristinato e successivamente manutenuto le strade stesse.

1.2. Ad ogni modo, continuano gli appellanti, mancherebbe anche l’esposizione degli elementi fattuali in grado di dimostrare lo stato di dissesto delle strade e, dunque, la necessità di far fronte con la C.O.S.A.P. alle esigenze della viabilità e dell’equilibrio idrogeologico, né la Provincia avrebbe dato conto di aver effettuato specifici accertamenti.

Altrettanto irrilevante sarebbe il riferimento all’avvenuto allineamento ai canoni previsti dai regolamenti di altre province (e, precisamente, delle Province di Benevento e di Avellino), considerato che ognuno di essi riflette determinazioni proprie dell’amministrazione adottante in relazione alle specifiche caratteristiche dei territori.

1.3. Lamentano ancora gli appellanti la sproporzione del canone loro imposto rispetto a quello previsto per “ attraversamenti di condotta irrigua ” e segnalano che il giudice di primo grado avrebbe erroneamente ritenuto compresa in questa voce le strutture in connessione con l’Acquedotto Pugliese, laddove, invece, queste ultime rientrerebbero nell’ambito della voce n. 9 della tabella di pag. 20 riferita alle “ occupazioni realizzate da aziende erogatrici di pubblici servizi ”.

1.4. Si dolgono, infine, della previsione di un canone minimo annuo, di € 516,46, che prescinde dall’area effettivamente occupata e quindi dal relativo pregiudizio per la viabilità pubblica e rilevano come il canone loro richiesto risulti essere di gran lunga superiore all’indennità di esproprio.

2. Il motivo è infondato e va respinto.

2.1. Le appellanti, in sostanza, reiterano nel presente grado di giudizio l’articolato motivo diretto a censurare il regolamento provinciale per carenza di motivazione: non sarebbe possibile evincere dal testo del regolamento stesso, come dagli atti istruttori che l’hanno preceduto, in che modo l’amministrazione provinciale sia giunta a determinare la “tariffa base” per il calcolo del canone concessorio, ovvero, ancor più chiaramente, come in essa siano confluiti i criteri posti dall’art. 63, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 446 del 1997.

2.2. Si impongono, pertanto, talune brevi considerazioni sul rapporto tra normativa primaria e regolamento, indispensabili per definire la questione dell’obbligo di motivazione dei regolamenti.

2.2.1. La norma primaria che autorizza l’adozione di regolamenti di attuazione e integrazione del suo contenuto fissa modalità e criteri cui l’autorità amministrativa (nel caso di specie, l’ente locale) dovrà attenersi nell’elaborazione della disciplina della fattispecie;
dalla larghezza di tali criteri dipende l’ampiezza del potere di scelta rimesso alla normazione secondaria, in ogni caso, però, sulla strada segnata dalla norma primaria le disposizioni regolamentari sono espressione di una scelta connotata da significativi spazi di discrezionalità.

2.2.2. Si spiega, allora, l’esclusione della motivazione per i regolamenti al pari de “gli atti normativi” di cui all’art. 3, comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241;
i regolamenti partecipano della stessa natura della legge (sono fonti del diritto) e come al legislatore – cui, peraltro, è riconosciuta libertà nel fine – non si domanda spiegazione delle scelte di cui v’è traduzione nelle specifiche disposizioni, poiché esse avvengono a livello politico, allo stesso modo l’ente locale che adotta il regolamento non è tenuto ad un onere motivazionale nell’esercizio della sua discrezionalità in quanto anch’essa collocata ad un livello politico, i regolamenti essendo in effetti deliberati da organi di rappresentanza che esprimono l’indirizzo politico – amministrativo dell’ente.

Si aggiunge, poi, che non necessita di puntuale motivazione quell’atto che, contenendo prescrizioni a carattere generale, non decide in concreto dell'assetto degli interessi, ma solo identifica regole suscettibili di successive applicazioni (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 novembre 2016, n. 4794).

Le ragioni delle disposizioni regolamentari vanno, dunque, ricavate dal dibattito che ha preceduto l’adozione del regolamento (gli atti interni dell’organo deliberativo) e dagli atti istruttori precedenti la deliberazione e l’onere di motivazione risulta comunque soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte, senza necessità di una puntuale motivazione.

2.2.3. Ciò non significa, peraltro, che la discrezionalità che si invera nelle disposizioni regolamentari – come accade per la legge – sia sottratta ad ogni forma di controllo, ma solo che il controllo è rivolto agli effetti dell’atto, ossia a verificare se le prescrizioni in esso contenute non diano luogo ad effetti discriminatori, irragionevoli o non proporzionati per i suoi destinatari.

2.3. La Provincia di Foggia non era, dunque, tenuta a dar puntualmente conto del percorso logico – argomentativo attraverso il quale era giunta a trasfondere i criteri di cui all’art. 63, comma 2, d.lgs. n. 446 del 1997 nella disposizione regolamentare sulla tariffa base per le occupazioni permanenti di suolo pubblico;
la discrezionalità si è tradotta in una cifra – di € 0,68 per l’occupazione del sottosuolo di strade di categoria A e di € 0,45 per quelle di categoria B (categorie determinate sulla base della suddivisione del territorio provinciale con conseguente elenco delle strade appartenenti all’una e all’altra categoria allegato al Regolamento come richiesto dalla lett. b) del comma 2 dell’art. 63 d.lgs. n. 446) – che costituisce sintesi numerica, oltre che del criterio “dell’entità dell’occupazione, espressa in metri quadrati o lineari”, anche “del valore economico della disponibilità dell’area” e “del sacrificio imposto alla collettività”;
quest’ultimo, peraltro, esplicitato nella Relazione del dirigente del Settore gestione del Patrimonio che accompagnava la proposta di delibera nei termini già ampiamente esposti.

2.4. Né, d’altra parte, appaiono convincenti le ragioni di inadeguatezza esposte dalle appellanti, anche a mezzo perizia di parte.

È proposto, infatti, un diverso apprezzamento del criterio del “valore economico della disponibilità dell’area” da collegare al reale valore economico dell’area occupata, quale potrebbe trarsi, ad esempio, dal costo di costruzione della strada (oppure dal valore di terreni marginali), ma è di immediata percezione, come evidenziato dalla Provincia nella sua memoria, che ben altro è il valore assunto dalla disponibilità dell’area per le imprese appellanti, considerato che l’occupazione del sottosuolo per il passaggio di cavidotti, come anche l’apertura di accessi funzionali al collegamento degli impianti alla rete elettrica nazionale, è imprescindibile per l’esercizio della loro attività di impresa, per cui la concessione di occupazione di suolo pubblico costituisce un asset essenziale per le imprese che operano del settore della produzione dell’energia eolica.

2.5. Non meritano miglior sorte le critiche all’esplicazione del criterio “del sacrificio imposto alla collettività” per l’asserita completa assenza di sacrificio, in quanto limitato al tempo strettamente necessario per l’attività di posa in opera di cavo elettrico nel sottosuolo, come pure per l’obbligo imposto a tutti i concessionari di provvedere alla manutenzione della sede stradale.

La Provincia ha ben spiegato nella sua memoria l’incidenza nel tempo delle attività di escavazione del sottosuolo sull’intero ordito strutturale della strada nei suoi vari strati, senza considerare che le manomissioni riguardano inevitabilmente non solo le strade in cui sono interrati i cavi o aperti accessi, per le quali potrebbe valere il predetto obbligo manutentivo, ma tutto l’impianto viario provinciale.

2.6. Il diverso coefficiente previsto per gli attraversamenti di condotta irrigua è giustificato dalla tipologia degli imprenditori che di esso si servono – piccoli imprenditori agricoli per le esigenze di aziende normalmente di modeste dimensioni – come pure dalle modalità con le quali avviene l’occupazione del sottosuolo, mediante trivellazione per passaggio di singolo tubo in senso trasversale alla sede stradale.

La comparazione con la misura dell’indennità di esproprio è impropria per la diversa funzione del canone concessorio – che si vuol sinallagmatico rispetto al godimento del sottosuolo consentito dall’ente – e dell’indennità di esproprio, compensativa del sacrificio imposto al privato per la perdita della proprietà in virtù dell’atto ablatorio.

2.7. La Provincia ha, altresì, precisato che il canone annuo di € 516,46 è riferito dall’ultimo periodo dell’art. 27 del regolamento alle occupazioni realizzate da “Aziende erogatrici di pubblici servizi” delle quali, in effetti, tratta il periodo immediatamente precedentemente del medesimo articolo;
esso, pertanto, non riguarda le odierne appellanti.

3. Con altro motivo di appello la sentenza di primo grado è contestata per “error in iudicando – omessa o, comunque, carente, erronea ed illogica motivazione della sentenza appellata, in relazione alle censure articolate in primo grado, con il secondo, il settimo, il sesto ed il nono motivo di ricorso”.

3.1. Gli appellanti si dolgono che il giudice di primo grado per il carattere imprenditoriale dell’attività di produzione e trasporto di energia elettrica da fonti rinnovabili abbia ritenuto inapplicabili le agevolazioni nella determinazione del canone concessorio previste dall’art. 63, comma 2, lett. e) d.lgs. n. 446 del 1997;
a loro parere, sebbene non qualificabili come “ servizio pubblico ”, nondimeno sarebbero attività “ di interesse pubblico ” alla luce della normativa interna e comunitaria, le quali da tempo si prefiggono lo scopo di migliorare le condizioni di compatibilità ambientale nella produzione dell’energia e, per questo, incentivano, tra le altre, l’utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia.

In particolare, decisivo rilievo avrebbe l’art. 1, comma 4, l. n. 10 del 1991 che espressamente definisce l’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabili come “ di pubblico interesse ” e l’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 387 del 2003 che qualifica le opere per la realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili “ di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti ”.

3.2. Il giudice di primo grado sarebbe incorso poi in omissione di pronuncia non avendo dato risposta alle censure (contenute nel settimo motivo di ricorso) di sviamento di potere per aver la Provincia preso di mira i soli operatori del settore di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, i quali si ritroveranno a dover corrispondere un canone fortemente aumentato rispetto alla precedente tassa.

Tale conclusione sarebbe avvalorata – oltre che dal metodo di calcolo della tariffa che appare privo di razionalità come pure dalle migliori condizioni previste per le occupazioni del sottosuolo per “attraversamenti di condotta irrigua” – specialmente dalle dichiarazioni rese agli organi di stampa dal Presidente della Provincia di Foggia che avrebbe rimarcato proprio la volontà di “ reperire nuove risorse economiche per la Provincia di Foggia ” aumentando “… questa tassa non ai poveri ma ai ricchi ”.

3.3. Lamentano ancora gli appellanti che il giudice di primo grado abbia risolto con “frasi meramente assertive, apodittiche e finanche eccentriche” la questione della lesione del loro affidamento sulla remuneratività dell’investimento alla luce dei costi di costruzione ed esercizio dell’impianto da realizzare come valutati al momento della costruzione dell’impianto per l’improvviso e inaspettato mutamento delle condizioni del rapporto concessorio, tanto più che la localizzazione nel sottosuolo degli elettrodotti interrati a servizio degli impianti era prescritta delle autorizzazioni uniche rilasciate dalle amministrazione preposte alla tutela ambientale in quanto meno impattante, onde alle imprese non era data l’alternativa, ipotizzata dal tribunale, di interramento del cavo sul terreno agricolo.

3.4. Con ultima censura è rilevata una ulteriore omissione di pronuncia per non aver il giudice di primo grado esaminato il contrasto del regolamento con i principi comunitari e nazionali in materia di realizzazione di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili;
detti principi non solo vieterebbero l’introduzione di disposizioni peggiorative, idonee a ledere l’affidamento e la certezza del diritto, ma imporrebbero anche che il rilascio dell’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti avvenga in maniera “obiettiva, trasparente, non discriminatoria e proporzionata”, evitando “oneri inutili”, mentre le disposizioni regolamentari impugnate, lungi dall’incentivare lo sviluppo degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, introdurrebbero nuovi, illegittimi e immotivati limiti alla loro realizzazione.

4. Il motivo è infondato in tutte le censure in cui è articolato.

4.1. Quanto alla prima censura (sul mancato riconoscimento delle misure agevolative) valgono le seguenti considerazioni.

L’art. 63, comma 2, lett. e) d.lgs. n. 446 del 1997 prescrive all’ente locale di prevedere “ speciali agevolazioni per occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e, in particolare, per quelle aventi finalità politiche ed istituzionali ”.

La Provincia ha dato attuazione alla norma primaria riconoscendo un regime agevolato nella determinazione del canone concessorio alle sole attività “di erogazione di pubblici servizi”;
la scelta, espressione di valutazione discrezionale in ordine alle attività ritenute dall’ente connotate da una stretta – la norma primaria parla in effetti di “particolare” – attinenza con l’interesse pubblico, risulta ragionevole e non discriminatoria.

Come, infatti, l’attività di produzione e trasporto di energia elettrica da fonti rinnovabili, molte altre attività private (svolte mediante l’utilizzo di suolo pubblico) di erogazione di prestazioni a servizio della collettività potrebbero ritenersi caratterizzate da profili di interesse pubblico, onde una maggiore apertura in sede regolamentare avrebbe condotto ad ampliare eccessivamente i beneficiari di un canone agevolato, ben al di là delle indicazioni provenienti dalla disciplina legislativa.

Posta la premessa di cui sopra, è sufficiente poi richiamare i passaggi della Relazione allegata alla delibera in cui sono chiarite le ragioni per le quali le imprese che svolgono attività di produzione e trasporto di energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili non rientrano tra gli esercenti attività di erogazione di pubblici servizi;
nel primo caso, infatti, si è in presenza di un’attività che si pone come presupposto della successiva attività di erogazione del servizio di energia.

L’agevolazione presuppone, dunque, dal punto di vista soggettivo, che il soggetto occupante le aree pubbliche svolga attività di erogazione dei pubblici servizi (ovvero attività agli stessi strumentali) e, dal punto di vista oggettivo, che l’attività di erogazione sia in atto, posto che il canone va commisurato al numero delle utenze (Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3810).

4.2. Circa lo sviamento asseritamente perpetrato con l’incremento del canone (seconda censura contenuta nel presente motivi di appello), va detto che dalla stessa legge delega (art. 3, comma 149, lett. h), della legge n. 662 del 1996) si ricava l’indicazione della determinazione del canone in applicazione del principio solidaristico – che porta, inevitabilmente, a richiedere maggior contribuzione a chi trae più intenso vantaggio (evidentemente economico) dall’utilizzo della risorsa pubblica – come pure l’affermazione delle esigenze di bilancio come parametro determinante la tariffa, specie in funzione della manutenzione del patrimonio stradale (si fa riferimento infatti ad un canone determinato “ secondo una tariffa che tenga conto, oltre che delle esigenze del bilancio, del valore economico della disponibilità dell’area in relazione al tipo di attività per il cui esercizio l’occupazione è concessa, del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all’uso pubblico dell’area stessa, e dell’aggravamento degli oneri di manutenzione derivante dall’occupazione del suolo e del sottosuolo ”).

Le dichiarazioni del Presidente della Provincia di Foggia – depurate della valenza politica – danno atto delle scelte effettuate che risultano, come detto, pienamente legittime.

4.3. Anche la terza censura, con cui è riproposta la violazione dell’affidamento degli operatori nella conservazione per tutta la sua durata del rapporto concessorio alle condizioni presenti al suo avvio, va disattesa.

Occorre tener conto, infatti, che negli atti concessori era espressamente prevista la possibile riparametrazione delle modalità di calcolo del canone con effetti di integrazione – sostituzione delle originarie clausole (si legge al punto 17: “ Ogni eventuale variazione che potrà intervenire successivamente circa l’ammontare delle somme in questione sarà automaticamente estesa alla presente concessione ”).

Va aggiunto, poi, che un rapporto amministrativo di così lunga durata come quello insorto per effetto degli atti concessori di cui si discute, è necessariamente esposto allo ius superveniens (come pure, evidentemente, alle sopravvenienze fattuali) e che questo possa, a partire dalla sua adozione, prevedere profili di disciplina innovativi immediatamente applicabili (essendo, per comune principio, sottratti alla disciplina normativa sopravvenuta solamente i rapporti esauriti);
nel caso di specie, peraltro, i concessionari erano pienamente a conoscenza della possibilità che la Provincia avrebbe potuto procedere alla sostituzione della T.O.S.A.P. con la C.O.S.A.P. essendo stata la norma primaria emanata nel 1997.

Considerato, poi, che il nuovo regolamento, approvato con la delibera consiliare n. 44 del 19 novembre 2018 (pubblicata nell’albo pretorio dell’amministrazione dal 27 novembre 2018 al 12 dicembre 2018), applicabile ai sensi dell’art. 44 anche alle concessioni in corso, è efficace a fare tempo dal 2019, è possibile escludere ogni portata retroattiva per le annualità pregresse.

4.4. Quanto alla violazione dei principi comunitari in materia di fonti rinnovabili è sufficiente evidenziare come le prescrizioni sulla modalità di determinazione del canone concessorio per l’occupazione del suolo pubblico è aspetto del tutto estraneo alla disciplina di derivazione euro - unitaria e attinente, piuttosto, all’organizzazione dei servizi amministrativi, rimessa, in via di principio, all’autonomia del singolo Stato.

Va aggiunto, infine, che il considerando 62 della dir. 2009/28/Ce, nella parte in cui tratta dei “costi di connessione” che vuole “oggettivi, trasparenti e non discriminatori” si riferisce al costo di accesso alla rete per il produttore di energia;
onere ben diverso da quello del canone concessorio, del quale, come detto, la normativa europea non si occupa espressamente.

5. In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza di primo grado integralmente confermata.

6. La complessità delle questioni poste con i motivi di appello giustificano la compensazione delle spese anche del presente grado del giudizio.

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